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MessaggioInviato: 09/09/2012, 17:17 
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Raziel ha scritto:
tutti questi discorsi di etica... io li sento tante volte dai preti, chissà perché

se iniziamo a dover dare descrizioni "allegoriche" per far sì che l'uomo in qualche modo migliori, allora scriviamo altri libri a carattere religioso, bibbia, vangelo, corano, ecc... raccontano favole, stabiliscono precetti, sono nient'altro che forme "costituzionali" in un certo senso, leggi che l'uomo credulone possa accettare e rispettare, almeno in parte, quando la forza dello stato e il rispetto per la legge era qualcosa di inesistente.


L'etica della Scienza, non c'entra proprio un fico secco con le religioni....

Cita:
Ma la scienza non ha alcun obbligo in tal senso, essa deve spiegare dove arriva a capire, se non ci arriva, o ancora non ci è arrivata, pace, si continua la ricerca, come si è sempre fatto e sempre si farà, ma senza che essa debba assumere "valori" di alcun genere. L'universo, la natura, non ha valori di sorta che non siano le leggi fisiche e le sue componenti, le questioni umane, così importanti per noi ma tanto insignificanti per il cosmo, lasciamole alle scienze sociali, all'educazione civica, ecc. poi ognuno si regolerà, chi si manterrà un buon cittadino condurrà, ci si augura, una vita piena e soddisfacente, chi non rispetterà i valori della società (che nulla deve aver a che fare con la scienza) sarà punito secondo le leggi vigenti.


Le tue parole in neretto evidenziano uno dei motivi per i quali il mondo sta andando a rotoli. Inoltre, traspare la solita presopopea insita e tipica della visione scientista ed accademica della realtà. Secondo me - per quel che può valere - Scienza ed "etica" dovrebbero trovare un punto di incontro solido, sul quale basare la ricerca e il progresso scientifico. Visto che in assenza della seconda, cioè dell'etica, si sono creati solo disastri....



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 09/09/2012, 17:18 
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zakmck ha scritto:

Riporto anche un commento all'articolo di un utente, a mio avviso piu' che illuminante:

Cita:
Lo capisce anche un bambino: v’immaginate il software Excel che, per piccoli cambiamenti, diventa Word? e poi PowerPoint?!
Chi capisce qualcosa di software sa che, al primo piccolo cambiamento (detto in gergo “virus”) il programma smetterà di funzionare bene, e al secondo si fermerà.




...... [:246]



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 13:06 
Darwin III
http://santaruina.it/darwin-iii

Personalmente credo che se proprio vogliamo fare una teoria sull’origine dell’uomo e della vita in generale dovremmo inizialmente studiare quelli che sono i dati che abbiamo a disposizione.
Nel nostro caso, sappiamo che esistono specie che da milioni di anni non sono cambiate di una virgola, come gli squali, specie che esistevano e sono scomparse, specie che paiono comparire dal nulla.
Quello su cui ci possiamo basare sono i resti fossili in qualche modo giunti fino a noi.
Per quanto riguarda l’uomo, tutta la classificazione in abilis, erectus, pimpantis, sapiens, bergamascus, ecc., si basa su resti che si potrebbero disporre su di un tavolo da cucina.

In più, molte di queste ossa appartengono chiaramente a scimmie, come scimmia era la famosa Lucy, classificata come nostra progenitrice.
Per la datazione di queste ossa ci si basa sugli strati geologici in cui vengono ritrovati.
Se un osso viene trovato in uno strato geologico risalente a 2 milioni di anni fa, si deduce che quel osso abbia 2 milioni di anni.Da ciò possiamo dedurre che esistevano uomini identici a noi già 8 milioni di anni fa, essendo state trovate ossa umane in strati di quell’epoca.
La paleontologia ufficiale ritiene però che queste ossa siano scivolate in quegli strati in un secondo momento.
Questo perché secondo la teoria di Darwin a quell’epoca l’uomo non esisteva.

Abbiamo quindi un esempio emblematico di come funzioni la paleontologia contemporanea: uno scienziato ottocentesco formula una teoria, ammettendo onestamente che non vi sono prove che la sostengano, ma dicendosi fiducioso del fatto che negli anni a venire queste prove verranno trovate.
Negli anni a venire queste prove non vengono ritrovate, al contrario se ne trovano altre che smentiscono categoricamente la vecchia teoria ottocentesca.
Ma queste prove non vengono prese in considerazione perché in contrasto con la vecchia teoria, passata nel frattempo grazie ad un attento lavoro di marketing, tutt’altro che disinteressato, al rango di verità scientifica che non può essere messa in discussione.
In altre parole, dogma.
La situazione è quindi paradossale: una teoria fallace viene considerata al livello di verità inconfutabile, chi l’accetta fa carriera nel mondo accademico e continua a sostenerla, chi la mette in dubbio viene emarginato.
Questa situazione viene egregiamente presentata da Cremo nel suo Archeologia Proibita(http://www.edicolaweb.net/am_0102a.htm), in cui fa un resoconto di tutte le scoperte, fatte spesso da archeologi professionisti che mettono in gioco la loro carriera, accantonate perché non in linea con il dogma darwiniano.
Centinaia e centinaia.

Altra questione, le specie intermedie.
Non esistono, non sono mai state trovate, tanto che gli stessi darwinisti hanno dovuto prenderne atto.
Ma invece di riconoscere la fallacia della teoria di Darwin, i darwinisti hanno escogitato una scappatoia ancora più fantasiosa, la teoria dei salti.
Ovvero, le mutazioni genetiche non avvengono per cambiamenti minimi e ripetuti, ma per cambiamenti repentini, risposte a mutate condizioni ambientali.
A mio parere teoria ancora più bislacca, che equivarrebbe a dire che un giorno una iguana partorisce un piccolo con le ali funzionanti capace di volare, e questo trasmette la sua qualità al figlio, dando così origine agli uccelli.
Assurdo oltre che impossibile, dal momento che si è anche scoperto che il DNA è in grado di autoriparare i mutamenti(http://www.disinformazione.it/darwin2.htm) che casualmente avvengono nel momento della sua trasmissione.

La mutazione del DNA è l’errore della natura, sterile, che la natura stessa pensa ad eliminare.
Quindi mutazioni del DNA non si possono trasmettere.
Eppure siamo ancora qui a parlare di evoluzione delle specie.
La vera questione è che se il mondo scientifico ammettesse di aver preso una cantonata tanto grande, dovrebbe rivedere gran parte delle sue convinzioni.
Negli ultimi anni però qualcosa si sta muovendo, a partire dal mondo della biologia, che avendo occasione di studiare in maniera approfondita il funzionamento della trasmissione del DNA ha cominciato a mettere in crisi i baroni eredi del dogma ottocentesco.
Oltre a Sermonti un altro esponente della corrente antidarwinista è il celebre genetista “ateo e razionalista” Lima de Faria(http://itis.volta.alessandria.it/episte ... p7-far.htm).

Il darwinismo sta finalmente per essere accantonato, anche se ci vorrà ancora qualche decennio.
Quindi, basandoci solamente sui dati scientifici in nostro possesso, siamo in grado di escludere la macroevoluzione, ovvero la mutazione genetica capace di dare alla vita specie nel tempo del tutto differenti alle proprie progenitrici.
Sappiamo che le specie appaiono già belle e formate, ma per capire da dove originino, dovremmo abbandonare il campo scientifico per avventurarci in un altro.
La scienza si limita a dirci che Darwin aveva torto.
_

Forse, un giorno, il nostro tempo sarà chiamato era darwiniana, così come noi parliamo dell’era newtoniana di due secoli fa. L’evoluzione, l’evoluzione, questa semplice idea che non si ritiene più necessario esaminare, copre come una tenda tutte le età che conducono dal primitivismo alla civiltà. Gradualmente, ci viene detto, un passo dopo l’altro, gli uomini produssero le arti e i mestieri, fecero questo e quello, finché non emersero alla luce della storia. Questi soporiferi gradualmente e un passo dopo l’altro, ripetuti senza tregua, mirano a nascondere un’ignoranza a un tempo vasta e sorprendente. [...] Forse gli storici dei secoli futuri ci dichiareranno tutti pazzi per non aver scoperto subito e confutato con la necessaria energia questa incredibile cantonata
(Giorgio de Santillana)



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« Nel regno di chi cerca la verità non esiste nessuna autorità umana. Colui che tenta di recitarvi la parte di sovrano avrà a che fare con la risata degli dei » (Albert Einstein)

« Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. In fondo è cosi che è sempre andata »
(Margaret Mead)
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MessaggioInviato: 12/09/2012, 18:05 
ok ci ha creati qualcuno ma chi ha creato questo qualcuno? E chi ha creato il suo creatore e così via? Di cosa è fatto? E un unicum o fa parte di una società? E' un discorso un pò fallace se visto nel suo complesso che non spiega proprio nulla ma rimanda il problema sempre più indietro :)

Perché creare l'universo, aspettare 15 miliardi di anni per fare in modo che mingesse l'uomo e non crearlo subito bello e pronto?

Queste teorie devono quindi rispondere anche a queste domande se affermano che vi sia una intelligenza di qualche tipo che ha CREATO la vita altrimenti è una religione come il cristianesimo nulla di più, una fede :)


Perché ci deve essere per forza una volontà conscia nella creazione delle cellula? E non può essere il frutto di una serie di eventi casuali? la probabilità che si assembli è una su 1 su 400 ma quanti miliardi di miliardi di atomi ci sono in un oceano e quanti miliardi di miliardi di molecole e di interazioni ogni millesimo di secondo si verificano? Per quale motivo la cellula deve essere comparsa bella e pronta?

Sono presenti perfino sui meteoriti, quindi questo creatore li ha depositati anche lì con la speranza che impattassero contro un pianeta che li depositasse? Non era più INTELLIGENTE creare tutto bello e pronto o quanto meno depositare tutto direttamente in situ? :)

Quali sono le risposte a queste domande?

E' lo stesso discorso che si fa quando si parla della presenza di vita aliena; com'è in quel caso il discorso della bassa probabilità in funzione di grandissimi numeri è utile per sostenere una tesi in questo caso lo stesso principio invece viene applicato per sostenere la tesi opposta?

Qualcosa non mi torna :)

E chi ci dice che la combinazione di 20 amminoacidi sia l'unica? Potrebbe essere la combinazione che ha permesso alla vita sulla terra di adattarsi ma non vuol dire che non ve ne siano altre che possono sostenere la vita.

