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Eurobond: inutile insistere e "via i deboli dall'Europa"

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Il tedesco Otmar Issing, ex capo economista della Bce, famigerato falco dell'intransigenza teutonica.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... uropa.aspx

Dura presa di posizione dell'ex capo economista della Bce, il tedesco Otmar Issing, famigerato falco dell'intransigenza teutonica. Non è l'euro che deve essere salvato, bensi' la stabilità dell'area.

Roma - Sbarazzarsi dei "deboli", sia che si tratti di Stati dell'area euro o di banche. E i politici che si permettono di chiedere gli Eurobond "dovrebbero stare zitti, perché sanno bene che la cancelliera Angela Merkel non li concederà mai".

Con queste dichiarazioni l'ex capo economista della Bce, il tedesco Otmar Issing, ha detto la sua all'emittente americana Cnbc sulla crisi dei debiti dell'area valutaria.

Issing, famigerato falco dell'intransigenza teutonica sulla politica monetaria, che ha occupato questo ruolo chiave nella Bce dal lancio dell'euro nel 1999 fino al 2006, non è nuovo a sparate che si prestano a polemiche. Ma stavolta, specialmente quando in modo diretto o meno fa riferimento al concetto di 'liberarsi dei deboli', rischia di non aiutare la Germania a respingere le accuse, magari semplicistiche, di alcuni osservatori secondo cui Berlino sembra riproporre al resto d'Europa la mentalità egemonica dei tempi del nazismo.

Ad ogni modo secondo Issing "l'euro in sé non ha bisogno di esser salvato: è la stabilità dell'euro e dell'area euro che devono esser salvati. La domanda è - e qui arriva un primo riferimento allo sbarazzarsi dei deboli - quanti paesi possano parteciparvi. Questa è la sfida con cui l'Europa si confronta". Secondo quanto riporta l'emittente Usa, che ha reso disponibile online parte della conversazione, Issing è stato anche più esplicito: "L'Idea che dovremmo avere una linea che nessun paese deve uscire è un invito al ricatto". Una posizione che sembra contestare la linea attuale della stessa Bce, che ha più volte affermato che l'euro è una scelta "irresversibile".



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MessaggioInviato: 12/08/2012, 16:18 
Questo era un articolo datato 2002... 10 anni fa...

L'Euro c'è, ma non paga né salari né pensioni
Farà più ricchi i già ricchi mentre i proletari andranno in guerra

Andiamo in macchina quando ormai più dell'80 per cento delle transazioni commerciali correnti nei dodici paesi dell'Ue in cui ha corso legale vengono regolate in euro per cui non è difficile prevedere che dal primo marzo, data in cui è prevista in tutti i paesi aderenti la fine del regime di doppia circolazione, si arriverà al 100 per cento.

Nella storia moderna non era mai accaduto che una moneta nascesse senza uno stato unitario di riferimento. L'unico precedente che si potrebbe richiamare è quello della Zollverein, l'unione doganale realizzata nel 1833 sotto l'impulso della Prussia dai vari stati tedeschi per contrastare la concorrenza della potente Gran Bretagna e che poi condusse alla loro unificazione.

Il contesto storico però è talmente mutato che pronosticare per l'Europa un epilogo analogo appare alquanto azzardato non potendosi ancora neppure escludere sia un fallimento del progetto sia un suo ridimensionamento che in qualche modo sarebbe in ogni caso un fallimento.

Nondimeno siamo lo stesso in presenza di un evento di portata storica.

Se è, infatti, vero che alla nuova moneta manca uno stato unitario di riferimento e la sua stessa costruzione tecnica presenta non poche contraddizioni e limiti, come per esempio lo scarso coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio dei vari stati aderenti, è anche vero che alle sue spalle vi è l'area economica che produce la quota maggiore del Pil mondiale e che già ora, nonostante non abbia corso legale in tutti i paesi dell'Ue, ha dato vita alla seconda area monetaria del mondo. Certo, da qui a diventare la prima ne corre, ma è proprio perché la sua nascita costituisce il primo mattone di un nuovo sistema dei pagamenti internazionali che si può parlare appunto di evento di portata storica.

Dalla fine della seconda guerra mondiale tutta l'economia occidentale e quella giapponese e dopo il crollo dell'Urss, l'economia mondiale è ruotata attorno al dollaro.

Per questo fatto gli Usa hanno goduto e godono tuttora di immensi privilegi economici e finanziari che si concretizzano nell'appropriazione di una gigantesca rendita con cui finanziano il loro debito sia pubblico sia privato, il mantenimento della loro potente macchina bellica e, cosa forse ancora più importante, consente alle loro grandi imprese transna-zionali di integrare i saggi di profitto industriali che da almeno trent'anni a questa parte tendono inesorabilmente ad assottigliarsi. Ora, l'euro per il semplice fatto che esiste mette in discussione questo primato. Per ogni scambio internazionale, a cominciare da quello del turista in giro per il mondo per finire alla concessione e alla regolazione dei debiti e dei crediti fra gli stati che saranno regolati in euro e non più in dollari, gli Usa perderanno una quota della loro gigantesca rendita finanziaria. Più saranno numerosi i regolamenti in euro e minore sarà la rendita appan-naggio degli Usa.

La partita che si è aperta ha come posta in palio, dunque, proprio la liquidazione del monopolio del dollaro quale mezzo di pagamento internazionale: cosa questa né facile né scontata. Una moneta per svolgere questo ruolo deve innanzitutto essere riconosciuta come tale anche al di fuori della sua area di riferimento. Il dollaro lo è perché alle sue spalle vi è la più grande potenza del mondo, cosa da cui l'Ue è ben lontana dall'esserlo e anche dal divenirlo in quanto priva di uno stato centrale unificato, di un corrispondente apparato militare e perfino di un governo centralizzato dell'economia essendo a tutt'oggi deputata al governo della stessa nuova moneta la sola Bce (Banca Centrale Europea).

