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Essere Interdimensionale
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MessaggioInviato: 18/01/2012, 20:29 
Il tramonto dell’Inghilterra


L’industria a pezzi. La società allo sbando. La violenza sempre più diffusa. Trent’anni di Thatcher e New Labour hanno devastato il paese che per oltre un secolo è stato l’officina del mondo. La Gran Bretagna raccontata da un grande giornalista inglese.

Una domenica pomeriggio di un mese solitamente noioso come agosto, nel 2011, i cellulari di Enfield, nella zona nord di Londra, ricevono un messaggio: “Cominciate ora. Prendete borse, carrelli, macchine, camioncini, martelli, tutto”. I destinatari sono invitati a non farlo sapere agli “infami”: l’obiettivo è “rubare tutto”. Poche ore prima, nel vicino quartiere di Tottenham, si era conclusa una notte di rabbia e rivolta. La polizia aveva ucciso, apparentemente senza motivo, Mark Duggan, padre di tre figli, scatenando la reazione dell’intera comunità. Dopo quella domenica sono cominciati i saccheggi di alcuni tra i simboli più riconoscibili della vita quotidiana in Gran Bretagna: negozi di grandi catene, job centres, agenzie immobiliari e di scommesse. Alcuni negozi sono stati dati alle fiamme.

La sera successiva, il lunedì, i saccheggi e le sommosse hanno cominciato a somigliare a una rivolta politica e la polizia ha perso il controllo di interi quartieri della città, travolta da un’ondata di fuoco e rabbia. Ci sono volute tre ore prima che gli agenti riuscissero a placare i tumulti a Pembury Estate, nella zona orientale di Londra. Qui un gruppo di ragazzi aveva assaltato una macchina della polizia, costringendo l’agente alla guida a scappare sfrecciando tra la folla. “Vi odiamo. La colpa di tutto questo è solo vostra!”, hanno urlato in faccia ai poliziotti alcune ragazzine che stavano aiutando un coetaneo accoltellato.

Nei giorni seguiti alle più gravi rivolte degli ultimi decenni in Gran Bretagna, i lea­der politici si sono sforzati di dare un senso a quello che stava succedendo in un paese ormai in declino, fino a poco tempo prima convinto di vivere in una sorta di idillio, tra il matrimonio di William e Kate e le Olimpiadi del 2012 a Londra. Tornato in anticipo dalle sue vacanze in Toscana, il primo ministro David Cameron ha parlato di “pura e semplice criminalità”. Anche il laburista Jack Straw, ex ministro dell’interno, ha dichiarato che era arrivato “il momento di costruire nuove carceri”.

Il leader liberaldemocratico Nick Clegg, oggi vicepremier, aveva invece previsto le rivolte con più di un anno d’anticipo. L’11 aprile 2010 era intervenuto in tv su Sky News per commentare le sommosse in Grecia. In quella circostanza aveva lanciato un avvertimento: se un governo conservatore fosse andato al potere in Gran Bretagna e avesse “tagliato drasticamente la spesa pubblica con una maggioranza parlamentare risicata, molte persone avrebbero reagito male”. Alla domanda se “reagire male” volesse dire organizzare rivolte e saccheggi, Clegg aveva risposto: “Credo che il rischio sia decisamente alto”.

Per i britannici Clegg è una figura in qualche modo ridicola, ma anche simbolicamente importante. Dopo le elezioni del maggio 2010 si è alleato con i conservatori di Cameron, garantendogli così la maggioranza necessaria per realizzare proprio quei progetti che il leader del Partito liberaldemocratico aveva detto di temere. E ora Clegg si trova a osservare le conseguenze delle rivolte che lui stesso aveva previsto. Un tempo a Eton, il college dell’aristocrazia britannica, frequentato anche da Cameron, c’era la tradizione del fagging: ai ragazzi più grandi erano assegnati degli alunni più piccoli come servitori, i fags, appunto. Non a caso nella stampa satirica Clegg viene dipinto come “il fag di Eton”, a servizio del governo.

Gossip e denaro
Nel giorno più violento delle rivolte dell’estate scorsa, la borsa di Londra è crollata ai minimi dell’anno. Poco dopo la fine dei riots si è venuto a sapere che il 20 per cento dei britannici tra i sedici e i ventiquattro anni è senza lavoro e che il 2011 sarebbe stato l’anno con il numero più alto mai registrato di candidati non ammessi all’università. Cameron ha parlato del “lento declino morale” della Gran Bretagna, riprendendo un’espressione più volte usata quando era all’opposizione: broken Britain, un paese in pezzi.

Il primo ministro ha insistito sulla necessità di affrontare “i presupposti che hanno trascinato parte della società britannica in questa situazione agghiacciante”, tra cui “l’irresponsabilità, l’egoismo e l’incapacità di pensare alle conseguenze delle proprie scelte”. Cameron è stato virtuoso e risoluto. Ma di recente anche la sua reputazione è stata macchiata da uno scandalo che ancora lo imbarazza: il suo ex spin doctor, Andy Coulson, è stato coinvolto nel caso delle intercettazioni del tabloid News of the World di Rupert Murdoch, di cui era stato direttore dal 2003 al 2007.

L’ex premier laburista Tony Blair ha subito sottolineato che affermazioni come quelle di Cameron non fanno che danneggiare l’immagine della Gran Bretagna. Blair, inoltre, ha negato di aver lasciato in eredità ai conservatori una “nazione in pezzi”. Ma neanche i laburisti possono permettersi di fare i moralisti. L’anno scorso lo scandalo dei rimborsi ai parlamentari ha rivelato che la deputata laburista Hazel Blears aveva chiesto rimborsi pubblici che non le spettavano, mentre sfruttava uno stratagemma per non pagare le tasse sulla vendita di due appartamenti a Londra.

Ma forse i reati più comprensibili per chi ha messo a ferro e fuoco la Gran Bretagna ad agosto sono quelli di un altro laburista, Gerald Kaufman. Prima di condannare i riots, Kaufman aveva chiesto il rimborso per una gigantesca tv del valore di 8.865 sterline (circa diecimila euro) e per dei lavori nel suo appartamento di Londra, nel ricco quartiere di Regent’s Park, costati 28.834 sterline.

Sembra, insomma, che il “declino morale” della società britannica cominci ai piani alti. Tutti, però, hanno fatto finta di non vedere gli accordi poco trasparenti tra le élite, il clientelismo, le reciproche convenienze. I problemi del paese sono particolari: particolarmente seri, particolarmente fastidiosi e particolarmente indecenti. Il paese che si autodefinisce “Cool Britannia” è diventato avido, ossessionato dall’affarismo, xenofobo, bellicoso e arrogante.

Gli stranieri che arrivano in Gran Bretagna cominciano a rendersi conto di questa decomposizione della società già all’aeroporto di Heathrow, a Londra, uno dei più importanti del mondo ma anche il più fatiscente. Un’infrastruttura così inefficiente che nel dicembre 2010 ha chiuso per quattro giorni dopo una leggera nevicata: mancavano gli sbrinatori per gli aerei. Agli stranieri può essere piaciuto lo show del matrimonio reale in tv, anche se non sapevano (o magari hanno preferito dimenticare) che qualche anno fa il principe William aveva accompagnato a una festa in maschera suo fratello Harry vestito in divisa nazista. “Sono ragazzate”, aveva commentato la gente allora.

Gli americani possono anche pensare che Londra sia un fedele alleato in Iraq, in Afghanistan e nella guerra al terrorismo, ma ignorano il fatto che il pretesto usato per giustificare questi interventi, cioè il dossier presentato da Blair nel 2003, era stato manipolato ad arte. Gli americani dovranno anche sorvolare sul fatto che la guerra al terrorismo è stata poi improvvisamente sospesa quando altre urgenze hanno fatto sì che Abdel Basset Ali Mohmed al Megrahi, l’attentatore libico del volo Pan Am 103, esploso sulla cittadina scozzese di Lockerbie nel 1988, venisse liberato per far piacere al colonnello Gheddafi, con cui Blair era in ottimi rapporti. Nello stesso periodo – che coincidenza! – la Libia stava per siglare un importante contratto con la compagnia petrolifera britannica Bp.

Quanto pesa la City
“La giustizia piegata agli interessi economici”: così il senato statunitense avrebbe successivamente descritto il rilascio di Al Megrahi. Una definizione che sembra adattarsi bene agli affari della Gran Bretagna di oggi, un paese ormai in vendita, a prezzi stracciati, a chiunque abbia soldi da spendere. Nessun’altra nazione al mondo permette che le decisioni cruciali per la sua economia siano prese all’estero. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti.

La Renault è controllata dai francesi, la Fiat è italiana. La Jaguar e la Land Rover, invece, sono indiane, la Vauxhall è americana e la Rolls-Royce è tedesca. Ferrero Rocher è un cioccolatino italiano, mentre le barrette Cadbury sono di proprietà statunitense. I magazzini Harrods sono del Qatar. Perfino il passatempo preferito di un’intera nazione è stato svenduto all’estero: mentre la Juventus e il Milan sono di proprietà italiana e il Barcellona e il Real Madrid sono controllati addirittura dai loro tifosi, il Manchester United e il Liverpool sono statunitensi, il Chelsea è russo e l’Arsenal se lo dividono un americano e un russo-uzbeco.

L’intero settore industriale britannico è in dismissione. Il suo declino, però, viene mascherato da una sfilza di slogan pubblicitari. “Looking after your world” (Ci prendiamo cura del tuo mondo) è lo spot scelto dalla British Gas. Quello della British Telecom è “Bringing it all together for London 2012” (Uniamo il paese per Londra 2012), mentre la polizia della capitale ha scelto “Working together for a safer London” (Lavoriamo insieme per una Londra più sicura). Dietro questi stupidi slogan, una miscela di avidità, incompetenza e autoritarismo sta trasformando la Gran Bretagna in un paese non solo inefficiente ma anche invivibile. Un paese che ormai ha perso le sue proverbiali buone maniere e che si fonda sull’opportunismo e sul gossip.

È difficile dire quando e perché la società britannica ha cominciato a decomporsi. Ma alcune risposte si possono trovare nello smantellamento del settore industriale e nella perdita di coesione e del senso di comunità che quel mondo si portava dietro. La scomparsa delle fabbriche e del loro tessuto sociale si è consumata tra gli anni ottanta e novanta, parallelamente alla privatizzazione senza scrupoli delle infrastrutture e dei servizi pubblici, che un tempo non erano considerati come semplici opportunità di speculazione. Le industrie tradizionali sono state sostituite dalle imprese di servizi e commercio, e in particolare da un settore: la finanza.

In questo modo l’economia ha finito per dipendere dai capricci e dagli interessi delle grandi banche. La Gran Bretagna moderna è plasmata dalla City di Londra, dai suoi valori e dal suo denaro. Tutto questo è evidente se si considera la prostituzione della politica nei confronti della finanza, che si è manifestata, per esempio, nell’uso del denaro dei contribuenti per salvare le banche. Di recente, inoltre, è diventata quasi una regola che i membri del governo lascino i loro incarichi per diventare consulenti di quegli stessi istituti. La società britannica si ispira sempre di più all’avidità delle grandi banche.

Inizialmente si pensava che la dipendenza del paese nei confronti della finanza globale potesse generare effetti benefici per tutta l’economia. Invece alla fine sono stati i soldi dei contribuenti, decine di miliardi di sterline, a salvare le istituzioni che avevano messo in crisi l’economia britannica. Quando il premier Gordon Brown ha detto al parlamento che il bailout delle banche era servito a “salvare il mondo”, ha anche specificato che dopo l’intervento pubblico i britannici avrebbero controllato la Royal Bank of Scotland e le sue associate. Ma dopo averci trascinato sulla soglia del baratro e dopo essere state tenute a galla con i soldi dei cittadini, le banche e le compagnie di assicurazioni nel 2011 hanno distribuito ai loro manager premi per 14 miliardi di sterline.

