19/05/2012, 19:06
20/05/2012, 01:12
Atlanticus81 ha scritto:
L'esempio di Heyn dimostra che i paradigmi economici dell'FMI e delle altre organizzazioni leader del mondo economico-finanziario hanno l'effetto contrario dell'obiettivo che vogliono raggiungere.
Dimostra anche che uscire dalla crisi è possibile.
Ma dobbiamo prima renderci conto che FMI, BCE e compagnia bella hanno uno scopo diverso da quello che i mass-media ci fanno credere.
Hanno creato la crisi economica e con essa si sono impadroniti del mondo. Ci fanno credere quello che vogliono, fino che perdere i nostri diritti e le nostre libertà ci consentirà di uscire dalla crisi: niente di più falso!
Heyn lo dimostra bene. Le vie che ci condurranno fuori dalla crisi economica e a riappropiarci dei nostri diritti e delle nostre libertà sono l'opposto di quelle avanzate dall'attuale gotha politico-economico-finanziario.
Hanno una paura immensa dell'uscita della Grecia dall'eurozona poichè se ciò dovesse consentire alla grecia i risultati portati a casa dall'argentina diventerebbe di esempio per gli altri popoli d'europa... ecco perchè la distruggeranno piuttosto che accettare la sua defezione dall'euro.
Loro prosperano nell'ignoranza delle persone: dell'Argentina si parlò ampiamente quando stava fallendo... ma nulla si disse della sua ripresa economica e questo perchè dimostrava l'inefficacia delle politiche di rigore e austerità promosse in Europa (ricordo Trichet). Politiche che ci hanno condotto fin qui...
E allora il 2012 diventa l'anno in cui queste verità devono essere portate alla conoscenza di tutti. Solo in questo modo si potrà costruire un mondo diverso, fondato su nuovi paradigmi socio-economici.
Il modello economico del comunismo è fallito
Il modello economico del capitalismo così come è stato realizzato sta fallendo
Quale sarà il prossimo?
Io vorrei vedere creare un nuovo modello economico-sociale fondato su nuovi modelli, nuovi strumenti: moneta merce? FIL? MMT? Sono solo alcuni esempi, non so nemmeno se saranno davvero validi.
Ma so per certo che quello attuale non funziona più.
Vorrei vedere nelle 'stanze dei bottoni' uomini che discutono di questo, uomini come Heyn che sfidano lo status quo dettato dai 'vecchi', uomini che pensano che un nuovo mondo migliore è possibile... ce ne sono, ma rimangono emarginati, tagliati fuori da un sistema di potere dove anche i media fanno la loro parte.
Ma oggi non sono solo i media a influenzare l'opinione pubblica. Il potere di internet è immenso!
E' da qui che dobbiamo iniziare. Ne sono convinto: forum, blog, social network sono l'ambiente ideale per suscitare discussioni, divulgare informazioni e, indirettamente, dare forza e sostegno a quegli uomini (sono convinto ci siano) che possono fare la differenza.
20/05/2012, 01:54
20/05/2012, 15:34
20/05/2012, 19:15
23/05/2012, 14:51
23/05/2012, 20:17
PARMA: PIZZAROTTI PENSA A UNA MONETA LOCALE CONTRO IL DEBITO
(IRIS) – ROMA, 23 MAG – Una moneta locale per Parma. Sarebbe questa una iniziativa-shock pensata dallo staff del nuovo sindaco Federico Pizzarotti.
L’indiscrezione è rivelata dal sito linkiesta.it, senza avere alcuna smentita dal Movimento 5 Stelle.
Il primo cittadino si ritrova con un pesantissimo debito sulle spalle: la cifra circolata parla di 600 milioni di euro. Alla luce dell’ostilità del M5S verso le banche, è stata ipotizzato il ricorso a una ‘valuta parallela’ all’euro. La tesi è stata presa in prestito da due docenti della Bocconi, Massimo Amato, professore di storia economica e Luca Fantacci, docente di storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario *.
L’esperimento è in parte avviato nella città di Nantes, in Francia, dove con un sistema paragonato al ‘baratto’ è stato possibile evitare la stretta creditizia. Una mossa da valutare e che forse potrà essere chiarita da Pizzarotti al momento della formazione della giunta.