Si tratta di questioni di tale portata che fanno sì che ancora oggi i cosiddetti euroscettici siano molto numerosi. Negli Usa, per esempio, proprio in considerazione di queste difficoltà, fino a qualche anno fa, a credere nell'euro erano in pochissimi e ancora oggi la maggioranza degli osservatori gli pronostica un futuro al massimo di moneta d'area, al pari dello yen, ma non la conquista dello status di mezzo di pagamento internazionale in concorrenza con il dollaro se non del tutto alternativo a esso. Sfugge però a costoro che l'euro non è stata una scelta, ma si è reso necessario per fronteggiare l'instabilità del mercato dei cambi conseguente alla rottura del sistema monetario internazionale fondato sulle parità fisse (costruito con gli accordi di Bretton Woods alla fine della seconda guerra mondiale) decisa nel 1971 proprio dall'allora presidente degli Usa, Nixon. Anche per gli Usa non si trattò di una scelta, ma dell'unica via di uscita che si offriva loro per superare la gravissima crisi in cui versavano a causa di una verticale caduta del saggio medio del profitto industriale manifestatasi come prodotto delle contraddizioni insite nel processo di accumulazione capitalistica e nei termini previsti dalla critica marxista dell'economia politica.

Ne è scaturita una crescente corsa all'appropriazione parassitaria di plusvalore che ha il suo fulcro nel sistema finanziario e nella sua capacità di generare rendita mediante la produzione di capitale fittizio che tanto più ha successo quanto maggiore è la forza della moneta in cui viene espresso. Si tratta, però di un meccanismo fortemente contraddittorio che proprio per il fatto di essere incentrato sulla produzione della rendita finanziario accelera la centralizzazione dei capitali e favorisce quelli più grandi a svantaggio dei più piccoli.

Le crisi finanziarie che hanno travolto il Messico, il Brasile, la Russia, le cosiddette Tigri asiatiche e l'ultima che ha distrutto l'economia argentina sono il prodotto delle contraddizioni di questo sistema. Il serpente monetario europeo (1972), il Sistema monetario europeo (SME 1979) e il trattato di Maastricht, in vigore dal novembre del 1993, sono stati altrettanti sistemi di difesa che i paesi europei hanno adottato sia per non essere travolti dalle ricorrenti crisi finanziarie internazionali sia per non rimanere esclusi dai processi di spartizione e appropriazione della rendita stessa.

La forza dell'euro, paradossalmente, risiede proprio nello strapotere del dollaro e nel fatto che un'eccessiva dipendenza da esso può risultare esiziale. D'altra parte le dimensioni del mercato finanziario ormai globalizzato e deregolamentato sono tali che solo le monete che hanno un'area di riferimento almeno di dimensioni continentali hanno la possibilità di reggere il confronto internazionale e la forza di resistere alle crisi sempre più frequenti. Ed è proprio in questa chiave che va letto l'annuncio di molti paesi extraeuropei, a cominciare dalla Cina e dal Giappone, di voler modificare la composizione delle loro riserve valutarie aumentando la quota in euro. Perfino la Gran Bretagna, che finora ha guardato all'euro con sufficienza quasi fosse un capriccio o una stravaganza, è ora costretta a rivedere la sua posizione. La politica monetaria britannica, fin qui sempre in sintonia con quella statunitense, e protesa a mantenere la sterlina sopravvalutata è stata fin qui possibile, infatti, grazie al petrolio del Mar del nord. Ma ora quei giacimenti sono in via di esaurimento, già nel 2001 la produzione si è ridotta di ben 200 mila barili al giorno e viene stimato che nel volgere di dieci anni essa potrebbe non essere sufficiente a soddisfare neppure il fabbisogno nazionale. Peraltro la sterlina sopravvalutata ha ridotto la competitività delle merci britanniche e messo in gravi difficoltà il sistema industriale inglese tanto che a chiedere l'ingresso nell'euro è, con sempre maggiore insistenza, proprio la Confindustria.

In questo contesto le recenti dichiarazioni dei ministri italiani Tremonti, Bossi e Martino che hanno portato alle dimissioni del ministro degli esteri Ruggiero risulterebbero perfino ridicole se lette davvero come espressione di una volontà antieuropea piuttosto che come prodotte delle beghe interne della politica nazionale. L'euro può anche fallire, ma fuori dall'euro il fallimento è certo. Né maggior credito meritano le dichiarazione di coloro come il presidente della Repubblica Ciampi e della Commissione europea Prodi che assicurano che grazie all'euro si profila un'epoca di maggiore benessere e di pace. È vero proprio il contrario. Le ragioni stesse che ne hanno determinato la nascita lasciano invece prevedere un'ulteriore accentuazione di tutti i fenomeni connessi alla crescita della finanzia-rizzazione e fra questi quello per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Per quanto riguarda la pace poi basti pensare che già ora, per esempio, il Fondo monetario internazionale, il cui regolamento prevede che debba aver sede nel paese che versa la maggiore quantità delle quote che lo costituiscono e a questo ne assegna, di fatto, la direzione, dovrebbe trasferirsi in Europa e rimane a Washington soltanto perché le quote dei paesi europei continuano a essere considerate come versate da paesi diversi seppure versate nella medesima valuta. Per quanto ancora un cavillo giuridico potrà avere il sopravvento sul dato di fatto tanto più che dire Fondo Monetario Internazionale significa di fatto esercitare il controllo della politica monetaria dei paesi indebitati con l'estero, cioè della stragrande maggioranza dei paesi produttori di petrolio e di materie prime?

Non è un caso se in coincidenza dell'entrata in circolazione dell'euro non sono state aumentate le pensioni o gli stipendi dei lavoratori europei, ma si è provveduto a costituire una forza militare europea di intervento: è che l'euro, proprio perché figlio di una crisi strutturale profondissima, è inevitabilmente anche l'ultimo pomo della discordia.

Fonte: http://www.leftcom.org/it/articles/2002 ... 9-pensioni


Avevano mica ragione loro?!? [8]



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MessaggioInviato: 13/08/2012, 13:12 
Dalla Germania alla Padania: lo spettro del referendum anti-euro

L'idea dei conservatori e liberali tedeschi si allarga al resto d'Europa. La convocazione e' invocata dai partiti populisti in Austria, Finlandia e Svezia. L'ok anche di Grillo.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... -euro.aspx

Roma - Uno spettro s'aggira per l'Europa, lo spettro del referendum sul futuro dell'euro e dell'Unione. Conservatori bavaresi e liberali di Stoccarda e di Berlino hanno lanciato l'idea, in Italia l'hanno raccolta ed elogiata il leader leghista Roberto Maroni e Beppe Grillo, e anche nel Pdl (alla Santanché ad esempio) piace. Come in un passaparola online, la richiesta di referendum passavelo ce le frontiere.

