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MessaggioInviato: 13/09/2011, 01:10 
Cita:
...vasta area di rottami splendenti costituiti da nastri di gomma, pezzi di stagnola, carta piuttosto dura e bastoncini.

Ovviamente, come tutti sanno la storia non è finita qua.


ciao Paolo, non vedo l'ora che esca il libro, intanto quindi confermi che ciò che trovò Brazel erano solo rottami comunissimi?? Strano che in molti documentari che ho visto e in moltissimo articoli non dicono questo, solo voyager ha nominato la stagnola... sono in confusione adesso [8]

come stanno davvero le cose? cioè che trovò vide realmente Brazel? la sua intervista è reale o fu costretto a ritrattare il tutto? GRAZIE [:)]


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Lo Storico dai mille nomiLo Storico dai mille nomi

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MessaggioInviato: 26/11/2011, 07:15 
ROSWELL: QUANDO GLI SCIENZIATI RACCONTANO



Quello che vi presentiamo di seguito è un articolo elaborato dal dottor Pierre Laird, ricercatore ufologico razionale francese. Nato nel 1965, risiede a Bourges. Dopo aver ottenuto la laurea in Inglese presso l'Università François Rabelais di Tours, si è iscritto presso l'Università Paris IV Sorbonne Nouvelle, dove ha ottenuto un Master in lingua inglese nei primi anni 2000 con una tesi sull'incidente di Roswell. Si definisce scettico, ma aperto e curioso ed ha letto libri scritti da Joseph Allen Hynek, Curtis Peebles, Jacques Vallée, Kevin Randle, Jerome Clark, David Jacobs (nel 1975). Secondo Pierre Laird, questi sono libri che offrono ampie prospettive da un punto di vista storico e sociologico.
Buona lettura.


In molti di noi è capitato, almeno un giorno della nostra vita, di aver sentito o letto di storie incredibili da parte di persone aventi a che fare con studi molto avanzati. L'argomento degli oggetti volanti non identificati, degli extraterrestri e, soprattutto, dell'enigmatico caso di Roswell riemerso a galla negli anni 80 del secolo scorso, non fa eccezione. Mi sono sovente interrogato su questo fatto, senza giungere ad una o più conclusioni soddisfacenti. Inoltre, ci sono molti esempi che illustrano questa situazione. Essere consapevoli del rigore, dell'imparzialità e delle esigenze del ragionamento scientifico non implica di diffondere storie molto difficilmente credibili.

Questo avrebbe detto Hynek
La fine della trasmissione televisiva di Vincent Gielly, dal titolo "OVNIS: le secret américan", diffusa su "France 2" il 9 settembre 2011, contiene una informazione completamente inedita. Jennie Zeidman, stretta collaboratrice di Joseph Allen Hynek per alcuni decenni, ci rende partecipi di una confidenza fatta dal celebre astrofisico. Alla fine del mese di ottobre del 1973, Hynek partecipò ad un pranzo che si tenne nell'Ohio, nel corso del quale gli fu domandato se era vero che dei corpi extraterrestri erano custoditi a Wright Field. Una ondata di avvistamenti di UFO era allora riportata negli Stati della costa est e nel sud degli Stati Uniti. Il CUFOS (Center for UFO Studies) ha riportato recentemente, per quel periodo, più di 1.500 osservazioni. "Non lo so", rispose Hynek. Poi si rivolse verso Zeidman e gli sussurrò: "Ma se ciò è vero, sono a Holloman, Nuovo Messico". Zeidman gli pose due domande su di un foglio di carta: quando il caso di Holloman ebbe luogo? Chi ve ne ha parlato? Hynek scrisse "1962" e "l'Air Force". Alla fine del documentario, il testimone precisa che non hanno mai più affrontato l'argomento. Il "segreto" del titolo è in realtà quello dello scienziato americano.

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Un'altra fonte riporta ugualmente un'altra confidenza di Allen Hynek. Joe Lewels, un tempo professore di giornalismo e direttore della Facoltà di Comunicazione di Massa all'Università del Texas a El Paso, è l'autore di "The God Hypothesis: Extraterrestrial Life and its Implications for Science and Religion" pubblicato nel 1997. Un giorno del 1976, Allen Hynek fu invitato a relazionare ad una conferenza sugli UFO nel campus di El Paso. Lo stesso giorno, è anche intervistato dalla stazione radio dell'Università, KTEP-FM. Qualcuno lo dovrà ricondurre nel tardo pomeriggio all'aeroporto e Joe Lewels si offre immediatamente volontario. Durante il tragitto, il giovane studente è impressionato e Hynek accetta la conversazione: "noi abbiamo bisogno di gente come te nella nostra organizzazione. Saresti interessato ad aderire al CUFOS e diventare un nostro rappresentante per la regione di El Paso?" Lewels allora risponde: "sono lunsigato dalla vostra proposta e vorrei riflettere prima su ciò". A sua volta, gli fece una domanda senza dubbio preparata in anticipo: "ditemi dottor Hynek, c'è qualcosa, una informazione, che voi non avete potuto divulgare nel corso della conferenza e dell'intervista? Ci sono aspetti del fenomeno, che voi pensiate, non possano essere rivelati al pubblico attualmente?" Lewels scrisse così nel 1997:

il dottor Hynek aggrottò la fronte, pensando con precauzione alla sua risposta. Dopo un lungo silenzio, guardò Lewels al di sopra dei suoi occhiali, fece un profondo respiro e disse: "è altamente confidenziale perchè è qualche cosa che non si può provare". Si fermò di nuovo come se pesasse bene ogni parola: "conosco un colonnello dell'Esercito che non ha voluto essere identificato e che giura che i nostri militari abbiano catturato un disco volante schiantatosi nel 1947 a Roswell, Nuovo Messico, giusto tre ore di strada da qui". Fece ancora una pausa, cercando sul mio viso un segno di reazione a questa informazione esplosiva. Evidentemente impressionato dall'origine dell'informazione, gli dissi: "ho sentito parlare di questo caso, ma non ho alcuna idea se ciò sia vero". Fu, apparentemente, soddisfatto da questa risposta e continuò: "e non è tutto. Egli giurò che furono trovati dei corpi". Attese ancora una volta la mia risposta. Ma, questa volta, fui completamente stordito, potei solo guardarlo attraverso i grandi occhi rotondi.

Che pensare di queste rivelazioni indirette? Partendo dal presupposto che le cose sono accadute come i due protagonisti hanno detto, le domande sono naturalmente numerose. Così, nel primo caso perchè Zeidman e Hynek non hanno più discusso della questione insieme? Perchè, nel secondo caso, l'ex consigliere della US Air Force fece delle rivelazioni anche "esplosive" ad un perfetto sconosciuto nel suo campo, facile da immaginare, molto sensibile?

Un resoconto dell'astrofisico francese Jean-Pierre Petit

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Il nostro secondo esempio concerne l'astrofisico Jean-Pierre Petit, ex direttore di ricerca al CNRS francese, il cui percorso professionale è davvero impressionante. E' noto per essere l'autore di "OVNIS et Armes Secrètes américaines" pubblicato nel 2003. Egli raccontò, nel corso di un colloquio sulla "propulsione avanzata" a Brighton, in Gran Bretagna, agli inizi dell'anno 2001, di due scienziati americani, Joe Black e Harold Penninger (si tratta certamente di pseudonimi) che lo resero partecipe di rivelazioni abbastanza sorprendenti. Al capitolo 4, Relitti Extraterrestri, Jean-Pierre Petit, relaziona sul colloquio avuto con i due uomini e scrive:

- nel 1961, si dava ancora importanza su quello che noi potevamo cercare di comprendere qualcosa sugli UFO. Eppure, già lo avevamo.

- Volete dire che avevate un relitto?

- Molti, ma nel 1961 la MHD (ndr Magneto Idro Dinamica) non esisteva ancora come soluzione per la propulsione. Nessuno aveva la minima idea su come queste macchine potessero funzionare. E, bisogna comunque dire, che pochissime persone avevano accesso a ciò e questo non ci ha aiutato. Io non gli ho mai visto personalmente.