Fonte: http://www.irispress.it/247417/parma-pi ... -il-debito
Fonte: http://www.politicasenzarete.com/node/230
Un socialista utopista alla Bocconi. Massimo Amato e L'enigma della moneta.
L'enigma della moneta, di Massimo Amato, docente di storia economica alla Bocconi, non è un altro libro sulla crisi della finanza. È un libro sullo statuto della moneta. La crisi è utilizzata per trattare questo statuto.
“La crisi - scrive Amato - coincide con il fatto che la moneta è tesaurizzata e non spesa, e che, quanto più con la sua tesaurizzazione aumenta il suo potere d'acquisto, tanto meno sono disponibili cose da acquistare, e tanto più aumenta la preferenza per la liquidità”. Si produce, insomma, quella paura che conduce alla cosiddetta trappola della liquidità, tale che, “nichilisticamente, si preferisce «volere il nulla piuttosto che non volere»”[L'enigma della moneta, et al., p.10].
La crisi e la moneta diventano la scusa per scrivere, sulla falsa riga del Nietzsche di Heidegger, un libro sul nichilismo, dove la parte della volontà di potenza è giocata dalla volontà econometrica.
La scienza economia, con i suoi calcoli, i suoi grafici, la computazione e il progetto, “afferma il dominio dell'uomo sul mondo a partire da una soggettività che si vuole incondizionatamente come il punto di concentrazione dell'universo”[p.24]
Durante le crisi economiche tutti i valori vengono ridotti a nulla. Le forze rimangono inutilizzate, e la disoccupazione, la miseria, la distruzione dei beni e degli impianti sono la regola.
Come si arriva a questo stadio?
Vi si arriva perché la moneta è usata in modo improprio.
La moneta, che “è la messa in opera della verità dello scambio”, e in quanto tale apre la dimensione dello scambio, facendo in modo che ciò che è misurabile sia misurato, diventa essa stessa un qualcosa di misurabile, diventa una merce.
Nel prestito a interesse e nell'usura la moneta perde l'uso proprio e diventa una merce tra le merce. È così che lo scambio tra due merci si slega da ogni riferimento e limite, e diventa autoreferenziale.
I valori, riferendosi l'un all'altro, in un gioco di specchi contrapposti, si rimandano le proprie immagini all'infinito, in un aumento di valore e di potenza, tanto fittizio quanto insensato: “sia l'inflazione sia l'interesse sono, in relazione alla moneta come misura, forme di perdita di senso.”122
Questa perdita di senso, che si manifesta in modo lampante nelle crisi, non è un fatto che inizia con la finanzia, e che finirà con essa. Non è neanche una questione del capitalismo o della remunerazione del capitale.
Quando si vede un banchiere centrale soggiacere alle crisi, e costretto ad immettere liquidità nel sistema, si misura tutta la sua impotenza, e si vede come il suo potere “deve risolversi nella pura funzione di un processo di cui non è garante ma parte. Un servus servorum, che non riceve però la sua posizione da un Deus, ma è ciberneticamente autorizzato da un processo che egli deve per parte sua contribuire a rendere sempre più incondizionato”248
Questa perdita di senso e di potere inizia con l'opacizzarsi dell'uso proprio della moneta. Un uso che non viene tolto, ma solo rimosso, e che lo si può riportare alla luce “percorrendo il piano inclinato che ha la sua origine in Aristotele”248
In Aristotele la moneta è ancora legge. Ma non una legge positiva, derivata da una contrattazione, o una legge naturale, scaturita dallo stato delle cose. La moneta, come legge dello scambio, è ciò che nello scambio si ritira per permettere che esso avvenga, che la misura sia determinabile, che le differenze siano ragguagliabili, che il diverso possa stare difronte al diverso come un pari: “la moneta non è un oggetto di scambio, perché è lo scambio. Proprio perché è, in un certo senso, lo scambio stesso, la moneta non può che ritirarsi da esso”242.
È a garanzia dello scambio che la moneta in quanto “legge dei contratti non è a sua volta passibile di diventare un oggetto di contrattazione”[256]
Se la moneta diventa essa stessa un oggetto di contrattazione, come nell'usura, si perde la misura. Ciò che misura, non può essere misurato.