E' anche quasi impossibile che una persona nella propria vita venga colpita da un fulmine e pure accade ogni giorno :)

In sintesi una qualche intelligenza non si sa bene chi o cosa sia o cosa si intenda con questo termine è venuta sulla terra ed ha inserito le cellule in modo tale che poi si evolvessero (ora però va bene l'evoluzione...) e diventassero uomo, ho capito bene in sintesi questa nuova teoria emergente che dovrebbe spazzare via l'evoluzionismo?

Tra l'altro visto che a quanto leggo questi scienziati sono così sicuri della presenza di un creatore come mai non si impongono visto che appartengono alla comunità scientifica e dimostrano ciò che dicono dati alla mano? E dimostrando che si è in presenza di un dio creatore? non sono scienziati? O addirittura ha creato l'universo ed aspettato che dopo 15 miliardi di anni venisse fuori l'uomo... Boh mi sembra più una storiella religiosa che una teoria venuta fuori dalla bocca di un qualche scienziato, visto che negli articoli non si citano studi specifici ma si fanno solo riferimenti generici e qualche conto statistico


Ultima modifica di MaxpoweR il 12/09/2012, 18:14, modificato 1 volta in totale.


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Biologia e conoscenza secondo F.J.Varela
di Marina Praturlon


1. Premessa

Quando parliamo di scienza non dobbiamo mai dimenticare che l’operare scientifico presuppone sempre un quadro di riferimento teorico o filosofico all’interno del quale poi opera secondo le sue modalità specifiche. La scienza occidentale si muove nel contesto più generale del pensiero filosofico dominante in Occidente, cioè secondo la prospettiva di un’ontologia del fondamento che spazia fra i due limiti estremi (e speculari) del realismo/materialismo (secondo cui il fondamento è la materia, il mondo o l’ "oggetto") e dell’idealismo/spiritualismo (il fondamento è l’Io, l’anima, il Soggetto assoluto). La distinzione dualistica fra soggetto e oggetto, fra psiche e corpo/materia, fra organismo e ambiente, riflette questo quadro teorico generale, perennemente in tensione fra l’uno e l’altro polo di opposizione, pensati alternativamente:o come entità distinte che devono la loro indipendenza (il proprio "essere") ad un nucleo fondante, un sé che ne garantisce l’identità; oppure come entità in cui il fondamento dell’ uno può ridursi al fondamento dell’altro.

A partire dal Novecento, però, questo orizzonte metafisico si è incrinato in maniera irreversibile anche sotto la spinta delle riflessioni dell’operare scientifico, sempre più alle prese con paradossi logici e nuovi scenari cognitivi. Un punto particolarmente critico, dopo le criticità già emerse nella matematica, nella fisica e nella chimica, è emerso in quell’area del pensiero scientifico in cui la mente che pensa il mondo a un certo punto incontra se stessa: nelle scienze della vita e nelle scienze cognitive, innanzitutto, e in maniera collaterale nella tecnologia cognitiva e nella robotica (Artificial Life). E’ qui, infatti, che emerge, come in un quadro di Escher, quella circolarità paradossale fra l’essere e il conoscere, fra la natura e la mente, che rende nuovamente problematica la questione dell’ontologia. Se, infatti il mondo come appare non è mai il mondo "in sè" ma è sempre un mondo relativo al soggetto che emerge costantemente dalla sua attività interpretante, e il soggetto conoscente presuppone sempre un corpo e una vita bio-socio-ecologica che lo rende possibile, allora va riconosciuto che esiste una connessione originaria, una relazione circolare fra soggetto e oggetto all’interno della quale l’identità dell’uno sfuma in quella dell’altro, in cui l’uno si manifesta in dipendenza dell’altro. In altre parole, soggetto e oggetto sono entità interdipendenti prive di fondamento proprio. Questa interdipendenza (o origine co-dipendente) crea un corto circuito cognitivo che sfocia nei paradossi logici e nel collasso della logica classica basata sui principi di identità e di non-contraddizione, cioè sui pilastri del pensiero scientifico così come lo conosciamo. Se l’origine profonda di questa relazione di interdipendenza rimane in sè un mistero all’analisi intellettuale (perchè è qualcosa che precede sempre il pensiero essendo una sua pre-condizione), la natura di tale relazione (auto-referenziale, circolare, interdipendente) toglie però argomenti ad una ontologia "del fondamento", aprendo una prospettiva di "sfondamento" totalmente estranea alla nostra tradizione di pensiero. In questa nuova prospettiva, che si sta facendo strada in diverse discipline scientifiche e che va distinta da esiti nichilistici, i due poli della relazione Mente-Natura (nelle sue diverse forme) vengono concepiti come emergenti l’uno dall’altro, cioè come risultato di una dinamica complessa in cui ogni livello dipende e contemporaneamente vincola l’altro nella sua espressione, senza che sia possibile individuare un livello ultimo, "fondamentale".

Tutto questo riapre un’antica questione epistemologica che è tornata recentemente alla ribalta proprio in seguito allo sviluppo delle scienze e delle tecnologie cognitive e che chiama in causa direttamente la teoria della conoscenza come "rappresentazione" e il suo correlato ontologico: cioè l’ipotesi realista di un mondo "lì fuori" indipendente dal soggetto e predefinito. Il problema si può riassumere così: se non esiste alcun soggetto assoluto che possa autonomamente dar forma al mondo, nè alcuna realtà oggettiva indipendente che sia normativa per l’attività cognitiva, allora come è possibile la conoscenza? E soprattutto, come è possibile una conoscenza non-arbitraria (efficace, vitale) e più radicalmente, la stessa vita? Di fronte a questa sfida, il pensiero occidentale fa fatica a trovare una soluzione soddisfacente a causa delle premesse filosofiche su cui si fonda: l’alternativa all’essere continua ad essere il nulla, l’alternativa al principio di non-contraddizione è ancora il caos e l’impossibilità della conoscenza, l’alternativa all’ontologia rimane il nichilismo. Il Dharma, con la sua visione della vacuità, dell’impermanenza, dell’interdipendenza, dell’assenza di sé dei fenomeni e dell’Io, con la sua concezione del buddhadharma come qualcosa che è al di là di esistenza e non esistenza, come Via di Mezzo, offre all’Occidente una via d’uscita a questa impasse, e gli scienziati occidentali non hanno faticato molto a rendersene conto. I contatti fra la fisica occidentale e il Dharma sono a tutti noti, ma forse è meno noto il fatto che anche la biologia e le scienze cognitive stanno conoscendo in questi anni un interessante dialogo col Dharma. Una figura di spicco di queste ricerche è stato il biologo F.J.Varela (uno dei fondatori del progetto Mind and Life) il cui lavoro costituisce un esempio di come sia possibile fare scienza "senza fondamenti", ossia prendendo sul serio la consapevolezza dell’interdipendenza costitutiva fra mente e natura (fisico e psichico), la quale a sua volta mette in discussione sia la categoria dell’"oggettività" che una certa concezione spiritualista della mente ad essa speculare.

E’ interessante andare a vedere quali sono stati i risultati di un simile "esperimento culturale" che ha finito per scontrarsi sia con la concezione dominante in biologia - quella dell’adattazionismo neo -darwiniano -sia con la teoria dominante nelle scienze cognitive nota come Cognitivismo.

Il pensiero di Varela come biologo e come neuroscienziato, d’altronde, era, già racchiuso in nuce nella teoria che lo ha reso noto, insieme ad Humberto Maturana: cioè la teoria dell’ autopoiesi. Questa particolare concezione della vita costituisce infatti il ponte che unisce le scienze biologiche alle scienze cognitive, ovvero costituisce una risposta possibile alla domanda sulle radici biologiche della conoscenza.



2. Autopoiesi: una definizione sistemica del vivente

Per arrivare a una definizione soddisfacente dei sistemi viventi (biologici o artificiali) Varela ha utilizzato gli strumenti della teoria dei sistemi applicandoli alla biologia e in seguito alla neurofisiologia. Il modello adottato è quello del comportamento dei sistemi complessi, sia nella forma minimale degli automi modulari (o cellulari) sia nelle forme più complicate in cui più unità vengono messe in rete e lasciate interagire (come nei "sistemi senza input" di Ashby). La simulazione di questi sistemi ha rivelato delle proprietà comuni caratteristiche, fra cui il fatto che la dinamica del sistema, o della rete di sistemi, inizialmente caotica ed insignificante, genera stati di coerenza globale (forme, comportamenti collettivi, strutture ordinate) completamente imprevedibili a priori ed emergenti dalla sola dinamica interna del sistema. Da qui il termine auto-organizzazione, che esprime appunto la capacità di questi sistemi di generare spontaneamente mutamenti qualitativi, sia di tipo strutturale che di tipo funzionale (come il riconoscimento di forme), senza che il sistema sia "istruito" per farlo (come avviene invece per i più noti sistemi di Intelligenza Artificiale).

Questi "significati" emergenti corrispondono a determinati autovalori, o attrattori, che possono essere immaginati come l’espressione del raggiungimento di uno stato di congruenza fra i diversi elementi (sottosistemi) del sistema, derivante esclusivamente dalla sua dinamica interna. Questo è il motivo per cui questa proprietà è stata chiamata "autonomia" e questi sistemi sono stati definiti "autonomi". Questa classe di sistemi, per la prima volta individuati e descritti da Norbert Wiener, identificano dunque quei sistemi che si mostrano chiusi per ciò che riguarda la propria organizzazione: ovvero tutti i cambiamenti strutturali (fisici) sono subordinati al vincolo prioritario del mantenimento dell’organizzazione interna. Ciò vuol dire che questi sistemi selezionano fra tutte le possibili interazioni con l’ambiente solo quelle "ammissibili", cioè quelle compatibili con la conservazione della propria autonomia. Lo schema input-output o stimolo-risposta, è dunque improprio per descrivere il comportamento di questi sistemi, perchè la risposta del sistema è sempre determinata dalla propria organizzazione operazionalmente chiusa, e mai dall’ambiente, nei confronti del quale il sistema rimane "cieco". In altre parole all’interno di questo modello l’ambiente non ha alcun potere istruttivo o in-formativo: laddove uno di questi sistemi artificiali viene lasciato interagire con un "ambiente", quest’ultimo non trasmette alcuna informazione (quindi non agisce come input), ma si limita ad avere un’azione perturbante che può o meno innescare una trasformazione, ma una trasformazione che rimane totalmente dipendente e subordinata all’organizzazione interna di quel sistema. Questo è ciò che viene chiamato "chiusura operativa". Il concetto fondamentale è che due o più sistemi autonomi in interazione reciproca sviluppano sempre una dinamica che tende a stabilizzare i sistemi coinvolti su determinati autovalori: il sistema nel suo insieme raggiunge così uno stato di coerenza interna più o meno stabile nel tempo che esprime l’adattamento dei diversi sotto-sistemi l’uno all’altro.

