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 Oggetto del messaggio: I misteri delle antiche civiltà
MessaggioInviato: 19/10/2012, 16:54 
I MISTERI DELLE ANTICHE CIVILTA'

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INDICE


PAGINA 1

Teoria degli antichi astronauti
Il seme degli Dei
L'oro: il metallo degli Dei
Le origini dell'uomo moderno
Un impero prima del diluvio
La torre di Babele
Il segreto dei druidi
Il messaggio di Orione
Lo Shamir e gli scalpelli di luce divina
I blocchi di Puma Punku
La sconfitta della rinascita
Intervista a Graham Hancock
Intervista a Peter Kolosimo
Siro: stella della vergine


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MessaggioInviato: 19/10/2012, 16:54 
TEORIA DEGLI ANTICHI ASTRONAUTI

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_deg ... astronauti

La teoria degli antichi astronauti, o teoria del paleocontatto, o paleoufologia è l'insieme di quelle idee, sviluppate a partire dalla metà del Novecento, che ipotizzano il contatto di civiltà extraterrestri con le antiche civiltà umane quali Sumeri, Egizi e civiltà precolombiane. Questo genere di teorie non sono in generale accettate a livello scientifico-accademico, con alcune eccezioni (un esempio l'astronomo e matematico Josef Allen Hynek), e vengono spesso fatte rientrare nel più vasto campo speculativo della controversa pseudo-archeologia o "archeologia misteriosa".

Origine
Le teorie sul contatto delle antiche civiltà umane con gli extraterrestri sono divenute popolari a partire dagli anni sessanta e soprattutto negli anni settanta, con la pubblicazione dei libri di Erich von Däniken e Peter Kolosimo e in particolare dei bestseller di Kolosimo Non è terrestre (1969) e Astronavi sulla preistoria (1972). Tuttavia il substrato di tali teorie era già stato elaborato alcuni anni addietro, subito dopo gli anni cinquanta, con la nascita dell'ufologia assieme alle prime testimonianze documentate di avvistamenti di UFO. Questo tema si unì agli argomenti già elaborati da Charles Fort sull'apparente incoerenza cronologica di alcuni manufatti e al rinnovato interesse popolare degli anni sessanta nei confronti delle antiche civiltà e delle loro mitologie.
I sostenitori di questo gruppo di teorie affermano che vi sia stata un'influenza aliena nello sviluppo della civiltà e della specie umana, arrivando a mettere in discussione - almeno in parte - la teoria evolutiva di Charles Darwin, talvolta sostituendola con tesi creazioniste, secondo le quali la specie umana sarebbe stata creata da entità superiori o per il tramite di "angeli" extraterrestri.
Se per la paleoantropologia tradizionale l'uomo è il risultato di un processo evolutivo durato tre milioni di anni che ha portato le protoscimmie africane via via ad assumere la stazione eretta e a sviluppare la propria intelligenza, andando a formare società via via più avanzate, i sostenitori di queste idee ipotizzano che l'uomo sia stato aiutato a compiere questo percorso, se non addirittura indotto e che nel passato siano avvenuti numerosi contatti fra alieni sbarcati sulla Terra e popolazioni locali. Questi contatti, in taluni casi costituiti da soggiorni prolungati di extraterrestri sul nostro pianeta, avrebbero influenzato lo sviluppo di alcune civiltà; tracce a testimonianza di questi eventi sarebbero riconoscibili - secondo i fautori di queste teorie - studiando con una certa "forma mentis" alcuni reperti preistorici.
Tra i principali divulgatori di tali ipotesi vi sono stati l'archeologo e scrittore svizzero Erich von Däniken e lo scrittore italiano Peter Kolosimo, che dalla seconda metà degli anni sessanta hanno prodotto una serie di libri di grande presa popolare diffusi in molti paesi del mondo. Altri popolari scrittori che più recentemente hanno ripreso questa teoria sono Zecharia Sitchin, Edgar Cayce e Robert K. G. Temple.
L’avvento di Internet ha favorito la diffusione di tali idee, attraverso la nascita di innumerevoli siti web, per lo più amatoriali, che trattano di miti e presunti misteri mescolandoli assieme ad argomenti di archeologia divulgativa, ignorando, rigettando o mettendo in discussione le posizioni attualmente riconosciute nel mondo scientifico e accademico.

Idee principali
Esistono diverse idee ed ipotesi sul "paleocontatto":

- L'uomo sarebbe il risultato di creazione guidata o esperimenti genetici condotti da extraterrestri sugli ominidi (che fino a quel punto si sarebbero evoluti naturalmente sulla Terra in concordanza con la Teoria di Darwin e dunque senza nessuna apparente contraddizione) al fine di farle evolvere in tempi rapidi: adattamento evolutivo e neocreazionismo dunque sarebbero veri entrambi. Il principale argomento a sostegno di questa idea è il tempo relativamente breve impiegato dall'Homo sapiens (300.000 anni) per giungere al livello mai raggiunto da altri organismi che esistono da centinaia di milioni di anni.

- L'uomo avrebbe avuto contatti con extraterrestri sin dalle ere più antiche. Questi esseri sarebbero le divinità delle società antiche e sarebbero stati raffigurati in diversi dipinti ed opere d'arte, sia nell'antichità (egizi, maya, aztechi, popoli della Mesopotamia, romani) sia in epoca medioevale. Altri indizi sono celati in testi religiosi, come la Bibbia e il R#257;m#257;ya#7751;a, o in opere di carattere storico. Dipinti medievali e rinascimentali, specie a carattere religioso, raffiguranti Dio, il Figlio e gli angeli, mostrerebbero in cielo delle navicelle spaziali, a volte addirittura con degli angeli guidatori.

- Il ritrovamento di OOPArt, ossia "oggetti fuori posto", in quanto "fuori dal tempo", che vedrebbero l'uomo e la sua tecnologia molto più antichi rispetto a ciò che l'archeologia canonica afferma.

Prove scientifiche
Non esiste alcuna prova scientifica.
Secondo i sostenitori della teoria, esisterebbero numerosi luoghi con antiche rovine e siti archeologici a testimonianza del contatto con gli alieni, alcuni dei quali costruiti con tale perizia da suggerire l'uso di tecnologie aliene. Gli ufologi e in particolare i clipeologi ritengono prove indiziarie alcuni famosi siti archeologici (tra i quali Giza, Baalbek, Yonaguni, le Linee di Nazca, i monoliti di Stonehenge) e raffigurazioni, incisioni e statuette (del Nord e Sud America, isole del Pacifico e Australia), a sostegno delle loro ipotesi di un contatto fra le popolazioni umane primitive e forme di vita aliene, che sarebbero state viste come "angeli", "spiriti", "dei" o "semidei" da tali popolazioni.
Inoltre i teorici degli antichi astronauti interpretano letteralmente l'antica letteratura sumera e testi sacri prodotti da antiche civiltà del pianeta, indicandone vari brani come possibili resoconti di un contatto a livello planetario. In particolare sono spesso citati l'Epopea di Gilgamesh ed alcuni libri della Bibbia.

Critiche
Nonostante i proponenti di tali teorie interpretino a proprio modo testi e manufatti antichi, non è ancora stata trovata alcuna prova a sostegno dell'ipotesi degli antichi astronauti. Ognuno degli elementi portati a sostegno di tali teorie trova una spiegazione scientifica senza bisogno di ricorrere agli alieni, malgrado gli autori che propagandano la teoria degli antichi astronauti parlino frequentemente di "misteri" e di oggetti "senza spiegazione" nei loro libri.
Alan F. Alford, autore di Gods of the New Millennium (1996), era un aderente della teoria degli antichi astronauti. Molto del suo lavoro si basa sulle teorie di Sitchin. Egli tuttavia trova ora fallace la teoria di Sitchin, dopo un'analisi più approfondita, affermando che "Sono ormai saldamente del parere che queste divinità personificavano la caduta del cielo, in altre parole, la discesa degli dèi era una resa poetica del mito del cataclisma che era al centro di antiche religioni del Vicino Oriente".
La comunità cristiana creazionista è a sua volta assai critica su molte delle idee sugli antichi astronauti: lo scrittore creazionista della "giovane Terra" Clifford A. Wilson ha pubblicato Crash Go the Chariots nel 1972 in cui ha tentato di screditare tutte le indicazioni fornite nel libro di von Däniken Gli extraterrestri torneranno? (Chariots of the Gods).
In un articolo del 2004 sulla rivista Skeptic, Jason Colavito sostiene che von Däniken avrebbe plagiato molti dei concetti del libro Il mattino dei maghi e che questo libro, a sua volta, è stato fortemente influenzato dal Miti di Cthulhu, e che il nucleo della teoria degli antichi astronauti ha origine nei racconti di H. P. Lovecraft Il richiamo di Cthulhu e Alle montagne della follia.


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MessaggioInviato: 19/10/2012, 17:00 
IL SEME DEGLI DEI

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9618

Man mano che il progresso scientifico avanza e nuove scoperte vengono fatte divulgate, più si va a delineare un quadro che noi appassionati di ufologia e paleoarcheologia abbiamo da sempre teorizzato: un intervento ‘esterno’ quale punto di partenza dell’incredibile storia del genere umano.
Ma partiamo dall’alba della comparsa dell’Homo Sapiens, circa 300.000 anni fa in Africa, secondo le teorie antropologiche tradizionali. A quel tempo il precedente esemplare, l'Homo Erectus, è presente sul pianeta già da più di un milione e mezzo di anni e possiede una capacità cranica maggiore rispetto all'Homo Habilis. L'Homo Erectus avrebbe avuto una notevole somiglianza con gli esseri umani moderni, ma aveva un cervello di dimensioni corrispondenti a circa il 75% di quello dell'Homo Sapiens. Il modello paleoantropologico dominante descrive l’Homo Erectus inoltre come capace di usare rudimentali strumenti.
A un certo punto avviene qualcosa di rivoluzionario, la massa cerebrale aumenta del 30%, acquisisce capacità di articolare un linguaggio, modifica la propria biologia ormonale, … insomma l’Erectus si evolve in Homo Sapiens e poi successivamente circa 30.000 anni fa in Sapiens Sapiens e come descritto in figura, attraverso una serie di fasi migratorie i Sapiens vanno a popolare l’intero pianeta.

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Ciò rappresenta una singolare unicità nel modello evolutivo descritto nel volume “L’origine delle specie” di Darwin nel 1859 in quanto nessuna altra specie animale presente sul pianeta ha seguito un percorso evolutivo così rapido ed eccezionale.
Per esempio il cavallo in 55 milioni di anni ha modificato leggermente (e sottolineo leggermente) la propria struttura fisica, il proprio volume cerebrale e di conseguenza le proprie ‘abilità’, come può l’uomo in un periodo dieci volte inferiore aver modificato drasticamente la propria struttura, aumentato notevolmente il proprio volume cerebrale e di conseguenza le proprie capacità di modificare l’ambiente esterno a proprio favore? Così come il cavallo pensiamo a tutti gli altri primati, uguali a loro stessi da milioni di anni – tutti eccetto l’uomo.
Precisiamo che qui non si vuole smentire o disarticolare i postulati della teoria evolutiva Darwiniana ovvero:

1. tutti gli organismi viventi si riproducono con un ritmo tale che, in breve tempo, il numero di individui di ogni specie potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari e l'ambiente messo loro a disposizione.

2. tra gli individui della stessa specie esiste un'ampia variabilità dei caratteri; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via.

3. esiste una lotta continua per la sopravvivenza all'interno della stessa specie e anche all'esterno. Nella lotta sopravvivono gli individui più favoriti, cioè quelli meglio strutturati per giungere alle risorse naturali messe loro a disposizione, ottenendo un vantaggio riproduttivo sugli individui meno adatti.