Questo in soldoni il punto cardinale messo in luce da Amato.
Non rimane da chiedersi da dove provenga questa legge. “La moneta in quanto istituzione è una legge poeticamente prodotta per essere data alla paxis perché quest'ultima possa essere compiutamente ciò che è”252. Come dire, ciò che resta lo istituiscono i poeti. [cfr. Heidegger, La poesia di Hölderlin]
In questo libro Amato non indaga ulteriormente la questione della provenienza della moneta. Qui basti sapere che l'istituzione non è opera dell'uomo. Anche se oggi “ciò che determina l'essere, o meglio, ormai, il valore della moneta è semplicemente il consenso delle parti in vista di una convenienza, ossia dell'utilità”254
Accanto alla teoria di una moneta alla Heidegger-Lacan, emerge, qui e là nel libro, anche un'altra teoria.
In quest'altra teoria la moneta è ancora ciò che nello scambio si ritira per concedere l'ingresso alle merci. Ma ora questa mancanza è marcata nella merce come presenza di un'assenza.
La marca di questa assenza, che diventa l'emblema del valore, si manifesta come moneta spicciola: “in quanto moneta ricevuta, la moneta è sempre moneta di un «bisognoso»: bisognoso, innanzitutto, di fare di essa l'unico uso di cui è propriamente passibile, ossia cederla. La moneta è così il passaggio della mancanza nella comunità”232.
La moneta spicciola, la sola che può passare di mano in mano, passando trasmette anche la mancanza. In che modo?
Nello scambio le merci vengono comparate. Nella comparazione il diverso si presenta al diverso, ma “l'unità in cui consiste la comparatezza non è un'unità ontica”.
Due merci che si scambiano sono diverse, non avrebbe alcun senso scambiare due merci identiche. Va da se che due cose diverse sono tra loro incomparabili. E non sono neanche comparabili con una terza cosa, poiché anche questa terza cosa, per esempio la moneta spicciola, è una cosa diversa dalle prime due.
È così che Amato può concludere che l'unità di misura non può essere una cosa.
La moneta spicciola, che è una cosa e passa di mano in mano, e permette la comparazione di merci differenti, è una cosa, non ci sono dubbi.
Come può una cosa diventare il medium tra due cose?
Lo diventa nella misura in cui le cose oggetto di scambio, e dunque anche la moneta spicciola, siano “in uno stato di comparazione preventivo”219
La moneta spicciola è il porta-valore - e come porta valore va bene ogni altra merce. Anzi, ogni merce è un porta-valore, o un porta-valuta.
La valuta non è niente di materiale. Anche se, senza un materiale prodotto, non può darsi alcuna valorizzazione. Una valutazione senza un bene da valutare non ha luogo. La valorizzazione ha bisogno di un logo, e questo luogo è la merce, che perciò si presta a diventare porta-valuta.
A questo proposito, e per illustrare la questione, Amato presenta un esempio.
“Ciò che è proprio del calzolaio non è solo la sua opera (il calzare), ma anche, finché esso resta nelle sue mani, la sua specifica mancanza d'uso. Ciò che eguaglia gli scambianti è, inseparabilmente dalle loro dotazioni, la mancanza d'uso di quest'ultime, ossia il fatto che l'uso per il quale sono venute a essere, e che fa degli scambianti precisamente dei produttori all'interno di una divisione del lavoro, non è mai strutturalmente presso colui che produce l'opera, ma presso colui che la usa. Lo scambio è sempre uno scambio, in partita doppia, di mancanza contro mancanza... Nell'offerta, insomma, è già presente la domanda, nella forma di una mancanza che è propria dell'oggetto prodotto e che, al contempo, non gli può mai davvero appartenere come una quantità semplicemente giustapposta o semplicemente constatata a posteriori.”231
Il valore non si appiccica alla merce come un cartellino del prezzo, non è frutto di una contrattazione che avviene a cose fatte, come presume la teoria dei bisogni, e con essa tutta la microeconomia. Il valore deriva da uno stato di comparazione preventiva, tale che l'offerta sia già da sempre una domanda.