Partendo dal presupposto che il sistema vivente è un sistema autonomo che si realizza fisicamente grazie alla sua apertura termodinamica, Varela fa osservare che tale realizzazione è possibile perchè l’organizzazione autopoietica del vivente, selezionando il campo di interazioni in cui può entrare senza perdita di identità, implica la specificazione di un dominio cognitivo entro i cui confini vive e opera: la sua "nicchia". Questo dominio è ciò che permette e, allo stesso tempo, ciò che delimita, l’orizzonte materiale e cognitivo di ogni essere vivente, la condizione necessaria perchè il sistema vivente possa aprirsi al mondo senza esserne disciolto, assorbito o trasformato in qualcos’altro: solo se e fino a quando conserva la sua identità, infatti, un sistema può differenziarsi dal "mondo" e quindi "conoscerlo".

Gli organismi viventi sono certamente sistemi autonomi, ma l’autonomia, secondo Varela, non basta a definirli: perchè un sistema sia "vivente", esso deve realizzare la propria organizzazione nello spazio fisico, cioè deve auto-prodursi materialmente attraverso scambi energetici con il suo "ambiente". Questo "accoppiamento strutturale" con la nicchia è una condizione necessaria, insieme all’autonomia, per la realizzazione di un sistema autopoietico, e ciò che fonda e giustifica il processo di reciproco adattamento, o co-adattamento, dei due sistemi accoppiati (organismo e ambiente, soggetto e oggetto). Questo processo però, a causa della chiusura operativa, è inteso come il raggiungimento di una condizione di mutua compatibilità e non come l’adattamento del vivente ad un ambiente indipendente predefinito. L’autopoiesi quindi è il processo biologico, l’architettuta sistemica, attraverso la quale si forma la visione dualistica che distingue il sé dal non-sé , il dentro dal fuori, l’organismo e l’ambiente, creando la temporanea esistenza separata dei "fenomeni" oggettivi e soggettivi da un’originaria condizione di indistinzione.

Prendendo la cellula come unità biologica fondamentale, Varela fa osservare che l’organizzazione cellulare è tipicamente circolare (ricorsiva) e reticolare: ogni elemento all’interno di essa è interdipendente dagli altri e forma una rete di processi di produzione di componenti che costantemente rigenerano questa rete, col risultato che il prodotto dell’attività del sistema è lo stesso sistema, in un completo autoriferimento. La ricorsività dell’organizzazione cellulare, a causa della sua natura circolare autoreferente, implica la specificazione di un ambito topologico chiuso, separato dal contesto, il quale a sua volta prende forma come "ambiente". Nella sua realizzazione fisica, ciò si traduce nella specificazione di una rete ricorsiva di processi metabolici che si svolgono entro lo spazio finito della cellula, di cui la membrana non è che il limite estremo: non esiste all’interno di questa rete chiusa un luogo privilegiato che possa sottrarsi al vincolo costituito dall’appartenere a questa rete (ad esempio il genoma), nè un sottosistema che possa essere considerato propriamente causa o effetto del funzionamento di un altro.

In questa dialettica di chiusura ed apertura è racchiusa tutta la particolarità della vita: nel momento in cui una organizzazione chiusa si realizza fisicamente, acquista un senso la distinzione fra organismo e ambiente, i quali nascono propriamente insieme da questo medesimo atto di separazione. A causa della chiusura operativa, le trasformazioni fisiche dovute all’apertura strutturale vengono mantenute compatibili con l’organizzazione interna che rimane inalterata. Il grado di libertà all’interno di questi vincoli operativi consiste nel fatto che le trasformazione fisiche ammissibili modificano continuamente il sistema allargando o restringendo il campo delle interazioni possibili (ambiente, mondo), modificandone l’orizzonte cognitivo e di conseguenza il comportamento. Ma questo avviene sempre con conservazione dell’organizzazione interna: tutto ciò che non rientra in questo orizzonte cognitivo non è accessibile al sistema, o meglio, dal punto di vista del sistema non esiste affatto. L’aspetto cognitivo dell’autopoiesi consiste in questo: che la natura chiusa e circolare (autoreferenziale) della sua organizzazione circoscrive il campo delle possibili interazioni a quelle che sono compatibili con la propria conservazione, e quindi definisce il mondo nel quale può esistere.

A causa della particolarità dell’organizzazione vivente di possedere una chiusura operativa, il rapporto dell’organismo con la propria nicchia manifesta delle caratteristiche piuttosto singolari. Ad esempio, poichè in ogni momento lo stato interno del sistema vivente richiede che alcune specifiche interazioni con la propria nicchia si verifichino effettivamente, ogni passaggio di stato implica la predizione che queste condizioni vengano di nuovo soddisfatte: se la presenza di ossigeno è una condizione essenziale alla conservazione dell’autopoiesi, il sistema si comporterà come se si aspettasse che la nicchia conservi anche in futuro questa caratteristica. Dunque il comportamento dei sistemi autopoietici è tipicamente inferenziale o induttivo, nel senso che una condizione necessaria del suo operare è la predizione di quelle classi di interazioni che permettono al sistema di vivere conservando la propria identità, contribuendo, in questo modo, anche alla loro selezione o creazione. Il vivente, così, presuppone, predice e contribuisce a selezionare e modellare un ambiente con determinate caratteristiche tramandando con se stesso anche il suo "mondo".



3. Dalla cellula alle reti neurali : l’emergenza dei mondi percettivi.

Varela ha esteso questo modello al comportamento del sistema nervoso centrale (SNC), seguendo in sintesi questo ragionamento: se ogni cellula è un sistema autonomo, allora una rete di cellule come i neuroni è una rete di sistemi autonomi in interazione reciproca analoga alle reti artificiali, e ne condivide le proprietà essenziali. L’architettura reticolare, la chiusura operativa dei singoli componenti e l’accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante sono appunto le condizioni necessarie e sufficienti a generare una dinamica complessa ed un comportamento cognitivo spontaneo (cioè emergente) della rete. La creazione di senso che ne deriva, e l’adattamento reciproco della rete con le classi di perturbazioni ricorrenti (cioè l’ "ambiente del sistema", o nicchia) generato dallo stabilizzarsi di autocomportamenti, saranno entrambi il prodotto della dinamica interna della rete (cioè del SNC) in interazione con eventi aleatori perturbanti.

In altre parole, la nozione di un mondo indipendente "lì fuori" diventa superflua, perchè ciò che si costituisce come "mondo" è un prodotto della rete neurale e non una rappresentazione interna o una simulazione di un ambiente indipendente esterno, per quanto parziale e specie-specifica.

In questo la teoria di Varela si differenzia anche dall’ipotesi secondo la quale l’emergenza di significati che si osserva nei sistemi complessi è causata dall’effetto disorganizzante del "caso": dal punto di vista enattivo (parola coniata dallo stesso Varela), il fattore aleatorio che agisce come perturbazione non è mai assolutamente indipendente dal sistema (quindi mai assolutamente casuale), non perchè sia già noto, ma perchè, pur essendo privo di un significato a priori, rientra comunque nella classe delle interazioni ammesse dal sistema, e quindi rientra nel quadro delle possibilità specificate dalla sua organizzazione. Ciò che viene eliminato in questa nozione di casualità è ancora il riferimento ad un ambiente esterno completamente indipendente dal "soggetto": ciò che chiamiamo "perturbazione" non veicola alcun significato, nessuna informazione che non sia già in un certo senso anticipata dallo stesso sistema. Varela insiste su questo punto cruciale: se teniamo presente il carattere autonomo dei sistemi cognitivi naturali non è possibile sostenere una teoria della conoscenza come ricostruzione o rappresentazione internalizzata di caratteristiche del mondo esterno ottenuta attraverso una manipolazione delle informazioni provenienti da inputs ambientali selezionati. E questo anche se questa selezione avviene su criteri di adattamento e co-adattamento: anche se la struttura del sistema percettivo-cognitivo del SNC è il frutto di una storia di selezione naturale, e quindi è vincolata dal suo ambiente-contesto nelle sue trasformazioni fisiche e nelle sue effettive possibilità, rimane il fatto che il SNC opera come sistema chiuso, e quindi sia la percezione che la cognizione (la quale include il livello superiore della categorizzazione e le altre forme superiori di cognizione) sono prodotti di un’attività tutta interna al sistema nervoso e in quanto tali riflettono unicamente esigenze e logiche interne al SNC. Questo, a sua volta, è inglobato, e dunque subordinato, al sistema sopraordinato dell’intero organismo di cui deve rispettare i vincoli organizzativi: non è l’occhio e nemmeno la corteccia visiva a "vedere", ma l’intero organismo in quanto unità autonoma in accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante da esso stesso specificato.

La ricerca connessionista ha permesso di immaginare come, cioè attraverso quali processi e con quale architettura materiale, sia possibile ottenere un comportamento cognitivo senza postulare un ambiente dalle caratteristiche pre-definite. Al contrario dei sistemi di IA tradizionale, costruiti a partire da regole generali in vista di obiettivi specifici da ottenere tramite la manipolazione ( cioè il calcolo) di simboli il cui significato è deciso a monte dal programmatore (da cui la definizione di approccio computazionale o di calcolo simbolico), nei sistemi connessionisti, date alcune regole locali o contestuali, un certo numero di componenti semplici vengono messi in rete (in parallelo) e lasciati interagire liberamente: dopo un certo tempo, lo stato caotico della rete lascia il posto a configurazioni coerenti, forme e funzioni emergenti che corrispondono agli attrattori della rete: è la stessa rete che produce i suoi significati, senza alcun intervento istruttivo esterno.