Uno dei pochi esperti di finanza a parlare senza peli sulla lingua è Martin Woods, un ex detective antitruffa della National crime squad (una sorta di Fbi britannica) che si occupa di riciclaggio di denaro. Woods sottolinea che “una delle principali conseguenze della dipendenza dell’economia dalle banche è stata la trasformazione della geografia delle opportunità. Durante l’era industriale le occasioni di successo nel campo degli affari e dell’industria erano disseminate in tutto il paese. Oggi il denaro vero, quello che conta, si trova a Londra. La centralità della capitale e dello spirito che la contraddistingue è ancor più evidente di quanto immaginino i britannici”.

Woods ha ragione quando sostiene che il disagio di una nazione parte dalla sua capitale. L’arroganza di Londra ha assunto proporzioni mai viste prima. Chi arriva alle stazioni di Kings Cross, Euston o Paddington viene accolto dai manifesti della serie “Maybe it’s because you’re a londoner” (Forse è perché sei un londinese), che vogliono far notare ai passanti che città meravigliosa è la capitale britannica, sciorinando slogan falsamente ottimistici: “Forse è perché i londinesi hanno il 37 per cento di possibilità in più di diventare opinion leader” o “Forse i tuoi amici che non sono di Londra devono mettersi a correre per tenere il tuo ritmo”.

Il londinese intraprendente va sempre di corsa, con una borsa di marca in una mano e nell’altra una tazza di caffè. Secondo questa campagna, il vero londinese è fiero del suo cinismo, sempre pronto a ridere dei britannici di provincia. Paul Gilroy, professore di sociologia alla London school of economics, sostiene che questo fenomeno è frutto di una “malinconia postcoloniale”. L’Inghilterra, spiega Gilroy, è un paese che mescola razzismo e xenofobia, che passa “dall’esaltazione schizofrenica (nello sport) alla depressione e all’odio per se stesso”. Una condizione in cui i cittadini non possono che “rammaricarsi per la perdita di potere e prestigio a livello globale. La potenza di un tempo ha innescato le fantasie che hanno fatto credere ai britannici di essere i padroni del mondo. Mentre il paese è sempre meno influente. È l’irrisolto fardello del colonialismo britannico”. Gilroy si concentra soprattutto sulle guerre a cui partecipa Londra e sottolinea “come i giornali di Murdoch siano diventati la voce dei nostri eroici soldati in giro per il mondo. Ma è cinismo, e serve solo a vendere più copie”.

La partita tra Germania e Inghilterra ai Mondiali di calcio del 2010 è una buona metafora dell’attuale stato del paese. Nelle settimane precedenti i calciatori inglesi avevano occupato quotidianamente le prime pagine dei giornali, ma non per le loro gesta sportive. Il capitano dell’Inghilterra, John Terry, era finito in uno scandalo per aver messo incinta la ragazza di un ex compagno di squadra. La fascia di capitano era passata così a Steven Gerrard, accusato in quei giorni, ma poi assolto, di aver provocato una rissa in un pub. Wayne Rooney, invece, era su tutte le prime pagine per una relazione extraconiugale con una prostituta, mentre era risaputo che un altro compagno di Terry al Chelsea, Ashley Cole, aveva tradito sua moglie Cheryl, altra ospite fissa dei tabloid. Nonostante questa commedia, gli inglesi avevano grandi aspettative per la partita. Sui giornali era comparsa addirittura una foto di Rooney con in testa un elmetto britannico della prima guerra mondiale, pronto ad affrontare “i crucchi”. Alla fine la giovane squadra tedesca si è dimostrata di gran lunga superiore, vincendo per 4 a 1.

L’argenteria di famiglia
Nel 1990 ho lasciato la Gran Bretagna e sono rimasto lontano dal paese per quasi tredici anni. Sono partito poche settimane prima che Margaret Thatcher fosse sostitui­ta da John Major. Secondo i sostenitori della Lady di ferro, il paese era riuscito a scacciare lo spettro del socialismo, mentre i laburisti accusavano l’ex premier di aver distrutto l’“officina del mondo”, come la Gran Bretagna è stata conosciuta per più di un secolo. La Thatcher ha sempre insistito su un punto: “La società non esiste”. Forse la decomposizione è cominciata da qui.

È stata la Thatcher ad avviare le privatizzazioni, svendendo le risorse della nazione a una nuova oligarchia di azionisti. Un esperimento che ha allargato i confini del libero mercato, sostengono i suoi ammiratori. Secondo i suoi avversari, invece, è stata la trasformazione del paese in una terra desolata, in cui le strutture del vivere civile sono state annichilite e sostituite dall’egoismo e dall’avidità.

Sono tornato in Gran Bretagna nel 1995, ma sono partito di nuovo il giorno in cui Tony Blair ha stravinto le elezioni, nel 1997. Per i suoi sostenitori, con Blair cominciava una nuova era dopo la lunga notte del governo conservatore. Chi non lo aveva votato, me compreso, pensava invece che il nuovo premier fosse il successore naturale di Margaret Thatcher. Nel 2003 sono tornato oltremanica in pianta stabile e, dopo sei anni di governo Blair, ho trovato una nazione più malata di tredici anni prima.

Protestare per lo sgretolamento dei vecchi valori non è solo nostalgia. Certo, qualcosa è andato perso nel 1985, nel sesto anno del governo Thatcher, quando l’ex premier Harold Macmillan pronunciò davanti all’organizzazione conservatrice Tory reform group uno dei discorsi politici più importanti della storia britannica contemporanea. Macmillan, un conservatore che aveva guidato il paese durante il boom economico del dopoguerra, paragonò il programma di privatizzazioni di Thatcher alla vendita dell’argenteria di famiglia: “Prima scompare l’argenteria georgiana, poi tutti i bei mobili che adornano il salotto. Infine tocca ai quadri di Canaletto”.

Macmillan avrebbe poi dichiarato che le sue critiche erano dirette “all’uso delle immense somme ricavate con le privatizzazioni”, ma il termine “argenteria di famiglia” è diventato così comune che è tornato di moda perfino negli ultimi dibattiti sul salvataggio alla Grecia. Quanto è arcaica, ma ancora affascinante alle orecchie dei britannici, questa lista di nomi: National Coal Board, British Rail, Gas Board, Water Board. Sono i nomi delle aziende di stato che gestivano i più importanti servizi pubblici. Spesso si sono dimostrate inefficienti, ma erano comunque amministrate da persone che sapevano quel che facevano, preoccupate non solo dei dividendi degli azionisti, ma soprattutto di offrire un servizio ai cittadini: acqua, riscaldamento, illuminazione, ferrovie.

Le privatizzazioni hanno fatto comodo ai protagonisti della svendita dell’“argenteria di famiglia”. Nel 1995 i dirigenti delle aziende di servizi pubblici guadagnavano molto più di quanto avrebbero guadagnato se le compagnie fossero rimaste in mano allo stato. Nel frattempo erano stati tagliati 150mila posti di lavoro. La sfacciataggine dei privati che gestiscono questi servizi continua a stupire. Di recente due grandi fornitori di energia, la Scottish Power e la British Gas, hanno aumentato le tariffe del 19 e del 18 per cento. Due settimane dopo la British Gas – la compagnia che “si prende cura del tuo mondo” – ha annunciato profitti per quasi tre milioni di sterline al giorno. Molte di queste aziende sono state inglobate dalle imprese pubbliche di Francia e Germania, che sfruttano le loro attività in Gran Bretagna per abbassare le tariffe in patria. Ma a noi cittadini spiegano che tutto questo è per il bene dei consumatori.

La mia famiglia ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze di queste privatizzazioni. Nel novembre 2006 la caldaia della casa dove vivevano mio padre (che allora aveva 88 anni) e mia madre (che ne aveva 80) è stata sostituita nell’ambito di un programma chiamato HeatStreets (strade riscaldate), gestito dall’amministrazione locale (il Royal Borough of Kensington and Chelsea) e da una ditta chiamata Powergen, succursale della tedesca E.On. Per molto tempo la E.On è stata lo sponsor dell’Fa Cup, il torneo più importante del calcio inglese. Per mesi la caldaia, anche se è stata sostituita più di una volta, non ha funzionato a dovere.

Mio padre, un architetto in pensione con buone conoscenze di ingegneria civile, capì che c’era un problema di compatibilità tra le tubature della casa e quelle delle nuove caldaie. Ma non siamo mai riusciti a spiegarlo alla caterva di operatori di call center che rispondevano alle nostre telefonate. Una sera d’inverno ho trovato mio padre, seduto accanto a mia madre con una coperta sulle ginocchia, che si riscaldava al calore del forno della cucina. A quel punto io, mia sorella e il mio fratellastro ci siamo rivolti direttamente alla Powergen e alla First Response, la ditta che gestiva la manutenzione delle caldaie. Con loro abbiamo avuto un confronto lungo e snervante. La prima risposta della First Response ce l’ha data un certo Martin Gillard, le cui email terminavano con il simbolo di una bandiera a scacchi, come quelle che si usano nelle gare automobilistiche. Forse voleva sfoggiare il suo dinamismo.

“Salve Mark”, ha scritto al mio fratellastro il 3 febbraio 2007. “Vedrò di troverò (sic) una soluzione in questo weekend e le farò sapere appena possibile”. Al messaggio sono seguiti alcuni giorni di silenzio. Dopo cinque settimane e tredici email, da cui erano evidenti la nostra crescente disperazione e l’arroganza dell’azienda, ci ha contattato una certa Jo Wayne della E.On, dicendo che era “necessario un grande lavoro sulle tubature per risolvere il problema”. Noi lo sapevamo da mesi. Quel venerdì Jo ci ha informato che ci sarebbe stata una riunione il lunedì successivo e che subito dopo ci avrebbe fatto sapere. Ma ancora una volta non ci hanno fatto sapere nulla. Così abbiamo scritto un’altra email. La signorina Wayne ci ha risposto che stava “aspettando l’autorizzazione delle autorità competenti per risolvere il problema”. Poi di nuovo silenzio. Due giorni dopo abbiamo riprovato. Il 17 marzo mio padre ha compiuto 89 anni, ma solo il 22 marzo il riscaldamento è stato riparato. Mio padre è morto il giorno dopo.

La Powergen sostiene di aver condotto “un’inchiesta approfondita”. Ci hanno promesso che avrebbero “preso in considerazione il caso Vulliamy per capire le cause del ritardo nell’intervento”. Si spera che lo abbiano fatto davvero, considerato che d’inverno in Gran Bretagna migliaia di persone rischiano di morire per il freddo.

La situazione attuale della Gran Bretagna è figlia in gran parte degli anni del governo Blair. Nel 2007, dopo un decennio di dominio laburista, uno studio dell’Unicef ha messo la Gran Bretagna in fondo alla classifica sulla qualità della vita dei bambini nei paesi sviluppati. I bambini britannici erano all’ultimo posto per “benessere soggettivo”, relazioni familiari e interpersonali, ma primi in classifica per quanto riguarda i “rischi comportamentali”, che includono bullismo e uso di droghe e alcol: fenomeni usuali, che ogni sabato sera trasformano i centri delle città inglesi in una baraonda di vomito e risse.

Il governo ha cercato di sdrammatizzare: “In molti casi i dati dello studio risalgono a diversi anni fa e non tengono conto dei progressi recenti”, ha dichiarato una portavoce dell’esecutivo con il solito linguaggio intriso di arroganza a cui siamo abituati. Nel frattempo, parlando di cose concrete, nell’ottobre 2007 gli amministratori delegati dell’Ftse 100, l’indice delle cento società più capitalizzate della borsa di Londra, avevano raddoppiato in sei anni i guadagni, totalizzando un reddito medio di 3,17 milioni di sterline all’anno.