Nella merce offerta, se è offerta, vi è sempre, preventivamente, la marca della domanda. La marca della merce è il riferimento all'altro nel medesimo, che fa delle cose prodotte il luogo del valore e della valorizzazione.
Se poi la merce appare come una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici, come una cosa sensibile sovrasensibile, che per soprammercato inizia a ballare, si mette a testa in giù, come se fosse dotata di vita propria, che se ne va in giro rivolgendosi a tutti, tanto a chi l'intende quanto a chi non ha nulla da fare, e non sa a chi gli convenga parlare e chi no, non bisogna stupirsi e richiedere un ritorno all'origine, o pretendere che il padre o il produttore gli venga in aiuto, perché essa da sola non può difendersi né aiutarsi.
Infine, bisogna aggiungere che la merce, in quanto riferimento preventivo all'altra merce, si riferisce a tutte le merce. Ogni merce, preventivamente, è un equivalente generale.
Se poi lo scambio non avviene, o non avviene con la merce con la quale era destinata a scambiarsi, bisogna metterlo in conto. Che lo scambio possa non avvenire, e rimanere una pura virtualità, che si possano cioè produrre delle crisi, bisogna metterlo in conto non come una deviazione dall'uso proprio della merce-porta-valuta, ma come una possibilità del suo uso proprio – ammesso e non concesso che una merce marcata dall'altro possa avere mai solo un uso proprio e non essere già, preventivamente, espropriata di ogni suo proprio.
24/05/2012, 22:20
24/5/2012
DRAGHI CONTESTATO ALLA SAPIENZA, LA POLIZIA CARICA GLI STUDENTI DENTRO LA FACOLTA'
Ore 16:10 - Draghi ospite di un convegno alla Sapienza, gli studenti lo contestano, la Polizia li carica fin dentro la facoltà e li tiene in ostaggio, circondati su tutti i lati, impedendo loro di andarsene e militarizzando l'intera facoltà di Economia.
Accade l'assurdo oggi alla Sapienza, una scena che purtroppo negli anni abbiamo visto spesso, troppo spesso. Un luogo pubblico che si trasforma in un fortino a difesa del politico o del banchiere di turno. Centinaia di agenti della Polizia in assetto antisommossa che blindano tutti gli ingressi e le vie limitrofe della facoltà.
Stamattina ad Economia non si era liberi di entrare ma si poteva accedere solo con il fatidico "tesserino" della Sapienza. Sono circa le 13, la facoltà è già militarizzata, gli studenti arrivano pacificamente con uno striscione e dei cartelli per manifestare il loro dissenso nei confronti della politiche di austerity dettate dalla BCE e contro il pagamento di un debito odioso ed illegittimo. Verso le 15 arriva Draghi scortato da numerose auto blu. Gli studenti vogliono contestarlo da dentro la loro facoltà, la Polizia permette a Draghi di entrare, gli studenti vengono bloccati fuori dal loro luogo di studio. Trovano così un varco, dalla mensa universitaria, si mettono a correre spiazzando, come spesso accade, le forze dell'ordine. Una parte degli studenti riesce dunque ad entrare nella facoltà, altri vengono brutalmente caricati da agenti della Polizia.
Manganellate e sei studenti inermi contusi.
A quel punto la Polizia schierata circonda gli studenti che continuavano a manifestare pacificamente, denunciando anche le violenze subite, e li tiene bloccati. Bloccati gli studenti, bloccato l'ingresso della facoltà, bloccata interamente la via antistante ad Economia.
"Non vi faremo andare via fin quando non se ne sarà andato Draghi" dice la Polizia. Gli studenti e le studentesse in questo momento sono ancora bloccati, circondati su tutti i lati da camionette e celere, la facoltà ancora militarizzata.
Siamo di fronte all'ennesima sospensione della democrazia nel nostro paese, di fronte alla privazione delle libertà fondamentali e del diritto al dissenso. Quest'oggi l'università la Sapienza è stata svuotata del suo significato pubblico e sociale per essere asservita a Mario Draghi, alla BCE, a Monti e al capitalismo finanziario. Quest'oggi alla Sapienza è successo esattamente quello che abbiamo visto nei giorni scorsi a Francoforte o quello che accade ogni giorno alle nostre vite: politiche distruttrici che ricadono sulle nostre teste e sospensione delle democrazia in nome del pagamento del debito, dei profitti e dei mercati.