Da Stoccolma a Bratislava, dalla Prussia alla Padania, innesca un dibattito sulla politica europea di domani, sugli strumenti per dare a un' Europa unita più legittimità popolare ma anche più limiti al centralismo europeo. E la sensazione che ovunque o quasi nell'Unione europea gli elettori percepiscano la Ue e le decisioni dei suoi leader europei come troppo lontane da loro, spinge molti politici d'ogni colore ad associarsi alla proposta. Il referendum sull'Europa può quindi diventare un'idea bipartisan, anche se in non pochi Paesi (come in Germania) occorrerebbero modifiche costituzionali per indirlo.

I precedenti non mancano, ricordano fonti della Commissione europea a Berlino. Referendum in cui è stato chiesto agli elettori se volevano entrare o no nell' eurozona, o se accettavano o meno tagli e sacrificip erun risanamento dei conti sovrani indispensabile a salvare l' euro, se ne sono già tenuti. Con esiti diversi.

In Danimarca, spinti dal forte senso di certezza dell' efficiente welfare locale e dalla voglia di non perdere a propria identità di Paese modernissimo, i cittadini votarono il no all'euro. Preferirono tenersi la corona. In Irlanda, quando il premier Enda Kenny ha sottoposto gli accordi per i tagli al responso d'un plebiscito, si è invece affermato il sì.

Nel Regno Unito, con Blair premier si pensò a un referendum su una partecipazione all'unione monetaria, poi non se ne fece nulla. «L'idea del referendum in sé non è sbagliata, ma a medio-lungo termine e per votare su passi avanti decisivi dell'integrazione o su una Costituzione europea.

Ma attenti alla formulazione delle domande», sottolinea Karl Lamers, veterano europeista della Cdu, ex consigliere di Kohl. E spiega: «Temi e domande formulati come li suggerisce il governatore bavarese, Horst Seeho fer, possono favorire i populisti», cioè un no all'Europa. Seehofer parla chiaro: il suo disegno è «un'Europa delle regioni, decentralizzata. Con noi - aggiunge - non ci saranno Stati Uniti d'Europa». La sua propo sta sembra piacere, alla Lega come a partiti euro critici dalla Svezia all'Austria.

La gente non vuole un super-Stato europeo, dice ancora Seehofer, e suggerisce i temi per le domande: la cessione di competenze e sovranità essenziali a Bruxelles; l'ammissione o no di altri Stati nella Ue; i finanziamenti tedeschi per gli altri Stati; il varo degli eurobond.

A favore di consultazioni popolari, ma più avanti, è il ministro delle Finanze federale, Wolfgang Schaeuble, forse il più europeista a Berlino.

Su una linea analoga è Sigmar Gabriel, numero uno della Socialdemocrazia (Spd), il più antico e forte partito di sinistra del continente.

In Italia, le idee tedesche hanno trovato le prime voci favorevoli. In senso anticentralista e regionalista.

«Buona l' idea di un referendum sull'Europa e sull' euro, ma solo se serve ad aprire le porte alla nuova Europa delle regioni », ha scritto il leaderleghista Roberto Maroni sul suo profilo Faceb o ok. Più voce ai cittadini, ai Paesi reali, e meno poteri agli eurocrati, sono le richieste che arrivano da forze politiche eurominimaliste.

Dai conservatori britannici al presidente cèco Vaclav Klaus, fino ai nuovi partiti populisti in Austria, Svezia e Finlandia.

Proprio per la convergenza sull'Europa delle regioni il leader della Fpo e (la forte destra radicale) austriaca, Heinz-Christian Strache definisce la Lega come il partito europeo a lui più vicino. E' necessario dare più legittimazione democratica all'Europa: lo pensano anche voci autorevoli e moderne, come quella di Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit.

Secondo Thomas Schmid, direttore di Die Welt, la gente ha un'idea di patria, lo Stato nazionale attuale, ma «sarebbe folle voler quasi imporre agli europei una Patria europea, proposta da scrivania, autoritaria e astratta». Non meno duro Rainer Hank, sulla Frankfurter Allgemeine: «Le élites propongono un'unione politica, ma è una fantasia da poeti, è tempo di salvare l'Europa dai suoi salvatori».


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Angeldark ha scritto:



... [8D]


........ [:255]



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Questa intervista è assolutamente da vedere...questo uomo è un GRANDE!




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MessaggioInviato: 17/08/2012, 16:05 
L’Ikea ha annunciato un investimento di un miliardo di euro
per costituire una catena alberghiera sotto il suo controllo.
É una cifra notevole, una scelta coraggiosa, un segno di
speranza nel futuro. 100 nuovi hotel avranno un notevole
impatto occupazionale e favorevoli ripercussioni sull’indotto.


Ma la vera informazione non è questa.


«I paesi interessati dall’operazione sono Germania,
Belgio, Gran Bretagna, Olanda e i Paesi Baltici».


In poche parole, non un investimento nei paesi europei a forte
vocazione turistica, quali la Francia, l’Italia, la Spagna, la Grecia
.

La constatazione di una cesura de facto tra l’Europa del Nord e
quella del Sud.

Quasi invariabilmente l’esame dei piani industriali fotografano
le situazioni socioeconomiche molto meglio di centinaia di report
fumosi.


Tratto da: http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/ ... morte.html



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MessaggioInviato: 17/08/2012, 16:59 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

L’Ikea ha annunciato un investimento di un miliardo di euro
per costituire una catena alberghiera sotto il suo controllo.
É una cifra notevole, una scelta coraggiosa, un segno di
speranza nel futuro. 100 nuovi hotel avranno un notevole
impatto occupazionale e favorevoli ripercussioni sull’indotto.


Ma la vera informazione non è questa.


«I paesi interessati dall’operazione sono Germania,
Belgio, Gran Bretagna, Olanda e i Paesi Baltici».


In poche parole, non un investimento nei paesi europei a forte
vocazione turistica, quali la Francia, l’Italia, la Spagna, la Grecia
.

La constatazione di una cesura de facto tra l’Europa del Nord e
quella del Sud.

Quasi invariabilmente l’esame dei piani industriali fotografano
le situazioni socioeconomiche molto meglio di centinaia di report
fumosi.