Il livello semantico-rappresentativo che per il cognitivista è racchiuso nel simbolo, per il connessionista è emergente dall’attività cooperativa di un vasto insieme di componenti semplici, sub-simboliche, di per sé insignificanti. Nei sistemi di riconoscimento delle immagini, ad esempio, che simulano l’apprendimento visivo dal punto di vista del connessionismo, una rete neurale artificiale viene messa in contatto con una serie di schemi lasciando che il sistema si riorganizzi autonomamente dopo l’esposizione ad ognuno di essi: dopo una prima fase di "apprendimento", il sistema impara a "riconoscere" immediatamente ogni schema, nel senso che in corrispondenza di ognuno di essi accede ad uno stato globale caratteristico, e questo anche in presenza di parziale mutilazione dello schema o in condizioni disturbate. Ognuno di questi stati globali identifica o "significa" un particolare schema che il sistema ha imparato a conoscere e riconoscere attraverso processi di auto-organizzazione completamente interni al sistema. Questa conoscenza, dunque, non consiste in una rappresentazione dell’oggetto resa possibile dall’elaborazione (computazionale) delle informazioni provenienti dall’esterno, ma piuttosto consiste in una autoproduzione di significati che non hanno un diretto riferimento con l’oggetto conosciuto, ma esprimono la reazione (cambiamento di stato) del sistema perturbato all’evento perturbante; reazione che un osservatore (e non il sistema in quanto tale) può interpretare come conoscenza dell’oggetto, mettendo i due elementi in una relazione causale.

In questo modo i sistemi connessionisti hanno rivelato molte capacità, che non esiteremmo a definire cognitive, prescindendo completamente dal tradizionale approccio computazionale-cognitivista.

Naturalmente questo vale per l’intera classe dei sistemi autonomi, ma ciò assume un carattere particolare quando il nostro oggetto diventa quella sotto-classe che abbiamo definito autopoietica o biologica: qui i sistemi autonomi (naturali o artificiali) hanno la caratteristica di possedere una apertura strutturale che li espone continuamente ad una fonte di perturbazioni "aggiuntiva" e li costringe ad operare in un contesto vincolante. Di conseguenza questi sistemi sono tipicamente instabili, nel senso che per mantenere la loro coerenza interna ed integrità fisica devono sottoporsi a continue trasformazioni, ovvero a continui passaggi da stati caotici a stati ordinati attraverso disorganizzazioni e riorganizzazioni interne. Il SNC opera secondo questa logica di chiusura operativa ed è quindi in costante trasformazione strutturale, il che si traduce in un continuo processo di disorganizzazioni innescate da perturbazioni aleatorie e di riorganizzazioni tendenti a ricostruire stati di coerenza e di equilibrio interno. Ma l’ambiente perturbante del SNC non è solo ciò che un osservatore potrebbe chiamare "ambiente esterno", ma è anche l’ "ambiente interno" all’organismo in cui è inglobato, quindi il SNC non discrimina fra perturbazioni provenienti dall’esterno e quelle provenienti dall’interno: dalla sua prospettiva operazionalmente chiusa esistono solo perturbazioni disorganizzanti a cui rispondere adeguatamente, e nel processo di riorganizzazione sarà coinvolta l’intera rete neurale e non solo una parte circoscritta o "area" collegata a questa o quell’altra funzione. Questo spiega tra l’altro la resilienza del SNC, cioè la capacità di ogni parte del sistema di assumersi le funzioni di un’altra parte che per qualsiasi motivo risulti deficitaria o compromessa. E spiega anche il perché in qualsiasi atto cognitivo siano coinvolte in maggiore o minore misura tutte le altre funzioni, e non esistano "compartimenti stagni" totalmente autonomi. I comportamenti del SNC sono dunque sempre auto-comportamenti perchè rispondono ad una logica autoreferenziale complessa che non ha come scopo quello di conoscere il mondo esterno, ma quello di conservare la propria organizzazione, o identità. Nonostante ciò non si può neanche affermare che il SNC sia un sistema indipendente, un soggetto assoluto che inventa il suo mondo. Infatti, a causa della sua apertura strutturale, l’emergenza di autovalori o di significati dalla rete neurale è vincolata (anche se non determinata) dalle fonti di perturbazioni ricorrenti (o ambiente) con cui il sistema è in accoppiamento strutturale.

Il "mondo", inteso come insieme relativamente stabile di configurazioni emergenti ricorrenti (insieme virtuale di micro-mondi), non è un’invenzione della mente, un mondo arbitrario, perchè questa mente (a sua volta insieme virtuale di micro-identità) è un fenomeno emergente dal corpo, è una mente incorpata, e quindi sottosta agli stessi vincoli cui il corpo è sottoposto nella sua storia di accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante. Il punto sta nel comprendere che ciò che si costituisce come ambiente è a sua volta determinato dalla struttura del sistema e quindi non può essere considerato indipendente e normativo per l’attività cognitiva: mente e mondo sono inclusi l’uno nell’altra, si specificano l’un l’altra in una relazione circolare mai conclusa, impermanente.

In un’opera fondamentale, scritta in collaborazione con E.Rosch ed Evan Thompson, The embodied mind, Varela esamina in maniera approfondita il funzionamento del cervello ed alcune modalità percettive fondamentali come le funzioni visive e la percezione del colore, nel tentativo di dimostrare che il cervello non opera come un elaboratore di informazioni provenienti dal mondo esterno e non ha come scopo la conoscenza di questo mondo, ma piuttosto può essere descritto come quel sotto-sistema in grado di potenziare in maniera consistente la capacità dell’individuo di mantenere stabili le proprie condizioni di co-adattamento attraverso un comportamento "orientato". La particolarità del cervello animale, secondo questo punto di vista, consiste nel potenziamento di quel tipo di neuroni, gli interneuroni, che fanno opera di collegamento fra il sistema sensorio (con la sua rete di neuroni sensori) e quello motorio (con la sua rete di motoneuroni), permettendo quella dinamica reciprocamente retroattiva fra sensorio e motorio che permette all’azione di essere guidata percettivamente: l’attività sensoria si dirige (cioè si rende disponibile, si "apre") verso aspetti rilevanti del suo ambiente determinando l’azione motoria; questa, a sua volta, provoca una riorganizzazione del sistema motorio in seguito agli effetti perturbatori cui viene sottoposto, con la conseguenza che anche il sistema sensorio ne viene modificato a causa dell’accoppiamento dei due sistemi attraverso sotto-reti interconnesse. Ciò permette al sistema motorio di retroagire sulle sue stesse condizioni percettive, modificandole in funzione degli effetti dell’attività motoria. In ciò consiste quella relazione circolare fra sensorio e motorio che fa si che la percezione sia inscindibile dall’azione, e viceversa che l’azione sia guidata dalla percezione. Su questa ipotesi si basa anche un settore specifico della ricerca sulla vita artificiale, i cui risultati, come ad esempio le "creature" di R.Brooks create in un laboratorio del MIT, sembrano confermare questo modello di cognizione come attività emergente da sottoreti interconnesse di attività senso-motoria.

Sul modello delle reti connessioniste, l’attività percettiva può essere descritta come una complessa dinamica in cui schemi senso-motori continuamente emergono e si selezionano reciprocamente rendendo possibile la stabilizzazione di regolarità che si sedimentano fino a formare un "know -how" incorpato, la cui apparente stabilità riflette la capacità del sistema nervoso di mantenere su valori relativamente stabili le condizioni di co-adattamento indispensabili alla sua conservazione, processo che crea l’illusione di una "visione del mondo" solida e "reale".

Questo processo di produzione continua di configurazioni neurali emergenti può essere visto come un’attività ermeneutica a carattere intenzionale: la forma fisica (corporea) dell’apparato percettivo, storicamente determinato, propone un’interpretazione del mondo attraverso la specificazione di un campo di interazioni possibili, non ancora attuali. Il soggetto entra nel dominio di interazioni permesso dal proprio stato interno usando e manipolando gli oggetti attraverso il suo corpo e le sue capacità percettive incorpate, e continua questa esplorazione entro i limiti del possibile, cambiando continuamente il proprio campo di azione in conseguenza delle trasformazioni interne al SNC. Questa anticipazione rispetto alla costituzione del mondo (percettivo) è sempre un riferirsi a qualcosa che ancora non c’è, è una predizione rispetto a ciò che può essere, e questa predizione ha la forma di modelli interpretativi emergenti che vengono costantemente confrontati e modificati attraverso azioni guidate percettivamente. Questo "confronto", va sottolineato, non ha nulla a che fare con la teoria della conoscenza per "prova ed errori": questa infatti viene intesa come un processo di ottimizzazione della conoscenza di un mondo "oggettivo" indipendente attraverso la tesaurizzazione dell’esperienza dell’errore, mentre invece l’ambiente verso il quale l’esplorazione percettiva si dirige si presenta come un orizzonte indefinito ed indeterminato di possibilità che prende una forma (significato) solo a posteriori, costruendosi in seguito a questa attività percetto-motoria. Il fine di questo processo cognitivo non è quello di raggiungere una visione sempre meno parziale di un’unica realtà, ma di produrre mondi che siano vitali, cioè che riflettano le condizioni di coadattamento che permettono la conservazione della vita. Poiché queste condizioni, per ogni essere vivente, dipendono da una storia evolutiva propria di ogni specie e di ogni singolo individuo, il "mondo" percepito che così viene ad emergere non è arbitrario, come abbiamo visto, ma non è neanche assoluto, dal momento che riflette solo una delle molte traiettorie evolutive possibili, né definitivo, perché dipendente da una struttura corporea "aperta" e in continua trasformazione. Ciò che emerge da questa attività costruttiva (o produttiva) che prende forma "strada facendo", non è, pertanto, la formazione di prospettive diverse sul mondo , ma veri e propri "mondi" differenti, condivisi in maggiore o minore misura a seconda del grado di condivisione di una storia di co-adattamento. Nel linguaggio del Dharma, potremmo tradurre questi mondi percettivi con le diverse visioni karmiche appartenenti alle varie classi di esseri senzienti.



4. Micro-mondi e micro-identità: la genesi del reale virtuale.

A partire dai processi più elementari della percezione, Varela definisce la cognizione come un’attività ermeneutica e creativa resa possibile dal carattere intrinsecamente intenzionale (predittivo) dell’attività autonoma ed auto-organizzata delle sottoreti neurali senso-motorie interconnesse, la cui struttura, storicamente determinata da vincoli di accoppiamento (ontogenetico e filogenetico) con un ambiente eco-socio-culturale, specifica di volta in volta il dominio cognitivo del sistema, cioè il suo "mondo". Entrare in un particolare dominio di interazioni significa esporre l’attività senso-motoria a possibili perturbazioni che, innescando trasformazioni interne al sistema nervoso, possono provocare l’emergenza di nuove configurazioni relativamente stabili di attività neurale, corrispondenti alla produzione di nuovi "mondi", forme, concetti, significativi non-arbitrari. Ad ognuna di queste configurazioni neurali corrisponde allo stesso tempo una micro-identità" e un "micro-mondo" che, sebbene siano resi stabili da una storia di accoppiamento che produce regolarità, non hanno alcun fondamento oggettivo né in un Sé permanente né in una realtà esterna indipendente. Il mondo "oggettivo" che così si viene a formare, insieme al suo correlato soggettivo di "persona", sono in-fondati; la loro natura è virtuale, la loro emergenza non-necessaria: quello che nel Dharma viene chiamata la natura vacua del Sé e dei fenomeni, che non significa "non esistenza" ma piuttosto esistenza relativa, interdipendente e impermanente. La vera natura delle cose, infatti, secondo il Dharma, non rientra né nella categoria dell’essere né nella categoria del non-essere, né in quello di esistenza, né in quello di non-esistenza.