- Aspetta, ripeto ciò che ho detto prima. Confermate di avere, voi Americani, recuperato dei relitti di UFO?

- Quando ci fu quel grande colpo di fulmine che mise al tappeto una frotta che venne a sorvolare la nostra base di bombardieri nucleari.

- Di questa storia di Roswell, voi avete in mano la prova concreta che gli UFO sono di origine extraterrestre?

Black interviene:

- Da prima! Ho visto un filmato girato nel 1945 dove abbiamo visto delle "mana ships" (navi madre) che passeggiavano tranquillamente in Germania a metà dei "box" (disposizioni in "scatola" destinate ad aumentare il fuoco delle mitragliatrici contro gli aerei da caccia nemici) delle fortezze volanti. Queste cose a forma di disco, i cui dettagli erano perfettamente visibili, erano grandi quanto i nostri B-17 (bombardieri quadrimotori americani). Ma, naturalmente, ci sono voluti anni affinchè venissimo, gradualmente, messi al corrente. Personalmente, io non ho mai visto i corpi, nè tantomeno i relitti, Harold neppure, ve l'ho detto. Ci hanno, soltanto, fornito delle informazioni tecniche.

Lo ammetto, ciò mi ha tagliato la masticazione.

Effettivamente lo studioso francese non può che essere stupito! Le fonti, questa volta, sono semi-dirette provenienti da individui di un livello intellettuale di pari livello; l'impressione doveva essere forte. Si può sempre sostenere che il caso non è esplicito quando è riferito al caso Roswell oppure perchè l'autore è conosciuto per le sue implicazioni nell'Ufologia. Ma ci rendiamo conto che prima di pubblicare queste informazioni, doveva prendersi cura di verificare chi erano Joe Black e Harold Penninger. Può essere che egli pensasse di essere stato oggetto di una manipolazione concernente la magnetoidrodinamica, una tecnologia di propulsione ritenuta essere molto promettente e, dunque, a sviluppo d'urgenza per i ricercatori francesi (destinando, necessariamente, fondi considerevoli). In questa ipotesi, perchè avrebbe proposto una storia che fa sorridere e, soprattutto, che lo discredita? Nella guerra economica tra nazioni occidentali, i congressi scientifici sono il luogo privilegiato per la disinformazione. Questo ricorda troppo la citazione di Winston Churchill (1874-1965) che disse in tempo di guerra, "la verità è così preziosa che dovrebbe, ogni giorno, essere protetta dal baluardo di menzogne".

Una storia del comico americano Jackie Gleason

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Un esempio per il grande pubblico e che pone generalmente la questione dell'interesse che una persona possa portare a fare delle dichiarazioni inverosimili. Mentre la storia che segue apparve all'interno di un tabloid americano, in questo caso "News Extra", essa è molto interessante e sorprende sotto due aspetti. Da un lato, si tratta di un tema predominante nell'Ufologia statunitense degli anni 80 del secolo scorso; dall'altro lato, uno dei due protagonisti, ma non meno importante, era vivo quando la storia fu pubblicata. L'articolo, "Una rivelazione choc di Jackie Gleason: io ho visto dei cadaveri extraterrestri all'interno di base aerea segreta", fu pubblicato il 14 luglio 1987. Ricordiamo il contesto ufologico del periodo. A fine maggio, gli ufologi William Moore e Stanton Friedman, assieme al produttore televisivo di Los Angeles, Jaime Shandera, resero pubblico l'esistenza del Majestic 12, un gruppo civile-militare "Ultra Segreto", si suppone, responsabile di tutte le operazioni di recupero UFO e di corpi extraterrestri e, ovviamente, quelli trovati a Roswell, nel Nuovo Messico, nel luglio del 1947. Ma ben presto, l'autenticità di questi documenti fu fortemente messa in discussione. L'attualità politica è dominata, in quel periodo, dal caso Watergate che durò circa un anno.

Il 14 luglio, il titolo dell'articolo figura in prima pagina per poi essere ripreso nelle pagine interne. Jackie Gleason (1916-1987) fu un attore, ma anche un comico, produttore ed animatore televisivo molto conosciuto negli anni compresi tra il 1950 e il 1960. Era anche soprannominato "The Great One" a causa delle sue tante doti ed ebbe conoscenze con diversi uomini politici, tra cui il presidente Richard Nixon (1913-1994). Nel 1973, Gleason si sarebbe recato alla base aerea di Muroc in California sotto speciale autorizzazione di Nixon e avrebbe visto i corpi mostruosi di tre extraterrestri. Dopo aver oltrepassato una serie di posti di blocco ed aver soddisfatto ad una serie di misure di sicurezza molto severe, Gleason sarebbe entrato in un laboratorio di ricerche sotterraneo.

Beverly McKittrick, moglie del comico dal 1970 al 1974, raccontò che una sera tornò tardi, pallido ed esausto, mentre al solito era sorridente e pieno d'energia.

"Cosa ti è successo Jackie?", gli chiese. "Sembra che tu abbia visto un fantasma".

"Peggio di un fantasma, Beverly", spiegò Gleason. "Molto peggio. Ho appena visto i corpi di tre extraterrestri morti. E' stata una visione incredibilmente dura dal sostenere".

"Non era più che a qualche metro da me. C'erano tre corpi su un tavolo da laboratorio. Misuravano circa 60 centimetri e la loro pelle aveva l'aria di essere ruvida e d'aspetto rugoso come quella di una lucertola".

"Avevano delle piccole teste e le loro orecchie sembravano gommose e umide...e di colore grigiastro-rosa. Non riuscivo a guardarli, ma da altra parte, non ho potuto rivolgere la mia attenzione altrove".

Beverly McKittrick, scettica, cominciò a fargli molte domande e Gleason si murò nel suo silenzio. Più o meno nell'articolo, si apprende che l'uomo televisivo chiese alla sua sposa di mantenere un silenzio assoluto sul caso e che non gli ha mai confermato di aver visto i corpi, rifiuta decisamente di smentire. Una fonte vicina ai rapporti di coppia riferisce che Gleason fu molto agitato dal suo rientro dalla base aerea e che "nel parlare, era tutto un corpo di sudore freddo e si rifiutò di dire di più".

In questo esempio, possiamo facilmente pensare che si tratti di una bufala, il recupero di una buona storia in un momento in cui l'attualità ufologica era particolarmente affollata. Ma ci domandiamo perchè e per quale motivo questa storia fu pubblicata? Per far vendere, ovviamente! Ma questa risposta non è un pò troppo ovvia? Molto strane, alcune frasi dell'articolo: " gli amici di The Great One sperano che dirà di più sui dettagli incredibili di quello che lui vide nel corso di quella notte del 1973 e che non dimenticherà mai", indicando che il suo autore non sapeva che Glease morì il 24 giugno 1987. Qualunque fosse il pensiero, in ogni modo, l'ex presidente non avrebbe risposto su questo tipo di argomento.
Sin dagli albori dell'umanità, gli esseri umani sono affascinati dai misteri del cielo e dello spazio, i poteri inesplicabili della sua mente o gli enigmi del suo passato. Ai nostri giorni, l'ambiente paranormale dell'uomo moderno non è meno denso: UFO, extraterrestri, fine del mondo nel 2012, esperienze di pre-morte, eccetera...In queste aree dove il mistero regna da padrone, storie presentate come autenticamente rilevanti, sono sovente relegate nella pseudo-scienza o nella pseudo-storia. Nonostante una conoscenza, a volte, molto approfondita dei rigori della metodologia scientifica, noi accettiamo la realtà di alcuni fenomeni bizzarri. Chi non si è mai posto un giorno la domanda "e se fosse vero?" e leggendo, per esempio, "La Vita dopo la Vita" del dottor Raymond Moody (1975) o "Missing Time" di Budd Hopkins (1981)? Una cosa è avere una mente aperta e curiosa e un'altra cosa è cedere all'irrazionale.
Negli Stati Uniti, nel corso dell'anno 1997 l'insieme dei media, composti da stampa, radio, televisione o internet, diede un grande spazio al cosiddetto "incidente" di Roswell, avvenuto 50 anni prima a nord-est di una piccola cittadina del Nuovo Messico. Tra i numerosi libri pubblicati in quell'anno dell'anniversario, il più controverso fu "Il Giorno dopo Roswell" di Philip Corso. L'editore, molto saggio e perspicace, pubblicò un opera intelligentemente elaborata (inverosimile e con multiple assurdità, con affermazioni senza alcuna realtà storica) per avviare e intrattenere delle polemiche e dei dibattiti accesi, sinonimo stesso di vendita e pubblicità. Perchè sospettare che l'autore in particolare, veterano della Seconda Guerra Mondiale ed ex ufficiale superiore della US Army, di un disegno unicamente commerciale? Perchè nel corso del decennio, il numero dei "testimoni", ex militari che "erano lì"o altre persone "che sapevano qualche cosa", si sono fatti vivi?