Tratto da: http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/ ... morte.html



beh se sono questi

http://www.booking.com/hotel/se/ikea-hotell.en.html

sembrano degli IBIS (ed è tutto dire) di serie B.

no come da articolo seguente non useranno mobili e brand ikea
http://www.vancouversun.com/travel/IKEA+plans+stylish+budget+hotel+chain+Europe/7099320/story.html

ma sono dei low-budget hotel come : "...Motel One, citizenM and B&B Hotels are all part of a new breed challenging established budget brands such as Travelodge, Whitbread's Premier Inn and Accor's Formule 1..."


Ultima modifica di rmnd il 17/08/2012, 17:19, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/08/2012, 19:40 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

L’Ikea ha annunciato un investimento di un miliardo di euro
per costituire una catena alberghiera sotto il suo controllo.
É una cifra notevole, una scelta coraggiosa, un segno di
speranza nel futuro. 100 nuovi hotel avranno un notevole
impatto occupazionale e favorevoli ripercussioni sull’indotto.


Ma la vera informazione non è questa.


«I paesi interessati dall’operazione sono Germania,
Belgio, Gran Bretagna, Olanda e i Paesi Baltici».


In poche parole, non un investimento nei paesi europei a forte
vocazione turistica, quali la Francia, l’Italia, la Spagna, la Grecia
.

La constatazione di una cesura de facto tra l’Europa del Nord e
quella del Sud.

Quasi invariabilmente l’esame dei piani industriali fotografano
le situazioni socioeconomiche molto meglio di centinaia di report
fumosi.


Tratto da: http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/ ... morte.html



L' IKEA non ha proprio abbandonato l' Italia



Ikea sposta la produzione di mobili dall'Asia all'Italia

Contrordine, cari fornitori asiatici. D'ora in poi, ai rubinetti e ai pallottolieri in legno made in Thailandia o Malesia la centrale acquisti Ikea, una vera potenza anche dentro la multinazionale svedese, preferirà i prodotti italiani dei distretti piemontesi che, così, finiranno a far bella mostra di sè nei punti vendita sparsi sul globo.

Per le aziende italiane, specie per le 24 prescelte, la decisione, svelata a ridosso del 51° Salone del Mobile e in un frangente difficile, con la filiera penalizzata da consumi interni sottozero, è una sana boccata d'ossigeno.
Per l'Italia tutta, è una dimostrazione di rinnovata fiducia: Ikea Italia ha chiuso il 2011 con 46 milioni di visitatori, è sbarcata in Sicilia, a Catania, nel 2012 sarà la volta di San Giovanni Teatino, a Chieti, ventesimo punto 'tricolore'.

Per le aziende della filiera made in Italy, infine, c'è la conferma delle loro capacità. È la rivincita del bello e ben fatto, una sorta di revenge storico-industriale rispetto alle piazze asiatiche, corteggiate finora soprattutto per il loro più appetibile costo del lavoro.
E, invece, no. La variabile umana perde fascino, agli occhi di colossi come Ikea, perchè in Asia il costo del lavoro cresce, galoppa a vista d'occhio, quasi un contagio che dalla Cina (il balzo medio dell'ultimo triennio è di circa il 20%, tanto che aziende cinesi, a loro volta, hanno delocalizzato nei Paesi asiatici confinanti) tanto da limare il vantaggio competitivo rispetto alla variabile logistica che, sommata alla capacità di produrre e bene (quasi) a chilometro zero, ripsarmiando sulle emissioni e l'inquinamento riesce ad azzerare le controversie legate ai reclami della clientela su prodotti difettosi o inadeguati.

Una vera e propria piaga, a sentire i responsabili Ikea, quella dei reclami che affligge molte produzioni fatte in Asia, troppo lontano dai punti vendita europei.
Ma ad attirare Ikea, ora, è la flessibilità di distretti piemontesi storici come quello di San Maurizio d'Opaglio o di Gozzano capaci di produrre 30mila rubinetti come Dio comanda just in time seguendo con scrupolo il capitolato e riducendo i costi dello spostamento di rubinetti made in Malesia che valgono ben più del lavoro più o meno flessibile.
«Per noi di Ikea la flessibilità del lavoro, l'articolo 18, per intenderci, non è un problema, quanto l'incertezza dei tempi della burocrazia e della politica», ha dichiarato ai microfoni di Radio 24 l'amministratore delegato di Ikea Italia, Lars Petersson.

Aggiungendo che « la verità è che sull'Italia vogliamo investire di più. Stiamo molto attenti alle scelte logistico ambientali e abbiamo scelto questo paese perché abbiamo un'ottima esperienza con i fornitori e la loro qualità: hanno dimostrato di essere molto flessibili sui cambiamenti dei prodotti».
L'Italia, intanto, con circa un miliardo di euro di acquisti è già il primo cliente della filiera italiana del legno-arredo: l'8% degli acquisti mondiali è made in Italy, al terzo posto dopo Cina e Polonia. In quest'ultimo Paese, però, Ikea vanta proprie fabbriche, al contrario dell'Italia e della Cina, dove ha attivato una campagna di reclutamento alla ricerca del miglior fornitore.

La percentuale balza al 34% sulle cucine: una su tre venduta è prodotta in Italia. L'area prioritaria di approvvigionamento è il Veneto (38% degli acquisti), seguita da Friuli (30%) e Lombardia (26%).
Nel Nord-Est d'Italia Ikea acquista più che in Svezia o Germania, con una forte ricaduta occupazionale collegata a queste nuove commesse produttive, stimabile in 2.500 posti di lavoro ai quali vanno sommati i 6.600 dipendenti della rete commerciale e logistica e l'indotto dei punti vendita.
Risultato dell'addizione: 11mila posti di lavoro e, i distretti piemontesi, e con loro l'Italia, ringraziano.