L’impressione di stabilità che il soggetto sperimenta rispetto a se stesso e al suo mondo di esperienza è solo apparente, anche se giustificata, e dipende dal fatto che ognuno di noi considera la propria condizione a partire da un certo punto, ignorando la strada percorsa nel suo sviluppo onto e filogenetico, lungo la quale una serie di regolarità ricorrenti si è stabilizzata ed incorpata nel tempo formando il cosiddetto "senso comune". Quest’ultimo non è altro che un bagaglio di micro-mondi e micro-identità che il sistema cognitivo ha memorizzato, seguendo un percorso analogo all’apprendimento dei modelli connessionisti di riconoscimento, e che emerge spontaneamente e prontamente ogniqualvolta il soggetto si trova in una situazione nota analoga a quelle che hanno innescato quel tipo di emergenza.

L’infondatezza che si cela dietro l’apparente stabilità del mondo e del Sé, non implica, dunque, che questi ultimi siano irreali: il mondo "oggettivo" ha una realtà relativa perché dietro la sua solida superficie cela una storia di accoppiamento non-necessaria che l’ha generato; allo stesso modo la forma di soggettività di cui abbiamo personalmente esperienza, l’Io coscienziale, è il risultato di un continuo farsi storico che non ha i caratteri della necessità, ma che tuttavia trova una sua ragion d’essere proprio per il fatto di essere il risultato di una storia possibile.

Ora, poiché, come abbiamo visto, conoscere significa agire in maniera pertinente ad un contesto rilevante (e non significa rappresentare un mondo predefinito), la cognizione si trova immancabilmente coinvolta nel processo di costruzione di un mondo significativo: la realtà "oggettiva", il mondo che a noi sembra avere una vita autonoma ed indipendente dalla mente, in realtà dipende strettamente dalla cognizione intesa come azione incarnata. Di qui il carattere intrinsecamente fattuale ed etico della cognizione.

In accordo con un insegnamento fondamentale della tradizione buddhista, Varela considera questa consapevolezza della natura virtuale del mondo come del Sé, il fondamento di ogni etica. Solo questa consapevolezza, infatti, può far apprezzare la natura interconnessa ed interdipendente di ciò che siamo e del mondo in cui viviamo: l’azione progressivamente cessa di essere diretta verso un Io sostanziale da proteggere ed alimentare, e si orienta spontaneamente verso l’ altro, non più inteso come un alter ego sostanziale, ma sentito come parte di sé, cioè come un elemento che partecipa della stessa realtà vacua ed interdipendente cui anche noi partecipiamo. La scoperta dell’infondatezza del Sé e del suo mondo di esperienza, della sua natura disunita e transitoria, storica e contestuale, non genera quindi una sensazione di vuoto e non prelude ad una deriva nichilistica de-responsabilizzante del comportamento, ma al contrario apre le porte ad un’esperienza di compartecipazione che rende l’agire più responsabile (perchè consapevole del proprio ruolo creativo nella generazione del reale) ed eticamente orientata (perché conscio della propria appartenenza ad un sistema transpersonale che l’ha generato e che contribuisce a conservare).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.
Atlan H. (1979)-Tra il cristallo e il fumo. Saggio sull’organizzazione del vivente ,Hopeful Monster, Firenze, 1986
Atlan H. (1985)-Complessità, disordine e autocreazione del significato, in: Bocchi G.,Ceruti
M. Ceruti, a cura di, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano,1995, pp.158-178

Brooks R.(1987)-Intelligence without representation, MIT Artificial Intelligence Report

Gardner H.(1985)-La nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva, Feltrinelli, Milano, 1994

Johnson M.(1989)-The body in the mind: the bodily basis of imagination, reason and meaning, University of Chicago Press, Chicago-London

Lakoff G.(1987)-Women, Fire and others dangerous things: what categories reveal about the mind, University of Chicago Press, Chicago-London

Maturana H.-L’illusione della percezione ovvero la chiusura operativa del sistema nervoso, La Nuova Critica, Serie: La vita e la scienza, 2, Quaderno 64, Alfamedia, Roma

Maturana H.,Varela F.(1980)-Autopoiesi e Cognizione, Marsilio Editori, Padova, 1985

Maturana H., Varela F.(1985)-L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano, 1987

Morin E.(1986) -La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1993

Prigogine I., Stengers I.(1979)-La nuova alleanza, Einaudi, Torino, 1981

Varela F.(1979)-Principles of biological autonomy, North Holland, New York

Varela F.(1988)-Structural coupling and the origin of meaning in a simple cellular automata, in: Secarz E.,Celada F.,Mitchinson N.A.,Tada T, a cura di, The semiotics of cellular communications in the immune system, Springer Verlag, New York

Varela F.(1989)-Scienza e tecnologia della cognizione. Direzioni emergenti, Hopeful Monster, Firenze

Varela F. (1992)-Un know-how per l’etica , Fondazione Sigma-Tau, Laterza, Bari

Varela F., Maturana H., Uribe R. (1974)-Autopoiesi: una caratterizzazione ed un modello dell’organizzazione dei sistemi viventi, La Nuova Critica, Quad.64, 2, Alfamedia, Roma

Varela F., Thompson E., Rosch E.(1991)-La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, Milano

Vattimo G.(1985)-Fine della modernità, Garzanti, Milano

http://www.buddhismo-occidente.it/varela.htm



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 18:21 
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MaxpoweR ha scritto:
Perché ci deve essere per forza una volontà conscia nella creazione delle cellula? E non può essere il frutto di una serie di eventi casuali? la probabilità che si assembli è una su 1 su 400 ma quanti miliardi di miliardi di atomi ci sono in un oceano e quanti miliardi di miliardi di molecole e di interazioni ogni millesimo di secondo si verificano? Per quale motivo la cellula deve essere comparsa bella e pronta?

Sono presenti perfino sui meteoriti, quindi questo creatore li ha depositati anche lì con la speranza che impattassero contro un pianeta che li depositasse? Non era più INTELLIGENTE creare tutto bello e pronto o quanto meno depositare tutto direttamente in situ? :)

Quali sono le risposte a queste domande?


Scusa, ma hai una vaga idea di quello che stai dicendo? Oppure stai applicando anche tu il principio delle mutazioni casuali alle tue domande?



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 18:23 
Sintropia: una terza via nel dibattito sull’evoluzione
http://antidarwin.wordpress.com/2010/02 ... voluzione/


Le varie teorie evoluzionistiche con cui, da Lamarck e Darwin in poi, si è cercato di spiegare l’origine delle specie offrono un esempio tipico delle difficoltà incontrate nel voler spiegare i sistemi viventi ricorrendo alla causalità classica (causalità efficiente o causalità meccanica). La teoria mendeliana era riuscita a provocare, cioè causare, la formazione di varietà diverse di organismi viventi e Darwin ritenne quindi naturale estendere questa possibilità all’origine delle specie eliminando in questo modo dalla spiegazione della vita ogni considerazione “metafisica” e, in particolare, ogni principio di finalità.

La spiegazione di Darwin si basa su tre ordini di fatti, la variabilità delle forme viventi, la lotta per l’esistenza tra i vari organismi e la lunga durata della vita sulla Terra.

Luigi Fantappiè, uno dei maggiori matematici del secolo scorso, fece però notare che:

- Darwin attribuiva la variabilità delle forme viventi al caso, intendendo per caso una quantità di «piccole cause» che sfuggono all’indagine diretta. Il calcolo delle probabilità applicato alla formazione spontanea della più piccola molecola di proteina, porta ad una probabilità inferiore a 1/1060. La probabilità che si possa formare un organo complesso come l’occhio o un qualsiasi organo costituito da milioni di molecole è di gran lunga inferiore, per non parlare addirittura di un essere vivente completo.

- Per quanto riguarda la durata della vita sulla Terra il calcolo delle probabilità appena riportato prova che tale durata, per quanto lunga, è sempre insufficiente per spiegare la formazione non già di un essere vivente o di un suo apparato, ma anche di una sola molecola di proteina. Tenendo conto di tutto l’universo finora conosciuto e della sua massima verosimile durata, la probabilità di formazione della più piccola molecola di proteine, per effetto del caso, è praticamente nulla.

- Per quanto riguarda l’altro fattore essenziale, su cui si basa la teoria di Darwin, e cioè il principio della selezione naturale, non avrebbe mai potuto entrare in gioco, per mancanza della materia prima su cui agire, e cioè per mancanza di esseri viventi e di un loro numero sufficientemente diversificato in grado di dare forma alla lotta per l’esistenza.

Fantappiè ricorda, inoltre, che le teorie che cercano di spiegare la formazione delle specie viventi mediante la sola “causalità efficiente” si scontrano con la legge dell’entropia che tende a distruggere, livellare, qualsiasi forma di differenziazione e ordine, tendenza opposta all’aumento della differenziazione che si osserva nei sistemi viventi.

- La legge della sintropia

Nei giorni antecedenti il Natale 1941 Fantappiè, in seguito ad alcune discussioni con due colleghi, uno biologo e uno fisico, vide improvvisamente la possibilità di interpretare opportunamente una immensa categoria di soluzioni (i cosiddetti “potenziali anticipati”) delle equazioni (ondulatorie), che rappresentano le leggi fondamentali dell’Universo.

Le equazioni ondulatorie nascono dall’unione della funzione d’onda (#968;) di Schrödinger con l’equazione energia/momento/massa della relatività ristretta di Einstein:

Relatività ristretta

Funzione d’onda relativizzata

La funzione d’onda relativizzata dipende da una radice quadrata e ha perciò sempre una duplice soluzione: una positiva, che descrive onde che divergono dal passato verso il futuro (causalità), e una negativa, che descrive onde che divergono a ritroso nel tempo, dal futuro verso il passato (retrocausalità).