Nel maggio 2009, dopo dieci anni di governo Blair e due di governo Brown, il divario tra i ricchi e i poveri in Gran Bretagna ha raggiunto livelli mai visti, almeno da quando ci sono dati statistici ufficiali, cioè dai primi anni sessanta. Secondo il ministero del lavoro la diseguaglianza era cresciuta per il terzo anno di fila, e il numero di bambini e anziani poveri non era diminuito. Sono solo dati, ma l’atteggiamento del governo lo si poteva capire facilmente dalle dichiarazioni dei leader politici, tra cui Peter Mandelson, uno dei consiglieri più fidati di Tony Blair, che aveva dichiarato di non aver “nulla in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”.

Gordon Brown e le banche
Perfino Margaret Thatcher aveva tenuto alcuni settori, come le ferrovie, al riparo dalla logica del profitto. Ma con l’arrivo del suo successore, John Major, anche la British Rail è stata privatizzata per un tozzo di pane. Il governo era così impaziente di svendere le tre aziende pubbliche del trasporto su rotaia che ha accettato un’offerta di 1,8 miliardi di sterline nonostante la richiesta iniziale fosse di 3 miliardi. La cifra era così bassa che le aziende privatizzate sono state subito rivendute dai compratori per 2,65 miliardi di sterline.

Il costo di quest’operazione ha avuto immediatamente ripercussioni negative sulla sicurezza, le tariffe per i cittadini e i costi di gestione. Le conseguenze della privatizzazione sono evidenti a chiunque viaggi sui treni britannici, i più costosi ma anche i peggiori d’Europa. La Gran Bretagna spende per le sue ferrovie private il 40 per cento in più di quello che investono Germania, Francia e Paesi Bassi per il loro servizio pubblico. E ha tariffe più care del 30 per cento. Richard Branson, presidente del Virgin Group, ha guadagnato in dividendi dalle sue attività legate alle ferrovie circa 171 milioni di sterline, ma i cittadini britannici ancora sborsano 5,2 miliardi di sterline di contributi alla Network Rail, proprietaria delle infrastrutture ferroviarie. Per quindici anni la Gran Bretagna ha creduto che questo fosse il modo giusto di fare le cose.

Le compagnie ferroviarie che guadagnano una fortuna in cambio di servizi scadenti hanno slogan come “Trasformiamo il tuo viaggio” (la First Great Western). Non c’è dubbio che ci siano riusciti. Poco tempo fa a Londra ho preso un treno molto affollato della First per la Cornovaglia. A bordo i bagni erano tutti occupati e maleodoranti, gli scarichi erano rotti e non c’era acqua corrente. Quest’estate un treno della South West Trains si è rotto, lasciando i passeggeri intrappolati al suo interno per tre ore. Quando sono riusciti a uscire e hanno raggiunto la stazione più vicina, Woking, hanno rischiato l’arresto per aver attraversato un terreno di proprietà della Network Rail.

Il Partito laburista ha perseverato in una campagna di privatizzazioni che i conservatori non si sarebbero nemmeno sognati di intraprendere. Un esempio è la svendita delle linee della metropolitana di Londra a vari consorzi, nell’ambito di quello che è stato chiamato “partenariato pubblico-privato”. Il risultato? Mentre i cittadini di Parigi, Madrid, Berlino, Vienna e Stoccolma sfrecciano su treni di metropolitane economiche, silenziose, pubbliche e ben amministrate, i londinesi viaggiano in totale confusione e pagando prezzi esorbitanti, mentre gli altoparlanti strombazzano inutili annunci pubblicitari. I dati pubblicati nel giugno 2011 dimostrano che i ritardi della metropolitana londinese costano a ogni passeggero l’equivalente di tre giorni di lavoro all’anno in termini di tempo.

Di solito si dice che questi problemi sono dovuti al fatto che la metropolitana di Londra è molto antica. Ma i disagi peggiori riguardano la linea Jubilee, la cui estensione è stata inaugurata nel 1999. Tra l’altro, la Jubilee sarà una delle linee più usate in occasione delle prossime Olimpiadi, un dettaglio che ha comprensibilmente scatenato il panico tra gli organizzatori. L’amministratore delegato della London Underground promette “meno chiusure e meno disagi per il futuro”. Il sindaco Boris Johnson assicura che “sarà fatto tutto il lavoro necessario prima delle Olimpiadi”. E aggiunge di essere “molto fiducioso”. Ma sembra l’unico a crederci.

La privatizzazione della metropolitana di Londra è stata voluta in particolare da Gordon Brown, che l’ha definita “un’operazione a rischio zero” per portare liquidità nelle casse dello stato. Dopo essere stato per dieci anni cancelliere dello scacchiere, cioè ministro delle finanze, nel 2007 Brown è diventato premier. Il suo governo sarà ricordato soprattutto per il salvataggio delle banche, costato una cifra fantasmagorica: 850 miliardi di sterline. Ma forse la mossa che definisce meglio il suo profilo politico è la vendita di metà delle riserve auree della Gran Bretagna, effettuata in diciassette aste dal 1999 al 2002, per la cifra di 3,5 miliardi di dollari. Poco tempo dopo il valore dell’oro è schizzato alle stelle.

La solita pantomima
I cittadini britannici, sempre più trascurati dalla politica, sono considerati dai loro leader alla stregua di bancomat pieni di soldi, da cui si può attingere quando è necessario. Ma neanche dopo aver pagato riescono a essere lasciati in pace. Anzi, succede il contrario. Perché i britannici sono costantemente sotto osservazione. La Gran Bretagna è il paese con la maggior quantità di telecamere a circuito chiuso per numero di abitanti. Proiettando a livello nazionale i dati del quartiere londinese di Wandsworth, risulta che i britannici sono osservati da quattro milioni e 200mila telecamere. Se fosse davvero così significherebbe che il 20 per cento di tutte le telecamere a circuito chiuso del mondo è ammassato su quest’isola.

Intanto, mentre la disoccupazione cresce, si può guadagnare qualcosa diventando addetti virtuali alle telecamere su internet, denunciando alle autorità le attività criminali o illegali e accumulando così punti che poi si trasformano in denaro. Un sito chiamato Internet Eyes, per esempio, assegna agli utenti un punto se segnalano attività sospette e dieci se scoprono un crimine. Le telecamere sono concentrate nelle città, ma perfino uno degli angoli più remoti del paese, la contea delle isole Shetland, gestisce più telecamere del dipartimento di polizia di San Francisco.

La Gran Bretagna è il paese che ha trasformato il Grande fratello, un reality show nato nei Paesi Bassi, in un programma cult a livello mondiale, particolarmente rappresentativo della cultura del paese: un’intera nazione che spia persone che diventeranno celebrità, quando non lo sono già.
Con il passare degli anni l’autoritarismo è diventato un tratto distintivo del Partito laburista di Tony Blair, che sarà ricordato per il tentativo di rendere obbligatoria la carta d’identità con i dati biometrici dei cittadini. L’attuale premier, David Cameron, invece, ha guadagnato la fiducia di molti libertari un po’ naïf promettendo di combattere “l’erosione delle libertà civili voluta dai laburisti” e di ridurre “l’intrusione dello stato nella vita degli individui”.

Ma questo programma ha cominciato a mostrare le sue crepe ancor prima di essere applicato, quando la polizia ha risposto con insolita durezza agli studenti che protestavano contro l’aumento del 300 per cento delle tasse universitarie. Le forze dell’ordine hanno usato il metodo del kettling, in base al quale gli agenti circondano i manifestanti e li intrappolano per ore in uno spazio delimitato senza permettergli di muoversi.

Subito dopo i riots Cameron ha dichiarato che “le preoccupazioni ipocrite sul rispetto dei diritti umani” non avrebbero impedito l’identificazione e l’arresto dei protagonisti delle rivolte, individuati grazie alle telecamere a circuito chiuso. In seguito il premier ha proposto di tagliare i sussidi ai facinorosi e alle loro famiglie e di sfrattare i responsabili delle violenze nel caso abitassero in case popolari. Poi ha dato la sua approvazione alle prime condanne penali contro i rivoltosi, compresi i sei mesi di reclusione affibbiati a un ragazzo che si era dichiarato colpevole per aver rubato una bottiglia d’acqua da 3,50 sterline.

Cameron è salito al potere attaccando le politiche di Blair e Brown. E aveva ragione a farlo. Ma la Gran Bretagna sembra essere vittima di una casta politica che si autoalimenta. E nonostante tutti i proclami sulla sua diversità (confezionati in gran parte da quell’Andy Coulson finito nello scandalo delle intercettazioni di News of the World), Cameron, spalleggiato dai suoi alleati liberaldemocratici, non ha fatto che peggiorare le cose. Secondo il suo progetto di Big society, i cittadini avrebbero dovuto sostituire il governo nella gestione di scuole, biblioteche, uffici postali, case popolari e servizi pubblici. Il programma della Big society è stato presentato ufficialmente nel luglio 2010 a Liverpool. Una scelta non casuale.

La parabola di Liverpool – la città della mia famiglia – descrive bene tutto quello che è andato storto nel paese, e non certo per colpa dei suoi cittadini. Liverpool è famosa per i Beatles, il porto (ora chiuso), le squadre di calcio e il suo carattere unico. Ma anche per la sua violenza. Nel 1981 il quartiere multietnico di Toxteth fu teatro di violente rivolte. Quest’anno sono passato sotto la finestra della prima stanza che affittai quando andai via di casa. Da lì vidi le fiamme incendiare quella notte di trent’anni fa. Si dice che quelle rivolte abbiano cambiato la politica britannica, soprattutto dopo le inchieste volute dal governo per capire le cause dei disordini e far luce sul razzismo della polizia. Una reazione molto diversa da quella di Cameron di fronte ai riots del 2011. “Si è trattato di furti, saccheggi e rapine contro la nostra comunità, non abbiamo bisogno di un’inchiesta per saperlo”, ha detto il premier dopo le violenze.

All’inizio di quest’anno, mentre mi occupavo dell’anniversario di quelle rivolte, ho incontrato un uomo che chiamerò Steven. Trent’anni fa Steven scese in piazza per battersi contro la polizia. “Prima c’è stata la deindustrializzazione”, mi ha detto, “ora c’è la recessione. La gente è preoccupata di perdere il lavoro o di dover lavorare più a lungo per la pensione. Guardo questi ragazzi e tra me e me penso: ‘Benvenuti nel nostro mondo. Benvenuti nel 1981’”. Alcune settimane dopo questa conversazione, Toxteth sembrava tornata indietro di trent’anni. Le strade erano di nuovo in fiamme. Mentre guardava il suo quartiere bruciare, Steven mi ha mandato un’email: “Credo che si tratti di giovani che hanno aspettato il momento opportuno: le misure di austerità si fanno sentire, insieme a un’inflazione sempre più alta, prosciugando i risparmi della classe media”.

Ipocrisia e responsabilità
Né l’autoritarismo di Tony Blair né le promesse di combatterlo fatte da Cameron sono una vera novità. Quando i leader politici britannici affermano di essere diversi dai loro avversari stanno solo recitando. Cameron ha ricominciato dove Blair aveva lasciato: ha dato alla polizia il potere di vietare ai cittadini di coprirsi il volto con il cappuccio della felpa.