Ore 16:25 - La Polizia si decide ad aprire i cordoni e a far passare gli studenti che in questo momento si stanno dirigendo in corteo verso la città universitaria a Piazzale Aldo Moro.
Fonte: http://www.ateneinrivolta.org/rivolta/d ... colt%C3%A0
25/05/2012, 01:44
26/05/2012, 23:41
MONETA LOCALE A PARMA/ L’esperto: vi spiego perché l’idea di Pizzarotti e Grillo è fattibile
PARMA, L'IDEA DI UNA MONETA LOCALE DEL SINDACO DEL MOVIMENTO 5 STELLE FEDERICO PIZZAROTTI Parma sprofonda sotto 600 milioni di debiti e le banche, prevedibilmente, non si fideranno più di tanto a prestare soldi al nuovo sindaco grillino. Che sarà anche il sindaco. Ma è pur sempre grillino. Non che sia necessariamente una colpa. Ma, se sei una banca e sul sito del comico genovese leggi frasi del tipo: «La banca è l'attrice protagonista del film horror del nuovo millennio. Ha preso il posto di Alien», «Cosa c'è di meno democratico e oscuro di una banca?» o «Vanno ri-nazionalizzate. Messe sotto il controllo dello Stato e dei cittadini», qualche domanda, prima di dare in mano qualche milione di euro a un membro del’M5S, te la fai. E allora, Federico Pizzarotti, ha deciso di bypassare il problema. Suggerendo di batter moneta localmente. Che uno pensa subito ai soldi del Monopoli, alle fish del casinò, ai paperdollari. E invece, l’idea potrebbe stare in piedi. Giovanni Passali, presidente dell’associazione Copernico, spiega a ilSussidiario.net perché. «Il Movimento Sereno, in Veneto, il progetto Shek, a Napoli, il Sardex, in Sardegna, sono esperimenti che stanno dimostrando come la moneta complementare all’euro sia una strada percorribile. Del resto, lo stesso euro, non può essere inteso come una moneta classica, manca di una definizione precisa. Esiste, quindi, un vuoto culturale nel quale si possono inserire questi strumenti monetari, in grado di sopperire alla funzioni che non sono svolte dall’euro». Vediamo, concretamente, come. «Tanto per cominciare, si presuppone l’esistenza, nell’ambiente in questione, di attività produttive che interessino al mercato. Il nuovo strumento monetario dovrebbe servire a esprimere il valore concreto di tali attività». Le nuove emissioni spetterebbero all’amministrazione pubblica. «La moneta dovrebbe essere battuta dal comune. Meglio ancora se da un’associazione senza fini di lucro connessa al Comune».
Veniamo ai vantaggi: «Il primo consisterebbe nel fornire liquidità che, in questo momento, non è garantita dall’euro. Tant’è vero che, di norma, i sistemi monetari complementari si diffondono in momenti di crisi. Contestualmente, la circolazione di liquidità renderebbe disponibile la circolazione di merci». Il nuovo conio sarebbe più conveniente dell’utilizzo dell’euro: «Come tutte le monete ufficiali, la creazione di liquidità attraverso l’emissione di tutte le monete ufficiali presuppone sempre la creazione di nuovo debito. La stessa crescita tanto invocata non fa che rendere necessaria una nuova disponibilità di liquidità. E’ inutile, infatti, produrre più merci se non c’è liquidità per acquistarle. Ma l’incremento di tale liquidità aumenterebbe il debito». Al contrario, la moneta complementare non sortirebbe questo effetto collaterale: «Sarebbe, infatti, stampata e distribuita, ma non addebitata». C’è da chiedersi, infine, come ciascun cittadino potrebbe ottenere la nuova valuta. «Occorre una distribuzione ordinata. A ciascuno dovrebbe essere conferita, almeno nella fase iniziale, la medesima quantità di nuova moneta».
http://www.ilsussidiario.net/News/Econo ... le/283627/
28/05/2012, 01:07
RIGORE? NO: SOVRANITA', COSI' L'ARGENTINA HA FATTO IL MIRACOLO
Esattamente dieci anni fa, tra il 19 e il 20 dicembre 2001, l’Argentina esplodeva. Fernando de la Rúa, ultimo presidente di una notte neoliberale durata 46 anni, appoggiato da una maggioranza nominalmente di centro-sinistra, sparava sulla folla (i morti furono una quarantina) ma era costretto a fuggire dalla mobilitazione di un paese intero.