Infatti ritengo la stessa perfettamente idonea a illustrare l’evoluzione del 99,99% delle specie viventi sul pianeta (e non solo sul pianeta), dai più piccoli batteri ai più grandi vertebrati. Solo non è sufficiente da sola a spiegare il cammino evolutivo di quell’unica razza ‘anomala’ del pianeta: la razza umana.
La risposta ai dubbi che l’antropologia non è in grado di fornire ci arrivano forse dalle più recenti ricerche sui gruppi sanguigni e sulle altrettanto importanti scoperte in ambito genetico.
Il confronto tra il nostro genoma e quello degli scimpanzè sta rivelando quali sono le sequenze del DNA che sono esclusive degli esseri umani. Da un articolo di Katherine S. Pollard “Che cosa ci rende umani”, scritto per la rivista Le Scienze dell'agosto 2009.
Lo scimpanzè è il nostro parente vivente più prossimo, con cui condividiamo quasi il 99 per cento del DNA. Gli studi per identificare le regioni del genoma umano che sono cambiate di più da quando gli scimpanzè e gli esseri umani si sono separati da un antenato comune hanno contribuito a mettere in evidenza le sequenze del DNA che ci rendono umani. I risultati hanno anche fornito importantissime conoscenze sulle profonde differenze che separano umani e scimpanzè, nonostante il progetto del DNA sia quasi identico. Per capire quali sono le caratteristiche genetiche specifiche del DNA umano rispetto a quello dello scimpanzè e degli altri primati, i ricercatori hanno decodificato il genoma di primati molto simili all’uomo, come scimpanzé e babbuino.
La bioinformatica ha poi completato il quadro con uno studio elegantissimo: sono state analizzate nei tre genomi (uomo, scimpanzé e babbuino) tutte le regioni del DNA che presentano un’elevata similitudine nei mammiferi; tra queste aree, sono state identificate quelle che differivano maggiormente tra le tre specie.
In pratica, una regione del DNA è importante se è presente nel maggior numero di animali; se però la sequenza del DNA di questa regione cambia in maniera significativa tra due specie molto simili ci sono ottime probabilità che questo cambiamento sia una delle cause della differenza tra le specie analizzate.
Al momento dell’analisi dei dati i gruppi americani responsabili della scoperta hanno trovato qualcosa di sorprendente: ciò che ci rende umani non sono nuovi geni comparsi nella nostra specie ma, al contrario, l’assenza di alcune sequenze del DNA che servono a regolare l’attività genica.
I tratti di DNA che variano maggiormente nella nostra specie sono nelle vicinanze di geni coinvolti con le funzioni del sistema nervoso centrale: la loro assenza quindi provoca variazioni nelle funzioni cerebrali. L’altro gruppo di geni che mostra variazioni significative è coinvolto nella segnalazione ormonale ed, in particolare, con la funzione sessuale che evidentemente varia in maniera significativa tra l’uomo e gli altri primati.
La variazione più interessante però è la delezione di una sequenza di DNA vicina al gene GADD45G: questa regione è stata già da tempo correlata con l’espansione di particolari zone del cervello. L’assenza di questa sequenza di DNA è probabilmente la causa dell’ingrandimento di alcune aree del cervello e quindi della comparsa di nuove funzioni neurologiche.
L'evoluzione 'stile Darwin' aggiunge sequenze e cromosomi a quelle già esistenti per meglio adattare la specie all'ambiente. Una delezione è già di per sè inspiegabile senza voler prendere in considerazione la possibilità di un intervento 'esterno'.
Ma vediamo quali sono le sequenze principali che differiscono per via di modificazioni o, appunto, di inspiegabili delezioni di materiale genetico:

Sequenza HAR1
Il gene HAR1 (da "Human Accelerated Region 1"), è una sequenza di 118 basi nel DNA umano, scoperta nel 2004-2005, che si trova nelcromosoma 20.
Il gene HAR1 non codifica per alcuna proteina nota, ma per un nuovo tipo di RNA (simile al RNA messaggero). HAR1 è il primo esempio noto di sequenza codificante l'RNA dove si è avuta una selezione positiva. Il gene HAR1 viene espresso durante lo sviluppo embrionale e produce una migrazione neuronale indispensabile allo sviluppo di un cervello veramente umano. Alcuni sostengono che la sua velocissima evoluzione nell'essere umano (il pollo e lo scimpanzé differiscono per due basi, l'uomo e lo scimpanzé per 18 basi) contrasti con la teoria dell'evoluzione.

Sequenza HAR2
La sequenza HAR2 (nota anche come HACNS1), è un introne (potenziatore genico) presente nel cromosoma 2, e costituisce il secondo sito genomico con la più accelerata velocità di cambiamento rispetto a quella nei primati non umani. Induce lo sviluppo dei muscoli nell'eminenza tenar (muscolo opponente del pollice), che consente di afferrare e manipolare oggetti anche molto piccoli, oltre a quella grande e complessa quantità di ossicini, muscoli e tendini, presenti tra la mano e l'avambraccio, che dona alla mano una grande quantità di gradi libertà, oltre ad una buona precisione nei movimenti.

Sequenza AMY1
Il gene AMY1 codifica per una enzima, l'amilasi salivare, che permette una migliore digestione dell'amido. Si ipotizza l'aumento della sua prevalenza nelle popolazioni che cominciarono a praticare l'agricoltura (avena, farro, frumento, mais, patate, riso, segale, ecc.), e che in questo modo riuscirono a sfruttare meglio non soltanto la terra arata, ma anche gli specifici alimenti (graminacee) che essa produceva.

Sequenza MAD1L1
La sequenza MAD1L1, nota anche come "Mad1" (oppure come HAR3, per il suo accelerato tasso di cambiamento rispetto al DNA delle scimmie) agisce su proteine che permettono una più ordinata divisione del fuso mitotico, permettendo un minor tasso di errori nella divisione cellulare, dunque una migliore efficienza delle mitosi e delle meiosi, minore quantità di cellule da mandare in apoptosi ed infine una maggiore durata della vita, con meno tumori e in migliore salute.

Sequenza WNK1
Il gene WNK1 (noto anche come HAR5, presente nel braccio corto del cromosoma 12) codifica per un enzima, una tirosinasi del rene, che permette una migliore eliminazione del potassio da parte del rene, e allo stesso tempo, per meccanismi correlati al potenziale della membrana del neurone, consente una maggiore sensibilità e accuratezza di localizzazione da parte dei nervi sensitivi. Questo enzima, migliorando il "feed back" sensitivo, può avere contribuito ad aumentare la perizia nella fabbricazione di attrezzature, oggetti, vestiti, armi, ecc. Inoltre può aver favorito la destrezza nell'andatura, nella lotta e la grazia nella danza.

Sequenza FOXP2
Nel 2001 venne osservato all'Università di Oxford che persone con mutazioni del gene FOXP2 (altra sequenza genetica a cambiamento accelerato) sono incapaci di fare movimenti facciali fini e ad alta velocità che sono tipici del linguaggio umano. Questi pazienti mantengono inalterata la capacità di comprendere il linguaggio, dunque il deficit è puramente nervoso-motorio, nella fase di estrinsecazione del linguaggio. La mutazione del gene FOXP2 è condivisa dal Homo sapiens e dall'uomo di Neanderthal, ed in base a reperti paleontologici e ai dati di deriva genetica si può calcolare che questa mutazione sia avvenuta circa 500.000 anni fa. Dunque non è la sola ragione del grande sviluppo.

Sulla sequenza FOXP2 e sulla possibilità di un intervento alieno di manipolazione genetica della stessa in un lontano passato esiste un ulteriore prova riscontrata nell’esame del DNA del teschio dello ‘Starchild’ che come molti già sanno è un reperto ritrovato intorno al 1930 da una ragazzina di circa 13-15 anni in Messico, nel tunnel di una miniera a circa 160 km a sud-ovest da Chihuahua e successivamente affidato allo scienziato scrittore Lloyd Pye il quale da subito avanzò ipotesi controcorrenti sulla natura dello stesso avanzando una possibile origine aliena.

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Le notizie più recenti che arrivano da Oltreoceano sembrano però aprire un capitolo nuovo e clamoroso. Un genetista del Progetto Starchild sarebbe riuscito ad estrarre dall’osso un frammento del gene FOXP2. Secondo le ultime teorie, questo gene contiene le istruzioni per sintetizzare una proteina fondamentale per la coordinazione tra i movimenti della bocca, gli organi di fonazione (come laringe e corde vocali) e gli impulsi elettrici inviati dal nostro cervello. Insomma, FOXP2 è indispensabile per lo sviluppo del linguaggio. E la sequenza trovata in Starchild non è uguale alla nostra.
Il risultato non è ancora definitivo e deve essere ancora confermato in un laboratorio indipendente. Ma se fosse proprio così, allora sarebbe la scoperta più dirompente della Storia, perchè saremmo di fronte alla dimostrazione che quella creatura non era del tutto umana o forse, non lo era per nulla. Una prova concreta, questa volta, e non confutabile: perchè il DNA è scienza, non opinione. Sembra che in Starchild il gene FOXP2 si differenzi dal nostro per ben 56 coppie di base.

Tornando alle delezioni cromosomiche certamente le delezioni genetiche possono avvenire anche in natura per: esposizione a radiazioni, attività retro-virali, errori di trascrittura del DNA, ma in questo caso certamente non forniscono vantaggi competitivi, anzi il più delle volte generano deficit, sindromi e malattie genetiche.
Per questo a mio parere sono inspiegabili se le osserviamo dal punto di vista evolutivo. A titolo esemplificativo la medicina oggi riconosce le seguenti sindromi causate da delezioni di specifiche sequenze genetiche:

- delezione cromosoma 4 = sindrome di Wolf-Hirschhorn
- delezione cromosoma 7 = sindrome di Williams
- delezione cromosoma 18 = ritardo mentale

e purtroppo non rappresentano miglioramenti evolutivi, così come non sono noti casi di delezioni cromosomiche che consentano vantaggi alla specie umana così come invece viene citato dagli studi citati da K.Pollard.
Non dimentichiamoci poi della delezione del cromosoma y nella cui presenza il maschio portatore risulta impossibilitato a procreare. L’impossibilità di procreare è una caratteristica collegata all’ambito delle ibridazioni. Sappiamo per certo che il risultato di incroci tra razze, come ad esempio il mulo, frutto di un incrocio tra un cavallo e un asino non è in grado di generare una propria discendenza.
Potrebbe essere la delezione del cromosoma y e la conseguente incapacità di procreare un retaggio derivante dalla nostra condizione originale di sapiens, quale risultato di una ibridazione tra il dna dell’homo erectus opportunamente modificato attraverso delezioni di particolari sequenze cromosomiche, magari con l’ausilio di tecnologia retrovirale, e DNA alieno?
Ancora una volta ci vengono in aiuto la mitologia sumera, le interpretazioni del ricercatore indipendente Zacharia Sitchin e gli studi di mitologia accadica W.G.Lambert e A.R.Millard, Stephanie Dalley e Benjamin R.Foster che ci consentono oggi di potere leggere nell’epopea accadica di Athrasis “Inuma Ilu Awilum” (traducibile in “Quando gli dei erano come gli uomini”) scritta circa 1.700 anni prima di Cristo, una precisa descrizione del momento in cui gli Annunaki si ammutinano a causa del pesante lavoro a cui erano sottoposti sul pianeta Terra, rendendo necessaria quella ricerca scientifica che porterà alla creazione del genere Homo.
Ecco di seguito quanto riportato nell’antico testo sumero:

“… quando gli dei erano come gli uomini sopportavano il lavoro e la dura fatica. La fatica degli dei era grande, il lavoro pesante e c’era molto dolore, … per 10 periodi sopportarono le fatiche, per 20 periodi … Eccessiva fu la loro fatica per 40 periodi,… lavoravano duramente notte e giorno. Si lamentavano e parlavano alle spalle. Brontolavano durante i lavori di scavo e dicevano: Incontriamo … il comandante, che ci sollevi dal nostro pesante lavoro. Spezziamo il giogo!...”