In risposta alla domanda sul perchè raccontano delle storie incredibili, ci sono due scenari da considerare. Da una parte, le situazioni o certi individui sono vittime di ricordi illusori e di altre distorsioni della memoria e, per esempio, possono esagerare il loro ruolo. Uno dei più eminenti psicologi, Daniel Schacter, professore all'Università di Harvard, parla del "potere fragile della memoria". Dall'altra parte, situazioni o persone che mentono senza ritegno. Per quanto concerne il caso di Roswell, tra i nomi che mi vengono in mente c'è quello di Gerald Anderson o quello di Steve MacKenzie e di Jim Ragsdale, le cui testimonianze di trovano rispettivamente in "Crash at Corona: the U.S. Military Retrieval and Cover-Up of a UFO" e in "The Truth about the UFO Crash at Roswell (1994)".

[align=right]Fonte: http://centroufologicoionico.blogspot.c ... ziati.html[/align]


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MessaggioInviato: 13/12/2011, 14:05 
Parla il colonnello Jesse Marcel Jr. – Fondamentale testimone dell’incidente di Roswell
http://mauriziobaiata.net/2011/11/28/pa ... i-roswell/
28 novembre 2011 di Maurizio Baiata


A Roma, in una calda serata dell’Aprile 2007 intervistai in video Jesse Marcel Jr., il figlio di quel Maggiore Jesse Marcel che nel 1947 fu fra i militari della base di Roswell, in New Mexico, che si occuparono delle operazioni di recupero dei rottami dell’UFO crash e che, per primo, rivelò al mondo che l’Esercito Americano aveva occultato tutto. Marcel Jr. all’epoca aveva 11 anni e oggi resta un fondamentale testimone dei fatti dell’estate 1947. Marcel, ormai ultrassettantenne, è un medico militare convinto che il senso del dovere non possa prescindere dalle ragioni della Verità. Marcel Jr. era in visita a Roma su invito della giornalista Paola Harris, come straordinario ospite d’onore del convegno “Roswell 60 anni dopo”. In seguito, ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare di nuovo Marcel, con il quale ho visitato il Foster Ranch http://mauriziobaiata.net/2011/11/03/su ... ei-rottami…-e-l’astronave-jefferson/), ma questa è un’altra storia.

Maurizio Baiata: Dottor Marcel, o meglio Colonnello Marcel, lei avrà rilasciato migliaia di queste interviste…

Jesse Marcel: Sì, più di qualcuna…

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Il col. Jesse Marcel Jr. al Foster Ranch (foto: Maurizio Baiata)

M.B.: Più di qualcuna… approssimativamente quante.

J.M.: Probabilmente più di un centinaio (sistemiamo il microfono). Anzi certamente alcune centinaia, nel corso degli anni.

M.B.: E quali differenze ha riscontrato, nell’impostare le interviste da parte di professionisti esperti UFO e gli altri, come giornalisti tradizionali, gli anchormen televisivi, ad esempio della ABC.

J.S.: Innanzitutto, molti dei giornalisti, come quelli della ABC, erano pronti con un elenco pre organizzato di domande scritte, il più delle volte. Altri invece impostavano le interviste in maniera più discorsiva, ad esempio chiedendo: “Mi dica quello che sa e che pensa di Roswell, cosa ritiene che accadde…”.

M.B.: Tuttavia, l’atteggiamento deve essere stato piuttosto diverso…

J.M.: Certamente. I professionisti, quelli della ABC o del National Geographic Magazine – che mi delusero molto - tendevano a distruggere Roswell. Durante le intreviste con loro avevamo approfondto tutto, i pro e i contro, aspetti positivi e negativi e poi quando sono state trasmesse, dopo il montaggio, restavano solo quelli negativi, dimenticando tutti gli aspetti positivi della vicenda. Il loro fine era smontare la storia di Roswell. Per me è stato molto scoraggiante.

M.B.: Questo, malgrado lei sia un ufficiale altamente rispettato, che ha affrontato prove ardue e loro sapessero che lei riferiva solo ciò che vide.

J.M.: Sì, ho sempre cercato di dire e ribadire ciò che ho visto. Non posso aggiungere o sottrarre o modificare nulla. Mi attengo alla realtà dei fatti e riferisco esattamente solo quello che ho visto. Questo è quanto. Prendere o lasciare, ci si creda o no, posso parlare autorevolemente solo di quello che vidi.

M.B.: E dovendo menzionare un’intervista più equilibrata delle altre…

J.M: Rispetto all’intervistatore o in generale? Beh, ho apprezzato gli intervistatori che sembravano maggiormente interessati alla vicenda di Roswell, o ad alcuni suoi aspetti, chiedendo: “Ci dica quello che vide e cosa ne pensò e perché. Cosa differenzia quello che vide da materiali molto comuni e usuali e perché li ritiene extra-speciali?”.

M.B.: Mostravano, secondo lei, una certa preparazione sull’argomento, oppure ne erano completamente all’oscuro?

J.M.: In questo caso, per niente, semplici conversazioni del tipo “Prego, parta dall’inizio, cosa sa? Cosa vide? Cosa credette e cosa crede adesso?”

M.B: E la stesso accadeva con i cosiddetti “ufologi professionisti”?

J.M.: I giornalisti dei network non erano così… aperti. Avevan l’obbiettivo di smontare Roswell. Gli ufologi professionisti sapevano cosa avevo visto ed erano di mente aperta. Gli altri invece erano di menti chiuse e piene di preconcetti. Non considerano neppure i fatti e non c’è nulla da fare, gli dici cosa hai visto e che pensino quello che vogliono.

M.B.: Le prime indagini furono condotte da Stanton Friedman, Kevin Randle e Don Schmitt. Le risulta fossero in qualche modo collegati, che condividessero le loro scoperte?

J.M.: Non saprei. So che fu Stanton Friedman a intervistare per primo mio padre, nel 1978.

M.B.: Friedman, se ricordo bene, già allora era in cerca dei testimoni, i superstiti…

J.M. Rispetto molto Friedman, perché la sua ricerca ha segnato l’inizio della divulgazione della storia di Roswell e perché ha sempre cercato di individuare le persone realmente collegate ai fatti, verificare le loro versioni, corroborarne la veridicità o dimostrane l’infondatezza.

M.B.: Sia per Friedman sia per migliaia di ricercatori, il maggior problema sembra essere stato quello di collocare la data esatta dell’incidente, il luogo esatto e la sequenza precisa degli eventi.

J.M.: Esatto. Quando mio padre e io ne cominciammo a parlare era attorno al 1970 e già allora i ricordi iniziavano a sbiadire. Accadde ai primi di Luglio, verso l’inizio dell’estate 1947. In seguito, le prime interviste e le prime ricerche consentirono di individuare il punto in cui l’oggetto era precipitato e le date, con una certa precisione.

M.B.: Quindi la data più accurata sembra quella della notte fra il 3 e il 4 Luglio 1947.

J.M.: È quanto ho desunto io. Era estate, la scuola era finita e mi divertivo ad andare in bicicletta con i miei amici.