Un atteggiamento particolarmente ipocrita, se ricordiamo quello che Cameron aveva detto nel 2006, in quello che ancora oggi è ricordato come il discorso hug-a-hoodie (abbraccia uno hoodie. Hoodie è una felpa con il cappuccio, ma il termine indica anche i ragazzi che la indossano): “Immaginate un complesso urbano con un piccolo parco”, aveva detto allora Cameron. “Nel parco non c’è nessun cartello del tipo ‘vietato giocare a palla’ o ‘vietato fare skateboard’: è semplicemente uno spazio vuoto. E poi immaginate di avere quattordici anni e di vivere in un appartamento al quarto piano che dà sul giardino. Sono cominciate le vacanze e non avete un soldo in tasca. È questa la vostra vita. Cosa fate di giorno? Cominciate a vagare per le strade, annoiati a morte. Vi guardate intorno. Chi non è annoiato? Chi non sta vagando per strada senza un soldo? Chi, invece, ha le macchine, i vestiti, il potere? La prima cosa da fare è riconoscere che non troveremo mai le soluzioni giuste se prima non capiamo cosa è andato storto: bisogna capire il contesto, le ragioni, le cause. Questo non significa necessariamente giustificare il crimine, ma ci può aiutare ad affrontarlo meglio. Perché indossare uno hoodie è una conseguenza del problema, non la causa. Noi che indossiamo abiti eleganti spesso vediamo gli hoodie come simbolo di aggressività, l’uniforme di un esercito ribelle di piccoli gangster. Ma nessun ragazzo è davvero cattivo. Nessun ragazzo è irrecuperabile, dal punto di vista psicologico o sociale. E spesso la polizia, la prigione e il governo non riescono a capirlo”.

Dieci giorni dopo le peggiori rivolte degli ultimi decenni, a fine agosto, la polizia era di nuovo nell’occhio del ciclone per aver strappato dalla sedia a rotelle e trascinato per strada uno studente disabile che protestava. Senza contare la morte di tre persone colpite con il taser. Nicolas Robinson, il ragazzo del sud di Londra condannato per aver rubato una bottiglia di acqua minerale, stava cominciando a scontare la pena, mentre Cameron tornava dalla sua ultima vacanza, la quinta del 2011. Forse tocca a noi provare a capire “cosa non è andato per il verso giusto”.

Traduzione di Antonello Guerrera.

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MessaggioInviato: 18/01/2012, 21:12 
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vimana131 ha scritto:

Il tramonto dell’Inghilterra


L’industria a pezzi. La società allo sbando. La violenza sempre più diffusa. Trent’anni di Thatcher e New Labour hanno devastato il paese che per oltre un secolo è stato l’officina del mondo. La Gran Bretagna raccontata da un grande giornalista inglese.

Una domenica pomeriggio di un mese solitamente noioso come agosto, nel 2011, i cellulari di Enfield, nella zona nord di Londra, ricevono un messaggio: “Cominciate ora. Prendete borse, carrelli, macchine, camioncini, martelli, tutto”. I destinatari sono invitati a non farlo sapere agli “infami”: l’obiettivo è “rubare tutto”. Poche ore prima, nel vicino quartiere di Tottenham, si era conclusa una notte di rabbia e rivolta. La polizia aveva ucciso, apparentemente senza motivo, Mark Duggan, padre di tre figli, scatenando la reazione dell’intera comunità. Dopo quella domenica sono cominciati i saccheggi di alcuni tra i simboli più riconoscibili della vita quotidiana in Gran Bretagna: negozi di grandi catene, job centres, agenzie immobiliari e di scommesse. Alcuni negozi sono stati dati alle fiamme.

La sera successiva, il lunedì, i saccheggi e le sommosse hanno cominciato a somigliare a una rivolta politica e la polizia ha perso il controllo di interi quartieri della città, travolta da un’ondata di fuoco e rabbia. Ci sono volute tre ore prima che gli agenti riuscissero a placare i tumulti a Pembury Estate, nella zona orientale di Londra. Qui un gruppo di ragazzi aveva assaltato una macchina della polizia, costringendo l’agente alla guida a scappare sfrecciando tra la folla. “Vi odiamo. La colpa di tutto questo è solo vostra!”, hanno urlato in faccia ai poliziotti alcune ragazzine che stavano aiutando un coetaneo accoltellato.

Nei giorni seguiti alle più gravi rivolte degli ultimi decenni in Gran Bretagna, i lea­der politici si sono sforzati di dare un senso a quello che stava succedendo in un paese ormai in declino, fino a poco tempo prima convinto di vivere in una sorta di idillio, tra il matrimonio di William e Kate e le Olimpiadi del 2012 a Londra. Tornato in anticipo dalle sue vacanze in Toscana, il primo ministro David Cameron ha parlato di “pura e semplice criminalità”. Anche il laburista Jack Straw, ex ministro dell’interno, ha dichiarato che era arrivato “il momento di costruire nuove carceri”.

Il leader liberaldemocratico Nick Clegg, oggi vicepremier, aveva invece previsto le rivolte con più di un anno d’anticipo. L’11 aprile 2010 era intervenuto in tv su Sky News per commentare le sommosse in Grecia. In quella circostanza aveva lanciato un avvertimento: se un governo conservatore fosse andato al potere in Gran Bretagna e avesse “tagliato drasticamente la spesa pubblica con una maggioranza parlamentare risicata, molte persone avrebbero reagito male”. Alla domanda se “reagire male” volesse dire organizzare rivolte e saccheggi, Clegg aveva risposto: “Credo che il rischio sia decisamente alto”.

Per i britannici Clegg è una figura in qualche modo ridicola, ma anche simbolicamente importante. Dopo le elezioni del maggio 2010 si è alleato con i conservatori di Cameron, garantendogli così la maggioranza necessaria per realizzare proprio quei progetti che il leader del Partito liberaldemocratico aveva detto di temere. E ora Clegg si trova a osservare le conseguenze delle rivolte che lui stesso aveva previsto. Un tempo a Eton, il college dell’aristocrazia britannica, frequentato anche da Cameron, c’era la tradizione del fagging: ai ragazzi più grandi erano assegnati degli alunni più piccoli come servitori, i fags, appunto. Non a caso nella stampa satirica Clegg viene dipinto come “il fag di Eton”, a servizio del governo.

Gossip e denaro
Nel giorno più violento delle rivolte dell’estate scorsa, la borsa di Londra è crollata ai minimi dell’anno. Poco dopo la fine dei riots si è venuto a sapere che il 20 per cento dei britannici tra i sedici e i ventiquattro anni è senza lavoro e che il 2011 sarebbe stato l’anno con il numero più alto mai registrato di candidati non ammessi all’università. Cameron ha parlato del “lento declino morale” della Gran Bretagna, riprendendo un’espressione più volte usata quando era all’opposizione: broken Britain, un paese in pezzi.

Il primo ministro ha insistito sulla necessità di affrontare “i presupposti che hanno trascinato parte della società britannica in questa situazione agghiacciante”, tra cui “l’irresponsabilità, l’egoismo e l’incapacità di pensare alle conseguenze delle proprie scelte”. Cameron è stato virtuoso e risoluto. Ma di recente anche la sua reputazione è stata macchiata da uno scandalo che ancora lo imbarazza: il suo ex spin doctor, Andy Coulson, è stato coinvolto nel caso delle intercettazioni del tabloid News of the World di Rupert Murdoch, di cui era stato direttore dal 2003 al 2007.

L’ex premier laburista Tony Blair ha subito sottolineato che affermazioni come quelle di Cameron non fanno che danneggiare l’immagine della Gran Bretagna. Blair, inoltre, ha negato di aver lasciato in eredità ai conservatori una “nazione in pezzi”. Ma neanche i laburisti possono permettersi di fare i moralisti. L’anno scorso lo scandalo dei rimborsi ai parlamentari ha rivelato che la deputata laburista Hazel Blears aveva chiesto rimborsi pubblici che non le spettavano, mentre sfruttava uno stratagemma per non pagare le tasse sulla vendita di due appartamenti a Londra.

Ma forse i reati più comprensibili per chi ha messo a ferro e fuoco la Gran Bretagna ad agosto sono quelli di un altro laburista, Gerald Kaufman. Prima di condannare i riots, Kaufman aveva chiesto il rimborso per una gigantesca tv del valore di 8.865 sterline (circa diecimila euro) e per dei lavori nel suo appartamento di Londra, nel ricco quartiere di Regent’s Park, costati 28.834 sterline.

Sembra, insomma, che il “declino morale” della società britannica cominci ai piani alti. Tutti, però, hanno fatto finta di non vedere gli accordi poco trasparenti tra le élite, il clientelismo, le reciproche convenienze. I problemi del paese sono particolari: particolarmente seri, particolarmente fastidiosi e particolarmente indecenti. Il paese che si autodefinisce “Cool Britannia” è diventato avido, ossessionato dall’affarismo, xenofobo, bellicoso e arrogante.

Gli stranieri che arrivano in Gran Bretagna cominciano a rendersi conto di questa decomposizione della società già all’aeroporto di Heathrow, a Londra, uno dei più importanti del mondo ma anche il più fatiscente. Un’infrastruttura così inefficiente che nel dicembre 2010 ha chiuso per quattro giorni dopo una leggera nevicata: mancavano gli sbrinatori per gli aerei. Agli stranieri può essere piaciuto lo show del matrimonio reale in tv, anche se non sapevano (o magari hanno preferito dimenticare) che qualche anno fa il principe William aveva accompagnato a una festa in maschera suo fratello Harry vestito in divisa nazista. “Sono ragazzate”, aveva commentato la gente allora.

Gli americani possono anche pensare che Londra sia un fedele alleato in Iraq, in Afghanistan e nella guerra al terrorismo, ma ignorano il fatto che il pretesto usato per giustificare questi interventi, cioè il dossier presentato da Blair nel 2003, era stato manipolato ad arte. Gli americani dovranno anche sorvolare sul fatto che la guerra al terrorismo è stata poi improvvisamente sospesa quando altre urgenze hanno fatto sì che Abdel Basset Ali Mohmed al Megrahi, l’attentatore libico del volo Pan Am 103, esploso sulla cittadina scozzese di Lockerbie nel 1988, venisse liberato per far piacere al colonnello Gheddafi, con cui Blair era in ottimi rapporti. Nello stesso periodo – che coincidenza! – la Libia stava per siglare un importante contratto con la compagnia petrolifera britannica Bp.

Quanto pesa la City
“La giustizia piegata agli interessi economici”: così il senato statunitense avrebbe successivamente descritto il rilascio di Al Megrahi. Una definizione che sembra adattarsi bene agli affari della Gran Bretagna di oggi, un paese ormai in vendita, a prezzi stracciati, a chiunque abbia soldi da spendere. Nessun’altra nazione al mondo permette che le decisioni cruciali per la sua economia siano prese all’estero. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti.

La Renault è controllata dai francesi, la Fiat è italiana. La Jaguar e la Land Rover, invece, sono indiane, la Vauxhall è americana e la Rolls-Royce è tedesca. Ferrero Rocher è un cioccolatino italiano, mentre le barrette Cadbury sono di proprietà statunitense. I magazzini Harrods sono del Qatar. Perfino il passatempo preferito di un’intera nazione è stato svenduto all’estero: mentre la Juventus e il Milan sono di proprietà italiana e il Barcellona e il Real Madrid sono controllati addirittura dai loro tifosi, il Manchester United e il Liverpool sono statunitensi, il Chelsea è russo e l’Arsenal se lo dividono un americano e un russo-uzbeco.

L’intero settore industriale britannico è in dismissione. Il suo declino, però, viene mascherato da una sfilza di slogan pubblicitari. “Looking after your world” (Ci prendiamo cura del tuo mondo) è lo spot scelto dalla British Gas. Quello della British Telecom è “Bringing it all together for London 2012” (Uniamo il paese per Londra 2012), mentre la polizia della capitale ha scelto “Working together for a safer London” (Lavoriamo insieme per una Londra più sicura). Dietro questi stupidi slogan, una miscela di avidità, incompetenza e autoritarismo sta trasformando la Gran Bretagna in un paese non solo inefficiente ma anche invivibile. Un paese che ormai ha perso le sue proverbiali buone maniere e che si fonda sull’opportunismo e sul gossip.