http://www.ilsole24ore.com/art/impresa- ... d=Ab0HUAMF


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MessaggioInviato: 28/08/2012, 18:41 
“Francia e Germania furono le prime a non volere una sorveglianza” sui parametri economici dei trattati europei, quindi “se la Grecia ha potuto imbrogliare come ha voluto è perchè Francia e Germania non hanno voluto che si mettessero delle regole”. E’ il 'j'accusè che giunge dall’ex premier Romano Prodi ai microfoni di Radio anch’io. Viene da chiedersi dove fosse, ai tempi, Romano Prodi. Ah, già. Era presidente della Commissione europea. Cioè il "capo dell'Europa". Che faceva lui, che fu pure uno dei padri dell'euro, mentre Francia e Germania mettevano le basi della crisi? Prodi non lo dice. Dice invece che “quando ci sono tanti protagonisti” come nell’Unione europea “prevedere una crisi non è difficile". E meno male

http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... va---.html


certamente era ancora in pennichella,dimenticandosi di affermare che in quel tempo era impegnato a trovare le misure adeguate x cetrioli,pomodori fagioli,et in generale a tutti i prodotti dell'orto [;)] [8D] [:I] [:o)]


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10 uomini (e una donna: Angela Merkel)
decidono i destini di mezzo miliardo
di cittadini europei


http://www.wallstreetitalia.com/article ... colla.aspx

Wrestling feroce tra rigoristi (Weidman) e soft (Draghi) alla Banca centrale europea. La posta: una moneta in circolazione ma in via di default, un'Unione dove la seria Germania non si accollera' mai i debiti dei paesi PIIGS irresponsabili. Monti non puo' correggere in pochi mesi 20 anni di malgoverno in Italia e soprattutto le recenti devastazioni perpetrate dai governi Bossi/Berlusconi/Tremonti.

Alla Bce parlano, e litigano. Se nel board della Federal Reserve americana ci fossero differenze di opinioni cosi' pesanti come quelle che si riscontrano tra il presidente della Bundesbank (azionista di riferimento della Bce) Jens Weidmann e il presidente della Banca centrale europea, l'italiano Mario Draghi, il dollaro sarebbe oggi "in the toilet", come dicono i trader a Wall Street. La mancanza di idee chiare e' benzina sul fuoco, per la speculazione.

Invece, in ambito Europa, e per la moneta in circolazione ma in via di default che rappresenta un'Unione in drammatica crisi, non accade quasi nulla. Lo spettacolo dei vertici e' patetico, riunioni dopo riunioni, sempre a due, mai a 17 o 27. Merkel/Hollande, poi Merkel/Monti, etc etc. Ma chi credono di continuare ad imbrogliare?

L'Europa e' devastata dall'esplosione dei debiti sovrani dei paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) e dalla recessione, sembra che questa commedia assurda delle dichiarazioni e degli incontri bilaterali sia ulteriormente tollerabile? No, non lo e'. E la cosa che piu' incredibile e' che non c'e' dibattito politico, non se ne parla, il Parlamento - in Italia - e' morto e seppellito, esautorato, 10 uomini (e una donna: Angela Merkel) decidono i destini di mezzo miliardo di cittadini europei che, a questo punto, cominciamo a pensare siano solo "sudditi rimbecilliti".



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L’Euro non e’ nei guai. I popoli si’.

di Vicente Navarro
Globalresearch

traduzione per Oltre la Coltre di Alessandra Malaspina

Una delle frasi attualmente piu’ ripetute nei circoli economici degli Stati Uniti (e, in minor misura, in Europa) e’ “l’Euro cadra’”. Sembra che chi continua a ripeterla, non sappia bene su quali basi l’Euro fu fondato, da chi e a beneficio di chi. Se conoscessero la storia dell’Euro, avrebbero invece notato che alle maggiori forze dietro la moneta unica e’andata molto bene, e continua ad andargli benissimo.

Finche’ queste forze continueranno a beneficiarsi dell’Euro, questo continuera’ ad esistere.

Cominciamo con la storia dell’Euro e la ragione principale per cui fu creato. Dopo la caduta del Muro di Berlino, si rese possibile l’unificazione delle due Germanie, e, come l’establishment della Germania Occientale voleva, divennero infatti una Germania unificata. La qual cosa non piaceva all’Europa democratica: per ben due volte, nel corso del ventesimo secolo, la maggior parte degli stati europei erano andati alla guerra per fermare le mire espansionistiche tedesche. I governi europei non erano affatto contenti di una Germania post-nazista riunificata. Il presidente francese Francois Mitterand persino disse ironicamente: “Amo cosi’ tanto la Germania che preferisco due Germanie al posto di una”.

L’unica alternativa che gli stati europei videro allora fu assicurarsi che la nuova Germania unificata non diventasse un paese isolato dal resto degli altri: la Germania doveva essere integrata nell’Unione Europea; doveva diventare ‘europeizzata’. Mitterand penso’ che una maniera di conseguirlo era di sostituire la moneta tedesca, il marco, con una nuova moneta europea, l’Euro. Era questo un modo di ‘ancorare’ la Germania post-nazista all’Europa democratica.



L’establishment tedesco, tuttavia, pose delle condizioni. Una fu di stabilire un’autorita’ finanziaria, la Banca Centrale Europea (BCE), che avrebbe gestito l’Euro e il cui unico obbiettivo sarebbe stato di mantenere bassa l’inflazione. La BCE sarebbe stata fortemente influenzata (ossia, controllata) dalla Banca Centrale Tedesca, la Bundesbank. L’altra condizione fu il Patto di Stabilita’, che avrebbe imposto disciplina finanziaria agli stati membri dell’eurozona: i rispettivi deficits pubblici dovevano rimanere al di sotto del 3% del loro PIL, anche in momenti di recessione.

La BCE sta dando istruzioni ai governi della sua zona monetaria di dismantellare lo Stato Sociale ed e’ quello che i governi stanno facendo.

Per capire come mai gli altri paesi accettarono queste condizioni, bisogna tenere presente che il Neoliberalismo (iniziato con Reagan negli USA e la Thatcher nel Regno Unito) era l’ideologia dominante in quei paesi. Uno dei maggiori orientamenti del dogma neoliberale era ridurre il piu’ possibile il ruolo dello stato, incoraggiando i finanziamenti privati e riducendo l’accento sulla domanda interna, allo scopo di stimolare l’economia. In questa visione, il maggior motore dell’economia sarebbe stato la crescita delle esportazioni. Questi sono l’origine del problema, non dell’Euro, che gode di ottima salute, bensi’ del peggioramento del benessere sociale dei popoli dell’Eurozona.