M.B.: Ok, a proposito della scuola, cosa successe con i suoi compagni di classe? Dopo quei fatti non sentiva di voler parlare con qualcuno di loro, più piccolo, o più grande?

J.M.: Assolutamente no, mi avevano detto di non parlarne…

M.B.: Lo so.

J.M.: Potevo pensarci, questo sì, ma non c’era nulla che potessi dire. Anche all’interno della nostra famiglia, non se ne discusse per molto tempo. Era escluso che ne parlassi con i miei amici. No.

M.B.: Nessuno proprio? Mettiamo che una sua amichetta, una splendida ragazzina del Montana, no mi scusi all’epoca vivevate a Roswell… della quale lei si fosse invaghito e che le avesse chiesto qualcosa, neppure a lei avrebbe mai pensato di raccontare… dopo tutti questi anni non pensa che avrebbe potuto dirle qualcosa?

J.M.: Le avrei detto, “che bella giornata è oggi, il cielo è bello”… niente altro…

M.B.: E se le avesse promesso un bacino, sa, fra adolescenti…

J.M.: Sarei stato molto tentato, ma senz’altro no. C’è da dire che la gente di Roswell non ne sapeva niente. Avevano solo letto sul giornale che era stato trovato un disco precipitato. Ma poi dissero che era stato tutto un errore. E allora non se ne parlò più. Certo, io sapevo ben altro, ma il soggetto non venne riportato più a galla. A Roswell sapevano pochissimo.

M.B.: Come si viveva a Roswell, allora?

J.M.: A Roswell ho trascorso il periodo più bello della mia vita. Il tempo era magnifico, la gente simpatica, la città piccola… ricordo con affetto molti miei amici e conoscenti, i loro nomi. Come Gail Salitas, che viveva a un paio di isolati da casa mia. Impazzivo per la mia bici, nuova di zecca, che avevo desiderato tanto. Questo mi piace ricordare di allora.

M.B.: Facevate anche dello sport?

J.M.: Oh sì, le escursioni nelle pianure, poi avevamo il fucile calibro 22 per sparare alle lattine…

M.B.: Allora suo padre era nel controspionaggio, il CIC, un ufficiale importante presso la base. Aveva modo di passare del tempo in famiglia, oppure no?

J.M: Devo precisare. In effetti, era un ufficiale dell’intelligence militare, non un agente del CIC come Sheridan Cavitt. Sì, passavamo del tempo insieme, facevamo dei picnic a Rio Doso, un posto fuori Roswell dove andavamo spesso.

M.B.: E la domenica c’erano anche i colleghi di suo padre attorno al barbecue nel vostro patio?

J.M.: Sì, spesso venivano uomini della base aerea, ricordo Cavitt e Walter Haut, l’ufficiale addetto alle pubbliche informazioni.

M.B.: Che tipo era Sheridan Cavitt? Di lui non si sa molto.

J.M.: Lo ricordo appena. Mio padre lo conosceva molto bene. Non parlavano mai di affari militari, in nostra presenza.

M.B.: Crede che il fatto che l’incidente sia avvenuto a soli due anni dalla fine della guerra abbia determinato il mantenimento della segretezza su Roswell?

J.M.: Ebbe certamente una grande importanza, perché eravamo appena usciti da una grande guerra ed eccoci alle prese con qualcos’altro e forse non c’era ragione che il popolo Americano dovesse preoccuparsi anche di un altro problema. La tensione del dopoguerra è stato un fattore per tenere tutto più che segreto.

M.B. Il Colonnello Corso mi disse – Paola Harris può confermarlo - che in realtà la guerra fredda non c’è mai stata. La guerra vera non era affatto finita e il punto era la sicurezza e il garantirsi la supremazia, mediante operazioni gestite nella segretezza totale.

J.M. Era una “hot war”, una guerra calda, che non cessammo mai di combattere. C’erano troppi uomini che rischiavano ancora la vita. Non so perché la chiamassero guerra fredda, ma dovevamo sempre restare in guardia, con grande concentrazione e sono certo che accaddero molti fatti tra noi e i Russi di cui non siamo a conoscenza, riguardanti noi e l’Unione Sovietica di quel tempo. Ad esempio le esplosioni nucleari dei sovietici, divenute una delle versioni di copertura dell’incidente di Roswell, quella del Pallone Mogul. Non abbassammo mai la guardia.

M.B.: Secondo Friedman le operazioni di recupero, non di oggetti non identificati, ma più usuali, solitamente vedono l’intervento degli Americani, che arrivano e dicono «Noi sappiamo come gestire la faccenda, se qualcosa è caduto nel vostro Paese, lasciate fare a noi, ce ne occupiamo e, in cambio, vi paghiamo in dollari».

J.M. Sì, anche io credo che accada, ma in nome del fatto che tutte le nazioni dovrebbero unirsi in tali circostanze… dobbiamo lavorarci su insieme, perché anche la Russia di oggi fa e sa le stesse cose con le quali siamo noi alle prese. Una decina di anni fa sono stato in contatto con uno scienziato moscovita specializzato in comunicazioni satellitari, dell’Accademia Sovietica delle Scienze, che mi disse che anche loro hanno i nostri stessi dati, che credevano nello spirito della glasnost e che gli Stati Uniti e la Russia e altre nazioni dovrebbero iniziare a lavorare insieme.

M.B.: In parellelo, potremmo riferirci al programma televisivo “UFO Cover Up Live”. Mi colpì durante il collegamento con Mosca che ricercatori come Sergei Bulantseev e altri potessero parlare così liberamente, mentre sembrava quasi che i ragazzi dall’altra parte, gli Americani fossero più reticenti nel fare affermazioni più importanti…

J.M.: Sì, i Russi erano molto più aperti nel parlarne e sembra che, con l’apertura di alcuni dei files del KGB, lo abbiano dimostrato.

M.B.: Questo è un grosso problema per gli USA, perché noi sappiamo che i dossier sono segreti e che, anche con il FOIA, non hai alcuna chance di ottenere alcuna informazione importanti.

J.M.: È una presa in giro.

M.B.: Lo crede davvero?

J.M.: Assolutamente. Prendiamo Stanton Friedman, che ha aspettato per mesi e anni informazioni mediante il Freedom of Information Act e quello che ha ottenuto sono state pagine completamente cancellate. Non c’era nulla, tranne degli indirizzi e quindi cosa puoi fartene?

M.B. Secondo lei il mantenimento di un segreto in questi termini, da parte del governo USA, non è anti costituzionale?

J.M.: Giusto, io credo che negli USA esistano due governi, un governo costituzionale e uno che non è affatto costituzionale. Il primo è sotto il controllo della gente, l’altro non è stato eletto e sfugge a qualunque controllo. Sono un po’ troppo sarcastico, ma credo che negli USA esista un “undercover government”, un governo occulto che credo tutti i Paesi abbiano.

M.B.: Senza suonare troppo cospirazionista, sono anche io convinto dell’esistenza dei governi ombra, ma concepire operazioni occulte per il recupero di UFO ovviamente prevede un’organizzazione capillare. Andiamo a Roswell, allora. Al Foster Ranch è ovvio che qualcuno arrivò subito dopo suo padre per pulire tutto.

J.M.: Sì, fecero una bonifica completa. E si assicurarono che neppure un frammento del materiale potesse finire in mani altrui. Mio padre me lo confermò.

M.B.: Se ne deduce che tutte le operazioni di scavo condotte recentemente sono totalmente inutili.