È difficile dire quando e perché la società britannica ha cominciato a decomporsi. Ma alcune risposte si possono trovare nello smantellamento del settore industriale e nella perdita di coesione e del senso di comunità che quel mondo si portava dietro. La scomparsa delle fabbriche e del loro tessuto sociale si è consumata tra gli anni ottanta e novanta, parallelamente alla privatizzazione senza scrupoli delle infrastrutture e dei servizi pubblici, che un tempo non erano considerati come semplici opportunità di speculazione. Le industrie tradizionali sono state sostituite dalle imprese di servizi e commercio, e in particolare da un settore: la finanza.

In questo modo l’economia ha finito per dipendere dai capricci e dagli interessi delle grandi banche. La Gran Bretagna moderna è plasmata dalla City di Londra, dai suoi valori e dal suo denaro. Tutto questo è evidente se si considera la prostituzione della politica nei confronti della finanza, che si è manifestata, per esempio, nell’uso del denaro dei contribuenti per salvare le banche. Di recente, inoltre, è diventata quasi una regola che i membri del governo lascino i loro incarichi per diventare consulenti di quegli stessi istituti. La società britannica si ispira sempre di più all’avidità delle grandi banche.

Inizialmente si pensava che la dipendenza del paese nei confronti della finanza globale potesse generare effetti benefici per tutta l’economia. Invece alla fine sono stati i soldi dei contribuenti, decine di miliardi di sterline, a salvare le istituzioni che avevano messo in crisi l’economia britannica. Quando il premier Gordon Brown ha detto al parlamento che il bailout delle banche era servito a “salvare il mondo”, ha anche specificato che dopo l’intervento pubblico i britannici avrebbero controllato la Royal Bank of Scotland e le sue associate. Ma dopo averci trascinato sulla soglia del baratro e dopo essere state tenute a galla con i soldi dei cittadini, le banche e le compagnie di assicurazioni nel 2011 hanno distribuito ai loro manager premi per 14 miliardi di sterline.

Uno dei pochi esperti di finanza a parlare senza peli sulla lingua è Martin Woods, un ex detective antitruffa della National crime squad (una sorta di Fbi britannica) che si occupa di riciclaggio di denaro. Woods sottolinea che “una delle principali conseguenze della dipendenza dell’economia dalle banche è stata la trasformazione della geografia delle opportunità. Durante l’era industriale le occasioni di successo nel campo degli affari e dell’industria erano disseminate in tutto il paese. Oggi il denaro vero, quello che conta, si trova a Londra. La centralità della capitale e dello spirito che la contraddistingue è ancor più evidente di quanto immaginino i britannici”.

Woods ha ragione quando sostiene che il disagio di una nazione parte dalla sua capitale. L’arroganza di Londra ha assunto proporzioni mai viste prima. Chi arriva alle stazioni di Kings Cross, Euston o Paddington viene accolto dai manifesti della serie “Maybe it’s because you’re a londoner” (Forse è perché sei un londinese), che vogliono far notare ai passanti che città meravigliosa è la capitale britannica, sciorinando slogan falsamente ottimistici: “Forse è perché i londinesi hanno il 37 per cento di possibilità in più di diventare opinion leader” o “Forse i tuoi amici che non sono di Londra devono mettersi a correre per tenere il tuo ritmo”.

Il londinese intraprendente va sempre di corsa, con una borsa di marca in una mano e nell’altra una tazza di caffè. Secondo questa campagna, il vero londinese è fiero del suo cinismo, sempre pronto a ridere dei britannici di provincia. Paul Gilroy, professore di sociologia alla London school of economics, sostiene che questo fenomeno è frutto di una “malinconia postcoloniale”. L’Inghilterra, spiega Gilroy, è un paese che mescola razzismo e xenofobia, che passa “dall’esaltazione schizofrenica (nello sport) alla depressione e all’odio per se stesso”. Una condizione in cui i cittadini non possono che “rammaricarsi per la perdita di potere e prestigio a livello globale. La potenza di un tempo ha innescato le fantasie che hanno fatto credere ai britannici di essere i padroni del mondo. Mentre il paese è sempre meno influente. È l’irrisolto fardello del colonialismo britannico”. Gilroy si concentra soprattutto sulle guerre a cui partecipa Londra e sottolinea “come i giornali di Murdoch siano diventati la voce dei nostri eroici soldati in giro per il mondo. Ma è cinismo, e serve solo a vendere più copie”.

La partita tra Germania e Inghilterra ai Mondiali di calcio del 2010 è una buona metafora dell’attuale stato del paese. Nelle settimane precedenti i calciatori inglesi avevano occupato quotidianamente le prime pagine dei giornali, ma non per le loro gesta sportive. Il capitano dell’Inghilterra, John Terry, era finito in uno scandalo per aver messo incinta la ragazza di un ex compagno di squadra. La fascia di capitano era passata così a Steven Gerrard, accusato in quei giorni, ma poi assolto, di aver provocato una rissa in un pub. Wayne Rooney, invece, era su tutte le prime pagine per una relazione extraconiugale con una prostituta, mentre era risaputo che un altro compagno di Terry al Chelsea, Ashley Cole, aveva tradito sua moglie Cheryl, altra ospite fissa dei tabloid. Nonostante questa commedia, gli inglesi avevano grandi aspettative per la partita. Sui giornali era comparsa addirittura una foto di Rooney con in testa un elmetto britannico della prima guerra mondiale, pronto ad affrontare “i crucchi”. Alla fine la giovane squadra tedesca si è dimostrata di gran lunga superiore, vincendo per 4 a 1.

L’argenteria di famiglia
Nel 1990 ho lasciato la Gran Bretagna e sono rimasto lontano dal paese per quasi tredici anni. Sono partito poche settimane prima che Margaret Thatcher fosse sostitui­ta da John Major. Secondo i sostenitori della Lady di ferro, il paese era riuscito a scacciare lo spettro del socialismo, mentre i laburisti accusavano l’ex premier di aver distrutto l’“officina del mondo”, come la Gran Bretagna è stata conosciuta per più di un secolo. La Thatcher ha sempre insistito su un punto: “La società non esiste”. Forse la decomposizione è cominciata da qui.

È stata la Thatcher ad avviare le privatizzazioni, svendendo le risorse della nazione a una nuova oligarchia di azionisti. Un esperimento che ha allargato i confini del libero mercato, sostengono i suoi ammiratori. Secondo i suoi avversari, invece, è stata la trasformazione del paese in una terra desolata, in cui le strutture del vivere civile sono state annichilite e sostituite dall’egoismo e dall’avidità.

Sono tornato in Gran Bretagna nel 1995, ma sono partito di nuovo il giorno in cui Tony Blair ha stravinto le elezioni, nel 1997. Per i suoi sostenitori, con Blair cominciava una nuova era dopo la lunga notte del governo conservatore. Chi non lo aveva votato, me compreso, pensava invece che il nuovo premier fosse il successore naturale di Margaret Thatcher. Nel 2003 sono tornato oltremanica in pianta stabile e, dopo sei anni di governo Blair, ho trovato una nazione più malata di tredici anni prima.

Protestare per lo sgretolamento dei vecchi valori non è solo nostalgia. Certo, qualcosa è andato perso nel 1985, nel sesto anno del governo Thatcher, quando l’ex premier Harold Macmillan pronunciò davanti all’organizzazione conservatrice Tory reform group uno dei discorsi politici più importanti della storia britannica contemporanea. Macmillan, un conservatore che aveva guidato il paese durante il boom economico del dopoguerra, paragonò il programma di privatizzazioni di Thatcher alla vendita dell’argenteria di famiglia: “Prima scompare l’argenteria georgiana, poi tutti i bei mobili che adornano il salotto. Infine tocca ai quadri di Canaletto”.

Macmillan avrebbe poi dichiarato che le sue critiche erano dirette “all’uso delle immense somme ricavate con le privatizzazioni”, ma il termine “argenteria di famiglia” è diventato così comune che è tornato di moda perfino negli ultimi dibattiti sul salvataggio alla Grecia. Quanto è arcaica, ma ancora affascinante alle orecchie dei britannici, questa lista di nomi: National Coal Board, British Rail, Gas Board, Water Board. Sono i nomi delle aziende di stato che gestivano i più importanti servizi pubblici. Spesso si sono dimostrate inefficienti, ma erano comunque amministrate da persone che sapevano quel che facevano, preoccupate non solo dei dividendi degli azionisti, ma soprattutto di offrire un servizio ai cittadini: acqua, riscaldamento, illuminazione, ferrovie.

Le privatizzazioni hanno fatto comodo ai protagonisti della svendita dell’“argenteria di famiglia”. Nel 1995 i dirigenti delle aziende di servizi pubblici guadagnavano molto più di quanto avrebbero guadagnato se le compagnie fossero rimaste in mano allo stato. Nel frattempo erano stati tagliati 150mila posti di lavoro. La sfacciataggine dei privati che gestiscono questi servizi continua a stupire. Di recente due grandi fornitori di energia, la Scottish Power e la British Gas, hanno aumentato le tariffe del 19 e del 18 per cento. Due settimane dopo la British Gas – la compagnia che “si prende cura del tuo mondo” – ha annunciato profitti per quasi tre milioni di sterline al giorno. Molte di queste aziende sono state inglobate dalle imprese pubbliche di Francia e Germania, che sfruttano le loro attività in Gran Bretagna per abbassare le tariffe in patria. Ma a noi cittadini spiegano che tutto questo è per il bene dei consumatori.

La mia famiglia ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze di queste privatizzazioni. Nel novembre 2006 la caldaia della casa dove vivevano mio padre (che allora aveva 88 anni) e mia madre (che ne aveva 80) è stata sostituita nell’ambito di un programma chiamato HeatStreets (strade riscaldate), gestito dall’amministrazione locale (il Royal Borough of Kensington and Chelsea) e da una ditta chiamata Powergen, succursale della tedesca E.On. Per molto tempo la E.On è stata lo sponsor dell’Fa Cup, il torneo più importante del calcio inglese. Per mesi la caldaia, anche se è stata sostituita più di una volta, non ha funzionato a dovere.

Mio padre, un architetto in pensione con buone conoscenze di ingegneria civile, capì che c’era un problema di compatibilità tra le tubature della casa e quelle delle nuove caldaie. Ma non siamo mai riusciti a spiegarlo alla caterva di operatori di call center che rispondevano alle nostre telefonate. Una sera d’inverno ho trovato mio padre, seduto accanto a mia madre con una coperta sulle ginocchia, che si riscaldava al calore del forno della cucina. A quel punto io, mia sorella e il mio fratellastro ci siamo rivolti direttamente alla Powergen e alla First Response, la ditta che gestiva la manutenzione delle caldaie. Con loro abbiamo avuto un confronto lungo e snervante. La prima risposta della First Response ce l’ha data un certo Martin Gillard, le cui email terminavano con il simbolo di una bandiera a scacchi, come quelle che si usano nelle gare automobilistiche. Forse voleva sfoggiare il suo dinamismo.