Il giogo fu spezzato dopo che un Annunaki promosse la seguente soluzione, sempre narrata nell’Inuma Ilu Awilum:

“…abbiamo fra di noi Ninmah, che è una Belet-ili, una Ninti (dea della nascita). Facciamole creare un Lulu (ibrido), facciamo che sia un Amelu (lavoratore) a sobbarcarsi le fatiche degli dei! Facciamole creare un Lulu Amelu, che sia lui a portare il giogo…”

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La narrazione prosegue con l’identificazione nell’Abzu (l’Africa) di una creatura adatta allo scopo, l’homo erectus, e che ciò che doveva essere fatto era “… imprimergli l’immagine degli dei…” usando le parole dell’epopea: effettuare un innesto genetico, se dovessimo utilizzare termini scientifici attuali.
Ma non è solo il mito sumero a descrivere un tale evento. Nella Bibbia leggiamo:

“:..E fu così che gli Elohim dissero, facciamo un Adamo a nostra immagine e somiglianza…” [Genesi 1,26]

Sempre gli studi incrociati tra genetica e antropologia ci consentono di arrivare alla determinazione di dove probabilmente è avvenuto il secondo grande salto evolutivo del genere homo: da Sapiens a Sapiens Sapiens, circa 30-40.000 anni fa.
Sappiamo infatti che Il DNA mitocondriale, viene trasmesso per via matrilineare, e permette di studiare a ritroso le origini, la diffusione e la migrazione delle popolazioni umane fin dall' origine della comparsa della nostra specie. Altrettanto i recenti studi sul DNA mitocondriale di diverse popolazioni autoctone, prime fra tutti quelli sui nativi americani, ha fornito scoperte sorprendenti, da sole in grado di destabilizzare l’antropologia ortodossa.
Questi studi hanno infatti dimostrato inequivocabili legami genetici tra popolazioni diverse, lontane e isolate al mondo come ad esempio i Baschi dei Pirenei, i Berberi del Marocco e i nativi nordamericani Irochesi. Questi gruppi così apparentemente diversi e divisi appartengono infatti incredibilmente al medesimo gruppo genetico, il misterioso aplogruppo X.
Questi studi dimostrano allora migrazioni "impossibili" in piena Era Glaciale confermando invece quanto sostenuto da Cayce, nato del 1877 e vissuto decenni prima della stessa scoperta del DNA quando parlava proprio di quelle popolazioni, di cui all' epoca certo non si conosceva il legame genetico e che erano per tutti all' apparenza differenti e indipendenti, come di popolazioni legate da legami comuni, e che le evidenze sarebbero un giorno state scoperte.
Cayce asseriva che si trattava degli ultimi rappresentati di una stirpe comune, e cioè quella dei superstiti di Atlantide, dispersisi nei due lati dell' Atlantico alla distruzione della loro patria.
Se poi aggiungiamo a ciò che queste popolazioni rappresentano anche una anomalia statistica nella distribuzione dei gruppi sanguigni possiamo giungere a una conclusione ancora più sorprendente.
E’ infatti noto in medicina la presenza di diversi gruppi sanguigni e del fattore rhesus nel sangue degli esseri umani, derivanti da particolari unioni di coppie genetiche e la cui osservazione è fondamentale per effettuare trasfusioni, trapianti e altre pratiche mediche.
E’ infatti altrettanto risaputo che la capacità di donare e ricevere sangue è strettamente correlata al gruppo sanguigno del donatore/ricevente e al suo fattore rhesus come descritto nella tabella seguente da cui si evincono già le seguenti particolarità:

- il portatore del sangue gruppo zero può donare a tutti, ma può ricevere solo da altri gruppi zero

- il portatore del sangue gruppo AB può ricevere da tutti

- sangue Rh- può ricevere solo da Rh-

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Ma cosa è il fattore RH? Leggiamone la definizione medica tratta da Wikipedia: “Il fattore Rh o fattore Rhesus, si riferisce alla presenza di un antigene, in questo caso in una proteina, sulla superficie dei globuli rossi oeritrociti. un carattere ereditario e si trasmette come autosomico dominante. Se una persona possiede questo fattore si dice che il suo gruppo è Rh positivo (Rh+), se invece i suoi globuli rossi non lo presentano, il suo gruppo sanguigno viene definito Rh negativo (Rh-). Prende il nome dalla specie di primati Macaco Rhesus, sui globuli rossi del quale fu per la prima volta scoperta la presenza della proteina del fattore Rh”
Per cui avere un sangue RH- significa non avere questo particolare antigene. E’ importante saperlo in ambito medico in quanto un possessore di sangue RH- può ricevere soltanto RH-.
Statisticamente il fattore RH- è presente nel 15% della popolazione mondiale configurandosi come gruppo molto raro e ancora più raro è il gruppo sanguigno zero negativo, presente esclusivamente nel 6% dei casi. Questo poiché gli alleli che determinano i fenotipi descritti sono recessivi, per cui, esemplificando al massimo, deve essere presente una coppia di alleli Rh- per manifestare la caratteristica Rh-
Ecco allora che però nelle popolazioni di cui si parlava prima relativamente all’aplogruppo X abbiamo una anomalia statistica in quanto:

- nei nativi sudamericani si riscontra il 100% di sangue con il gruppo 0

- La popolazione basca è caratterizzata da un elevata media di persone con gruppo sanguigno 0-

- In Giappone gli Ainu manifestano caratteristiche geneticamente rare e simili a quelle portate dalle popolazioni dell’aplogruppo X

- La concentrazione di sangue di tipo 0 è maggiore nelle regioni che si affacciano sull'atlantico e dove sono presenti siti megalitici

- I nazisti credevano che il gruppo sanguigno 0- fosse il sangue degli dei

E guarda caso sono quelle stesse popolazioni che nei loro miti cosmogonici, sono andate a descrivere un processo di creazione delle loro civiltà da parte di divinità e un’età dell’oro precedente a un grande cataclisma.

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Tutte coincidenze?
Allora, ma senza voler scadere nel razzismo:

- Rh+, deriva da antenati 'scimmia' (homo erectus), tanto è vero che il fattore rhesus è stato trovato nei macachi rhesus.

- Rh-, deriva da antenati 'antichi creatori' (Anunnaki/Elohim), tanto è vero che denota l'assenza del fattore rhesus

Forse che gli 'uomini famosi' citati nella Bibbia e i semi-dei della mitologia classica avessero tutti il sangue RH- e che poi, nel corso dei millenni, incrociandosi con esseri umani RH+ si sia perduto l'elemento divino del nostro DNA?
Le abductions potrebbero assumere un altra chiave di lettura, e avere l’obiettivo di studio da parte dei grigi della nostra biologia e della nostra genetica per creare loro volta una razza ibrida grigio-umana che permetta loro di acquisire quei vantaggi potenzialmente presenti nel nostro DNA per scopi a noi sconosciuti, ma che potrebbero essere ostili e che noi per un motivo o per un altro non siamo più oggi in grado di attivare, realizzando noi stessi quell’ulteriore salto evolutivo in Sapiens Sapiens Sapiens, o neoticus se preferite che ci consentirebbe di ritornare all’antica età dell’oro.
Se l’ipotesi sulle abductions rimane una mia personale ipotesi e intuizione è invece assolutamente reale che più la scienza scopre cose nuove, più queste nuove scoperte suffragano la tesi da me condivisa di manipolazioni genetiche in un lontano passato.
Una possibile conclusione reale di queste ricerche è allora che il DNA alieno non sia per sua natura caratterizzato da sequenze genetiche specifiche determinanti la presenza di fattore RH nel sangue (RH-).
Il DNA dell'homo erectus (soggetto ibridabile) è invece caratterizzato da sequenze genetiche determinanti la presenza di fattore RH nel sangue così come molti altri primati (RH+)
Provvedendo a manipolazioni genetiche sull'homo erectus vengono effettuate una serie di delezioni del genoma dell'homo erectus, tra cui anche quella sull'RH al fine di predisporlo sulla base di quello alieno e potere così procedere all'ibridazione genetica che produce i primi sapiens.
Ibridi che come tutti gli ibridi non possono procreare. E' solo successivamente che viene fornita loro la capacità di procreare da parte di una fazione di Anunnaki ben precisa, gli Enkiliti, in ciò che la Bibbia descrive come peccato originale e conseguente cacciata dall’Eden.
Così facendo i sapiens, potendosi incrociare con i loro parenti più prossimi, reintroducono nel patrimonio genetico umano il fattore RH+ e altri elementi genetici dominanti su quelli alieni, abbiamo visto recessivi, che determinano la perdita di alcune caratteristiche 'divine' come la longevità, la capacità di connessione con la propria area spiriutale-animica oltre che la capacità di interagire con le energie della natura di matrice alchemica – tutte conoscenze invece note ai semi-dei probabilmente governatori di Atlantide e delle sue colonie disseminate sul pianeta.


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L'ORO: IL METALLO DEGLI DEI

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9619

L’estrazione dell’oro da parte degli esseri umani è un fenomeno le cui origini vanno ricercate oltre 6000 anni fa, nelle regioni in cui sorsero le prime civiltà antagonistiche, cioè nell'Africa settentrionale, in Mesopotamia, nella valle dell'Indo e nel Mediterraneo orientale. Questo ci porta a collocare la lavorazione del metallo ancora prima della lavorazione del bronzo e del ferro. L’oro è infatti noto e molto apprezzato dagli umani fin dalla preistoria. Molto probabilmente è stato il primo metallo mai usato dalla specie umana, addirittura anche prima del rame, per la manifattura di ornamenti, gioielli e rituali.
L'utilizzo di oro a scopi ornamentali viene menzionato nei testi egizi già fino dal faraone Den, della I dinastia, 5000 anni fa. L'Egitto e la Nubia avevano infatti risorse tali da renderli i maggiori produttori d'oro rispetto alla maggior parte delle civiltà della storia antica. L’oro, specialmente nel periodo di formazione dello stato egizio, ebbe sia un ruolo politico che economico: fu infatti uno degli elementi all’origine della divinizzazione del faraone e della nascita delle città. L'oro viene anche spesso menzionato nell'Antico Testamento. La parte sudorientale del Mar Nero è famosa per le sue miniere d'oro, sfruttate fin dai tempi di Mida: questo oro fu fondamentale per l'inizio di quella che fu probabilmente la prima emissione di monete metalliche in Lidia, fra il 643 a.C. e il 630 a.C.
Gli storici ritengono che l’utilizzo dell’oro nell’antichità fosse legata per scopi ornamentali e cerimoniali, certamente agevolati dalla sua duttilità e dalla sua facilità di lavorazione, e probabilmente anche per il suo colore e splendore, associabile al sole e di conseguenza alle divinità. Indossare monili d’oro significava per gli antichi “somigliare agli dei" e per i potenti giustificare una vicinanza o addirittura una appartenenza alle geneaologie divine, così come accadeva per i sovrani e le caste sacerdotali mesoamericane o per i Faraoni al di qua dell’Atlantico.
Ma perché un metallo, assolutamente inutile nell’ambito delle strutture sociali della nostra preistoria, assunse caratteristiche così importanti tanto da venire considerato come il metallo degli dei? Fino all’avvento del fenomeno della monetazione infatti l’oro non aveva pressoché nessun valore economico e non veniva utilizzato nemmeno come merce di scambio nelle economie basate sul baratto tipiche delle prime civiltà urbane tra cui i Sumeri, gli Accadi, e le civiltà dell’Indo meridionale, oltre che le precedentemente culture mesoamericane Olmeche e Tolteche.
Nelle comunità in cui vigeva il baratto, gli individui sapevano bene che il valore di un oggetto era dato dal tempo socialmente necessario per produrlo o per conservarlo il più possibile inalterato. Questo a prescindere dal valore soggettivo che uno poteva dare a questo o quel bene. Una comunità non poteva aver bisogno di un bene che fosse del tutto assente al proprio interno, poiché, in tal caso, non ne avrebbe sentita alcuna esigenza.
Gli studiosi concordano sul fatto che tanto gli Incas quanto gli Atzechi non usavano l’oro per scopi monetari, né gli attribuivano un valore commerciale. Il commercio era senz’altro sviluppato, ma si trattava più che altro una forma di baratto; le tasse consistevano in prestazioni e servizi occasionali, dal momento che l’uso del denaro era assolutamente sconosciuto. Per quanto riguarda gli utensili e le armi, gli Aztechi si trovavano ancora all’età della pietra: eppure sapevano lavorare perfettamente l’oro. Pur non usando l’oro come moneta, ma solo ed esclusivamente come ornamento e status symbol, all'arrivo degli Spagnoli, scambiati per divinità, gli Aztechi si affrettarono a consegnare loro tutto l'oro possibile.
Gli Egizi ritenevano che "la carne degli dei" fosse d'oro e le ossa di elettro, cioè d'oro bianco. L'oro serviva anche all'aristocrazia faraonica per far costruire da abili artigiani collane, braccialetti, anelli, pendenti che indossavano in vita e che avevano poi la cura di far deporre nella tomba per poterne disporre nell'Aldilà. Così l'oro, faticosamente estratto dal buio delle miniere, tornava ancora sotto terra nel buio delle tombe.
All'oro usato in gioielleria si aggiungeva anche l'oro donato dai Faraoni ai sacerdoti, indispensabile ai templi e ai santuari per la celebrazione delle cerimonie giornaliere: vasi rituali e statue di culto. Alcuni grandi santuari erano proprietari non solo di estesi terreni agricoli ma anche di miniere aurifere.
Nei templi le pareti di intere stanze erano rivestite di foglie d'oro e il pavimento di certe sale era cosparso di pezzetti dell'immortale metallo. La punta degli obelischi, il "pyramìdion" (la cuspide piramidale), era coperto d' oro massiccio che all'alba rifletteva i raggi del sole appena spuntato sopra l'orizzonte a simboleggiare la rinascita della vita. Uno spettacolo certamente stupefacente per gli abitanti dei villaggi ancora immersi nel buio che vedevano svettare sopra di loro gli obelischi (pesanti centinaia di tonnellate e che potevano superare i 30 m d'altezza) dalla cui cima si irradiava una morbida luce dorata.
Inoltre gli orafi egizi erano talmente abili da riuscire a laminare l'oro in sottilissimi fogli (che non superavano i 0,01 millimetri di spessore, quello di una cartina di sigarette), con cui venivano rivestiti troni, mobili e molti altri oggetti come poggiatesta, archi, e le più svariate suppellettili. Sempre in Egitto l’oro era il materiale preferito per creare oggetti magici; simbolo della luce solare era considerato il cibo degli dei, secondo il culto egizio questo metallo aveva la capacità di trasformare il defunto dallo stato umano a quello divino.