Le banche e il Fondo Monetario Internazionale gli avevano imposto di violare il patto con le classi medie sul quale si basa il sistema capitalista: i bancomat non restituivano più i risparmi e all’impiegato Juan Pérez, alla commerciante María Gómez, all’avvocato Mario Rodríguez era impedito di usare i propri risparmi per pagare la bolletta della luce, la spesa al supermercato, il pieno di benzina.
Il cosiddetto “corralito”, il blocco dei conti correnti bancari dei cittadini, era stato l’ultimo passo di una vera guerraeconomica contro l’Argentina durata quasi cinquant’anni. L’Fmi era stato il vero dominus del paese dal golpe contro Juan Domingo Perón nel 1955 fino a quel 19 dicembre 2001. Attraverso tre dittature militari, 30.000 desaparecidos e governi teoricamente democratici ma completamente sottomessi al “Washington consensus”, l’Argentina era passata dall’essere una delle prime dieci economie al mondo all’avere province con il 71% di denutrizione infantile, dalla piena occupazione al 42% di disoccupazione reale, da un’economia florida al debito pubblico pro-capite più alto al mondo.
Con la parità col dollaro, e con la popolazione addormentata dalla continua orgia di televisione spazzatura dell’era Menem (1989-1999), il paese aveva dissipato un’invidiabile base manifatturiera e tecnologica. Nulla più si produceva e si spacciava che oramai fosse conveniente importare tutto in un paese che aveva accolto, realizzato e poi infranto il sogno di generazioni di migranti e da dove figli e nipoti di questi fuggivano.
In quei giorni, in quello che per decenni il Fmi aveva considerato come il proprio “allievo prediletto”, salvo misconoscerlo all’evidenza del fallimento, non fu solo il sottoproletariato del Gran Buenos Aires ridotto alla miseria più nera a esplodere, ma anche le classi medie urbane. Queste, che per decenni si erano fatte impaurire da timori rivoluzionari e d’instabilità, blandire da promesse di soldi facili e convincere che il sol dell’avvenire fosse la privatizzazione totale dello Stato e della democrazia, si univano in un solo grido contro la casta politica e finanziaria responsabile del disastro: «Que se vayan todos», che vadano via tutti.
Era un movimento forte quello argentino, antesignano di quelli attuali, e solo parzialmente rifluito perché soddisfatto in molte delle richieste più importanti. I passi successivi al disastro furono decisi e in direzione ostinata e contraria rispetto a quelli intrapresi nei 46 anni anteriori. Quegli argentini che a milioni si erano sentiti liberi di scegliere scuole e sanità private adesso erano costretti a tornare al pubblico trovandolo in macerie. Al default, che penalizzava chi speculava – anche in Italia – sulla miseria degli argentini, seguì la fine dell’irreale parità col dollaro.
Le redini del paese furono prese dai superstiti di quella gioventù peronista degli anni ‘70 che era stata sterminata dalla dittatura del 1976. Prima Néstor Kirchner e poi sua moglie Cristina Fernández, appoggiati in maniera crescente dagli imponenti movimenti sociali, con una politica economica prudente ma marcatamente redistributiva, hanno fatto scendere gli indici di povertà e indigenza a un quarto di quelli degli anni ‘90. Al dunque, l’Argentina ha dimostrato che perfino un’altra economia di mercato è possibile e dal 2003 in avanti il paese cresce con ritmi tra il 7 e il 10% l’anno.
La crescita economica è stata favorita da una serie di fattori propri del nostro tempo, dall’aumento dei prezzi dell’export agricolo all’arrivo della Cina come partner economico. Soprattutto però i governi kirchneristi sono stati, con Brasile e Venezuela, i grandi motori dell’integrazione latinoamericana, una delle principali novità geopolitiche mondiali del decennio. Le date-chiave di tale processo sono due: nel 2005 a Mar del Plata, soprattutto la sinergia Kirchner-Lula stoppò il progetto dell’Alca di George Bush, il mercato unico continentale che voleva trasformare l’intera America latina in una fabbrica a basso costo per le multinazionali statunitensi, mettendo un continente intero a disposizione degli Stati Uniti per sostenere la competizione con la Cina.