“Salve Mark”, ha scritto al mio fratellastro il 3 febbraio 2007. “Vedrò di troverò (sic) una soluzione in questo weekend e le farò sapere appena possibile”. Al messaggio sono seguiti alcuni giorni di silenzio. Dopo cinque settimane e tredici email, da cui erano evidenti la nostra crescente disperazione e l’arroganza dell’azienda, ci ha contattato una certa Jo Wayne della E.On, dicendo che era “necessario un grande lavoro sulle tubature per risolvere il problema”. Noi lo sapevamo da mesi. Quel venerdì Jo ci ha informato che ci sarebbe stata una riunione il lunedì successivo e che subito dopo ci avrebbe fatto sapere. Ma ancora una volta non ci hanno fatto sapere nulla. Così abbiamo scritto un’altra email. La signorina Wayne ci ha risposto che stava “aspettando l’autorizzazione delle autorità competenti per risolvere il problema”. Poi di nuovo silenzio. Due giorni dopo abbiamo riprovato. Il 17 marzo mio padre ha compiuto 89 anni, ma solo il 22 marzo il riscaldamento è stato riparato. Mio padre è morto il giorno dopo.

La Powergen sostiene di aver condotto “un’inchiesta approfondita”. Ci hanno promesso che avrebbero “preso in considerazione il caso Vulliamy per capire le cause del ritardo nell’intervento”. Si spera che lo abbiano fatto davvero, considerato che d’inverno in Gran Bretagna migliaia di persone rischiano di morire per il freddo.

La situazione attuale della Gran Bretagna è figlia in gran parte degli anni del governo Blair. Nel 2007, dopo un decennio di dominio laburista, uno studio dell’Unicef ha messo la Gran Bretagna in fondo alla classifica sulla qualità della vita dei bambini nei paesi sviluppati. I bambini britannici erano all’ultimo posto per “benessere soggettivo”, relazioni familiari e interpersonali, ma primi in classifica per quanto riguarda i “rischi comportamentali”, che includono bullismo e uso di droghe e alcol: fenomeni usuali, che ogni sabato sera trasformano i centri delle città inglesi in una baraonda di vomito e risse.

Il governo ha cercato di sdrammatizzare: “In molti casi i dati dello studio risalgono a diversi anni fa e non tengono conto dei progressi recenti”, ha dichiarato una portavoce dell’esecutivo con il solito linguaggio intriso di arroganza a cui siamo abituati. Nel frattempo, parlando di cose concrete, nell’ottobre 2007 gli amministratori delegati dell’Ftse 100, l’indice delle cento società più capitalizzate della borsa di Londra, avevano raddoppiato in sei anni i guadagni, totalizzando un reddito medio di 3,17 milioni di sterline all’anno.

Nel maggio 2009, dopo dieci anni di governo Blair e due di governo Brown, il divario tra i ricchi e i poveri in Gran Bretagna ha raggiunto livelli mai visti, almeno da quando ci sono dati statistici ufficiali, cioè dai primi anni sessanta. Secondo il ministero del lavoro la diseguaglianza era cresciuta per il terzo anno di fila, e il numero di bambini e anziani poveri non era diminuito. Sono solo dati, ma l’atteggiamento del governo lo si poteva capire facilmente dalle dichiarazioni dei leader politici, tra cui Peter Mandelson, uno dei consiglieri più fidati di Tony Blair, che aveva dichiarato di non aver “nulla in contrario al fatto che qualcuno diventi schifosamente ricco”.

Gordon Brown e le banche
Perfino Margaret Thatcher aveva tenuto alcuni settori, come le ferrovie, al riparo dalla logica del profitto. Ma con l’arrivo del suo successore, John Major, anche la British Rail è stata privatizzata per un tozzo di pane. Il governo era così impaziente di svendere le tre aziende pubbliche del trasporto su rotaia che ha accettato un’offerta di 1,8 miliardi di sterline nonostante la richiesta iniziale fosse di 3 miliardi. La cifra era così bassa che le aziende privatizzate sono state subito rivendute dai compratori per 2,65 miliardi di sterline.

Il costo di quest’operazione ha avuto immediatamente ripercussioni negative sulla sicurezza, le tariffe per i cittadini e i costi di gestione. Le conseguenze della privatizzazione sono evidenti a chiunque viaggi sui treni britannici, i più costosi ma anche i peggiori d’Europa. La Gran Bretagna spende per le sue ferrovie private il 40 per cento in più di quello che investono Germania, Francia e Paesi Bassi per il loro servizio pubblico. E ha tariffe più care del 30 per cento. Richard Branson, presidente del Virgin Group, ha guadagnato in dividendi dalle sue attività legate alle ferrovie circa 171 milioni di sterline, ma i cittadini britannici ancora sborsano 5,2 miliardi di sterline di contributi alla Network Rail, proprietaria delle infrastrutture ferroviarie. Per quindici anni la Gran Bretagna ha creduto che questo fosse il modo giusto di fare le cose.

Le compagnie ferroviarie che guadagnano una fortuna in cambio di servizi scadenti hanno slogan come “Trasformiamo il tuo viaggio” (la First Great Western). Non c’è dubbio che ci siano riusciti. Poco tempo fa a Londra ho preso un treno molto affollato della First per la Cornovaglia. A bordo i bagni erano tutti occupati e maleodoranti, gli scarichi erano rotti e non c’era acqua corrente. Quest’estate un treno della South West Trains si è rotto, lasciando i passeggeri intrappolati al suo interno per tre ore. Quando sono riusciti a uscire e hanno raggiunto la stazione più vicina, Woking, hanno rischiato l’arresto per aver attraversato un terreno di proprietà della Network Rail.

Il Partito laburista ha perseverato in una campagna di privatizzazioni che i conservatori non si sarebbero nemmeno sognati di intraprendere. Un esempio è la svendita delle linee della metropolitana di Londra a vari consorzi, nell’ambito di quello che è stato chiamato “partenariato pubblico-privato”. Il risultato? Mentre i cittadini di Parigi, Madrid, Berlino, Vienna e Stoccolma sfrecciano su treni di metropolitane economiche, silenziose, pubbliche e ben amministrate, i londinesi viaggiano in totale confusione e pagando prezzi esorbitanti, mentre gli altoparlanti strombazzano inutili annunci pubblicitari. I dati pubblicati nel giugno 2011 dimostrano che i ritardi della metropolitana londinese costano a ogni passeggero l’equivalente di tre giorni di lavoro all’anno in termini di tempo.

Di solito si dice che questi problemi sono dovuti al fatto che la metropolitana di Londra è molto antica. Ma i disagi peggiori riguardano la linea Jubilee, la cui estensione è stata inaugurata nel 1999. Tra l’altro, la Jubilee sarà una delle linee più usate in occasione delle prossime Olimpiadi, un dettaglio che ha comprensibilmente scatenato il panico tra gli organizzatori. L’amministratore delegato della London Underground promette “meno chiusure e meno disagi per il futuro”. Il sindaco Boris Johnson assicura che “sarà fatto tutto il lavoro necessario prima delle Olimpiadi”. E aggiunge di essere “molto fiducioso”. Ma sembra l’unico a crederci.

La privatizzazione della metropolitana di Londra è stata voluta in particolare da Gordon Brown, che l’ha definita “un’operazione a rischio zero” per portare liquidità nelle casse dello stato. Dopo essere stato per dieci anni cancelliere dello scacchiere, cioè ministro delle finanze, nel 2007 Brown è diventato premier. Il suo governo sarà ricordato soprattutto per il salvataggio delle banche, costato una cifra fantasmagorica: 850 miliardi di sterline. Ma forse la mossa che definisce meglio il suo profilo politico è la vendita di metà delle riserve auree della Gran Bretagna, effettuata in diciassette aste dal 1999 al 2002, per la cifra di 3,5 miliardi di dollari. Poco tempo dopo il valore dell’oro è schizzato alle stelle.

La solita pantomima
I cittadini britannici, sempre più trascurati dalla politica, sono considerati dai loro leader alla stregua di bancomat pieni di soldi, da cui si può attingere quando è necessario. Ma neanche dopo aver pagato riescono a essere lasciati in pace. Anzi, succede il contrario. Perché i britannici sono costantemente sotto osservazione. La Gran Bretagna è il paese con la maggior quantità di telecamere a circuito chiuso per numero di abitanti. Proiettando a livello nazionale i dati del quartiere londinese di Wandsworth, risulta che i britannici sono osservati da quattro milioni e 200mila telecamere. Se fosse davvero così significherebbe che il 20 per cento di tutte le telecamere a circuito chiuso del mondo è ammassato su quest’isola.

Intanto, mentre la disoccupazione cresce, si può guadagnare qualcosa diventando addetti virtuali alle telecamere su internet, denunciando alle autorità le attività criminali o illegali e accumulando così punti che poi si trasformano in denaro. Un sito chiamato Internet Eyes, per esempio, assegna agli utenti un punto se segnalano attività sospette e dieci se scoprono un crimine. Le telecamere sono concentrate nelle città, ma perfino uno degli angoli più remoti del paese, la contea delle isole Shetland, gestisce più telecamere del dipartimento di polizia di San Francisco.

La Gran Bretagna è il paese che ha trasformato il Grande fratello, un reality show nato nei Paesi Bassi, in un programma cult a livello mondiale, particolarmente rappresentativo della cultura del paese: un’intera nazione che spia persone che diventeranno celebrità, quando non lo sono già.
Con il passare degli anni l’autoritarismo è diventato un tratto distintivo del Partito laburista di Tony Blair, che sarà ricordato per il tentativo di rendere obbligatoria la carta d’identità con i dati biometrici dei cittadini. L’attuale premier, David Cameron, invece, ha guadagnato la fiducia di molti libertari un po’ naïf promettendo di combattere “l’erosione delle libertà civili voluta dai laburisti” e di ridurre “l’intrusione dello stato nella vita degli individui”.

Ma questo programma ha cominciato a mostrare le sue crepe ancor prima di essere applicato, quando la polizia ha risposto con insolita durezza agli studenti che protestavano contro l’aumento del 300 per cento delle tasse universitarie. Le forze dell’ordine hanno usato il metodo del kettling, in base al quale gli agenti circondano i manifestanti e li intrappolano per ore in uno spazio delimitato senza permettergli di muoversi.

Subito dopo i riots Cameron ha dichiarato che “le preoccupazioni ipocrite sul rispetto dei diritti umani” non avrebbero impedito l’identificazione e l’arresto dei protagonisti delle rivolte, individuati grazie alle telecamere a circuito chiuso. In seguito il premier ha proposto di tagliare i sussidi ai facinorosi e alle loro famiglie e di sfrattare i responsabili delle violenze nel caso abitassero in case popolari. Poi ha dato la sua approvazione alle prime condanne penali contro i rivoltosi, compresi i sei mesi di reclusione affibbiati a un ragazzo che si era dichiarato colpevole per aver rubato una bottiglia d’acqua da 3,50 sterline.

Cameron è salito al potere attaccando le politiche di Blair e Brown. E aveva ragione a farlo. Ma la Gran Bretagna sembra essere vittima di una casta politica che si autoalimenta. E nonostante tutti i proclami sulla sua diversità (confezionati in gran parte da quell’Andy Coulson finito nello scandalo delle intercettazioni di News of the World), Cameron, spalleggiato dai suoi alleati liberaldemocratici, non ha fatto che peggiorare le cose. Secondo il suo progetto di Big society, i cittadini avrebbero dovuto sostituire il governo nella gestione di scuole, biblioteche, uffici postali, case popolari e servizi pubblici. Il programma della Big society è stato presentato ufficialmente nel luglio 2010 a Liverpool. Una scelta non casuale.

La parabola di Liverpool – la città della mia famiglia – descrive bene tutto quello che è andato storto nel paese, e non certo per colpa dei suoi cittadini. Liverpool è famosa per i Beatles, il porto (ora chiuso), le squadre di calcio e il suo carattere unico. Ma anche per la sua violenza. Nel 1981 il quartiere multietnico di Toxteth fu teatro di violente rivolte. Quest’anno sono passato sotto la finestra della prima stanza che affittai quando andai via di casa. Da lì vidi le fiamme incendiare quella notte di trent’anni fa. Si dice che quelle rivolte abbiano cambiato la politica britannica, soprattutto dopo le inchieste volute dal governo per capire le cause dei disordini e far luce sul razzismo della polizia. Una reazione molto diversa da quella di Cameron di fronte ai riots del 2011. “Si è trattato di furti, saccheggi e rapine contro la nostra comunità, non abbiamo bisogno di un’inchiesta per saperlo”, ha detto il premier dopo le violenze.