Se osserviamo alle sue applicazioni attuali ci rendiamo conto che l'oro come elemento è più utile a una civiltà con un tasso tecnologico avanzato come il nostro più che ai nostri antenati di 6000 anni fa.
L'oro è un ottimo conduttore di elettricità, inferiore solo al rame e all'argento, e non viene intaccato né dall'aria né dalla maggior parte dei reagenti chimici. Svolge inoltre funzioni critiche in molti computer, apparecchi per telecomunicazioni, motori jet e numerose applicazioni industriali; trova ampio uso come materiale di rivestimento delle superfici di contatti elettrici, per garantirne la resistenza alla corrosione nel tempo. In astronautica l'oro viene usato come rivestimento protettivo di molti satelliti artificiali, data la sua elevata capacità di riflettere sia la luce visibile che quella infrarossa.
L'utilizzo dell'oro nell'hardware e più precisamente nei microprocessori di nostri computer è soltanto forse il più conosciuto degli utilizzi moderni di questo metallo. Nell’Era dell’Elettronica viene usato praticamente in tutto, in microprocessori, calcolatrici tascabili, lavatrici, televisori, missili e navette spaziali. Nel campo dell’elettronica l’oro è utilizzato per rivestire i contatti. I contatti sono placcati elettronicamente con uno strato molto sottile di oro, usando cianuro di potassio. La produzione per la placcatura costituisce circa il 70% della domanda di oro nell’industria elettronica, ovvero circa 13.8 milioni di once annualmente.
L’altro grande ruolo dell’oro nell’industria dell’elettronica è relativo ai semiconduttori. Un sottile filo metallico d'oro viene usato per connettere parti come transistor o circuiti integrati, e nelle tavole dei circuiti stampati per collegare i componenti. Il filo metallico collante rappresenta uno dei più specializzati usi dell’oro, ed è necessario che sia puro al 99.999% con un diametro di un centesimo di millimetro. Il Giappone e gli Stati Uniti sono i più grandi utenti industriali di oro, costituendo rispettivamente il 45% e il 30% del suo uso industriale In realtà i settori innovativi nei quali si sta utilizzando l'oro sono molti e per la maggioranza ancora sconosciuti a chi non opera nel settore.
In medicina è stato già da molto tempo uitlizzato per alcuni strumenti chirurgici e nella medicina tradizionale cinese per aghi usati in agopuntura, oggi in ambito medico viene utilizzato l'oro colloidale pare che sia efficace per alleviare il dolore e il gonfiore causato da artrite, reumatismi, borsite e tendinite, usato anche per placare il bisogno di assumere alcol, per disturbi digestivi, problemi circolatori, depressione, obesità e ustioni. Si ritiene che sia molto efficace per ringiovanire le ghiandole, nel prolungare la vita e migliorare le funzioni cerebrali.
L'oro colloidale viene utilizzato in un particolare tipo di elettroforesi, una metodica di diagnostica medica o per la realizzazione di otturazioni e ponti in odontoiatria. In sospensione colloidale, trova ulteriore impiego nella pittura delle ceramiche ed è oggetto di studio per applicazioni biologiche e mediche; l'aurotiomaleato di disodio è per esempio un farmaco per la cura dell'artrite reumatoide.
L'isotopo radioattivo 198Au (emivita: 2,7 giorni) è usato in alcune terapie anti-tumorali; nelle indagini a microscopio: l'oro è usato per rivestire campioni biologici da osservare sotto un microscopio elettronico a scansione. Nuove tecniche per la diagnosi preventiva stanno sperimentando minuscole barrette d'oro immesse nel flusso sanguigno che permettano di illuminare fino a 60 volte le immagini che vengano poi rivelate da un laser attraverso la pelle, questa tecnica potrebbe consentire di superare le barriere che impediscono di usare la luce per analizzare i vasi sanguigni e i tessuti sottostanti.
Anche nei viaggi nello spazio l'oro ha avuto un ruolo centrale dove altre ad essere stato usato per placcature e la fabbricazione di celle per combustibile è stato utilizzato in fogli per fare scudo alle radiazioni e al calore del sole in modo da rendere più sicuri i viaggi spaziali.
Applicazioni del tutto sconosciute ai nostri antenati. O forse no?!

Molti miti fanno riferimento a una utopica arcadica età dell’oro antidiluviana dove gli uomini vivevano in armonia con la natura in una società perfetta. La storia tradizionale considera l’età dell’oro un semplice mito scaturito dall’ispirazione a un desiderio/volontà di perfezionamento propria dell’uomo. Altrettanto prove archeologiche e costruzioni megalitiche ‘impossibili’ fanno ipotizzare la reale esistenza di strutture sociali già prima della fine dell’ultimo periodo glaciale noto come Wurm.
Può l’età dell’oro avere visto come protagonista una società umana (o extraterrestre) sufficientemente avanzata da utilizzare l’oro in alcune applicazioni tecnologiche tipiche di una società industrializzata?
Potrebbe essere l'utilizzo dell'oro nell'antichità una forma di devozione dei nostri lontani antenati nei confronti di coloro che essi ritenevano come delle divinità? Antichi astronauti, creatori di una civiltà precedente alla nostra che, consci delle numerose applicazioni dell'oro nell'industria elettronica e aerospaziale e non solo, procedevano all'estrazione e all'utilizzo del metallo per i loro apparecchi tecnologicamente avanzati?
Sitchin, nella sua visionaria interpretazione, considerava l'oro elemento fondamentale per gli Anunnaki per conservare l'atmosfera di Nibiru. Più semplicemente è più probabile che questi antichi astronauti utilizzassero già l'oro per gli stessi scopi che lo utilizziamo noi, estraendolo dai primi giacimenti minerari terrestri: circuiti integrati per robotica e elettronica, industria aeronautica e aerospaziale, medicina. O anche per altri scopi a noi non noti.
Successivamente, i popoli antichi, memori dell'importanza che l'oro rivestiva nella società degli antichi astronauti alieni, presero a modello l'utilizzo dell'oro nella loro società. Ovviamente, senza poterlo applicare a un'industria tecnologicamente avanzata, rimase strumento di ornamento e potere rappresentativo di appartenenza al divino, ma senza alcun valore economico intrinseco. Solo in occidente l'oro divenne parte integrante del processo che porterà alla monetizzazione e alla moneta d'oro (o legata ad esso come secondo i canoni del gold-standard del 1800) come merce di scambio.
L’utilizzo ‘tecnologico’ dell’oro venne applicato fino alla fine dell’età dell’oro, ovvero fino a 12.000 anni fa, ossia quando la società umana era permeata di antiche conoscenze scientifiche-tecnologiche mixate insieme a sapienza esoterico-mistica; in una parola: l’alchimia.

Nelle tradizioni alchemiche sia d'occidente che di oriente questo metallo assume una grande rilevanza, non per il suo valore commerciale, ma perché collegato sia alla longevità del corpo fisico sia alla realizzazione di stati superiori di coscienza. Però il rapporto è invertito rispetto a quello che si potrebbe pensare oggi; non è cioè il metallo che causa il guadagno interiore, ma è la realizzazione interiore che permette di creare il prezioso metallo.
Per cui, nell'alchimia occidentale, la possibilità di realizzare fisicamente la pietra (o polvere) filosofale dipende dal grado di realizzazione interiore dell'alchimista; in sostanza si crea un binomio biofisica (nell'uomo) - reazioni nucleari di trasmutazione (all'esterno dell'uomo).
Nell'alchimia indù invece, dove l'accento cade principalmente sulla longevità, l'equivalente indù dell'elisir di lunga vita, prima di essere ingerito, deve essere in grado di trasmutare fisicamente il mercurio in oro, altrimenti, in questa visione delle cose, non funziona.
In entrambi i casi si profila un legame stretto tra biofisica umana, stati di coscienza e fisica della materia. In questo senso l'affermazione che l'uomo sembra aver scritto nei suoi geni, "l'amore per l'oro", potrebbe avere un significato più profondo di quello che sembra; per cui la comune avidità di oro potrebbe essere la forma degradata e depotenziata di un istinto più alto e profondo. L'associazione dell'oro agli dei si può comprendere più facilmente osservandola da questa prospettiva: superiori stati di coscienza e longevità fisica, ergo libertà interiore unita a salute e bellezza esteriori.
E se l'alchimia fosse stata l'equivalente della nostra scienza, del nostro metodo scientifico, per la civiltà Atlantidea durante l'età dell'oro? L'alchimia si configura come l'insieme di elementi che attualmente associamo a campi di studi diversi:

(studi scientifici)
- chimica
- fisica
- medicina
- metallurgia
- astronomia

(studi non scientifici)
- astrologia
- arte
- misticismo
- religione

Forse il nostro limite di esseri umani sta proprio nel non riuscire più a unificare le ricerche di queste aree.
Forse è proprio attraverso lo studio integrato di tutte queste discipline che possiamo aspirare al ritorno al livello tecnologico/spirituale dei nostri antenati antidiluviani e raggiungere quello stato 'divino' proprio dell’età dell’oro ricercato dagli alchimisti con il termine "trasmutazione". L'oro, assume allora una valenza simbolico-spirituale oltre che applicazione pratica nella tecnologia perduta di Atlantide, tecnologia ricercata forse dagli alchimisti.
In Medicina Ayurvedica si riescono a produrre dei rimedi medici che rendono non tossico il mercurio come possiamo vedere nel film-documentario: "Ayurveda - The Art of Being" di Pan Nalin (2001). Discipline Ayurvediche che ritengo discendere da un sapere medico di altri tempi, orientativamente della civiltà Atlantidea, e che realmente mette in comunicazione i fatti oggettivi della natura, per esempio gli elementi, con la vita e la psiche dell'uomo. Sicuramente c'è una connessione stretta tra alchimia indù e medicina ayurvedica, così come c'è una connessione tra medicina ermetica ed alchimia, così come c'è una connessione tra alchimia cinese e medicina tradizionale cinese; si tratta di applicazioni sorelle nate da una medesima cultura. L'ambito però è differente.
E se pensate che la trasformazione dei metalli in oro, così come ricercato dagli alchimisti, non sia possibile significa che non conoscete la vicenda di Nicolas Flamel, un libraio dell’antica Parigi del 1400. La sua casa è l'edificio più vecchio della città, adesso sede di un hotel, ma con incisioni misteriose nei pilastri esterni, riconducibili al mondo alchemico. Da libraio diventò all'improvviso molto ricco e costruì e restaurò chiese, case di ricovero, ospedali.
Si dice che sia diventato immortale a causa della pietra filosofale o della sostanza che sarebbe riuscito a produrre seguendo, dopo una intera vita di studi e approfondimenti, quanto scritto nel famoso "Libro di Abramo l'Ebreo". Abramo l’Ebreo fu un sacerdote erudito su di un sapere alchemico esoterico di una civiltà precedente, qualcuno dice che fosse stato il famoso Ermete Trismegisto o comunque un iniziato che preferì morire piuttosto che rivelare i suoi segreti, tra cui quello di come ottenere l'oro partendo da altri metalli.
La leggenda narra che il nostro libraio parigino, ebbe una prima indicazione del libro da parte di un Angelo in sogno e poco dopo si presentò un venditore alla sua bottega presentandogli quello stesso volume che lui acquistò immediatamente. Esso si rivelò un libro di perduta tradizione alchemica, ricercato da tante persone e mai trovato prima, rilegato e scritto in caratteri incomprensibili con immagini (di cui 7 fondamentali per il procedimento) mai viste prima, con colori anch'essi non usi in un libro, e che gli fu in parte spiegato da un maestro ebreo che andò a cercare in Spagna e portò con sè a Parigi (dopo la conversione del maestro, in quanto non poteva entrare un ebreo a Parigi a quei tempi) ma che morì di una misteriosa malattia poco dopo. Flamel dopo qualche anno riuscì a diventare ricco, ma usò questa ricchezza come ho detto prima.
Alla sua presunta morte e dopo che alcuni soldati del re cercarono molto dopo in casa sua non fu trovata alcuna traccia delle sue ricerche e nemmeno il libro (forse tramandato in famiglia). La sua casa fu svuotata, scoperchiarono la sua tomba ma il corpo non vi si trovò. Si dice che fosse riuscito ad effettuare la trasformazione interiore, insieme alla moglie, diventando immortale e che fosse fuggito in India dove ogni 20 anni abbia fatto delle riunioni con altri saggi alchimisti.
La storia di Flamel non è così assurda. Già diversi anni fa il fisico Roberto Monti aveva pubblicato un opuscoletto dal titolo "L'alchimia è una scienza sperimentale. Come fare l'oro - Come abbattere la radioattività delle scorie nucleari", Edizioni Andromeda - 2001". L'edizione più recente è del 2001 ma scritti del genere erano apparsi già prima.
L'interesse qui non sta nella quantità minima di oro prodotto visto che si spende più nel comprare i prodotti di input di quanto si guadagni con l'oro in output, ma nel fatto che, seguendo il procedimento indicato da Monti si ottiene oro laddove in partenza non c'è (c'è mercurio in partenza), quindi accade qualcosa che non dovrebbe accadere, ossia una trasmutazione nucleare a temperatura ambiente.

Ma allora, se odierne sperimentazioni scientifiche dimostrano che l’obiettivo perseguito dall’alchimia medievale non era solo utopia o leggenda, può questo ricondurci a delle applicazioni a noi note del prezioso metallo, in un lontanissimo passato?


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LE ORIGINI DELL'UOMO MODERNO

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9621

I punti di partenza sui quali si fonda l’intera storia dello sviluppo della civiltà umana sono riconducibili alla rivoluzione neolitica e alla scoperta dell’agricoltura avvenuta quest’ultima circa diecimila anni fa. L’agricoltura in particolare pone le basi per la costituzione delle prime società urbane e, dopo il fuoco, rappresenta una delle più importanti (forse la più importante) scoperta dell’uomo. Dalle ricerche interdisciplinari si è scoperto che l'agricoltura nasce in Medio Oriente e da qui si diffonde in direzione non solo dell'Europa, ma anche in direzione dell'Africa settentrionale e della steppa asiatica, nonché in direzione del Pakistan e dell'India.
Il genetista Cavalli Sforza conferma, aggiungendo però che l'agricoltura "ha avuto inizio in zone impervie" e tutti gli studiosi concordano nell'affermare che l'agricoltura nacque in quella regione oggi corrispondente a Mesopotamia, Siria e Israele, ma non sanno spiegarsi come mai non sia cominciata nelle pianure, dove la coltivazione è senza dubbio più facile, bensì in aree montuose. Altrettanto inspiegabile sembrano essere da un lato la rapidità con cui le varie specie di ortaggi e frutti cominciarono ad apparire, tutti nello stesso periodo e nella stessa regione, dall'altro il contemporaneo 'addomesticamento' degli animali.
Le ricerche di quegli studiosi classificati come ‘controcorrente’ ci offrono una possibile risposta offerta da ovvero che le piane alluvionali del Tigri e dell’Eufrate fossero state trasformate in enormi acquitrini paludosi, malsani e inadatti all’agricoltura, a causa di un precedente cataclisma globale, ricordato nei miti di tutto il mondo come Diluvio Universale.
Una conferma di questa teoria ci giunge anche dall'archeologo Edwin Oliver James, il quale sostiene che: “Gli altipiani iranici rappresentano geograficamente il luogo ideale per una origine comune di tutta la gamma dei processi culturali raggiunti in Oriente, nel IV millennio a.C. Se fu questa la culla della prima civiltà di Elam, è altrettanto probabile che essa sia stata il centro da cui movimenti e influenze analoghe si irradiarono in Mesopotamia attraverso i Monti Zagros, in India attraverso il Belucistan e l'Himalaya e attraverso la pianura mongolia nella Cina settentrionale e occidentale, dove sono state trovate tracce di una identica cultura agricola"
Ma i Monti Zagros, citati dall’archeologo Edwin Oliver James, nell'attuale regione del Kurdistan, sono anche secondo l’archeologo David Rohl che giunse "gran parte della popolazione sumera, dal momento che nella terra di Sumer la ceramica più antica sembra originaria di questa zona".
Altrettanto le origini del popolo sumero rimangono avvolte nel mistero. Nuovi ritrovamenti nell’area di Gobekli Tepe e Kiziltepe sembrano inoltre anticipare la fioritura della prima società urbana e dislocarla sulle zone dell’altopiano turco proprio in quelle zone limitrofe alla catena montuosa dell’Ararat, dove la Bibbia dice essersi posata l’arca di Noè.
Wyatt aggiunge: "Nella Turchia centro-meridionale si trova un gran numero di piante che esistono soltanto li. Quando i gruppi lasciarono l'area sembra che abbiano preso con se i semi più importanti e le principali piante commestibili, lasciandosi alle spalle una varietà di piante che risalivano all'età antidiluviana" Questo potrebbe significare che alcune delle piante originali che Noè portò dal mondo antidiluviano non si diffusero mai oltre quella zona.
Dovunque sia stato lo start-up di ciò che possiamo definire ‘civiltà’ è certo che la prima società urbana evoluta sia rappresentata dai Sumeri, popolo alquanto misterioso in quanto primo popolo a dotarsi di strutture sociali ben definite, di un sistema di leggi, di un sistema scolastico e di molte altri aspetti sociali moderni mai visti in precedenza. Furono anche i primi a interessarsi di forme arcaiche di scienze quali matematica, geometria, architettura, ed erano grandi esperti di astronomia, seppur connessa principalmente alla sfera religiosa.
Questo pone diversi interrogativi ai quali la storiografia ufficiale oggettivamente fatica a fornire una risposta soddisfacente: come è possibile per esempio passare così rapidamente da società tribali dedite a pastorizia, agricoltura a società urbane raffinate come quelle riscontrabili nelle città stato sumere di Eridu, Shuruppak, Kish, e quella stessa Ur da dove Abramo parte alla volta della terra promessa? Senza contare il mistero rappresentato dai ritrovamenti in Turchia richiamati ai paragrafi precedenti.
Ancora una volta sono i cosiddetti ricercatori ‘alternativi’ a venirci in aiuto. Zecharia Sitchin, noto per le sue ricerche sul mondo Sumero, afferma: “E’ quindi proprio a Sumer che la moderna civiltà cominciò. Fu là, infatti. che tutti gli elementi fondamentali di una civiltà avanzata sorsero all'improvviso come dal niente e senza un'apparente motivazione. città, strade, scuole, templi; metallurgia, medicina, agricoltura. Irrigazione; l'uso dei mattoni, la prima ruota; navi e navigazione; pesi e misure; leggi e tribunali; la scrittura, la musica…Ogni aspetto di una alta forma di civiltà al quale possiamo pensare, ebbe il suo inizio, a Sumer". Sembra esserci stato un salto evolutivo non indifferente, una specie di ‘anello mancante’ tra gli stadi di sviluppo delle prime società umane.