La Banca Centrale Europea non e’ una banca centrale

Il ruolo di una banca centrale e’ quello, tra le altre cose, di coniare moneta e usarla per comprare Titoli di Stato, assicurandosi che l’interesse su quei titoli sia ragionevole e non raggiunga tassi eccessivi. Le banche centrali proteggono i rispettivi stati contro le speculazioni dei mercati finanziari. Tuttavia, questo non e’ quello che fa la BCE. I tassi di interesse sul debito pubblico statale sono alle stelle in alcuni paesi perche’ la BCE non ha comprato il loro debito per un lungo periodo. La Spagna e l’Italia lo sanno molto bene.

Quello che invece la BCE sta facendo e’ prestare un sacco di soldi alle banche private ad una tasso di interesse molto basso (meno dell’1%), soldi che queste banche usano per comprare titoli pubblici ad un interesse molto alto (dal 6 al 7% in Italia e Spagna). E’ un ottimo affare per queste banche! Dal dicembre scorso, la BCE ha prestato oltre €1000 miliardi a banche private, la meta’ dei quali (€500 miliardi) a banche spagnole e italiane. Questo trasferimento di fondi pubblici (la BCE e’ un’istituzione pubblica) al settore finanziario privato viene giustificato dal fatto che questo aiuto e’ necessario per salvare le banche e, percio’, assicurarsi che il credito sia disponibile per le piccole e medie imprese e le famiglie indebitate. Questo credito, pero’, non si e’mai materializzato. Sia individui che imprese continuano ad avere difficolta’ ad ottenerlo.

A volte, la BCE compra titoli pubblici nei mercati secondari da stati che sono nei guai, ma lo fa in maniera quasi clandestina, in quantita’ molto limitate e per periodi molto brevi. I mercati finanziari conoscono molto bene questa situazione. Questa e’ la ragione per cui gli alti tassi dei titoli pubblici scendono per il periodo durante il quale la BCE li compra per poi risalire, rendendo cosi’ molto difficile per gli stati sostenere questi alti tassi di interesse. La BCE dovrebbe annunciare pubblicamente che non permette che l’interesse sui titoli pubblici superi un certo limite, rendendo cosi’ impossibile per i mercati finanziari la speculazione. Pero’ non lo fa, lasciando invece gli stati vulnerabili ai mercati finanziari.
In questa situazione, l’accordo per cui l’Italia e la Spagna devono ridurre il debito pubblico per recuperare la fiducia dei mercati finanziari non e’ credibile. La Spagna ha ridotto il suo debito pubblico, e allo stesso tempo il tasso di interesse dei titoli pubblici spagnoli e’ aumentato, il che prova che e’ la BCE, e non i mercati finanziari, che determinano i tassi di interesse.

Chi controlla il sistema finanziario europeo?

In teoria, la BCE avrebbe dovuto gestire l’Euro. Ma chi davvero controlla l’euro e il sistema finanziario europeo e’ la Bundesbank, la Banca Centrale tedesca. E’stato cosi’ progettato fin dall’inizio, come gia’ spiegato. Ma c’e’ un’altra ragione per cui il controllo del sistema finanziario europeo da parte della Bundesbank e delle banche tedesche si e’ fatto piu’ forte. Quest’influenza (quasi a livello di vero e proprio controllo) e’ il risultato di una serie di decisioni prese dal governo tedesco, in maniera specifica dal governo socialdemocratico di Schroeder (Agenda 2010), e seguite poi dal governo conservatore della Merkel, che ha favorito il settore delle esportazioni come maggior motore di crescita dell’economia. Oskar Lafontaine, il Ministro delle Finanze nel governo di Schroeder, avrebbe voluto favorire il mercato interno come motore della ripresa economica tedesca. La sua proposta era di aumentare i salari e la spesa pubblica. Perse e lascio’ il partito socialdemocratico, per fondare un altro partito, Die Link (La Sinistra), mentre Schroeder (che adesso lavora nel settore delle esportazioni) vinse. Come conseguenza di un’economia basata sulle esportazioni (la maggior parte verso l’eurozona), le banche tedesche hanno accumulato un’enorme quantita’ di Euro. Invece di usare tutti questi Euro per aumentare i salari degli operai tedeschi (il che avrebbe stimolato non solo l’economia tedesca ma anche tutta l’ economia europea), le banche tedesche hanno esportato questi Euro, investendo nella periferia dell’eurozona. Quest’investimento e’ stato la causa della bolla edilizia in Spagna. Senza i soldi dalla Germania, le banche spagnole non avrebbero mai potuto finanziare la bolla, basata su un’enorme speculazione.

Quando e’ avvenuta la crisi in Spagna?

Quando le banche tedesche, prese dal panico (in quanto si resero conto di essere loro stesse contaminate dai prodotti tossici provenienti dalle banche americane), hanno smesso di prestare soldi alla Spagna la bolla edilizia e’ scoppiata, creando un buco nell’ economia spagnola equivalente al 10% del PIL, il tutto in pochi mesi. E’ stato uno tsunami economico, un vero disastro. Immediatamente, il bilancio pubblico e’ passato da un surplus ad un deficit enorme, come risultato del collasso di entrate nelle casse dello stato. Non e’ stato il risultato di un aumento della spesa pubblica (la Spagna ha una delle spese pubbliche per capita piu’ bassa dell’Europa dei 15), bensi’ di un drammatico declino delle entrate erariali dovuto al collasso economico. L’insistenza, da parte della “Troika” (la Commissione Europea, la BCE e il Fondo monetario Internazionale), che la Spagna deve tagliare la spesa pubblica ancora di piu’, e’ profondamente sbagliata perche’ il deficit non e’ stato causato da un aumento della spesa pubblica (come suggerito dai frivoli commenti del Cancelliere Merkel a proposito delle “stravaganze del settore pubblico spagnolo”). C’e’ da aggiungere che questi tagli hanno portato ad una ulteriore recessione.

Qual’e’ lo scopo degli aiuti finanziari?

La retorica ufficiale sostiene che le autorita’ finanziarie hanno messo a disposizione della Spagna €100 miliardi per aiutare le sue banche. La realta’, comunque, e’ molto diversa. Le banche e lo Stato spagnolo sono profondamente indebitati. Devono un sacco di soldi a banche straniere, comprese quelle tedesche, le quali hanno prestato quasi €200 miliardi alla Spagna. Queste banche gridano che vogliono i loro soldi indietro. Questa e’ la ragione per cui €100 miliardi di aiuti sono stati approvati dal Parlamento tedesco. Peter Bofinger, consigliere economico del governo tedesco, lo ha detto molto chiaramente: “L’aiuto non e’ verso quei paesi nei guai (come la Spagna), ma piuttosto alle nostre banche, che sono i maggiori creditori del settore privato in quei paesi.” (Pratap Chatterjee, “Bailing out Germany: The Story Behind the European Financial Costs” [28/05/42]). Non avrebbe potuto esser detto meglio.