All’inizio di quest’anno, mentre mi occupavo dell’anniversario di quelle rivolte, ho incontrato un uomo che chiamerò Steven. Trent’anni fa Steven scese in piazza per battersi contro la polizia. “Prima c’è stata la deindustrializzazione”, mi ha detto, “ora c’è la recessione. La gente è preoccupata di perdere il lavoro o di dover lavorare più a lungo per la pensione. Guardo questi ragazzi e tra me e me penso: ‘Benvenuti nel nostro mondo. Benvenuti nel 1981’”. Alcune settimane dopo questa conversazione, Toxteth sembrava tornata indietro di trent’anni. Le strade erano di nuovo in fiamme. Mentre guardava il suo quartiere bruciare, Steven mi ha mandato un’email: “Credo che si tratti di giovani che hanno aspettato il momento opportuno: le misure di austerità si fanno sentire, insieme a un’inflazione sempre più alta, prosciugando i risparmi della classe media”.

Ipocrisia e responsabilità
Né l’autoritarismo di Tony Blair né le promesse di combatterlo fatte da Cameron sono una vera novità. Quando i leader politici britannici affermano di essere diversi dai loro avversari stanno solo recitando. Cameron ha ricominciato dove Blair aveva lasciato: ha dato alla polizia il potere di vietare ai cittadini di coprirsi il volto con il cappuccio della felpa.

Un atteggiamento particolarmente ipocrita, se ricordiamo quello che Cameron aveva detto nel 2006, in quello che ancora oggi è ricordato come il discorso hug-a-hoodie (abbraccia uno hoodie. Hoodie è una felpa con il cappuccio, ma il termine indica anche i ragazzi che la indossano): “Immaginate un complesso urbano con un piccolo parco”, aveva detto allora Cameron. “Nel parco non c’è nessun cartello del tipo ‘vietato giocare a palla’ o ‘vietato fare skateboard’: è semplicemente uno spazio vuoto. E poi immaginate di avere quattordici anni e di vivere in un appartamento al quarto piano che dà sul giardino. Sono cominciate le vacanze e non avete un soldo in tasca. È questa la vostra vita. Cosa fate di giorno? Cominciate a vagare per le strade, annoiati a morte. Vi guardate intorno. Chi non è annoiato? Chi non sta vagando per strada senza un soldo? Chi, invece, ha le macchine, i vestiti, il potere? La prima cosa da fare è riconoscere che non troveremo mai le soluzioni giuste se prima non capiamo cosa è andato storto: bisogna capire il contesto, le ragioni, le cause. Questo non significa necessariamente giustificare il crimine, ma ci può aiutare ad affrontarlo meglio. Perché indossare uno hoodie è una conseguenza del problema, non la causa. Noi che indossiamo abiti eleganti spesso vediamo gli hoodie come simbolo di aggressività, l’uniforme di un esercito ribelle di piccoli gangster. Ma nessun ragazzo è davvero cattivo. Nessun ragazzo è irrecuperabile, dal punto di vista psicologico o sociale. E spesso la polizia, la prigione e il governo non riescono a capirlo”.

Dieci giorni dopo le peggiori rivolte degli ultimi decenni, a fine agosto, la polizia era di nuovo nell’occhio del ciclone per aver strappato dalla sedia a rotelle e trascinato per strada uno studente disabile che protestava. Senza contare la morte di tre persone colpite con il taser. Nicolas Robinson, il ragazzo del sud di Londra condannato per aver rubato una bottiglia di acqua minerale, stava cominciando a scontare la pena, mentre Cameron tornava dalla sua ultima vacanza, la quinta del 2011. Forse tocca a noi provare a capire “cosa non è andato per il verso giusto”.

Traduzione di Antonello Guerrera.

http://www.internazionale.it/news/gran- ... ghilterra/

Mio Dio che visione negativa dell`inghilterra.
Che strano che a oggi e` ancora uno tra quei pochissimi posti al mondo dove un padre di famiglia puo` avere un futuro.
Da Londra
Alex



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http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 81757.html



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Cos'è? Anche la Guardia di Finanza si è svegliata?
Anche la Procura di Trani é piena di "cospirazionisti"? [:18]




Gdf in ufficio Standard and Poor's a Milano
per accertamenti in indagine Trani


giovedì 19 gennaio 2012 13:31

Fonte Reuters
http://borsaitaliana.it.reuters.com/art ... 1R20120119

MILANO (Reuters) - Uomini della Guardia di Finanza sono al lavoro nell'ufficio milanese dell'agenzia di rating Standard and Poor's per accertamenti disposti dalla procura di Trani.

Lo hanno riferito oggi una fonte investigativa e una vicina all'agenzia di rating.

"Mi hanno avvertito i colleghi che difendono S&P e che si trovano a Roma. So solo che si tratta dell'inchiesta di Trani, ma non so altro", ha detto Giuseppe Fornari, avvocato di S&P, arrivato poi negli uffici dell'agenzia a Milano insieme a due legali dello studio Cliffor Chance.

La procura di Trani sta indagando sulle anomale oscillazioni di borsa che si sarebbero verificate nel 2010 e nel 2011 in un'inchiesta che vede indagati alcuni esponenti delle agenzie di rating Standard & Poor's e Moody's. Le società hanno negato ogni addebito.

"Stiamo lavorando a 360 gradi", ha detto a Reuters il pm di Trani, titolare dell'inchiesta, Michele Ruggiero senza aggiungere ulteriori dettagli.

La procura pugliese lo scorso agosto aveva fatto eseguire dei sequestri di documenti nelle sedi milanesi delle agenzie oltre a un ordine di esibizione alla Consob di Roma.

I magistrati pugliesi - che parlano di "giudizi falsi, infondati o comunque imprudenti" da parte delle agenzie - accusano gli analisti di Standard & Poor's di manipolazione del mercato e abuso di informazioni privilegiate per aver "elaborato e diffuso", a "maggio, giugno e luglio 2011 - anche a mercati aperti - notizie non corrette (dunque false anche in parte), comunque esagerate e tendenziose sulla tenuta del sistema economico-finanziario e bancario italiano".

Per Moody's invece l'accusa si limita alla manipolazione del mercato relativamente all'intervento del 6 maggio 2010 per aver "elaborato e diffuso a mercato aperto, verso le ore 11.15, notizie false (anche in parte) sulla tenuta del sistema economico e bancario italiano".

Venerdì scorso Standard and Poor's ha annunciato ufficialmente di aver ridotto il rating sovrano dell'Italia di due livelli portandolo a 'BBB+' da 'A' con l'outlook sul merito di credito negativo.

(Giulio Piovaccari e Sara Rossi) -- Sul sito http://www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su http://www.twitter.com/reuters_italia



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MessaggioInviato: 19/01/2012, 18:29 
Monte dei Paschi: è rischio nazionalizzazione

http://www.wallstreetitalia.com/article ... zione.aspx


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MessaggioInviato: 20/01/2012, 09:04 
Collisione in vista per la Banca europea,
qualche consiglio per evitare lo schianto


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Tratto da: http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1jz1rQafz

Avviso ai naviganti: la nave Euro si sta schiantando contro un iceberg. Bisogna sganciare alcuni missili. Fuori di metafora, nazionalizzare le banche e riprendere il controllo della sovranità monetaria.

Il Titanic Euro è ormai a vista d’occhio dalla collisione con l’iceberg della speculazione finanziaria internazionale. A bordo il capitano, Mario Draghi, con l’ausilio del personale precario e dei mozzi – Merkel, Sarkozy e Monti – mantiene la calma e si accinge a pulire i vetri della nave con i pannicelli caldi chiamati «liberalizzazioni» e «disciplina di bilancio», e del «mercato del lavoro».

Qualche telefonata arriva dalla terra ferma dagli attoniti osservatori (Wolf, Galbraith, Krugman ecc.), che raccomandano di mettere in mare le scialuppe di salvataggio per salvare quanti più paesi è possibile e tentare di fermare l’iceberg prima dello scontro. Mario Draghi e i suoi mozzi hanno già pronti gli elicotteri per il loro salvataggio.

Le misure estreme da prendere – estreme perché ormai è già tardi – sono quelle di inviare dei missili ben mirati che frantumino l’iceberg della finanza e del gruppo di potere che ha pilotato l’Europa dalla zona dell’Ue alla zona della Grande Germania.

Il primo missile, che potrebbe partire dall’Italia, è quello di nazionalizzare le grandi banche nazionali togliendogli ogni ruolo nel campo del credito e del controllo finanziario, mettendole in liquidazione mediante il trasferimento delle loro funzioni al sistema del credito cooperativo e popolare nelle sue varie forme assunte dal credito locale.
Questa è la vera liberalizzazione da fare smettendola con il fumo dei fuochi d’artificio dei taxisti e delle farmacie.

Il secondo missile va diretto alla Banca d’Italia e Banca centrale europea, uffici regionali della Goldman Sachs, restituendo il controllo e la sovranità monetaria ai governi dei paesi e ai rispettivi «Ministeri del tesoro pubblico».

Il terzo missile – lasciamolo ai francesi che di omicidi mirati se ne intendono come hanno dimostrato da ultimo in Libia – deve colpire le società di rating, accecando così il sistema di rilevazione e di pilotaggio della speculazione, e i paradisi fiscali che sono i centri di benessere della speculazione. Queste società vanno bandite dall’Europa (la guardia di finanza e l’antimafia potrebbero prendersi carico del compito unificando così la lotta all’evasione con quella alla mafia), e le Borse che ne seguono gli indirizzi vanno immediatamente «sospese» come si fa normalmente quando interviene una disturbativa d’asta a scopo speculativo.

Il quarto missile non deve contenere una bomba, ma un annuncio ai cittadini europei che il debito sovrano va riportato dentro i confini dei vari paesi con l’annullamento di tutti gli impegni su titoli ceduti a tassi che superano il corretto interesse bancario (2,5-3 % max), e collocandoli tra i propri cittadini con un prestito nazionale solidale così come fu fatto in Italia con il «prestito per la ricostruzione» del dopoguerra. Cessioni di titoli al prestito internazionale devono essere contrattati a livello dei governi dei vari paesi, dentro norme e costi concordati in modo trasparente e con la garanzia solidale dell’Ue.

Le ricchezze così recuperate devono costituire la base di un nuovo patto sociale tra i paesi europei che preveda, insieme alla ricostituzione di un «serpente monetario flessibile», quella di una «divisione europea del lavoro» che metta al bando le mire di competizione e rivalità neocoloniali della vecchia Europa, sia dentro che fuori dei suoi confini, e ne fissi invece le scelte produttive dentro un programma di cooperazione internazionale che parta dal riconoscimento delle priorità di crescita e organizzazione sociale, concordate in modo sinergico con le grandi aree mondiali (Asia, America latina, Africa, ecc.). Questa può essere la base per una riorganizzazione delle istituzioni europee che avvii un reale processo d’istituzione dell’Europa federale. Un programma minimo, senza il quale i cittadini europei, colori che si salveranno dall’inabissamento della nave Euro saranno ridotti al ruolo di lavavetri di una nave sul fondo del Mediterraneo.

*Bruno Amoroso è docente di Economia internazionale presso l’Università di Roskilde (Danimarca), coordina programmi di ricerca e cooperazione con i paesi dell’Asia e del Mediterraneo.Presiede il Centro Studi Federico Caffè.


