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[color=blue]Ecco i segreti nascosti a Bossi dai fedelissimiL’amico Boso: ho provato ad avvertirlo, ma non è servitoSeduti accanto, in fondo alla tavolata della festa leghista a Pieve Tesino. Erminio Boso, il vecchio senatore, aveva ascoltato il comizio di un Umberto Bossi stanco e un poco confuso. Aveva sentito ripetere l’elogio del figlio Renzo, «che parla così bene l’inglese tanto d’aver fatto l’interprete nell’incontro tra Berlusconi e Hillary Clinton». Sapeva che non era vero, Boso. Ma sapeva che una balla grossa così non poteva averla inventata al momento. Non era di buon umore, Bossi. «Mia moglie vuole che torni a casa».
Era rimasto fino al mattino dopo, Bossi. E quella notte il vecchio leghista aveva deciso che era il momento di dire tutto, di raccontare a Bossi quel che Bossi non sa, quello che negli otto anni di malattia gli hanno nascosto. «Tu sai che non ho nulla da chiederti, e sai che non ti tradirò mai». Lo sa, Bossi. Del figlio Renzo avevano già parlato qualche mese prima, a Roma, nei pochi minuti in cui li avevano lasciati soli. «Boso, guarda che io non ne sapevo niente. È stata la Manuela», la moglie. Nella notte d’agosto non era il caso di insistere.
«Però, Umberto, tu lo sai cosa succede nella Lega? Lo sai che girano personaggi strani?».Al telefono, adesso, Boso conferma.
«Certo che gli ho parlato di Belsito. E non solo di Belsito. Gli ho detto di stare in guardia». Più o meno che era circondato, e male. «Io non lo conosco, questo Belsito - erano state le parole di Boso -, ma da quel che sento dire non sembra l’uomo adatto, non mi sembra un tesoriere affidabile. Non ti hanno detto niente?». Niente di niente. E si era preoccupato, Boso, per la risposta del suo malandato Capo: «Ma va, guarda che è uno bravo, è uno che ci capisce. Non dar retta a chi mette in giro certe voci, è tutta invidia». Boso, ieri: «Se invece avesse dato retta a me...».
Invidia, malattia infantile del leghismo, o meglio di quel che è diventata la Lega di Famiglia, altrimenti detta la Ditta Bossi.
E sarebbe invidia quella di chi non ha mai gradito l’irresistibile ascesa di Rosi Mauro, da un anno residente a Gemonio, giusto per segnalare la distanza dalla Famiglia, prima pilotata nel listino bloccato in Regione Lombardia, ora nientemeno che vice presidente del Senato. «È brava, la Rosi. Ha messo su un bel sindacato», dice Bossi, ad esempio quando incontra qualche vecchio amico all’autogrill di Besnate, mentre torna a casa. Nessuno gli ha mai detto che il numero degli iscritti è sconosciuto, e l’unica manifestazione è la gita in battello del 1#730;maggio.
Ma non è bastata nemmeno quella notte con Boso. Forse, per Bossi, è meglio non sapere. Aggrapparsi all’invidia. Fingere di non sentire, come a gennaio, a Varese, al comizio di Bobo Maroni, con il teatro Apollonio che urla contro Rosi, slogan in rima greve che finisce con «l’hai fatto per la grana».
Ecco, i carabinieri non erano ancora arrivati in via Bellerio e i leghisti già sapevano, non potevano non sapere. Ci sono i video su «Youtube», di quella notte. E alla Premiata Pizzeria della Motta, quella notte, presenti Maroni, l’eurodeputato Salvini, il sindaco Attilio Fontana, Bossi aveva risentito bene quei cori. Tutta invidia?
Con una telefonata all’Ansa, l’altra sera Bossi si è lasciato sfuggire una frase:
«Io non so niente di queste cose». Poi ha tentato di rettificare, ma è la prima volta che lo ammette. Nel caso sa nulla dei lavori di ristrutturazione di casa, pagati con le palanche di Belsito, secondo i sospetti della magistratura. Ma il «non so niente» si potrebbe allargare, abbandonare le inchieste e finire nella politica. Anche delle vicende di Verona sapeva niente o quasi. Prima l’hanno spinto a maledire il sindaco leghista Flavio Tosi e le sue liste civiche, minacciare l’espulsione, sospettare complotti interni. Poi, quando ha saputo, quando ha capito, dietro front: evviva Tosi e le sue liste.
Quello che i leghisti, i militanti e gli elettori, ancora non sanno è che non c’è deputato, o senatore o sindaco che sappia come andrà a finire. Nessuno, come dice Boso, mette in discussione Bossi. Ma così avanti non si va. «Ci vuole un congresso al più presto», detta Boso all’Ansa di Milano. Che prenda atto di cosa è diventata la Lega, di cosa sappia Bossi dopo questi otto anni di malattia e di Cerchio Magico che gli gira intorno. Proprio a Varese, nella sua Varese, nella sede di Piazza del Garibaldino da mesi c’è chi vorrebbe proporre alla famiglia Bossi un patto. Garanzie sul futuro dei figli in cambio della libertà per il soldato Bossi, e della fine della Lega di Famiglia.
«È tempo che i boiardi e i traditori se ne vadano fuori dai ********», manda a dire Boso dalle sue montagne. Poi, dopo il congresso d’autunno, o almeno così spera, «la Lega potrà ripartire come ai bei tempi». Sempre che i colonnelli si mettano d’accordo tra loro, sempre che i Nessuno cresciuti all’ombra del Cerchio Magico si rendano conto che non è più il momento di giocare: avanti così e della Lega resterà solo quella Veneta, come negli anni ‘80. Un congresso - a dieci anni dall’ultimo, un record- per dire a Bossi tutto quel che non sa: a meno che il Capo proprio non voglia sapere. Ma in questo caso non c’è da aspettare il congresso d’autunno. L’autunno della Lega è già qui.
GIOVANNI CERRUTI[/color]