Nel luglio del 1942 Luigi Fantappiè presentò presso la Pontificia Accademia delle Scienze i “Principi di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico fondata sulla meccanica ondulatoria e relativistica” in cui mostrava che le onde ritardate (onde divergenti), le cui cause sono poste nel passato, corrispondono ai fenomeni chimici e fisici soggetti al principio dell’entropia, mente le onde anticipate (onde convergenti), le cui cause sono poste nel futuro, corrispondono ad una nuova categoria di fenomeni soggetti ad un principio simmetrico a quello dell’entropia, principio che Fantappiè stesso denominò sintropia. Analizzando le proprietà matematiche delle onde anticipate Fantappiè giunse alla conclusione che queste coincidono con le qualità dei sistemi viventi: finalità, differenziazione, ordine e organizzazione.

- Le qualità distintive della legge dell’entropia e della legge della sintropia

Il secondo principio della termodinamica afferma che in ogni trasformazione di energia (ad esempio trasformando il calore in lavoro), una parte di energia si libera nell’ambiente. L’entropia è la grandezza con cui si misura la quantità di energia che si è liberata nell’ambiente. Quando l’energia liberata è distribuita in modo uniforme (ad esempio non vi sono più variazioni di calore), si raggiunge uno stato di equilibrio e non è più possibile trasformare l’energia in lavoro. L’entropia misura quanto un sistema sia vicino allo stato di equilibrio e quale sia quindi il grado di disordine del sistema stesso. I fenomeni entropici presentano quindi le seguenti caratteristiche principali:

1) causalità: le onde divergenti non potrebbero esistere in assenza della causa che le ha generate;

2) tendenza all’omogeneità o principio dell’entropia: i fenomeni entropici tendono ad un livellamento generale, nel senso che procedono dal differenziato verso l’omogeneo, dal complesso verso il semplice. Con il passare del tempo cresce sempre più l’omogeneità e l’uniformità del sistema, ossia l’entropia del sistema stesso. L’entropia, come espressa dal secondo principio della termodinamica è, quindi, una caratteristica tipica delle onde divergenti.

Le qualità distintive dei fenomeni sintropici sono invece:

1) l’entropia diminuisce;

2) i fenomeni sintropici sono di tipo antidispersivo e attrattivo, perché l’intensità delle onde convergenti, col passare del tempo, si concentra in spazi sempre più piccoli, con conseguente concentrazione di materia ed energia;

3) nei fenomeni sintropici abbiamo uno scambio materiale ed energetico. Infatti, in questi fenomeni si presenta un costante aumento di concentrazione materiale ed energetica. Tuttavia, siccome questa concentrazione non può aumentare indefinitamente, si osservano fenomeni entropici che compensano quelli sintropici e, di conseguenza, uno scambio di materia e di energia con l’ambiente esterno;

4) i fenomeni sintropici sono generati da “cause finali”, attrattori, che assorbono le onde convergenti. Queste “cause finali” sono strettamente connesse all’esistenza stessa del fenomeno: in questo modo è possibile introdurre il concetto di un “finalismo scientifico”, dove la parola finalismo è analoga a “causa finale”.

- La lotta della vita contro l’entropia

E’ importante ricordare che nel macrocosmo, come conseguenza del fatto che l’universo è in espansione, la legge dell’entropia prevale obbligando il tempo a fluire dal passato verso il futuro (Eddington, 1927) e le cause ad essere di tipo classico (causaèeffetto). Al contrario, nel microcosmo le forze espansive (entropia) e coesive (sintropia) sono in equilibrio; il tempo fluisce perciò in entrambi i versi (tempo unitario) e le cause sono simmetriche (causaèeffettoçcausa), la famosa Übercausalität di Einstein, o supercausalità, dando così origine a processi di tipo sintropico.

La legge dell’entropia implica che i sistemi possano evolvere solo verso il disordine e la disorganizzazione; per questo motivo numerosi biologi (Monod, 1974) sono giunti alla conclusione che le proprietà della vita non possono originare dalle leggi del macrocosmo in quanto queste, governate dall’entropia, prevedono l’evoluzione del sistema unicamente nella direzione della morte termica e dell’annullamento di ogni forma di organizzazione e ordine, negando in questo modo la possibilità stessa della vita. La supercausalità ed in modo particolare la sintropia, che governano il microcosmo, implicano invece le proprietà di ordine, organizzazione e crescita tipiche dei sistemi viventi.

Fantappiè ipotizza perciò che la vita origina al livello della meccanica quantistica, livello nel quale entropia e sintropia sono bilanciate e possono aver luogo processi sintropici. Ma, non appena cresce al di là del livello del microcosmo entra in conflitto con la legge dell’entropia, che domina nel macrocosmo e tende a distruggere ogni forma di organizzazione e di struttura. Inizia così il conflitto con la legge dell’entropia e la “lotta” per la sopravvivenza.

Il conflitto tra la vita e l’entropia è ben documentato ed è continuamente dibattuto da biologi e fisici. Schrödinger, rispondendo alla domanda su che cosa permetta alla vita di contrastare l’entropia, rispondeva che la vita si alimenta di entropia negativa (Schrödinger, 1988). Alla stessa conclusione giunse Albert Szent-Györgyi quando utilizzò il termine sintropia al fine di descrivere le qualità di entropia negativa come proprietà fondamentali dei sistemi viventi (Szent-Györgyi, 1977). Albert Szent-Gyorgyi affermava che “è impossibile spiegare le qualità di organizzazione e di ordine dei sistemi viventi partendo dalle leggi entropiche del macrocosmo”. Questo è uno dei paradossi della biologia moderna: le proprietà dei sistemi viventi si contrappongono alla legge dell’entropia che governa il macrocosmo.

L’ipotesi di un conflitto fondamentale tra vita (sintropia) e ambiente (entropia) porta alla conclusione che i sistemi viventi devono soddisfare alcune condizioni vitali come, ad esempio, acquisire sintropia dal microcosmo e combattere gli effetti dissipativi e distruttivi dell’entropia.

Al fine di combattere gli effetti dissipativi dell’entropia, i sistemi viventi devono, secondo questo modello, acquisire energia dal mondo esterno, proteggersi dagli effetti dissipativi dell’entropia ed eliminare i residui della distruzione delle strutture ad opera dell’entropia. Queste condizioni sono generalmente indicate come bisogni materiali o bisogni primari ed includono:

- contrastare gli effetti dissipativi dell’entropia, ad esempio: acquisire energia dal mondo esterno tramite il cibo; ridurre la dissipazione di energia con un rifugio (una casa) e il vestiario.

- contrastare la continua produzione di scarti, ad esempio: condizioni igieniche e sanitarie e l’eliminazione dei rifiuti.

Soddisfare i bisogni materiali non impedisce però all’entropia di distruggere le strutture del sistema vivente. Ad esempio, le cellule vengono distrutte e devono essere rimpiazzate. Per riparare i danni causati dall’entropia, il sistema vivente deve attingere alla sintropia che consente di creare ordine, strutture e organizzazione e di contrapporsi agli effetti distruttivi dell’entropia.

Ad esempio, il metabolismo si distingue in:

processi sintropici: anabolismo che comprende tutto l’insieme dei processi di sintesi o bioformazione (io direi biosintesi) delle molecole organiche (biomolecole) più complesse da quelle più semplici o dalle sostanze nutritive;

processi entropici: catabolismo che comprende i processi che hanno come prodotti sostanze strutturalmente più semplici e povere di energia, liberando quella in eccesso sotto forma di energia chimica (ATP) ed energia termica.
- Emozioni, attrattori ed evoluzione

Fantappiè ipotizza l’esistenza di strutture deputate ad alimentare di sintropia i processi vitali e rigenerativi dell’organismo. Negli esseri umani il sistema nervoso autonomo (SNA) svolgerebbe tale funzione e dovrebbe quindi mostrare comportamenti di anticipazione.

A conferma di questa ipotesi, nella letteratura scientifica, è possibile rinvenire una serie di studi che mostrano l’esistenza di reazioni anticipate pre-stimolo nei parametri psicofisiologici del SNA. Questi lavori utilizzano sequenze impredicibili di stimoli, cioè sequenze casuali pure, che nessun processo cognitivo può per definizione essere in grado di predire, nonostante ciò si osserva che la frequenza cardiaca e la conduttanza cutanea reagiscono in anticipo alla presentazione di stimoli a contenuto emozionale. Questi risultati portano a concludere che le emozioni sembrerebbero veicolare informazioni a ritroso, dal futuro verso il passato.

In base a queste considerazioni Chris King afferma che le strutture biologiche sarebbero sempre sollecitate da informazioni provenienti dal futuro, nella forma di emozioni, e informazioni provenienti dal passato, nella forma di apprendimenti. In ogni momento il sistema vivente sarebbe perciò obbligato ad operare scelte e l’esito di tali scelte sarebbe imprevedibile. A causa di questi processi costanti di scelta, a livello macroscopico, i sistemi biologici presenterebbero costantemente caratteristiche caotiche.

Nel 1963 il meteorologo E. Lorenz scoprì l’esistenza di sistemi caotici sensibili, in ogni punto del loro moto, a piccole variazioni. Ad esempio, studiando al computer un semplice modello matematico dei fenomeni meteorologici, si accorse che con una piccola variazione delle condizioni iniziali si produceva uno “stato caotico” che si amplificava e che rendeva impossibile ogni previsione. Analizzando questo sistema che si comportava in modo così imprevedibile, Lorenz scoprì l’esistenza di un attrattore che venne poi chiamato “attrattore caotico di Lorenz”: questo attrattore porta le perturbazioni microscopiche ad essere enormemente amplificate e ad interferire con il comportamento macroscopico del sistema. Lorenz stesso descrisse questa situazione con la celebre frase: “il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia può provocare un uragano negli Stati Uniti”.

I lavori di Lorenz segnarono la nascita della scienza del caos, dedicata allo studio degli attrattori (che hanno le loro cause collocate nel futuro). E’ da sottolineare che i sistemi entropici tendono sempre al disordine, in quanto sono per definizione disgregativi e dissipativi; al contrario, i fenomeni sintropici tendono all’ordine in quanto attratti da una causa posta nel futuro che li “attira” verso una crescente complessità e organizzazione: ciò, però, viene da noi percepito come caos in quanto non siamo in grado di osservare direttamente l’attrattore posto nel futuro che determina l’evoluzione di tali sistemi.

Inserendo nei sistemi “caotici” degli attrattori (sintropia) si generano, come mostrato da Mandelbrot, figure complesse e allo stesso tempo ordinate note come frattali. La geometria frattale sta affascinando molti ricercatori a causa della similarità che alcune di queste figure hanno con l’organizzazione dei sistemi viventi. Infatti, in natura moltissime strutture richiamano la geometria frattale: il profilo delle foglie, lo sviluppo dei coralli, la forma del cervello e le diramazioni dendritiche (Fig.1).