J.M. A meno che non rinvengano qualcosa di forte impatto…

M.B.: Stanno impiegando strumenti sofisticati, rivelatori di metalli…

J.M.: Non troveranno nulla. Un giorno, conversavo nel patio del suo ranch con Bill Brazel, il figlio di Mac Brazel. Sorseggiavamo un caffé in attesa di un’intervista con l’emittente giapponese NKTV. Bill parlava di quanto gli era successo. Prima che l’Air Force bonificasse il terreno, era riuscito a recuperare un frammento e lo aveva riposto nella bisaccia della sella (era a cavallo). Qualche ora dopo, in un bar di un paesino nelle vicinanze di Socorro, Mac si mise a parlare con degli amici di quello che aveva trovato. Si conoscevano un po’ tutti. A quel punto spuntarono dei tizi in abiti civili che, senza qualificarsi, lo apostrofarono bruscamente dicendogli «Sappiamo che lei è in possesso di materiale dell’Air Force» e fu costretto a consegnarglielo. Muri di gomma… altro che pallone meteorologico.

M.B.: Chiaro. Quali erano le distanze fra i Piani di San Augustin, presunto luogo dell’impatto finale e il campo nel Foster Ranch dove suo padre raccolse i rottami? Cosa accadde, secondo una sua mappa e una possibile dinamica del crash?

Immagine
L'allora tenente Jesse Marcel posa per i fotografi con i falsi rottami del Roswell crash, nell'ufficio del Generale Roger Ramey a Fort Worth l'8 Luglio 1947 (foto: archivio Marcel)


J.M.: Per quanto ne so, posso riferirmi solo al “campo dei rottami”. È un’ipotesi, ma forse quell’ordigno subì un’esplosione in volo che causò lo spargimento dei rottami sul campo. E sono i rottami che io vidi, che mio padre raccolse. Quando me li mostrò, sembrava materiale che non poteva far parte di una struttura solida, parti di un velivolo, era molto leggero e quindi poteva appartenere all’interno del disco. Forse era stato espulso all’esterno con l’esplosione, mentre tutto lo scafo e l’equipaggio precipitarono a una certa distanza da lì.

M.B.: Quindi i frammenti che vide secondo lei facevano parte dell’abitacolo?

J.M.: È la mia teoria, magari del tutto sbagliata, ma forse i rottami del Foster Ranch erano solo frammenti del corpo principale, che riprese il volo e si infranse lontano, dove fu trovato anche l’equipaggio. Mio padre non sapeva nulla del punto di impatto finale. Il suo incarico lo limitò al solo campo dei rottami.

M.B.: Cosa sa dello sceriffo Wilcox? Si ipotizza che ebbe un ruolo più importante e che disse meno di quello che vide.

J.M.: Forse, non lo so.

M.B.: Quale fu l’effettiva catena di comando? Al livello più alto c’erano i vertici militari, poi la polizia conteale, quindi i vigili del fuoco, se non erro.

J.M.: Non credo mio padre fosse a conoscenza di altre attività, la sua missione fu circoscritta al campo dei rottami, a ciò che raccolse e che mi mostrò quella notte. Per quanto riguarda altri testimoni, come lo sceriffo Wilcox o il Fire Department (i Vigili del Fuoco, N.d.R.), le ricerche furono eseguite da altri e non ne sono a conoscenza. Questa è la sequenza degli eventi, secondo me: Mac Brazel portò dei rottami dallo sceriffo Wilcox di Chaves County, che a sua volta contattò la base, il cui comandante, il colonnello Blanchard, contattò mio padre e l’agente del CIC che andarono al campo dei rottami e ne raccolsero una quantità significativa.

M.B.: Lei ricorda Blanchard? Che tipo era?

J.M.: Corporatura media, più alto di mio padre. Giocavano a carte la sera, con le loro mogli, sino all’alba.

M.B.: Ebbe mai l’impressione che, in certi momenti interrompessero le loro conversazioni perché il soggetto era troppo “caldo”?

J.M.: Non che io ricordi. Ma è probabile.

M.B.: E sua madre?

J.M.: Anche lei esaminò i rottami e si dimostrò molto interessata, la colpirono soprattutto gli “I-Beam” (barre strutturali, N.d.R.) con impressi i simboli sulla superficie. In realtà non li scoprì lei per prima, fui io che glieli feci notare.

M.B.: Sua madre stava ancora dormendo quando arrivò suo padre?

J.M.: Sì, dormivamo da ore. Al piano di sopra, dove avevamo le camere da letto, la mia sul fronte della casa, quella dei miei genitori dava sul retro. Mio padre ci svegliò e ci disse di scendere in cucina dove aveva sistemato i rottami sul pavimento.

M.B.: Doveva essere un uomo premuroso. Nel film “Roswell” ci viene mostrato come un buon padre di famiglia…

J.M.: Oh sì. Avevamo un forte senso degli affetti familiari…

M.B.: Avevate dei parenti, allora…

J.M. No, eravamo solo noi tre e io ero l’unico bambino. A Roswell mio padre aveva una piccola radio ricetrasmittente WC5I e la usava nella camera da letto per le sue comunicazioni. Lo aiutai a sistemare l’antenna sul tetto.

M.B.: Ed eravate religiosi?

J.M.: Mio padre era cattolico, come me, mia madre era battista, ma non frequentavamo spesso la chiesa.

M.B.: La guerra era finita, la sua infanzia fu felice, ma arrivarono la Corea e poi il Vietnam. Come visse quel periodo?

J.M.: Risiedevamo a Washington D.C., quando esplose il conflitto in Corea, nel 1950. Mio padre ne aveva avuto abbastanza del servizio militare e voleva tornare a casa, sua madre era piuttosto anziana, e si congedò nel ’50 o ’51. Ritornammo a Leesville, in Louisiana, dove viveva sua madre.

M.B. E durante la guerra del Vietnam lei era trentenne.

J.M.: Sì. Ero nella Marina degli Stati Uniti.

M.B.: E cosa pensava di quella guerra?

J.M.: Non mi interessavano gli aspetti politici della situazione militare, ero imbarcato su un’unità spesso in servizio nei mari del sud-est asiatico, effettuavamo il trasporto di truppe da combattimento pronte all’azione. Prima mi ero ritrovato nel pieno della crisi missilistica di Cuba ed ero stato assegnato alla zona dove avremmo dovuto tentare di invadere Cuba. Se ora sono qui è perché non andai alla Baia dei Porci, altrimenti avrei fatto la fine del nostro contingente dopo lo sbarco. Fui fortunato, mi richiamarono, impacchettai tutto e rientrai.

M.B.: Lei prese però parte ad azioni di combattimento?

J.M.: Sì.

M.B.: E dovette uccidere qualcuno?

J.M.: Ero pronto a farlo. Ero ben addestrato e sempre armato. Durante i voli di trasferimento sono stato anche alla mitragliera di bordo, pronto a far fuoco per difendere il mio aereo e l’equipaggio. Anche se ero un dottore, questo rientrava nei miei compiti. Non puoi offendere, ma ti devi difendere.

M.B.: Possiamo parlare del suo recente servizio in Medio Oriente? In Iraq?

J.M.: Ci sono stato per 13 mesi. Sempre in condizioni di combattimento, eravamo di stanza a Balaat, a 40 miglia a nord di Baghdad. Non sapevi mai cosa attenderti, se un istante dopo saresti stato ancora vivo… il rischio era altissimo. Anche in volo eravamo sempre sotto tiro, proiettili ovunque. Fortunatamente non siamo stati colpiti. Come chirurgo di prima linea venivo trasportato sempre su un elicottero nero. Dovevo assistere gli equipaggi e prestare soccorso ai feriti.

M.B. Prima ha fatto cenno al suo governo. Quali sono secondo lei le ragioni che giustificano l’operazione in Iraq, a partire da quando Bush dichiarò guerra al terrorismo mondiale dopo l’11 Settembre e promise una guerra lunga 50 anni?

J.M.: Andrà avanti certamente così per 50 anni. La catastrofe dell’11 Settembre ci ha insegnato una lezione: questi terroristi sono l’espressione di un terrore fascista, contro il quale dobbiamo proteggerci e perseguirli e prevenire un altro attacco alla nostra nazione, se sarà possibile. Potrebbe non essere possibile perché guardando ad altri attacchi terroristici nel mondo, sinceramente non vorrei ritrovarmici in mezzo, perché ho visto cosa sono capaci di fare. Ho visto esplodere le autobombe, ho visto gli attacchi suicidi e queste persone non sono gente normale. Sono imprevedibili, cammini fra i banchi di un mercato e una di loro si fa saltare in mezzo alla gente. Una volta un’autobomba esplose a ridosso del nostro posto di guardia e mi precipitai in aiuto degli uomini. Non indossavo il giubbotto anti-proiettile e mi dovetti accucciare per proteggermi. Attesi solo pochi istanti, poi non c’era più niente da fare, erano tutti morti.