Immagine

Ciò corrisponde a quello che Paolo Brega, autore del libro “Genesi di un enigma”, definisce come “Rinascita” ovvero quell’insieme di eventi che permettono all’umanità di avere un nuovo inizio dopo la traumatica esperienza del cataclisma che scosse il pianeta circa undicimila anni fa mettendo fine al periodo glaciale di Wurm, determinando le condizioni climatico-ambientali odierne e sommergendo terre un tempo emerse, come l’intera area dove oggi fluttuano le acque del Mar Nero e dove oggi riposano eternamente le antiche vestigia di una perduta età dell’oro che possiamo identificare con Atlantide.
Possiamo infatti ritrovare in praticamente tutti i miti cosmogonici di civiltà anche lontane tra di loro il riferimento a un cataclisma globale, spesso associato all’acqua e una precedente età dell’oro. Un tempo in cui gli uomini erano a stretto contatto con le divinità, parlavano e interagivano con loro. Per comprendere meglio il fenomeno della “Rinascita” è necessario un rapido volo pindarico degli eventi antidiluviani teorizzati nello studio descritto nel libro “Genesi di un enigma” e che traggono spunto dalla tanto vituperata “teoria degli antichi astronauti”.
Questa presuppone la visita, centinaia di migliaia di anni fa, di un gruppo di esploratori alieni, molto simili a noi, giunti sul pianeta Terra, nei pressi dell’attuale mesopotamia, per scopi minerari: sono gli Anunnaki sumeri, gli Elohim biblici. Dopo aver costruito le prime infrastrutture necessarie allo svolgimento della loro missione, per sottrarsi alle fatiche del lavoro manuale sfruttano la loro tecnologia per ibridare una nuova razza incrociando DNA dell’Homo erectus con materiale genetico alieno ottenendo così forza lavoro a basso costo, e meglio adattabile alle condizioni ambientali del pianeta: l’homo sapiens.
Fin da subito si registrano due strategie, due correnti di pensiero contrastanti relativamente a come gestire quella risorsa rappresentata dall’homo sapiens. Da un lato abbiamo Enlil il quale percepisce un possibile rischio per il pianeta e per gli Anunnaki stessi, qualora dovesse prevalere nell’homo sapiens la parte animale; dall’altro Enki che invece si distingue per la benevolenza rivolta alle sue creature. Fu infatti quest’ultimo a proporre e a seguire gli studi per la creazione dell’homo sapiens, così come descritto nel mito sumero Inuma Ilu Awilum.
Tale dicotomia di pensiero viene perduta nella traduzione biblica tradizionale, dove si riconosce un unico Dio, con apparenti contraddizioni nel suo operare nei confronti dell’uomo, fin dalle vicende del giardino dell’Eden. Contraddizioni che vengono spiegate nel testo “Genesi di un enigma” come unificazione delle due visioni Enkilite ed Enlilite, risultato della reinterpretazione dei testi antichi fatta dagli Ebrei successivamente alla “cattività babilonese” del popolo ebraico.
Comunque è il modello Enkilita a prevalere. Pertanto dopo la conclusione della missione Anunnaka, circa 100.000 anni fa, lo stesso Enki rimane sulla terra per istruire gli uomini a uno sviluppo armonioso e in equilibrio con il pianeta, periodo ricordato come età dell’oro, incarnato nel mito di Atlantide e confermato da tutti quei siti oggi sommersi, testimonianza di civiltà precedenti alla fine del periodo glaciale di Wurm.
Ma undicimila anni fa avviene qualcosa di sconvolgente, che mette fine a quella fantastica esperienza che portò all’edificazione delle grandi costruzioni megalitiche, uniche superstiti di una società estremamente evoluta. Con il passo biblico Genesi 9:9-11 vediamo Dio che sancisce un patto con gli uomini dichiarando che mai più ci sarà così tanta distruzione. Brega teorizza che questo sia Enlil a parlare e che lo stesso avesse tentato di approfittare del cataclisma per cancellare la razza umana, da lui sempre percepita come pericolosa per il pianeta. Il suo piano fu però boicottato da Enki il quale avvisò un suo uomo (o semi-dio), Noè. Questa vicenda, oltre che nella Bibbia è ancora di più approfondito, nei miti sumeri ove viene descritta esattamente una sorta di assemblea di divinità Anunnake avente come obiettivo la decisione ultima nei confronti del genere umano.
Ma il patto di tregua di Enlil ha altre implicazioni. Gli uomini, a cui sostanzialmente viene concesso, o meglio ancora affidato, il pianeta, hanno bisogno di una guida che li istruisca. La rieducazione effettuata ad opera degli Enkiliti, la “Rinascita” così come viene chiamata nel libro “Genesi di un enigma”, avviene proprio presso i Sumeri, almeno in medio-oriente, i quali poi diffonderanno il seme della conoscenza nel resto dell’area, fino alla valle dell’Indo.
Di fronte ai grandi progressi fatti nell’area il Collins non può fare a meno di notare "Tanti furono i progressi compiuti nel Kurdistan, e in particolare nella regione dell'alto Eufrate. che dovette essere accaduto qualcosa di unico nella regione, da tempo ritenuta la culla della civiltà. Nessuno ha spiegato in maniera esauriente perché la rivoluzione del neolitico abbia avuto inizio proprio lì"
In un interessante studio, David Rohl afferma che i Sumeri furono proprio discendenti di Sem, uno dei figli di Noè. Già nel 1941, Arno Poebel, maestro di Kramer, aveva scoperto significative correlazioni tra gli Ebrei e i Sumeri. Lo stesso Kramer aveva notato una anomalia nella toponomastica, e si era chiesto: "Se i Sumeri sono stati un popolo che nel vicino Oriente antico ha raggiunto risultati tanto importanti in campo letterario e culturale da lasciare un'impronta indelebile sulle opere degli uomini di lettere ebrei, perché mai la Bibbia quasi non li nomina?" Nel Vecchio Testamento sono citati Egizi, Cananei, Amorrei, Urriti, Hittiti, Assiri, Babilonesi, ma non i Sumeri.
Il Kramer prosegue: "Fatta eccezione del termine 'Shinar', piuttosto oscuro, e che gli studiosi identificano con Sumer, sembra che in tutta la Bibbia i Sumeri non vengano citati affatto, il che mal si concilia con la loro presunta influenza"
Quindi, le conclusioni dello studioso sono le seguenti: "Se Shem (nome del figlio di Noè) corrisponde a Shumer/Sumer, dobbiamo concludere che gli autori ebrei della Bibbia, o quanto meno alcuni di essi, pensavano che i Sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico. E' probabile che nelle vene dei patriarchi ebrei scorresse qualcosa che apparteneva al patrimonio culturale di quella che è considerata la civiltà più antica", e che forse deriva direttamente da quella enorme esperienza che fu Atlantide?
Per quanto riguarda la originaria provenienza dei Sumeri, pensiamo che studi recenti stiano accertando definitivamente la verità. Pare che i conosciuti Sumeri della Mesopotamia del Sud avessero avuto, come origine, una patria situata nell'alta Mesopotamia, proprio in una pianura a pochi chilometri di distanza dal luogo dell'approdo dell'arca, appunto nei pressi di Gobekli Tepe.
Ma se gli Ebrei discendono dai Sumeri, e i Sumeri sono a loro volta il modello della “Rinascita” voluta da Enki, allora la conoscenza delle origini dell’uomo può avere seguito il percorso delle migrazioni del popolo di Israele, prima in tutta la mesopotamia, poi in Egitto, dove la vicenda di Mosè acquisirebbe tutto un altro significato, conservate poi nella Biblioteca di Alessandria e infine, con la diaspora prima e con l’esperienza gnostica dei Templari, rese note agli iniziati di tutto il mondo.


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UN IMPERO PRIMA DEL DILUVIO

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9622

Solitamente quando ci riferiamo alle vicende bibliche della Genesi, le immaginiamo verificarsi in quella stessa area geografica tra la Palestina e le valli del Tigri e dell’Eufrate, ovvero dove poi si mossero le storie di Abramo, di Isacco, Giacobbe, e degli altri protagonisti della storia degli Ebrei. In realtà non vi sono elementi nel testo biblico originale che lascino intendere che quanto raccontato relativamente alle storie dei patriarchi, da Adamo a Noè, sia avvenuto davvero nell’antica mesopotamia, terra di Sumer.
Inoltre, nel fare riferimento alle caratteristiche di grande longevità dei personaggi quali Enoch, Matusalemme e dello stesso Noè giungiamo a una collocazione temporale di un’epoca lontana, durante la quale il clima terrestre era ancora caratterizzato dalla glaciazione di Wurm, ovvero a più di 12.000 anni fa.
Ma quel tempo la geologia ufficiale ci conferma un clima e una conformazione geografica dei continenti e specialmente delle linee costiere molto diverse da quelle attuali. La pesante coltre di ghiaccio che ricopriva i poli determinava un livello del mare inferiore anche di decine di metri rispetto a quello odierno; gran parte dell’acqua era infatti concentrata nelle calotte polari e la zona dell’attuale Mar Nero, che nel proseguio dell’articolo diventerà di rilevante importanza, era persino sgombra da acque e caratterizzata da una depressione geologica con al centro un lago, presumibilmente di acqua dolce.

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E’ abbastanza logico ritenere che sulle sponde di un lago d'acqua dolce così vasto siano fiorite diverse comunità protostoriche. Ma, appunto a un certo punto, sarebbe ceduta la diga naturale in corrispondenza dell'attuale Bosforo, che isolava il Mar Nero dal Mar Mediterraneo salato: un'immensa cascata si sarebbe riversata nel lago, il cui livello si sarebbe sollevato con estrema rapidità, sommergendo tutti gli abitati umani.
Le ricerche di Walter Pitman, geofisico del Lamont-Doherty Earth Observatory a Pasadena, confermano l’evento di una inondazione dell’area del Mar Nero come evento storico: "In quel periodo io e Bill Ryanstavamo collaborando con un gruppo di ricercatori: John Frederick Dewey, Maria Cita, Ken Shu e altri", racconta Pitman in un'intervista.

« Alcuni di loro avevano da poco scoperto che cinque milioni di anni fa il Mar Mediterraneo si era completamente seccato, e si inondò successivamente in modo catastrofico. Durante una conversazione, Dewey ci domandò se questo evento potesse essere all’origine della leggenda sul diluvio universale. Naturalmente ci mettemmo a ridere, perché cinque milioni di anni fa non c’erano uomini che avrebbero potuto raccontarlo! Ma cominciammo a discutere se un evento simile, cioè l’allagamento di un bacino prosciugato a causa di un incremento del livello del mare, fosse potuto accadere alla fine dell’ultima glaciazione, fra 20.000 e 4.000 anni fa. In questo periodo il livello del mare crebbe di circa 120 metri, ed è possibile che ci fosse qualche bacino marginale che si era prosciugato, e che il mare avesse potuto superare qualche passaggio e inondarlo. »

Ed ecco l'ipotesi avanzata da Pitman e collaboratori. Proprio all'inizio di questa epoca sarebbe avvenuta infatti una catastrofe epocale: il sommergimento delle coste del Mar Nero. Pare che, attorno al 5000 a.C., il Mar Nero fosse isolato dal resto del Mar Mediterraneo, che fosse riempito di acqua dolce e che il suo livello fosse anche 100 metri al di sotto di quello dei mari salati del pianeta.
Con questo articolo vogliamo però spingerci oltre; partendo dalle ricerche di Pitman e della geologia tradizionale, cercheremo di offrire una interpretazione diversa delle origini della storia umana conosciuta, ipotizzando l’esistenza di un regno antidiluviano, la cui capitale sorgeva proprio dove oggi fluttuano le acque del Mar Nero.
La storiografia descrive le prime società umane antecedenti alla fine dell’ultimo periodo glaciale come primitive e dedite alla raccolta e alla caccia non essendosi ancora realizzata la cosiddetta ‘rivoluzione agricola’. Ma sono quelle stesse società che avrebbero eretto complessi megalitici giunti fino a noi come Gobekli Tepe in Turchia, i Nuraghe in Sardegna e, se retrodatiamo la datazione delle costruzioni della piana di Giza come molti asseriscono, anche le Piramidi e la Sfinge. Senza dimenticare le tanto discusse Piramidi di Visoko.