Se le autorita’ finanziarie avessero davvero voluto aiutare la Spagna, avrebbero prestato quei soldi, a tassi di interesse molto bassi, ad agenzie di credito pubblico spagnole (come l’ICO, Istituto di Credito Ufficiale), risolvendo cosi’ l’enorme problema della mancanza di credito in Spagna. Questa alternativa, naturalmente, non e’ stata neanche presa in considerazione.

Qual’e’ il presunto problema con l’Euro?

Che la Spagna abbia un grande problema di mancanza di liquidita’ non significa che l’Euro abbia dei problemi. Molti governi regionali in Spagna non possono pagare per i servizi pubblici per mancanza di soldi. Di fatto, questa enorme differenza di disponibilita’ di credito all’interno dell’eurozona favorisce le banche tedesche. Oggigiorno si assiste a un flusso di capitale dalla Spagna alla Germania che va ad arricchire le banche tedesche e rende i Titoli di Stato tedeschi molto sicuri. Che ci sia una grande crisi economica, con rate di disoccupazione molto alte nei paesi alla periferia dell’Eurozona, non significa comunque che l’Euro sia in crisi. Lo sarebbe se questi paesi abbandonassero l’Euro. Cio’significherebbe il collasso delle banche tedesche e del sistema finanziario europeo. Ma non succedera’. Le misure che il governo spagnolo ed altri governi stanno prendendo, con il supporto della Troika, sono esattamente quello che le forze conservative che questi governi rappresentano hanno sempre sognato: diminuire i salari, eliminare la protezione sociale, smantellare lo stato sociale, e cosi’ via. Questi governi sostengono che stanno attuando secondo istruzioni dettate da Brussels, Francoforte o Berlino. Stanno scaricando responsabilita’ ad agenti esterni, che, vogliono far credere, li stanno forzando ad attuare cosi’. E’ la esteriorizzazione della (loro) vergogna. Il loro slogan: “Non c’e’ alternativa”.

Quando Mario Draghi, presidente della BCE, chiama Mariano Rajoy, presidente spagnolo del governo piu’ conservatore dell’ Unione Europea, vicino al Tea Party americano, gli dice che, se vuole gli aiuti, dovra’ riformare le politiche inerenti al mercato del lavoro (ossia rendere piu’ facile licenziare i lavoratori). E’ molto chiaro su questo: in una recente conferenza stampa (9 di agosto), Draghi ha detto che la BCE non comprera’ Titoli di Stato spagnoli a meno che il governo non prenda dure e impopolari misure, come quella di riformare il mercato del lavoro, abbassare le pensioni e privatizzare lo stato sociale. Il governo di Rajoy seguira’ con piacere queste istruzioni. Ha gia’ attuato molti tagli e prevede altri €120 miliardi di tagli alla spesa pubblica nei prossimi due anni. L’Euro e il suo sistema di governo stanno funcionando a meraviglia per coloro che hanno la voce forte nell’Eurozona attualmente. La BCE sta dando istruzioni ai ai governi della zona monetaria di smantellare lo Stato Sociale, e loro le stanno seguendo. E’ quello che il mio caro amico Jeff Faux, fondatore del Economic Policy Institute di Washington, chiamava “l’alleanza della classe internazionale “, ossia l’alleanza delle classi dominanti del mondo. Questa alleanza sta chiaramente operando nell’Eurozona oggigiorno. Questa e’ la ragione per cui l’Euro durera’ ancora per molto molto tempo.

Vicente Navarro e’ professore di Scienze Politiche e di Politica Pub-blica all’ Universita’ Pompeu Fabra di Barcellona, e alla Universita’ Johns Hopkins negli USA. Nel 2002 gli fu conferito il Premio Anagra- ma (l’equivalente spagnolo del Pulitzer negli Usa) per la sua denun-
cia della maniera in cui la transizione dalla dittatura alla democrazia e’stata pilotata, nel suo libro Bienestar Insuficiente Democracia Incompleta, De lo que no se hable en nuestro pais (Benessere Insufficiente Democrazia Incompleta, Quello di cui non si parla nel nostro paese).

link: http://www.oltrelacoltre.com/?p=13133
fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php? ... &aid=32384

Tratto da: L’Euro non e’ nei guai. I popoli si’. | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z24yfFJuK7


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MessaggioInviato: 30/08/2012, 13:44 
E' L’ISLANDA CHE MOSTRA LA VIA
Postato il Mercoledì, 29 agosto @ 02:20:00 CDT di ernesto

Economia FONTE: WASHINGTONSBLOG

L’economista, premio Nobel, Joe Stiglitz ha scritto su "Information Clearing House" : Quello che ha fatto l'Islanda è stata la scelta giusta. Sarebbe stato sbagliato lasciare alle generazioni future tutti gli oneri degli errori del sistema finanziario.

E il Premio Nobel Paul Krugman (1):

- Come il recupero dell'Islanda ha dimostrato questo caso, ha fatto infervorare i creditori delle banche private che, però, si sono dovuti ingoiare le perdite.

- E’ successa una cosa divertente sulla strada per l’Apocalisse economica: la grande disperazione dell'Islanda ha reso impossibile qualsiasi comportamento convenzionale, lasciando libera la nazione di infrangere le regole. Mentre tutti gli altri hanno salvato i banchieri e hanno fatto pagare il conto alla popolazione, l'Islanda ha lasciato fallire le banche e, di fatto, ha allargato la propria protezione sociale. Mentre tutti gli altri si sono fissati nel cercare di placare gli investitori internazionali, l'Islanda ha messo dei controlli temporanei su tutti i movimenti di capitali per darsi uno spazio di manovra.

Krugman ha ragione (2)- questa è la strada giusta da percorrere. Abbiamo già detto in precedenza ( 3):

L'Islanda ha detto alle banche di prendersela … in quel posto, e l'economia islandese sta andando molto meglio di quasi tutti i paesi che si sono lasciati prendere in giro dalle banche.