M.B.: Secondo lei all’origine c’è solo una forma di fanatismo religioso, oppure un meccanismo indotto mentalmente in questi soggetti?

J.M: Vorrei riuscire a capirlo, ma so solamente che volevano ucciderci. Non sono tutti così, ma lo sono molti islamici. Un fanatismo che non capisco. La gente si chiede: perché dobbiamo essere lì, in Iraq? Perché la nostra è una missione. Ho partecipato a molte missioni e ho visto le fosse comuni piene di cadaveri. In una di queste fosse c’era il corpo di una donna che stringeva al petto un bambino, erano stati colpiti alla testa. Come si può uccidere così un piccolo e la sua mamma? Chi può fare una cosa del genere?

M.B.: Una scena che può far piangere anche un vecchio soldato come lei, ma non è lo stesso tipo di nodo alla gola che ti prende nel vedere le bare allineate davanti agli aerei e coperte con la bandiera americana?

J.M.: Sì, abbiamo trasportato in volo tante di quelle sacche mortuarie e mi sono sempre commosso…

M.B.: E sono tutti poco più che ragazzi…

J.M.: Vede, se parliamo di veterani come me… noi non abbiamo più nulla da perdere. Ma quei giovani soldati, di 18-20 anni, ne ho visti morire tanti…

M.B.: Questi giovani lo fanno per un ideale patriottico?

J.M.: Sì, sono militari, sono stato con loro, lo fanno per amor di patria. Hanno una missione e nei loro occhi non ho mai scorto un tentennamento rispetto al loro lavoro, soprattutto dopo che l’hanno provato sulla propria pelle e hanno visto quello che succede lì. C’è chi dice che in Iraq non c’erano depositi di armi di distruzione di massa e invece sì, c’erano e li abbiamo individuati, si trovavano lungo le linee che vanno dall’Iraq alla Siria.

M.B.: Tutto ciò è molto difficile da capire, ma lei è stato lì per tredici mesi…

J.M.: È una grossa fetta della mia vita, trascorsa in una zona ostile sotto il fuoco del nemico, un’esperienza che mi ha segnato profondamente e mi ha cambiato per sempre. E quello che ho visto mi ha fatto invecchiare dentro.

M.B.: Cambiamo discorso. Lei guida ancora la sua motocicletta?

J.M.: Sì, sono stato un motociclista per 34 anni. La mia ultima moto, una Yamaha Virago 750 nera, è ferma da un po’ nella mia casa in Montana, ha bisogno di riparazioni. Ne vorrei prendere una nuova, appena possibile. Abbiamo dei cavalli. Sa, li usiamo ancora, per l’addestramento delle truppe per l’Afghanistan, dove abbiamo la cavalleria, sorprendente, avere ancora soldati americani a cavallo…

M.B.: Lei ci ha creduto quando hanno detto che Bin Laden è fuggito con una moto da enduro?

J.M. Certo, è possibile.

M.B.: Torniamo a Roswell. Il colonnello Corso ha detto che per il trasporto dei corpi usarono vie di terra, mentre per le parti del disco lo fecero con gli aerei, per ragioni di sicurezza.

J.M.: Sì, Corso lo ha specificato. Non lo so per certo, ma rientra nelle possibilità e nella logica. Molti dei rottami vennero trasferiti in aereo ad alta quota, sino a Fort Worth, destinazione finale l’ufficio del Generale Ramey. I voli a bassa quota furono effettuati con i B-29, che trasportavano i materiali e il personale di guardia dentro carlinghe non pressurizzate.

M.B.: Corso disse: “Ho visto e poi ho dimenticato tutto per 27 anni, sin quando sono arrivato nell’ufficio del Generale Trudeau. Lui aprì l’armadio con l’archivio di Roswell e mi disse che ero io l’uomo giusto per gestirlo”. Questo vuol dire che un militare deve prima apprendere e poi dimenticare perché questo è il suo dovere?

J.M.: Sì, questo è il primo dovere di un militare, gli aspetti secondari della missione riguardano altri. La tua missione è lì, la tua attenzione è concentrata al massimo e le questioni collaterali non ti riguardano.

Immagine
Jesse Marcel Jr., fotografato all'aeroporto di Albuquerque nel 2009 (foto: Maurizio Baiata)


M.B.: Allora, solo come chiarimento finale. Lei ha specificato di non aver visto fra quei materiali, le lamine di metallo-memoria che una volta accartocciate tornavano alla loro forma originale, come si vede nel film. È così?

J.M.: Sì, non ho visto quell’effetto e non ho provato a piegarle e mi dispiace non averlo fatto. Era molto flessibile e leggero, ma non provai a piegarlo o deformarlo.

M.B.: Grazie, Colonnello Marcel.

J.M.: Grazie a lei.

Maurizio Baiata, 29 Novembre 2011

Questo articolo, pubblicato su “Area 51” n. 21, Giugno 2007, è stato da me riportato alla sua stesura originale, che appare qui per la prima volta.

http://mauriziobaiata.net/2011/11/28/pa ... i-roswell/



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MessaggioInviato: 16/12/2011, 22:35 
Cita:
mistero ha scritto:

Cita:
...vasta area di rottami splendenti costituiti da nastri di gomma, pezzi di stagnola, carta piuttosto dura e bastoncini.

Ovviamente, come tutti sanno la storia non è finita qua.


ciao Paolo, non vedo l'ora che esca il libro, intanto quindi confermi che ciò che trovò Brazel erano solo rottami comunissimi?? Strano che in molti documentari che ho visto e in moltissimo articoli non dicono questo, solo voyager ha nominato la stagnola... sono in confusione adesso [8]

come stanno davvero le cose? cioè che trovò vide realmente Brazel? la sua intervista è reale o fu costretto a ritrattare il tutto? GRAZIE [:)]



Scusa mistero, ho letto con siderale ritardo il tuo post.

Riguardo alla tua domanda, confermo quanto detto Mack Brazel al Roswell Daily Record, anche se ho dei dubbi che il fattore recuperò solo detto materiale. -Nel mio libro ho approfondito anche questo tema-. Un aspetto anomalo dell'intervista è che Mack anche il giorno prima guidando il suo vecchio furgone era andato a Roswell dallo sceriffo Wilcox, raccontandogli qualcosa mai completamente chiarito. Da rilevare che Brazel abitava al ranch Foster, ubicato circa 120 km. a nord-ovest della città. Quel giorno, tra andata e ritorno, Brazel guidò per ben 240 km. ed è improbabile che il giorno successivo il fattore ritornò in città solo per raccontare di aver trovato balsa, residui di neoprene e cartone duro... Brazel non era proprietario del ranch ma solo affittuario, e doveva rendere conto del suo lavoro ai suoi padroni, i fratelli Foster. Sembra strano che Brazel di sua spontanea volontà lasciò i suoi incarichi per ritornare in città e raccontare una storia tutt'altro che entusiasmante. Penso che Brazel in qualche modo fu costretto a ritornare a Roswell.

P.s.: Il libro non uscirà a fine anno, troppe novità ancora da inserire! Lo pubblicherò nel 2012.

Ciao,
Paolo [;)]



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ROSWELL: LA RICERCA CONTINUA
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MessaggioInviato: 18/09/2012, 07:16 
UFO/ Roswell: la scoperta del millennio?

di Umberto Visani.