Fig. 1 – Immagini tratte dal sito: http://fractalarts.com/. E’ notevole la somiglianza di queste immagini frattali con le strutture cerebrali.

E’ straordinaria la quantità di strutture frattali osservabili all’interno del corpo umano, ad esempio:

le arterie e le vene coronariche presentano ramificazioni di tipo frattale. I vasi principali si ramificano in una serie di vasi più piccoli che, a loro volta, si ramificano in vasi di calibro ancora più ridotto. Sembra, inoltre, che queste strutture frattali abbiano un ruolo vitale nella meccanica della contrazione e nella conduzione dello stimolo elettrico eccitatorio: l’analisi spettrale della frequenza cardiaca mostra che il battito normale è caratterizzato da un ampio spettro che ricorda una situazione caotica;

anche i neuroni presentano strutture simili ai frattali: se si esaminano a basso ingrandimento si possono osservare ramificazioni asimmetriche (i dendriti) connesse con i corpi cellulari, a ingrandimento leggermente superiore si osservano ramificazioni più piccole a partire da quelle più grandi e così via;
le vie aeree polmonari ricordano i frattali. Bronchi e bronchioli formano un albero con ramificazioni multiple, la cui configurazione si presenta simile sia ad alto che a basso ingrandimento. Misurando i diametri dei diversi ordini di ramificazione, si è appurato che l’albero bronchiale può essere descritto con la geometria frattale.
Queste osservazioni hanno portato ad ipotizzare che l’organizzazione e l’evoluzione dei sistemi viventi (tessuti, sistema nervoso, ecc.) possa essere guidata da una serie di attrattori, in modo analogo a quanto avviene nella geometria frattale.

- In conclusione

Studiando i pazienti neurologici colpiti da deficit nell’attività decisoria, il neurobiologo Antonio Damasio ha scoperto che in assenza di emozioni le persone sviluppano una sorta di miopia verso il futuro caratterizzata dall’incapacità di effettuare scelte vantaggiose e dall’assenza di preoccupazione per il proprio futuro, l’incapacità di pianificare il proprio futuro, l’incapacità di fare un programma efficace anche per le ore a venire, la confusione rispetto alle priorità, l’assenza di intuizione e l’assenza di alcun segno di preveggenza.

Secondo Fantappiè ciò che distingue la vita dalla non vita è la presenza, negli esseri viventi, di attrattori. Fantappiè sottolinea che l’attrazione verso un fine è sentita come «amore»: “Oggi vediamo stampate nel gran libro della natura – che, diceva Galilei, è scritto in caratteri matematici – le stesse leggi di amore che si ritrovano nei testi sacri delle principali religioni. […] la legge della vita non è dunque la legge delle cause meccaniche, questa è la legge dell’entropia, della non vita, è la legge della morte; la vera legge che domina la vita è la legge dei fini, e cioè la legge della collaborazione per fini sempre più elevati, e questo anche per gli esseri inferiori. Per l’uomo è poi la legge dell’amore, per l’uomo vivere è, in sostanza, amare, ed è da osservare che questi nuovi risultati scientifici possono avere grandi conseguenze su tutti i piani, in particolare anche sul piano sociale, oggi tanto travagliato e confuso. […] La legge della vita è dunque legge d’amore e di differenziazione, non va verso il livellamento, ma verso una diversificazione sempre più spinta. Ogni essere vivente, modesto o illustre, ha i suoi compiti e i suoi fini che, nell’economia generale dell’universo, sono sempre pregevoli, importanti, grandi.”

L’ipotesi che nasce dalla legge della sintropia è che la vita e la sua evoluzione siano guidate dalle emozioni. Le emozioni, oltre ad alimentare il sistema vivente di sintropia, opererebbero come ponte verso il futuro, collegando la vita ai suoi attrattori, dando così forma a strutture frattali, strutture complesse, progetti che vengono mantenuti se utili nella lotta contro l’entropia.

La legge della sintropia apre in questo modo una terza via nel dibattito sull’evoluzione in cui l’entropia (causalità e caso) interagisce con la sintropia (finalismo e necessità) producendo processi di organizzazione verso forme sempre più complesse, organizzate ed evolute.

Questa terza via può riconciliare scienza e religione, materialismo e spiritualità, mente e cuore, riconoscendo a tutte il loro ruolo e la loro importanza.



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Knukle ha scritto:

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Thethirdeye ha scritto:
Mah... sinceramente non comprendo questo tuo ragionamento [:D] La Verità scientifica, come la chiami tu (con la "V" maiuscola), non deve di certo piegarsi alla "superstizione". Ma semmai dovrebbe inglobare valori morali o etici per far sì che NON sia la Scienza stessa ad autoproclamarsi come una "religione" o una "dottrina fideistica".



Non lo credo TTE. La scienza deve essere scienza, priva di qualsiasi spiegazione morale o filosofica. Se scopro, che ne so, che la Terra è fatta di marzapane e lo dimostro, devo pure trovare una spiegazione morale per giustificare la mia scoperta? Assolutamente no. La Terra è fatta di marzapane, punto. Verità nuda e cruda che non implica alcuna morale dietro di se. E sai perché? proprio perché la scienza non è una fede e non deve spiegare agli uomini come vivere! semmai, deve autare loro a capire il mondo dove vivono.

La odiate proprio sta povera scienza eh?


AMEN!

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zakmck ha scritto:

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MaxpoweR ha scritto:
Perché ci deve essere per forza una volontà conscia nella creazione delle cellula? E non può essere il frutto di una serie di eventi casuali? la probabilità che si assembli è una su 1 su 400 ma quanti miliardi di miliardi di atomi ci sono in un oceano e quanti miliardi di miliardi di molecole e di interazioni ogni millesimo di secondo si verificano? Per quale motivo la cellula deve essere comparsa bella e pronta?

Sono presenti perfino sui meteoriti, quindi questo creatore li ha depositati anche lì con la speranza che impattassero contro un pianeta che li depositasse? Non era più INTELLIGENTE creare tutto bello e pronto o quanto meno depositare tutto direttamente in situ? :)

Quali sono le risposte a queste domande?


Scusa, ma hai una vaga idea di quello che stai dicendo? Oppure stai applicando anche tu il principio delle mutazioni casuali alle tue domande?




No mi chiedo in che modo spiegate le azioni di questo ipotetico creatore :)

Dov'è?
Chi è?
Perché ha aspettato 15 miliardi di anni per creare l'uomo e non lo ha posto sulla terra bello e fatto? E' iun creatore no...
Insomma ciò che dovrebbe essere alla base di queste nuove (???) teorie sull'origine della vita...


Ultima modifica di MaxpoweR il 12/09/2012, 19:09, modificato 1 volta in totale.


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Blissenobiarella ha scritto:

Sintropia: una terza via nel dibattito sull’evoluzione
http://antidarwin.wordpress.com/2010/02 ... voluzione/


Questa mi piace!
L'esperimento di cui si parla della capacità precognitiva del cervello di fronte a stimoli emozionali lo avevo visto anche io lasciandomi sconcertato se non sbaglio era stato riscontrato un ritardo del presente rispetto alle percezioni umane di quasi 3 secondi (ma forse ricordo male) come se il nostro cervello avesse uno sguardo 3 secondi avanti nel futuro per quel che riguarda le percezioni emotive.

cioè avviene anche per la vista, il cervello percepiva stimoli emozionali nonostante l'occhio danti al quale veniva proiettata l'espressione fosse cieco :) Assurdo ma reale -_-

Non vedo traccia di creatori, ma solo dell'onnipotente mano del CAOS e la cosa onestamente mi consola perchè evidentemente non ha bisogno di stampelle per stare in piedi tale teoria e sembra spiegare in maniera SCIENTIFICA anche un concetto da sempre ritenuto a pannaggio dei filosi e cioè il senso della vita :)

anche se non mi è chiaro in che modo tale teoria confuta l'evoluzione e l'adattamento delle specie ai vari ecosistemi e come invece ne da spiegazione alternativa. cosa non ho colto?


Ultima modifica di MaxpoweR il 12/09/2012, 19:46, modificato 1 volta in totale.


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MaxpoweR ha scritto:
No mi chiedo in che modo spiegate le azioni di questo ipotetico creatore :)

Dov'è?
Chi è?
Perché ha aspettato 15 miliardi di anni per creare l'uomo e non lo ha posto sulla terra bello e fatto? E' iun creatore no...
Insomma ciò che dovrebbe essere alla base di queste nuove (???) teorie sull'origine della vita...


A parte che potrei risponderti con "ma saranno ben fatti suoi", mi piacerebbe capire dove hai trovato espresse nei post precedenti sostegni alla tesi creazionista?

Chi l'ha sostenuta?

In seconda battuta vorrei evidenziare che "evoluzionismo" e' un termine con cui comunemente si intende l'accumulo di quella serie di modifiche ininterrotte e successive che in un arco di tempo sufficientemente lungo portano alla differenziazione con significativi cambiamenti degli esseri viventi. In altre parole la spiegazione della speciazione. Come noterai, la premessa a questa definizione e', appunto, la presenza di esseri viventi. Quindi, la comparsa del primo essere vivente non e' trattata dalla teoria in discussione.

Ne consegue che gli argomenti su cui dibattere sono almeno due:

- come si e' originata la vita
- come si e' evoluta la vita

La teoria darwiniana in chiave moderna, o neodarwinismo, si occupa della seconda questione.
Esistono molte correnti di pensiero che, senza sfociare nel creazionismo, mettono in seria discussione tale teoria. Le critiche principali riguardano comunque la casualita' delle mutazioni e la speciazione. In ogni caso non bisogna mai dimenticare che si tratta sempre e solo di teorie e quindi non di verita' assolute.
Per quanto mi riguarda trovo questi sforzi dei puri esercizi accademici e sono convinto che fino a quando non avremo decifrato il funzionamento del DNA non riusciremo mai a capire come sono andate veramente le cose.

Per quanto riguarda invece la prima questione, e cioe' l'origine della vita, come ti puoi immaginare ci sono numerose teorie che se ne occupano. Tuttavia, da quanto mi risulta, ancora nessuna e' in grado di superare l'impietosa evidenza del calcolo probabilistico, fatta eccezione se vogliamo a quella della panspermia, in quanto semplicemente non si occupa dell'origine della vita in generale ma solo di come questa sia arrivata sul nostro pianeta.