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Già nelle ricerche che hanno portato alla pubblicazione del libro “Genesi di un Enigma”, è stato affrontato il ruolo e l’importanza storica di quei siti archeologici come Gobekli Tepe, Kiziltepe e le più recenti scoperte, sempre alle pendici montuose del complesso montuoso dell’Ararat, del sito di Karahan Tepe, a 63 km a est di Urfa, anch’esso risalente a più di 10.000 anni fa con pilastri a T e decorazioni molto simili a quelle di Gobekli Tepe. Quello stesso Ararat dove appunto la Bibbia racconta essersi arenata l’arca di Noè. Arca che forse non proveniva da sud, come è facile immaginare collocando la storia di Noè propria della tradizione mesopotamica; forse arrivava dal Nord, dalla regione del Mar Nero, ove si era insediata e sviluppata una civiltà urbana più evoluta degli standard che la storia classica è solita riconoscere al periodo storico pre-glaciale.
Possiamo a questo punto ipotizzare di trovarci dinanzi a un grande regno di oltre 12.000 anni fa, i cui domini e la cui influenza si estendeva in tutto il Mediterraneo e l’area medio-orientale, direttamente o attraverso una rete di regni coloniali. Una nazione le cui vicende e i personaggi sono entrati nei miti e nelle leggende di tutti i popoli antichi dell’area, a partire dai Sumeri in avanti, fino ai semi-dei della mitologia greco-romana.
Una nazione che forse non si è limitata a ispirare i miti antichi, ma che probabilmente ha provveduto a contribuire concretamente al trasferimento di alcune delle proprie conoscenze e competenze tecnologiche al fine di fornire ai primi gruppi sociali umani, ancora allo stato tribale e dediti alla caccia e alla raccolta la possibilità di realizzare le prime società urbane organizzate, modellate sugli schemi dei vecchi fasti perduti dopo la devastazione del Diluvio Universale, come appunto a Gobekli Tepe. E quale miglior posto per iniziare se non nei pressi di quegli stessi grandi agglomerati urbani che caratterizzavano e dominavano la vita politico-sociale-economica e religiosa dell’impero spazzato via dalla forza del diluvio?
Ecco pertanto fiorire le prime culture urbane, proprio alle pendici del monte Ararat, e successivamente nelle valli dell’Eufrate, nella piana di Giza, ovvero dovunque esistevano già in precedenza i centri urbani di quella nazione ‘madre’, che non indugio a chiamare Atlantide, grazie alla quale tutto ebbe origine, durante quel momento storico identificato nelle mie ricerche come “Rinascita”. Quella stessa Atlantide che i sacerdoti di Sais dicevano dominare il mondo allora conosciuto e da cui Platone trasse ispirazione per i suoi dialoghi, collocandola al di là delle colonne d’Ercole.
Ma come collegare l’Atlantide platonica, localizzata nel cuore dell’Oceano Atlantico con questa grande nazione che dominava la regione compresa tra l’europa e il medio-oriente, estendendosi dai balcani fino alla valle dell’Indo?
Possiamo farlo se evitiamo di cadere nell’errore di cercare di identificare Atlantide in un luogo ben preciso e circostanziato. Atlantide, nella mia visione del mondo antico corrispondeva a una superpotenza globale, le cui vestigia possono essere ritrovate sia al di qua dell’Atlantico, appunto nei siti citati precedentemente, come al di là dell’Oceano Atlantico, in mesoamerica, come a Tihuanaco o a Puma Punku che può essere definito di buon grado la Gobekli Tepe sud-americana.
Una superpotenza di questo tipo poteva benissimo essere composta da diverse nazioni, forse persino asservite all’impero coloniale atlantideo, la cui base poteva essere situata nei caraibi, formanti all’epoca una regione insulare unica, sempre in virtù del livello del mare significativamente più basso di quello di oggi. Una di queste nazioni potrebbe essere quella indo-europea semitica la cui area di influenza spaziava da Mohenjo-Daro nella valle dell’Indo fino alla Sardegna dei nuraghe, la cui architettura, nell’immagine a sinistra, richiama notevolmente quella di Gobekli Tepe, a destra.

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Alla luce di quanto descritto sopra non è impossibile ipotizzare che la capitale di questa grande ed evoluta nazione, colonia di Atlantide nell’area medio-orientale, fosse stata edificata in un tempo molto remoto, nell’area depressiva del Mar Nero e che una volta che tutto andò perduto dopo l’improvviso scioglimento dei ghiacci che distrusse completamente tutto il mondo civilizzato dell’epoca, i superstiti, dovettero ricominciare da zero.
Ed ecco l’inizio della “Rinascita”, ovvero del trasferimento delle conoscenze tecnologiche, ma soprattutto sociali, alle comunità tribali umane che giravano nella zona. Agricoltura, scrittura, astronomia, economia, politica e un corpo di leggi: le prime società andavano formandosi e, più queste si ampliavano più i superstiti di Atlantide andavano ritirandosi…
Il perché di questo apparentemente illogico motivo è un’altra storia e va ricercata nelle ragioni della fondazione di Atlantide e forse ancora prima, nelle origini del genere umano.


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LA TORRE DI BABELE

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9623

La Torre di Babele, il linguaggio universale, il primo tentativo fallito di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale, ma diverso da quello che siamo abituati a pensare.

Per introdurre il tema oggetto del presente scritto, prendo a prestito quanto sostenuto nell’opera di Biglino
Fonte: http://www.bibbia-alieni.it/?tag=torre-di-babele

La “torre di Babele” e “Sodoma e Gomorra” secondo le tavolette sumeriche
Nelle tavole sumeriche vengono raccontati anche altri eventi che saranno ricopiati per la costruzione della Bibbia, come nel caso della torre di Babele, che troviamo nella tavola K.3657 della biografia di Marduk, sgradito al dio Enlil per la sua pretesa regale.
In questa tavola si parla dell’esilio di Marduk e del suo ritorno nelle terre di Canaan, grazie all’aiuto del figlio Nabu, al fine di raggruppare i suoi seguaci per dirigersi in Mesopotamia e costruire una grande torre a gradoni, o “Esagila” (Casa del grande dio).
Questo provocò la reazione del dio Enlil che lo prese come un affronto, in quanto quelle terre erano sotto il suo dominio e di quello del figlio Ninurta. Enlil dopo aver chiesto invano aiuto al padre Anu e alla madre di Marduk, Damkina, decise per un intervento militare, che riprendiamo dal testo sopra citato:
“durante la notte il signore del cielo [Enlil] scese sulla terra, ma gli uomini contro di lui si scagliarono. Egli rase allora al suolo la città, e il suo comando fu che fossero dispersi e le loro menti confuse.”
L’intervento fu decisivo, in quanto se Marduk e suo figlio fossero riusciti a costruire lo Ziggurat, o torre di Babele, il cui vero significato è “Porta degli dèi” (BAB.ILU), essi avrebbero aperto un varco di accesso al dominio delle terre mesopotamiche sotto il controllo della fazione enlilita, con vari templi dedicati al dio Enlil, Ninurta, Ishkur, Inanna e Utu.
Il plagio biblico è anche in questo caso evidentissimo; infatti nella Bibbia leggiamo in Genesi:

[1] Tutta la Terra aveva una sola lingua e le stesse parole.
[2] Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.
[3] Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.
[4] Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la Terra».
[5] Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo.
[6] Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.
[7] Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro».
[8 ] Il Signore li disperse di là su tutta la Terra ed essi cessarono di costruire la città.
[9] Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la Terra e di là il Signore li disperse su tutta la Terra (Genesi 11: 1-9).

Gli elementi in comune con le tavole sumeriche sono:

1. la costruzione di una città con una torre;
2. l’appello di Yahweh ad altri dèi;
3. la distruzione della torre;
4. la dispersione del popolo in varie terre;
5. la confusione dalle menti di Enlil e delle lingue di Yahweh.


Noi del Progetto Atlanticus abbiamo approfondito il tema trovando estremamente interessante leggere alcuni elementi dell’esegesi cristiana e di quella ebraica per capire perché gli Enliliti fossero contrari alla “realizzazione” della Torre, tanto da volerla distruggere.
Gli ebrei collegano la costruzione della Torre alla conoscenza di alcuni segreti, precedentemente posseduti esclusivamente da dio, che alcuni uomini dell'epoca utilizzarono tramite la stregoneria, cosa non ammessa, per governare gli angeli che dovevano unicamente sottostare alla Volontà divina. Quegli uomini che commisero questa trasgressione vollero poi attaccarsi al potere delle stelle e delle costellazioni per dirigerlo verso il Mondo Inferiore ed utilizzarlo a proprio piacimento senza alcuna adesione all'Onnipotenza divina.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Babele
Un Midrash, nel testo di Bereshit Rabbah, racconta che gli uomini colpevoli del peccato di sfida nei confronti di Dio con la Torre di Babele vennero trasformati in scimmie, metafora, secondo il Progetto Atlanticus, di un ritorno allo stato ‘animale’ dell’uomo di cui alle sue origini, prima di essere “ibridato” con l’aspetto divino.
Penso sia superfluo poi ricordare che l'ideatore e l'architetto della torre di Babele più accreditato sia Nimrod. Quello stesso Nimrod pronipote di Noè, descritto come un gigante, un uomo potente, che proposte agli uomini l’adorazione del Fuoco, trasmettendo – in qualche modo – agli uomini l’arte della cottura; insomma, un precursore dell’alchimia, se non addirittura uno dei primi ‘insegnanti’ dell’Arte e per questo così importante nel mondo esoterico-massonico tanto da essere considerato essere il primo massone.
Nella simbologia cristiana, inoltre pare significativo che, durante la Pentecoste, gli apostoli grazie al dono dello Spirito Santo, tornino ad essere comprensibili da popoli parlanti lingue diverse, vincendo così la spaccatura originata a Babele descrivendo un Gesù Cristo che si pone all’antitesi dell’azione di Yahweh decine di migliaia di anni prima. La Torre di Babele viene infatti costruita subito dopo il Diluvio Universale, in un tempo in cui gli uomini parlavano tutti la stessa lingua, essendosi appena terminata quella magnifica esperienza socio-economico-politica (ma non solo) rappresentata dal modello sociale enkilita di Atlantide.
Osserviamo ancora una volta pertanto la figura di Gesù Cristo come colui che viene a terminare l’opera di Enki e il suo sogno di una società umana perfetta e in perfetta armonia con il proprio spirito e la natura di Gaia-Terra, in contrapposizione con il Yahweh enlilita che al contrario interviene temendo i rischi di una società umana organizzata.
Ma il patto era stato sottoscritto anche da Enlil, patto di concessione a scadenza dell’insieme di sovranità del pianeta all’uomo dopo il diluvio. (parte di sovranità oggi cedute dall’uomo ad altre forze… ma questa è un’altra storia).
Poi Dio parlò a Noè e ai suoi figli con lui dicendo: «Quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi, con i vostri discendenti dopo di voi e con tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra con voi; da tutti quelli che sono usciti dall'arca, a tutti gli animali della terra. Io stabilisco il mio patto con voi; nessun essere vivente sarà più sterminato dalle acque del diluvio e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra».
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12280
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12199
Patto che prevedeva l’intervento degli enkiliti per consegnare nuovamente una piccolissima porzione di quelle antiche tecnologie e conoscenze proprie del periodo atlantideo affinchè l’umanità potesse riavviare la propria società senza il rischio di estinguersi.
Nasce la civiltà umana ‘moderna’, così come descritto nell’articolo “Le origini dell’uomo moderno” nel quale tra le altre cose si sostiene la tesi di Kramer che vede i Sumeri come antenati del popolo ebreo,
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12199
dando pertanto spiegazione alle fortissime analogie tra la Bibbia e i testi sumeri come appunto “Enmerkar e il signore di Aratta”. Enmerkar è un re leggendario che la lista reale sumerica colloca tra i mitici sovrani della I dinastia di Uruk. Lista ripresa da quel Beroso contemporaneo di Alessandro Magno; Beroso - che sosteneva di poter consultare tavolette che riportavano osservazioni astronomiche di cinquecentomila anni addietro.
Ma gli enkiliti, tra cui ovviamente Nimrod, in quanto nipote di Noè, esagerarono, trasmettendo anche una serie di conoscenze (che oggi chiamiamo alchemiche, esoteriche) che non erano previste nel patto originale e che permisero la costruzione della Torre di Babele e di ciò che essa rappresentava, ovvero una nuova e ricostituita Atlantide, un Nuovo Ordine Mondiale, guidato però dalla ‘luce’ di una conoscenza universale che Enki avrebbe voluto condividere con tutta l’umanità e tutti gli elementi di questa e pertanto ‘positivo’.
Solo molto dopo il corrotto carattere dell’uomo farà sì che un ristrettissimo gruppo di persone utilizzerà queste stesse conoscenze per realizzare il dominio totale sul resto dei loro simili: il NWO ‘negativo’ che siamo purtroppo abituati a conoscere.
Ma per Enlil questo era un rischio troppo grande. L’umanità sarebbe stata lasciata da sola da lì a qualche migliaio di anni e, come sostenuto nel libro “Genesi di un enigma”, gli enliliti temevano che gli uomini non sarebbero mai stati in grado di autogestirsi in modo armonioso con la natura e lo spirito, ancor meno se in possesso di determinate conoscenze/tecnologie.
Quindi decide di intervenire, riducendo le concessioni fatte da Enki, distruggendo la Torre e confondendo le menti, ovvero facendo perdere la conoscenza di quel linguaggio universale ricordato in Genesi con la dicitura “Tutta la Terra aveva una sola lingua e le stesse parole”. La decisione di Enlil sancita nel patto fu che l’uomo doveva partire da zero, dall’agricoltura e da società primitive e non già in possesso di tecnologie e conoscenze così avanzate diffuse universalmente attraverso l’uso di un linguaggio altrettanto universale.
E quale è il linguaggio universale per eccellenza? La matematica.
Diversi aspetti della cabala ebraica sono legati ai numeri. Il nome Qabbalah in ebraico significa dottrina ricevuta, tradizione. Ad ogni nome veniva associato un numero ed ad ogni numero un significato metafisico. Si dice che nel mondo ci sono solo 36 cabalisti e che, tramite la Cabala, essi possano operare dei prodigi. Infatti, qualsiasi nome, con il suo suono, può produrre delle vibrazioni nel nostro spirito tali da provocare eventi soprannaturali. Addirittura, chi conosce il vero nome di Dio, pronunciandolo, può provocare prodigi e miracoli. La Cabala associa ad ogni nome un valore numerico e tale valore numerico ha una valenza ed una vibrazione metafisica.
Se vogliamo cercare una vera origine della Cabala, noi la troviamo all'esterno dell'Ebraismo, in Pitagora di Samo (588-500 a.C.) e la sua scuola numerologica di Crotone.
Matematica che è strettamente collegata al concetto di ‘sezione aurea’, così tanto caro agli architetti e scultori del periodo classico, ma anche agli artisti rinascimentali come Leonardo da Vinci
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=231265
Ma soprattutto tanto cara alle prime logge di costruttori e scalpellini coinvolti nella costruzione delle cattedrali gotiche.
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12273
Matematica le cui applicazioni sfociano in una società tecnologicamente avanzata nell’industria informatica, il che ci porta con il pensiero a computer internet e a concetti come villaggio globale.
E’ allora possibile che il riferimento biblico a una unica lingua e a un unico popolo fosse in qualche modo legato anche alla possibilità che, prima dell’intervento di Enlil di distruzione della Torre di Babele, Noè e la sua gente, sbarcata dall’Arca, avesse tecnologie simili? D’altronde se pensiamo al fatto che costoro provenissero direttamente dall’avanzata civiltà madre antidiluviana mi sembra impensabile che nessuno di loro si fosse portato dietro l’equivalente del nostro MAC … voi non vi portereste dietro il vostro portatile se vi dicessero che il mondo sta per finire?!
Enlil, temendo da sempre che il sapere alchemico-esoterico potesse venire utilizzato in modo malvagio dagli esseri umani, troppo legati all’aspetto animale del loro essere, cerca di limitare i danni, togliendo il supporto del linguaggio universale, Ia matematica e le sue applicazioni alchemiche ‘scientifiche’ (p.es. architettura) e ‘magiche’ (cabala)
Ovviamente non vi è riuscito del tutto, poiché taluni iniziati hanno mantenuto il segreto concesso da Enki. Come poi questo segreto venne utilizzato, a volte per il progresso dell’uomo, a volte per il dominio dello stesso, è scritto nella nostra storia, la stessa storia che sto cercando di analizzare e descrivere nelle pagine del Progetto Atlanticus.
Di certo vi è un fatto… ci sono oggi alcuni organismi che nella loro simbologia si rifanno all’epopea di Nimrod e al mito della Torre di Babele.
Facendo riferimento alla possibilità di utilizzare i segreti esoterici per il progresso o per il dominio sul mondo, lascio a voi il commento su quali scopi queste persone possano avere.