La critica mossa più di frequente al fenomeno Ufo da parte di coloro che hanno nulla o scarsa conoscenza del medesimo, è quella per cui esso non sarebbe supportato da alcuna prova conclusiva che ne dimostri l’effettiva sussistenza. Simile affermazione denota certamente ignoranza, vista la mole di prove a supporto della realtà del fenomeno, ma va in ogni caso a toccare un punto di lieve dolenza, costituito dal fatto che, al momento, non esiste la classica “pistola fumante” che possa mettere a tacere definitivamente gli scettici ad oltranza.

Proprio per questa ragione si spiega il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Frank Kimbler, insegnante di geologia presso il New Mexico Military Institute, a Roswell.

I detriti parlano…

Come probabilmente accade per molte persone che si trasferiscano a Roswell, Frank Kimbler sviluppo presto una sorta di “sympathy for the Ufos”, interessandosi in prima persona a quanto accaduto nel 1947 nei pressi della piccola cittadina del New Mexico.

Facendo fruttare le sue conoscenze professionali, il professor Kimbler iniziò a svolgere alcune indagini per proprio conto. Per prima cosa esaminò varie immagini satellitari alla ricerca del luogo di impatto del disco. Infatti, malgrado siano passati oltre 60 anni, il terreno, per quanto intonso in apparenza, agli infrarossi potrebbe ancora mostrare segni inequivocabili di uno schianto. Così infatti fu: il professor Kimbler individuò ben presto un luogo che mostrava i sommovimenti caratteristici causati da un impatto con un oggetto di massa rilevante. Non solo, il punto del presunto impatto si trovava proprio in una zona in tutto e per tutto coincidente con quella descritta dai testimoni dell’epoca.

Fiducioso della bontà di quanto scoperto, il professor Kimbler si recò sul luogo munito di un metal detector in grado di reperire oggetti metallici presenti fino a 3 cm sotto la superficie. Come è noto, a seguito del crash nel 1947 la zona era stata successivamente rastrellata con attenzione alla ricerca di ogni più piccolo detrito. Tuttavia, Kimbler confidava di poter trovare resti di dimensioni ridotte, magari in tane di animali.

È stato proprio in un formicaio, infatti, che Kimbler rinvenì un piccolo pezzo argenteo e piatto, come una mini lastra di alluminio. Questo fu solo il primo di una lunga serie di ritrovamenti di oggetti nella zona: pezzi di metallo in apparenza triturati, bottoni poi scoperti appartenere a uniformi delle Forze Armate a fine anni ’40, chiodi, truciolame, pezzi di latta.

Soddisfatto per quanto rinvenuto, il professor Kimbler decise di fare sottoporre ad analisi i resti che reputava più inspiegabili. Per questo si rivolse all’International Ufo Museum di Roswell, il quale decise di finanziare alcuni test presso il New Mexico Tech di Socorro.

Il laboratorio di Socorro, a seguito di un esame con microscopio e spettrometro, dichiarò che la lastra analizzata era composta di alluminio, silicio, manganese e lega di rame, tutti elementi presenti anche sul nostro pianeta, per quanto la struttura a pellicola del pezzo fosse in ogni caso alquanto inusuale.

A questo punto, per nulla scoraggiato, Kimbler decise di sottoporre il campione a un’analisi isotopica, l’unica in grado di determinare l’origine terrestre o meno del materiale, dal momento che i rapporti isotopici dei metalli hanno caratteristiche uniche in base alla loro provenienza, nel senso che un eventuale metallo non di questo pianeta presenterebbe un rapporto isotopico differente da quello mostrato dallo stesso metallo ma di origine terrestre.

Per svolgere questo test Kimbler si recò presso l’Istituto Meteoriti dell’Università del New Mexico. Qui un tecnico di analisi isotopiche, dopo aver saputo che i detriti provenivano dalle vicinanze di Roswell, si rifiutò di eseguire il test, sostenendo che il solo pensare si potesse trattare di materiale extraterrestre costituiva una sciocchezza, in ciò denotando un atteggiamento totalmente agli antipodi rispetto a quanto imporrebbe il metodo scientifico.

Noncurante dell’ostacolo posto da questo primo laboratorio, Kimbler cercò altri istituti che svolgessero l’analisi da lui richiesta. Con il finanziamento dell’International Ufo Museum di Roswell, Kimbler si rivolse a un altro laboratorio di analisi il quale, dopo soli cinque giorni, gli fece avere i risultati.

Lo stupore fu quasi parossistico nel vedere che, secondo i test effettuati, il magnesio contenuto nel pezzo non era di origine terrestre, distanziandosi di molto dai valori riscontrabili nel magnesio comune sulla Terra. Due sole possibilità rimanevano: il test era stato eseguito in maniera errata, oppure il laminato proveniva davvero da un altro pianeta.

Al momento, stando a quanto dichiarato in questi giorni da Kimbler, altri due laboratori stanno analizzando i detriti recuperati, per cui nelle prossime settimane si avranno ulteriori risultati che potranno comprovare o meno le prime risultanze.

Et in Arcadia Ego…

Quanto finora narrato, però, sarebbe fin troppo idilliaco per l’ufologo, nel senso che rappresenterebbe fin troppo un sogno diventato realtà. A contrastare uno scenario ameno si inserisce una vicenda trasversale, sempre concernente i detriti e il professor Kimbler, che fornisce spunti di riflessione sull’intera vicenda.

Infatti, tra i vari pezzi ritrovati sul presunto luogo del crash, Kimbler ne avrebbe inviato uno tramite corriere alla School of Earth and Space Exploration dell’Università dell’Arizona, a Tempe, allo scopo di fare eseguire ulteriori test. A differenza di quanto si potrebbe prevedere, il pacco è effettivamente arrivato ma, come testimoniato dalla professoressa Lynda Williams, ricercatrice presso detto istituto, al suo interno non vi sarebbe stato alcun frammento.

Le ragioni ipotizzabili possono essere molte: dimenticanza da parte di Kimbler, intercettazione del pacco durante la spedizione con relativo asporto del contenuto, perdita del frammento al laboratorio, occultamento del medesimo presso il laboratorio stesso. Quale che sia la ragione, si è giunti a una decisione discutibile, per quanto motivata presumibilmente da intenti protettivi, da parte del professor Kimbler: non inviare più reperti ad alcun team di ricerca ma solo a propri fidati collaboratori.

Il problema di questa decisione è che si presta a una critica di lapalissiana evidenza, consistente nell’ipotizzare che Kimbler ben saprebbe di non aver scoperto nulla di extraterrestre ma che sarebbe in cerca di un po’ di visibilità.

Non credo sia assolutamente questo il caso, sia per la professionalità del Kimbler sia perché i risultati emersi dalle analisi effettuate dal primo laboratorio permangono, nella loro rocciosa credibilità, a indicare un’origine non terrestre del magnesio contenuto nel pezzo esaminato.

Cionondimeno, Kimbler dovrà ora confrontarsi con questa valanga di critiche provenienti dagli ambienti accademici, i quali, finché non emergeranno nuove prove, avranno buon gioco ad affermare che i test svolti non sono sufficienti per fornire credibilità totale alle risultanze ottenute.

Considerazioni

Il caso del professor Kimbler è altamente paradigmatico. Il primo aspetto che balza agli occhi è come le agenzie di stampa internazionali abbiano praticamente ignorato una notizia di simile valore, preferendo a essa vicende, anche ufologiche, maggiormente atte a fare clamore, ma intrinsecamente supportate da prove di scarso valore (nella migliore delle ipotesi) oppure persino prive del minimo appiglio probatorio. Ciò mostra non solo quanto la via per il disclosure sia lunga, ma anche come i media tendano a fornire un’immagine altamente sviante del fenomeno Ufo, dando risalto agli aspetti più trash che non fanno che allontanare coloro che si trovano in posizioni di apertura mentale ma che, dinnanzi a storie ben oltre i confini dell’incredibile, tendono a rimanere disgustati e a considerare l’intero fenomeno Ufo come il frutto di una montatura.