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 22:26 
Forte questo thread, complimenti per i contenuti!
Personalmente vedo Creazionismo e Darwinismo, un po obsoleti entrambi e figli del solito algoritmo di "divide et impera" usato spesso nella storia dell'uomo come metodologia di controllo.

Contrapporre con il senno di oggi Darwinismo e Creazionismo, è come fare il tiro al piccione verso entrambi se non si parametrizzano ai mezzi con le quali sono state ideate e se non si ampliano con le nostre conoscenze più moderne.

In fondo Darwin fece i suoi studi senza computer, senza aver conoscenza del dna e della struttura delle cellule.
Di contraltare l'ipotesi del creazionismo nasce anch'essa su basi arcaiche e con strumenti a supporto fideistici.

Io personalmente vedo l'attualizzazione di Darwinismo e Creazionismo come azioni complementari.

Il Creazionismo lo si può attualizzare nel big bang ( ma non necessariamente con la presenza di un Dio esterno, può anche essere visto come un autocreazione intelligente dello spazio tempo o una rinascita del principio creatore stesso, comunque è una "creazione")

l'evoluzionismo d'altro canto può essere attualizzato con la volontà e consapevolezza di evoluzione della quale l'universo ai miei occhi è palesemente permeata.
(essendoci volonta e consapevolezza è OVVIO che credo questo evoluzionismo non può essere casuale)

Credo infatti che a livelli diversi di consapevolezza tutto sia cosciente e abbia volontà di organizzazione di vita in maniera antientropica e ciò a partire dalle particelle subatomiche.

In sintesi nel mio pensiero, la vita si evolve in forme sempre più consapevoli, al fine di partecipare collaborativamente assieme all'atto creatore nella scoperta ultima di se stesso (e quindi di noi stessi).
(il tutto chiaramente in un universo olografico in quanto ciò che conta non sono gli atti materici ma come il loro scorrere gestisce la nostra dinamica di apprendimento coscienziale ;-) )

Tocca dire che questo mio pensiero di "evoluzione creativa" lo vedo valido in generale;

Per l'uomo invece potremmo fare un eccezione:
Esso infatti e' talmente differente in capacità rispetto alle altre forme di vita,
che potremmo anche pensare di essere una discontinuità "creata" artificialmente

Ma ciò esula dal concetto generale di evoluzione di vita, in fondo anche se ci hanno creato gli "Alieni" in una specie di catena di "Alieni che creano altri Alieni", sarà esistita all'inizio dei tempi una specie Aliena che sarà cresiucta secondo le leggi naturali della volontà cosciente di evoluzione della vita.

Al di fuori dei dubbi della nostra unicità, come principio generale credo quindi che la vita sia un mix di evoluzionismo e creazionismo che agiscono in maniera collaborativa
Lo chiamerei Evoluzionismo Creativo!

Saluti!


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Gran bel post superza..... [:264]



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Cercare di capire su quale pianeta dell'Universo sia nato per prima l'uomo sarà stata anche la domanda di altri esseri et evoluti..

per noi è come chiedersi se è nato prima l'uovo o la gallina? sicuramente la gallina, senò l'uovo come si sarebbe creato.. [;)]

La nostra forma fisica attuale è la più evoluta per interagire con la materia circostante ma i nostri sensi fisici non sono molto sviluppati rispetto ad alcuni animali, per esempio non usiamo "fisicamente" gli ultrasuoni, infrasuoni.. non vediamo nello spettro dell'infrarosso come i pipistrelli ecc.. ma li ricreiamo artificialmente.

Credo che la nostra natura ci ha privato dei mezzi per cacciare e di autodifesa perchè noi essenzialmente siamo di "stampo divino" ossia deriviamo da una razza quantica che nella sua massima espressione non ne ha bisogno e che crea la materia dal "pensiero stesso che è il Verbo, la creazione pura" anche se nel nostro stato attuale non siamo in grado di farlo e comprenderlo perchè siamo scollegati con l'energia cosmica, la "fonte omnicreante", anche se la percepiamo.



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MessaggioInviato: 13/09/2012, 02:44 
Cita:
zakmck ha scritto:
A parte che potrei risponderti con "ma saranno ben fatti suoi", mi piacerebbe capire dove hai trovato espresse nei post precedenti sostegni alla tesi creazionista?

Chi l'ha sostenuta?


MA che risposta è? Se si sostiene che la vita sulla terra non si è formata casualmente ma è evidente la premeditazione o programmazione di questa (E' espressamente o i indirettamente sostenuta in tutti gli articoli che ho letto nelle 2 pagine precedenti) e se la teoria vuol essere scientifica la prima cosa a cui dovrebbe rispondere è CHI O COSA ha creato la vita e come funzioni questo essere esterno per capire come agisce e quindi comprendere la sua creazione perché altrimenti è solo un esercizio di FEDE. Causa effetto.


Cita:
zakmck ha scritto:
La teoria darwiniana in chiave moderna, o neodarwinismo, si occupa della seconda questione.
Esistono molte correnti di pensiero che, senza sfociare nel creazionismo, mettono in seria discussione tale teoria. Le critiche principali riguardano comunque la casualita' delle mutazioni e la speciazione. In ogni caso non bisogna mai dimenticare che si tratta sempre e solo di teorie e quindi non di verita' assolute.
Per quanto mi riguarda trovo questi sforzi dei puri esercizi accademici e sono convinto che fino a quando non avremo decifrato il funzionamento del DNA non riusciremo mai a capire come sono andate veramente le cose.


Ed in che modo tali specie di sono separate se non per adattarsi a differenti ambienti o a causa di mutazioni? Io onestamente l'unica alternativa ad una evoluzione del genere casuale nel senso di adattamento ad ecosistemi diversi vedo la creazione.

O l'adattamento è casuale o è premeditato, qual'è la via di mezzo?

Cita:
zakmck ha scritto:
Per quanto riguarda invece la prima questione, e cioe' l'origine della vita, come ti puoi immaginare ci sono numerose teorie che se ne occupano. Tuttavia, da quanto mi risulta, ancora nessuna e' in grado di superare l'impietosa evidenza del calcolo probabilistico, fatta eccezione se vogliamo a quella della panspermia, in quanto semplicemente non si occupa dell'origine della vita in generale ma solo di come questa sia arrivata sul nostro pianeta.


La panspermia va bene per spiegare l'origine della vita sulla terra ma come hai detto anche tu non spiega però l'origine delle vita in generale.

Cita:
superza scrive:
Per l'uomo invece potremmo fare un eccezione:
Esso infatti e' talmente differente in capacità rispetto alle altre forme di vita,
che potremmo anche pensare di essere una discontinuità "creata" artificialmente


Per quel che riguarda la nostra specie penso sia evidente che vi sia stato un qualche intervento, e sono perfettamente d'accordo; se il calcolo probabilistico non reputa possibile la formazione causale delle vita a quanto ho letto è ancora più difficile fargli spiegare le mutazioni che ha subito l'uomo in un lasso di tempo praticamente nullo se confrontato con le tempistiche in gioco.

Correggimi se interpreto male il tuo pensiero: tu dici che l'universo stesso sia in sintesi una sorta di enorme organismo (o macchina) che ad un certo punto ha raggiunto una sorta di autocoscienza iniziando a generare a caso nell'universo altri organismi o macchine capaci a loro volta di raggiungere lo stadio del proprio creatore, e che quindi sia nella "natura" della materia convergere verso strutture che acquisiscono consapevolezza, ho capito bene?

Il punto è capire come e perchè però! Ed è qui che ritengo sia impossibile continuare :|


Ultima modifica di MaxpoweR il 13/09/2012, 02:54, modificato 1 volta in totale.


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Cita:
superza ha scritto:

Forte questo thread, complimenti per i contenuti!
Personalmente vedo Creazionismo e Darwinismo, un po obsoleti entrambi e figli del solito algoritmo di "divide et impera" usato spesso nella storia dell'uomo come metodologia di controllo.

Contrapporre con il senno di oggi Darwinismo e Creazionismo, è come fare il tiro al piccione verso entrambi se non si parametrizzano ai mezzi con le quali sono state ideate e se non si ampliano con le nostre conoscenze più moderne.

In fondo Darwin fece i suoi studi senza computer, senza aver conoscenza del dna e della struttura delle cellule.
Di contraltare l'ipotesi del creazionismo nasce anch'essa su basi arcaiche e con strumenti a supporto fideistici.

Io personalmente vedo l'attualizzazione di Darwinismo e Creazionismo come azioni complementari.

Il Creazionismo lo si può attualizzare nel big bang ( ma non necessariamente con la presenza di un Dio esterno, può anche essere visto come un autocreazione intelligente dello spazio tempo o una rinascita del principio creatore stesso, comunque è una "creazione")

l'evoluzionismo d'altro canto può essere attualizzato con la volontà e consapevolezza di evoluzione della quale l'universo ai miei occhi è palesemente permeata.
(essendoci volonta e consapevolezza è OVVIO che credo questo evoluzionismo non può essere casuale)

Credo infatti che a livelli diversi di consapevolezza tutto sia cosciente e abbia volontà di organizzazione di vita in maniera antientropica e ciò a partire dalle particelle subatomiche.

In sintesi nel mio pensiero, la vita si evolve in forme sempre più consapevoli, al fine di partecipare collaborativamente assieme all'atto creatore nella scoperta ultima di se stesso (e quindi di noi stessi).
(il tutto chiaramente in un universo olografico in quanto ciò che conta non sono gli atti materici ma come il loro scorrere gestisce la nostra dinamica di apprendimento coscienziale ;-) )

Tocca dire che questo mio pensiero di "evoluzione creativa" lo vedo valido in generale;

Per l'uomo invece potremmo fare un eccezione:
Esso infatti e' talmente differente in capacità rispetto alle altre forme di vita,
che potremmo anche pensare di essere una discontinuità "creata" artificialmente

Ma ciò esula dal concetto generale di evoluzione di vita, in fondo anche se ci hanno creato gli "Alieni" in una specie di catena di "Alieni che creano altri Alieni", sarà esistita all'inizio dei tempi una specie Aliena che sarà cresiucta secondo le leggi naturali della volontà cosciente di evoluzione della vita.

Al di fuori dei dubbi della nostra unicità, come principio generale credo quindi che la vita sia un mix di evoluzionismo e creazionismo che agiscono in maniera collaborativa
Lo chiamerei Evoluzionismo Creativo!

Saluti!



Hai centrato lo spirito del thread ^_^.
[;)]



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