Fonte: http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/6267/. 17 gennaio 2011

http://mercatoliberotestimonianze.blogs ... vista.html



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MessaggioInviato: 20/01/2012, 09:21 
LA CINA INTRODUCE SILENZIOSAMENTE
UN NUOVO SISTEMA FINANZIARIO


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http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=6510

La Cina sta nascostamente introducendo un nuovo sistema finanziario basato sul renminbi (Yuan) che sta per diventare pienamente convertibile, secondo una fonte cinese di alto livello. Inoltre la Cina sta acquistando mille tonnellate di oro per sostenere un nuovo fondo progettato per sviluppare e commerciare tecnologie sin qui proibite. Il fondo avrà base fuori dalla Cina e sarà controllato da eminenti membri della comunità cinese di oltremare. L’aquisto di oro richiederà del tempo a causa della logistica del trasporto, e i cinesi sperano di poterlo testare appieno. Sia il governo cinese che l’MI6 confermano ormai i rapporti che indicano che gran parte dell’oro venduto dal Federal Reserve Board negli ultimi dieci anni è, di fatto, tungsteno placcato in oro. (vedi: http://www.ecplanet.com/node/1112)

D’altra parte il renminbi è ormai convertibile con le valute sudamericane, col rublo, con le valute mediorientali, lo Yen, le valute del sudest asiatico e le valute africane. “Introdurremo lentamente il nostro nuovo sistema finanziario in parallelo col vecchio e speriamo che la gente migri costantemente verso di esso”, ha affermato il funzionario cinese.

Nel frattempo l’ultimo incontro del G20 è finito in acrimonia e caos. La leadership occidentale è totalmente in rotta e rimarrà in tale stato sino a che la bancarotta del Federal Reserve Board non diventerà evidente anche a quella parte di opinione pubblica occidentale che ha subito un lavaggio del cervello. Ci si aspetta che questo avverrà a Gennaio o Febbraio. Sia l’MI6 che l’esperta fonte del governo cinese prevedono il crollo del dollaro della Federal Reserve per quel periodo.

Si sentono anche diversi rapporti che indicano che molti personaggi del Pentagono o di altre agenzie USA di ogni tipo con cittadinanza sia USA che israeliana sono recentemente fuggiti in Israele. I nodi stanno venendo al pettine.

La Cina propone di sostituire il dollaro USA con il dollaro di Hong Kong

Ad un incontro finanziario top secret previsto per questo weekend, la Cina proporrà di sostituire il dollaro USA con il dollaro di Hong Kong, secondo una fonte anziana del MI6. La proposta è presa in seria considerazione da coloro che appoggiano il nuovo sistema finanziario.

Come abbiamo precedentemente riferito, gran parte dei dollari USA mai creati sono poggiati sull’oro a un tasso di un ventottesimo di grammo per dollaro. I fraudolenti dollari fiat del Federal Reserve Board, emessi dopo il 28 Settembre 2008, non lo sono più. E nemmeno alcuno dei dollari provenienti dai fraudolenti “derivati”. Perciò, per sostituire il dollaro USA col dollaro di Honk Kong, tutto ciò che serve è rinominare i dollari basati sull’oro. Qualunque nuovo dollaro di Honk Kong emesso sarebbe poggiato sul Renminbi, secondo la proposta cinese.

Le note della Federal Reserve crollerano al valore di 0.03 centesimi a Gennaio

Si può ormai dire che tutti i dollari USA connessi al commercio legittimo sono poggiati sull’oro a un tasso di un ventottesimo di grammo per dollaro. Le rimanenti note di debito della Federal Reserve presto crolleranno al valore di 0.03 centesimi, secondo fonti finanziarie di alto livello. Ciò significa che tutti i legittimi uomini di affari e lavoratori pagati in dollari USA non hanno nulla di cui preoccuparsi. Invece, gli artisti della truffa che vendono “derivati” finanziari, resteranno con lo 0.03% di quanto pensavano di possedere.

E’ sconcertante vedere quante persone intelligenti e “ben informate”, ancora non hanno idea di ciò che sta accadendo. Se si collegano i punti nella propaganda dei media ufficiali, dovreste poter vedere voi stessi senza dover andare sui cosiddetti siti “cospirazionisti”. Tra i paesi che hanno affermato pubblicamente che non useranno più i dollari per commerciare tra di loro, si trovano: Cina, Russia, Giappone, Sud America, Lega Araba, Turchia, Iran etc.



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MessaggioInviato: 20/01/2012, 09:34 
Stamane, osservando la nostra cara italia che va a rotoli, ho acceso la tv e a SkyTG24 hanno detto che lo spread è calato sotto i 446 punti e le borse sono positive. Ora mi domando e dico... ma all'economia reale non si interessano i giornalisti? Siamo tutti nella ********** fino al collo ( passatemi la volgarità per favore ), e questi ci parlano ancora e soltanto di spread, quando la gente ogni giorno perde il lavoro. Hanno intervistato il governatore della Sicilia ( na cosa buona la fanno anche i giornalisti ), che ha detto, parecchio arrabbiato, che spera che la protesta della Sicilia vada a scemare entro stasera PER SPOSTARSI A ROMA. Qui ci vuole la rivoluzione.


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MessaggioInviato: 20/01/2012, 09:49 
sirius i giornalisti sono soltanto marionette, credi davvero che loro non vogliano parlare di quanto sta accadendo in sicilia? sono quei pagliaccia maledetti nascosti dietro le quinte a dire ogni singola parola. e riguardo la federal reserve è PATETICO CHE MERDE CHE SONO A SPACCIARE PER ORO DEL FERRO PLACCATO ORO. mi fa incazzare a morte. la devono finire e devono ammettere che tutto è andato a prostitute e basta con ste maledettissime finzioni


Ultima modifica di lex il 20/01/2012, 09:51, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 20/01/2012, 19:40 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

LA CINA INTRODUCE SILENZIOSAMENTE
UN NUOVO SISTEMA FINANZIARIO


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http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=6510

E’ sconcertante vedere quante persone intelligenti e “ben informate”, ancora non hanno idea di ciò che sta accadendo.

Se si collegano i punti nella propaganda dei media ufficiali, dovreste poter vedere voi stessi senza dover andare sui cosiddetti siti “cospirazionisti”.

Tra i paesi che hanno affermato pubblicamente che non useranno più i dollari per commerciare tra di loro, si trovano: Cina, Russia, Giappone, Sud America, Lega Araba, Turchia, Iran etc.[/i]



Coincidenze.... altre coincidenze.


Il sistema economico occidentale basato sul dollaro cade in mano a un gruppo di speculatori internazionali...

...che sono al di sopra delle Nazioni pur senza alcun mandato legittimo nè possibilità di controllo...

...guarda caso il sistema collassa... per la speculazione stessa...


E sempre guarda caso c' è già pronta "l' alternativa" cinese...

subito appoggiata dal fior fiore delle dittature più feroci al mondo...

Ma questo non c' entra niente, no no....


E pezzo per pezzo anche l' Europa,

che era nata come progetto per evitare il ripetersi dei due exploit tedeschi precedenti,

e ora invece SuperStato orwelliano con vertici non eletti e già diversi Paesi con governi-fantoccio altrettanto non eletti...


e ormai già completamente nelle mani - indovina! - della Germania

scivola sempre più verso la dittatura.

Ma questo non c' entra niente, di nuovo.


In America hanno già capito l' antifona da un pezzo,

se ne sbattono altamente dei vari giudizi senza alcun valore delle agenzie di rating

e guarda caso non è successa l' apocalisse prospettata al declassamento.


Come dicono in molti, bisogna riprendersi la sovranità monetaria e della politica economica,

che spetta solo allo Stato e ai suoi governi eletti,

quindi nazionalizzare le banche e semplicemente rifiutare il debito illegittimo basato su questo sistema-truffa.


Altrimenti la prossima pedina usata dai fautori del NWO sarà la Cina, e nessuno sano di mente vuole vivere in un sistema del genere.

Aztlan



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Per quanto possa essere buia la notte sulla Terra, il sole sorgerà quando è l' ora, e c' è sempre la luce delle stelle per illuminarci nel cammino.

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Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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Cita:
Aztlan ha scritto:

Come dicono in molti, bisogna riprendersi la sovranità monetaria e della politica economica,

che spetta solo allo Stato e ai suoi governi eletti,

quindi nazionalizzare le banche e semplicemente rifiutare il debito illegittimo
basato su questo sistema-truffa.


Ormai, i dubbi su questo punto, sono ben pochi...



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La proposta: declassare le agenzie di rating

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Declassare S&P? Un articolo dal tono provocatorio del Financial Times pensa a questa eventualità.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... ating.aspx

Roma - 'Declassare le agenzie di rating'. Titola cosi' un comento pubblicato sul Financial Times, pochi giorni dopo la raffica di declassamenti delle principali economie della zona euro, incluse Francia e Italia, da parte di Standard&Poor's. "Continuo a sentire gente che dice 'non prendetevela con le
agenzie di rating - si legge nel testo - La prima reazione e': perche' no? Dopo una serena riflessione la considerazione e': perche' non mandarle all'inferno?".

Il commento corre sul filo dell'ironia. Nel ricordare i 'mantra' intonati a piu' riprese da S&P ("la strettafiscale da sola non risanera' le finanze pubbliche. Le economie debolihanno bisogno di crescere), si afferma: "wow! Chi l'avrebbe maipensato? Forse S&P punta al Premio Nobel".

Pur senza lesinare critiche al deficit di governance in Europa e alle responsabilita' dei suoi leader, nel commento ci si domanda "perche' qualcuno prenda ancora le agenzie minimamente sul serio, dopo lo sfortunato ruolo che hanno avuto nel rovesciare la finanza?".

"Continuo a sentir dire che dobbiamo prendere le agenzie seriamente perche' restano parte integrante del sistema finanziario globale. Non dovremmo allora declassarle? Livello spazzatura andrebbe bene".



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 21/01/2012, 11:47 
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Sirius ha scritto:

Stamane, osservando la nostra cara italia che va a rotoli, ho acceso la tv e a SkyTG24 hanno detto che lo spread è calato sotto i 446 punti e le borse sono positive. Ora mi domando e dico... ma all'economia reale non si interessano i giornalisti? Siamo tutti nella ********** fino al collo ( passatemi la volgarità per favore ), e questi ci parlano ancora e soltanto di spread, quando la gente ogni giorno perde il lavoro. Hanno intervistato il governatore della Sicilia ( na cosa buona la fanno anche i giornalisti ), che ha detto, parecchio arrabbiato, che spera che la protesta della Sicilia vada a scemare entro stasera PER SPOSTARSI A ROMA. Qui ci vuole la rivoluzione.


Purtroppo l' economia ai giorni nostri è ciò che di più virtuale possa esistere.
Basta che un agenzia parli perchè il panico si diffonda, ma dobbiamo osservare la realtà di uno stato, le sue reale potenzialità.
La globalizzazione è il grimaldello per minare le economie dei paesi e delle comunità o delle economie che oppongono resistenza al progetto del NWO e tra questi c' è l' euro. Minare la credibilità dei paesi ritenuti più deboli socialmente è solo il primo passo, il successivo sarà quello di aggredire le economie ritenute più solide ( vedi Germania, Inghilterra e paesi nordici )



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Marziano
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MessaggioInviato: 21/01/2012, 13:00 
Ma!!! io inizio seriamente a dubitare che tutti i parlamentari siano realmente italiani [8] [8] [8] [8] [8].
Forse non sono nemmeno umani..........sicuramente carognoni!!! [xx(] [xx(]


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riuscite a fare un riassunto delle nuove manovre italiane riguardo le liberalizzazioni?


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