Bloomberg scrive ( 4):

- L’Islanda ha dato delle lezioni fondamentali alle nazioni che cercano di sopravvivere al sacrificio del salvataggio dopo che l’ approccio dell'isola al suo salvataggio ha portato a una ripresa “sorprendentemente" forte–così ha detto il capo della missione del Fondo Monetario Internazionale.
- L' impegno dell'Islanda a sviluppare un suo programma, la decisione di lasciare le perdite agli obbligazionisti invece che farle pagare ai contribuenti e la tutela del sistema di welfare, come scudo per i disoccupati dalla miseria, ha contribuito a riportare la nazione dal collasso verso la guarigione - secondo il fondo con sede a Washington.


***

L'Islanda ha rifiutato di tutelare i creditori delle sue banche, che sono fallite nel 2008, dopo che i loro debiti si erano gonfiati fino a 10 volte la dimensione dell'intera economia. L’osservazione del FMI sugli obbligazionisti è molto importante (5): il voler garantire le perdite degli obbligazionisti ha condannato gli Stati Uniti e l'Europa alla depressione economica.

Il FMI annota :

- La decisione di non rendere i contribuenti responsabili per le perdite delle banche è stata giusta, dicono gli economisti.
- La chiave per la ripresa dell'Islanda era un programma che ha cercato di garantire che la ristrutturazione delle banche non richiedesse ai contribuenti islandesi di assumersi eccessive perdite del settore privato.

Icenews sottolinea:

- Gli esperti continuano a lodare il successo di recupero dell'Islanda dopo il piano di salvataggio delle banche del paese del 2008.
- A differenza degli Stati Uniti e di diversi paesi della zona euro, l'Islanda ha permesso il suo sistema bancario di fallire nella fase di recessione economica mondiale lasciando l'onere ai creditori del settore piuttosto che ai contribuenti.

***

La ripresa continua a conquistare i funzionari, tra cui il capo del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, che recentemente ha fatto riferimento alla ripresa islandese, definendola "impressionante". E gli esperti continuano a ribadire che i funzionari europei dovrebbero guardare all’ Islanda per studiare le misure di austerità e altre questioni simili.

Barry Ritholtz ha detto l'anno scorso (6):

- Piuttosto che salvare le banche - l'Islanda non avrebbe potuto farlo, anche se lo avesse voluto - ha garantito i depositi e ha lasciato che il normale processo capitalistico del fallimento facesse il suo corso. Ora stanno molto, molto meglio rispetto a come stanno paesi come gli Stati Uniti e l'Irlanda che non l’hanno fatto.

Bloomberg ha sottolineato a febbraio 2011:

- A differenza di altre nazioni, compresi gli Stati Uniti e l'Irlanda, che iniettato miliardi di dollari di capitale nelle loro istituzioni finanziarie per tenerle a galla, l’Islanda ha messo i suoi maggiori finanziatori in amministrazione controllata. Ha scelto di non tutelare i creditori delle banche del paese, il cui patrimonio era esploso a 209 miliardi di dollari, 11 volte il prodotto interno lordo.


"L'Islanda ha fatto la cosa giusta ... sulle spalle dei creditori, non dei contribuenti, devono andare le perdite delle banche", dice il premio Nobel Joseph Stiglitz, professore di economia alla Columbia University di New York. "L'Irlanda invece ha fatto tutte le cose sbagliate, tutto a rovescio. Questo è probabilmente il peggior modello. "

L’Irlanda ha garantito tutte le passività delle sue banche fino a quando si è messa nei guai ed ha avuto bisogno di una iniezione di capitale - 46 miliardi di euro (64 miliardi dollari) finora – per restare a galla. Questo ha portato il paese sull'orlo della rovina, costringendolo ad accettare un pacchetto di salvataggio da parte dell'Unione europea nel mese di dicembre.

***
I paesi con sistemi bancari più grandi possono seguire l'esempio dell'Islanda, dice Adriaan van der Knaap, managing director di UBS AG. "Non avrebbero sconvolto il sistema finanziario", dice Van der Knaap, che è stato consulente dei comitati di risoluzione della Banca d'Islanda.

***
Arni Pall Arnason, il Ministro islandese degli affari economici, spiega la decisione di far ricadere l’onere del debito sui creditori per salvare il futuro del paese.
- "Se avessimo garantito tutte le passività delle banche, saremmo nella stessa situazione dell'Irlanda",
- "All'inizio, le banche e altri istituti finanziari in Europa, ci dicevano, 'Non vi daremo mai più una lira'", dice Einarsdottir. "Poi hanno detto 10 anni, poi 5. Ora dicono che presto potrebbero essere pronti a nuovi prestiti. "

E anche la denuncia dell’Islanda di truffa ai colletti bianchi ha giocato un ruolo importante nel suo recupero (7):

Gli Stati Uniti e l'Europa hanno ostacolato le indagini sulle truffe ai colletti bianchi ... mentre , l'Islanda ha denunciato anche i Capi-delle Banche, i Fraudster ( 8) e il loro ex Primo Ministro (9): e la loro economia si sta riprendendo bene ... perché la fiducia sta tornando nel sistema finanziario.

Fonte: http://www.informationclearinghouse.info

Link: http://www.informationclearinghouse.inf ... e32283.htm 27.08.2012

Traduzione per http://www.ComeDonChisciotte.org a cura di ERNESTO CELESTINI


c'e' il modo di essere succubi...ma pure quello di essere liberi di decidere.....[;)]


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E’ successa una cosa divertente sulla strada per l’Apocalisse economica: la grande disperazione dell'Islanda ha reso impossibile qualsiasi comportamento convenzionale, lasciando libera la nazione di infrangere le regole. Mentre tutti gli altri hanno salvato i banchieri e hanno fatto pagare il conto alla popolazione, l'Islanda ha lasciato fallire le banche e, di fatto, ha allargato la propria protezione sociale. Mentre tutti gli altri si sono fissati nel cercare di placare gli investitori internazionali, l'Islanda ha messo dei controlli temporanei su tutti i movimenti di capitali per darsi uno spazio di manovra.


Meditate gente.... meditate..... [:p]



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http://www.wallstreetitalia.com/article ... vvero.aspx



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