E nel 2006 l’Argentina e il Brasile, con l’aiuto di Hugo Chávez, chiusero i loro conti col Fmi: «Non abbiamo più bisogno dei vostri consigli interessati», dissero, mettendo fine a mezzo secolo di sovranità limitata.
Per anni, i media mainstream mondiali hanno cercato di ridicolizzare il tentativo del popolo argentino di rialzare la testa, l’integrazione latinoamericana e la capacità del Sudamerica di affrancarsi dallo strapotere degli Stati Uniti e dell’Fmi.
A dieci anni di distanza, tirando le somme, ci si può levare qualche sassolino dalla scarpa su chi disinformasse su cosa. Ancora un anno fa, nel momento della morte di Néstor Kirchner i grandi media internazionali – quelli autodesignati come i più autorevoli al mondo – avevano di nuovo offeso la presidente, con un maschilismo vomitevole, descrivendola come una marionetta incapace di arrivare a fine mandato. Il popolo argentino la pensa diversamente e il 23 ottobre 2011 l’ha confermata alla presidenza al primo turno con il 54% dei voti.
Cristina, e prima di lei Néstor, ad una politica economica che ha permesso all’Argentina di riprendere in mano il proprio destino, affianca una politica sociale marcatamente progressista, dai processi contro i violatori di diritti umani alle nozze omosessuali. Perfino nei media l’Argentina è oggi all’avanguardia nel mondo nella battaglia contro i monopoli dell’informazione: non più di un terzo può essere lasciato al mercato, il resto deve avere finalità sociali e culturali perché non di solo mercato è fatta la società.
A dieci anni dal crollo, l’Argentina sta vincendo la scommessa della sua rinascita. I paradigmi neoliberali sono sbaragliati e, dall’acqua alle poste alle aerolinee, molti beni sono stati rinazionalizzati per il bene comune dopo essere stati privatizzati durante la notte neoliberale a beneficio di pochi corrotti. I soldi investiti in educazione sono passati dal 2 al 6.5% del Pil e… la lista potrebbe continuare. Basta un dato per concludere: dei 200.000 argentini che nei primi mesi del 2002 sbarcarono in Italia (tutti o quasi con passaporto italiano) alla ricerca di un futuro, oltre il 90% sono tornati indietro: «Meglio, molto meglio, là».
Fonte: http://www.frontediliberazionedaibanchi ... 85440.html
L’Argentina nazionalizza il petrolio, investitori stranieri nel panico
La presidentessa argentina Cristina Kirchner ha annunciato questo pomeriggio che prenderà il controllo della compagnia del petrolio YPF, filiale del gruppo spagnolo Repsol. In un intervento nella Casa Rosada il capo dell’esecutivo argentino ha annunciato “l’esproprio” del 51% delle azioni della compagnia che passeranno nelle mani del governo: il 49% di questa fetta sarà distribuito tra le province produttrici di petrolio, il 51% resterà allo Stato centrale. I dettagli dell’iniziativa, annunciati da una voce registrata in mezzo ai cori da stadio peronisti nella sede del governo, lascia a bocca aperta la Spagna in cui è in corso un vertice di crisi per studiare una risposta.
Il governo argentino, la cui decisione è stata preceduta da mesi di voci e inchieste giornalistiche, non ha giustificato la misura come «una questione di interesse nazionale»: nel 2010 il paese si è visto obbligato a importare combustibili per un totale di 10 miliardi di dollari. La decisione è stata presentata sotto il titolo altisonante di «Sovranità degli idrocarburi della Repubblica Argentina» ed è stata giustificata con il fine del «raggiungimento dell’autosufficienza». Secondo Kirchner, «l’Argentina è l’unico paese d’America che non gestisce le proprie risorse naturali». L’annuncio arriva dopo mesi di pressioni del governo argentino su Repsol: La Kirchner punta il dito sulla mancanza di investimenti della compagnia sul territorio che sarebbe la causa della caduta della produzione.