Al tempo stesso, il caso Kimbler si pone come una vera e propria pietra di paragone: infatti non si può nascondere come le aspettative siano molto elevate, nel senso che, per la prima volta, ci si troverebbe davvero di fronte a una sorta di pistola fumante. Per questa ragione sarebbe auspicabile che il professor Kimbler non si rifugiasse nel cliché di colui che afferma di sapere, di avere in mano prove certe, ma di tenerle per sé poiché “altri” non ben identificati (siano essi agenti del governo o di enti vari) cospirano contro di lui per nascondere la verità. Può essere effettivamente così, ma non sempre la linea di demarcazione con uno scenario alla John Nash è netto come si potrebbe pensare analizzando le situazioni dall’esterno.

Un altro aspetto da non dimenticare è rappresentato dal fatto che, ancora una volta, le maggiori prove a sostegno della realtà di un fenomeno che i benpensanti vorrebbero essere frutto di menti allucinate sono collegate al caso Roswell, caso la cui importanza spesso viene dimenticata dagli stessi ufologi.

L’8 luglio del 1947, infatti, la cortina dell’insabbiamento non si era ancora abbassata sulla vicenda e la verità era ancora osservabile nella sua netta chiarezza, chiarezza che nessuna spiegazione di comodo successiva potrà mai offuscare e il cui nitore è ancora oggi intatto grazie al testo del comunicato, redatto dal tenente Walter Haut, funzionario del Public Information Office del Campo d’Aviazione di Roswell, su ordine diretto dell’allora comandante della base, Colonnello William Blanchard, che recita quanto segue: “Le numerose voci concernenti i dischi volanti sono finalmente diventate realtà ieri, quando il Reparto Informazioni del 509 Gruppo da Bombardamento dell’VIII Forza Aerea del Campo di Aviazione di Roswell ha avuto la fortuna di entrare in possesso di un disco con la collaborazione di un allevatore del posto e dello sceriffo della Contea di Chaves (omissis). L’Aeronautica è passata immediatamente all’azione e il disco è stato rimosso dalla casa dell’allevatore, quindi esaminato nel Campo di Aviazione di Roswell e infine inviato dal maggiore Marcel al quartier generale“.

Al professor Kimbler l’arduo compito di portare la verità fuori dal fango gettatole addosso dai mestieranti della ragion di Stato.

fonte:
http://ildemocratico.com/2012/09/17/ufo ... millennio/


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MessaggioInviato: 18/09/2012, 08:45 
Umberto, grazie! Molto interessante la storia del pacco fantasma inviato da Kimbler alla ASU a Tempe, interessante perche' gli ufologi, ma anche chiunque sia dotato di un minimo di buon senso, dovrebbero sapere che la eventuale "pistola fumante" non si spedisce per posta ne' per corriere. Ho scritto un pezzo in proposito tempo fa, che ripropongo appena possibile sul mio blog. E interessante anche perche' detta universita' si trova a due passi dal posto dove lavoravo io, a Open Minds e io quelli li conosco molto bene.
Maurizio


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MessaggioInviato: 18/09/2012, 17:14 
Sulle ricerche di Kimbler se ne era parlato oltre un anno fa
http://noiegliextraterrestri.blogspot.i ... ti-di.html
Mi chiedo quanto tempo serva per fare quelle benedette analisi


Ultima modifica di gippo il 18/09/2012, 17:15, modificato 1 volta in totale.

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Sull'ultimo numero di X times c'è un articolo in merito.
Non posso postarlo per via del copyright.
Posto solo le ultime poche righe, dove ci sono i "risultati" dell'articolo.

Difficilmente un pallone sonda, che per sua natura non può avere una massa consistente, avrebbe potuto causare quella quantità di danni con relativa deformazione morfologica del terreno (si riferisce ad un ipotetico punto di impatto trovato).
Dopo tanti anni dall’evento si può concludere che a Roswell non cadde affatto un pallone sonda, esito questo che da solo mette in discussione la posizione ufficiale che, come dimostrato, all’epoca dei fatti alterò nei resoconti l’evolversi degli avvenimenti, adoperandosi poi in modo maniacale nel cancellare ogni prova dell’evento, assorbendo dalla burocrazia di stato tutta la documentazione riconducibile al caso. Ad aggravare la situazione ci sono poi le analisi sugli isotopi fatte eseguire da Kimbler in laboratori ufficiali con tanto di certificazione.
Volevo infine sottolineare che il magnesio in natura, anche se facilmente reperibile, non esiste allo stato libero, ma si trova sempre legato ad altri elementi, indice questo che il frammento trovato è il frutto di una lavorazione non eseguita sul nostro pianeta.


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Cita:
Sheenky ha scritto:

Sull'ultimo numero di X times c'è un articolo in merito.
Non posso postarlo per via del copyright.
Posto solo le ultime poche righe, dove ci sono i "risultati" dell'articolo.

Difficilmente un pallone sonda, che per sua natura non può avere una massa consistente, avrebbe potuto causare quella quantità di danni con relativa deformazione morfologica del terreno (si riferisce ad un ipotetico punto di impatto trovato).
Dopo tanti anni dall’evento si può concludere che a Roswell non cadde affatto un pallone sonda, esito questo che da solo mette in discussione la posizione ufficiale che, come dimostrato, all’epoca dei fatti alterò nei resoconti l’evolversi degli avvenimenti, adoperandosi poi in modo maniacale nel cancellare ogni prova dell’evento, assorbendo dalla burocrazia di stato tutta la documentazione riconducibile al caso. Ad aggravare la situazione ci sono poi le analisi sugli isotopi fatte eseguire da Kimbler in laboratori ufficiali con tanto di certificazione.
Volevo infine sottolineare che il magnesio in natura, anche se facilmente reperibile, non esiste allo stato libero, ma si trova sempre legato ad altri elementi, indice questo che il frammento trovato è il frutto di una lavorazione non eseguita sul nostro pianeta.



Ma perchè ci sono ancora dubbi sul... pallone sonda? [:D]



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mah... Speriamo non sia l'ennesima trovata per incrementare il folklore intorno a questo caso e si riesca a trovare questa benedetta pistola fumante. Ad ogni modo non credo che l'eventuale sparizioen di qualche frammento sia un problema, basata recarsi sul post oe prenderne altri, ce ne saranno centinaia sparsi in giro e appena sotto la superficie... quindi, niente scuse...



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Per MaxpoweR: Si', si', degli amici di Roswell che ci sono stati la scorsa settimana ne hanno raccolti una carrettata e mi stanno inviando dei frammenti. Appena mi arrivano ti avviso e te li spedisco, sempre per corriere, che e' piu' sicuro, delle Poste Italiane non mi fido molto. Maurizio


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MessaggioInviato: 21/09/2012, 19:56 
Ma non avevano ripulito tutto ...? [8)]



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Immagine Operatore Radar Difesa Aerea (1962 - 1996)
U.F.O. "Astronavi da altri Mondi?" - (Opinioni personali e avvenimenti accaduti nel passato): viewtopic.php?p=363955#p363955
Nient'altro che una CONSTATAZIONE di fatti e Cose che sembrano avvenire nei nostri cieli; IRRIPRODUCIBILI, per ora, dalla nostra attuale civiltà.
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MessaggioInviato: 21/09/2012, 20:19 
No no Ufologo, sai come sono i militari, si scordano sempre di pulire e bonificare proprio nei punti in cui uno non penserebbe mai di trovare i rottami dei dischi precipitati a Roswell e quindi... si vede che stavolta hanno seguito il consiglio di MaxpoweR, hanno ingaggiato dei metal-sensitivi e poi con strumenti sofisticatissimi hanno fatto le triangolazioni, poi la quadratura del cerchio e voila', i rottami sono stati trovati e mo' me li mandano. Contento? Maurizio


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MessaggioInviato: 21/09/2012, 20:20 
Sono trascorsi 65 anni dall'incidente di roswell e niente di straordinario e mai emerso.Mille supposizioni,interviste in anonimato,testimoni che all'epoca erano fanciulli,ma hanno dubbi e cosi via.



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Alessio
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MessaggioInviato: 21/09/2012, 20:29 
Maurizio Baiata il giornalista oppure un omonimo?



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