L’esproprio riguarda il 51% della totalità di YPF che corrisponde esattamente alla quota di Repsol. La restante proprietà rimarrà in mano della famiglia Eskenazi e di altri piccoli investitori.
Ma per capire a fondo questa storia è necessario ricordare l’acquisizione: nel 1999 Repsol decise di scommettere sulla internazionalizzazione e comprò il gruppo YPF per 13 miliardi 437 milioni di euro, un prezzo nemmeno pronunciabile se tradotto nelle antiche pesetas. Eppure anche il Financial Times allora premiò il presidente del gruppo, Alfonso Cortina, per aver condotto la fusione dell’anno. Come è facile da immaginare l’acquisizione fu un duro colpo per l’opinione pubblica , tanto che il successore di Cortina, Antonio Brufau, dovette compiere enormi sforzi per mantenere gli equilibri all’altro lato dell’oceano. Il gruppo Petrersen (della famiglia Eskenazi) fu scelto nel 2008, con il consenso del governo che mantenne diritto di veto, per argentinizzare la gestione, ed estese la sua quota al 26%. L’inizio della fine è stato un lento deterioramento delle relazioni del governo Kirchner con la famiglia proprietaria di Petersen.
I tentativi di salvare il salvabile da parte spagnola sono stati numerosi, tanto da fare intervenire in un’occasione il capo dello Stato (il re Juan Carlos) per contenere i danni. YPF rappresenta un quarto dell’utile operativo di Repsol, che non può attualmente reggere il colpo dell’esproprio. Nell’intervento alla Casa Rosada, Kirchner ha fatto riferimento a un articolo apparso negli ultimi giorni sulle pagine del quotidiano spagnolo El País in cui si riportavano questi dati e si accusava «la politica economica del governo con aumenti dei salari superiori al 20% e congelamento delle tariffe e dei prezzi dei prodotti» di essere la causa dei problemi di approvvigionamento energetico argentino. In relazione al testo ha dichiarato che «la presidentessa argentina non risponde a nessuna minaccia». Ha poi rassicurato dicendo che nessun gruppo straniero, che investe in Argentina, deve temere per il proprio futuro. Una rassicurazione che suona più che altro come una minaccia.
Tra gli investitori stranieri in Argentina regna il timore. Il congelamento delle tariffe che non segue l’andamento della crescita dei costi già soffoca il mercato. Ogni gruppo straniero, secondo quanto conferma un insider, ha nel proprio Cda almeno un uomo del governo. In concomitanza di questa azione contro Repsol l’uomo del governo avrebbe insistito affinché i dividendi venissero reinvestiti nel 100% sul territorio. Questo significa che la mano della Kirchner non ha bisogno degli espropri, i metodi di pressione sono variegati. Per quanto riguarda l’Italia, due gruppi del nostro paese gestiscono le reti del gas, sono Camuzzi e Techint, anche se la loro posizione non è nemmeno paragonabile a quella di Repsol.
In Spagna, il quotidiano El País informa questa sera che il presidente del Governo Mariano Rajoy, la vicepresidente dell’Esecutivo Soraya Sáenz de Santamaría e il ministro dell’Industria, José Manuel Soría si sono riuniti in un incontro di emergenza per studiare per reagire all’esproprio. Nel frattempo le azioni di YPF sono cadute del 19% alla borsa di New York.
Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1w768xhik
28/05/2012, 13:08
28/05/2012, 22:05
29/05/2012, 11:20
sezione 9 ha scritto:
Il cosiddetto tessuto industriale italiano non esiste più, questo è uno dei problemi principali. Non abbiamo risorse naturali, non abbiamo imprese, non abbiamo fabbriche, e l'idea sarebbe quella di tornare al medioevo dei fiorini e dei ducati? Lo ri(ri-ri-ri)scrivo ancora: piano industriale, piano energetico, lavoro, istruzione e ricerca. Noi non dobbiamo pensare a come fare per non pagare il debito (che è tipico ragionamento da fallito), ma dobbiamo trovare il modo di crescere. Tutto il resto è fuffa buona per fare versi ma non per risolvere i problemi. Sennò, ho i miei soldi del Monopoli: valgono anche questi?
03/06/2012, 19:24