Ultima modifica di Bastion il 19/10/2012, 17:05, modificato 1 volta in totale.

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IL SEGRETO DEI DRUIDI

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9624

Antichi blocchi di pietra misteriosi si ergono come antichi testimoni di un tempo perduto in diverse regioni d’Europa (e non solo d’Europa): sono i dolmen, i menhir e tutti gli altri siti megalitici di cui Stonehenge rappresenta certamente l’esempio più conosciuto.
Le zone in cui si possono trovare strutture megalitiche sono principalmente la Gran Bretagna, l'Irlanda, la Francia, la Spagna, la Danimarca, la Germania settentrionale, una parte della Svezia, una parte dell'Italia (soprattutto Puglia e Sardegna), la Corsica e Malta. Si possono trovare testimonianze della cultura megalitica anche in alcune zone dell'Africa occidentale (tra cui l'Egitto), della Palestina, della Fenicia, della Tracia, del Caucaso e della Crimea.
Ciò può essere spiegato in modo molto soddisfacente, a mio avviso, ipotizzando che questa cultura disseminata sull’intero mappamondo provenisse da una civiltà madre, antecedente a quelle storiche tradizionali e influente su gran parte delle terre emerse a quel tempo.
Ciò che unifica i monumenti megalitici è la loro straordinaria connessione astronomica. Prendiamo ad esempio i due casi più famosi: la già citata Carnac, in Francia, e Stonehenge. Gli allineamenti di Carnac più importanti (datati circa al 5000 a.C.) si trovano principalmente in tre località: Le Ménec, Kermario e Kerlescan. Nel villaggio di Le Ménec c'è il più bell'insieme di allineamenti. Ci sono un gruppo di 70 menhir (dal bretone, "pietra lunga") riuniti in una cinta e un allineamento principale in dodici file con 1099 menhir. Questi allineamenti erano stati allineati al solstizio d'estate e d'inverno creando un vero calendario a cielo aperto. A Kermario ci sono circa 1029 menhir disposti in dieci file. Infine a Kerlescan sono presenti 594 pietrefitte su 13 righe circondate da un cromlech (che significa, dal gallese, "pietre in circolo"). Meno importanti sono i megaliti di Le petit Ménec.

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Stonehenge, situato nella piana di Salisbury, in Inghilterra, fu costruito tra il III e il II millennio a.C. Questo grande monumento, secondo la storiografia ufficiale fu edificato in tre fasi. Nella prima fase ( 2750 a.C. circa) furono costruiti il terrapieno, il fossato e furono scavati 56 piccoli pozzi in cui venivano inseriti dei pali. Dopo pochi secoli, durante la seconda fase, avvenne il posizionamento delle 82 "pietre blu"(pesanti in media 4 tonnellate l'una), le quali provenivano dai monti Prescelly, che si trovano a 300 Km di distanza. Nell'ultima fase (1900 a.C. circa) vengono collocati i 30 monoliti e i cinque famosi triliti.
Come tutti sanno, anche Stonehenge ha una grande valenza astronomica. Ad esempio è molto importante l'allineamento che riguarda il solstizio d'estate. La cultura megalitica si estende per quasi quattromila anni, ma chi furono i suoi padri? E come poterono movimentare blocchi di pietra di tali dimensioni? Di sicuro non furono i Celti, che iniziarono a migrare nel 2000 a.C. circa dall'Europa centrale. Tuttavia essi ne furono gli eredi ed è grazie a loro che oggi possiamo sapere qualcosa di più della cultura della civiltà megalitica.
Probabilmente i Celti assorbirono la cultura dei popoli già presenti sul territorio e la fecero propria. A mio avviso, la civiltà megalitica è una cultura che discende (non so se addirittura direttamente) dalla civiltà atlantidea.
Con la distruzione di Atlantide migliaia di profughi iniziarono a giungere nelle regioni dell'Europa caratterizzate da siti megalitici portando le proprie conoscenze (soprattutto in campo astronomico e tecnologico) alle popolazioni locali che vivevano in uno stato primitivo.
E’ possibile che il sapere astronomico conferito dagli atlantidei si manifestò prima attraverso monumenti stellari in legno (come probabilmente fu la prima Stonhenge) che ovviamente non ci sono pervenuti. Poi con la civiltà megalitica, che possedeva le tecniche per trasportare massi pesantissimi anche da località molto lontane, si iniziarono a costruire monumenti stabili e duraturi perché fatti in pietra. Con l'arrivo dei Celti, la cultura megalitica venne assorbita da questi ultimi, i quali a loro volta l'hanno poi trasmessa in minima parte ai romani e alla cristianità. Attraverso la civiltà megalitica possiamo così avere una piccola testimonianza delle conoscenze astronomiche e religiose che i fuggiaschi atlantidei hanno recato alle popolazioni che incontravano nel loro percorso. Le poche notizie sulla religione e le credenze dei Celti (e quindi in linea generale della civiltà megalitica e atlantidea) le possiamo ottenere nel modo più sicuro e interessante da un famosissimo libro dell'antichità, scritto proprio da colui che determinò in maniera definitiva il crollo della civiltà celtica più importante in Europa: Caio Giulio Cesare. Nel suo "De bello gallico" ci dà un interessante ritratto dei druidi, i quali possedevano le conoscenze più importanti in merito alla religione ed alle antiche conoscenze, sicuramente custodi di occulti saperi esoterici, forse alchemici.
A supporto di quanto sopra esposto è interessante osservare come una volta l’Inghilterra fosse unita all’Europa. Solo dopo la fine della glaciazione di Wurm, con il disgelo delle calotte polari e l’innalzamento del livello del mare la struttura del continente è cambiata. Le prove di ciò giacciono sul fondo del Mar del Nord. è quanto emerge dallo studio coordinato dal Dr Richard Bates, Geofisico del dipartimento di Scienze della Terra del St Andrews University. Sul fondo del Mar del Nord si troverebbe infatti una porzione di terra sommersa, la Doggerland che nell’antichità si estendeva dalla Scozia alla Danimarca e collegava la Gran Bretagna all’Europa.

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Doggerland

Grazie alle immersioni dei sub stanno riaffiorando le prove di quella che sembra essere più di una semplice ipotesi, fino a ricostruire la flora e la fauna del territorio abitato da antiche popolazioni. Attraverso gli scheletri di mammuth e renne o l’esame di polline si delinea un paesaggio ricco di colline e laghi. Poi è accaduto qualcosa. Gli studiosi pensano che la sommersione della Doggerland sia stato l’effetto di una serie di eventi molto drammatici, come l’innalzamento del mare che sarebbe sfociato in uno tsumani di dimensioni catastrofiche alla fine del periodo glaciale di Wurm, vero spartiacque della storia umana.
Questo ci porta alla memoria un precedente studio del Progetto Atlanticus relativo alle possibili origini dei siti misteriosi di Gobekli Tepe, Kisiltepe, retaggi di una civiltà perduta, cancellata dall’inondazione repentina della depressione del Mar Nero, avvenuta anch’essa a causa dell’innalzamento del livello del mare, pubblicato nell’articolo intitolato “Un Impero prima del diluvio”. Da lì le popolazioni migrarono, cariche del loro bagaglio di conoscenze, nelle terre facenti parte del loro dominio, contribuendo alla straordinaria “Rinascita” del genere umano dopo il cataclisma, attraverso la nascita delle prime società umane: le società gilaniche.
Così come accadde nell’area geografica mesopotamica, dal cui percorso storico giunse la straordinaria civiltà sumera (almeno quella originale), probabilmente la medesima cosa accadde in Nord Europa, giungendo infine alla cultura celtica, esempio di “Rinascita” alla stessa stregua dei Sumeri in mesopotamia e delle prime civiltà mesoamericane al di là dell’Atlantico.
E, come in medio-oriente, così anche in Nord-Europa vennero selezionati dai nostri antichi dei alcuni individui, a cui venne assegnato il compito di istruire le nuove primordiali comunità umane costituitesi sulle ceneri del mondo dell’età dell’oro: i druidi.
La parola druido denota l'appartenente alla classe dei sacerdoti della religione dei Celti, attraverso buona parte dell'Europa centrale e nelle isole britanniche. I druidi costituivano l'elemento unificante e i depositari della cultura del popolo celtico, peraltro così disgregato e discorde sul piano politico.
Le pratiche druidiche erano parte della cultura di tutte quelle popolazioni chiamate Keltoi e Galatai dai greci e Celtae e Galli dai romani.
Il Druidismo o Celtismo è una religione neopagana nata come una ripresa dell'antica religione celtica. Il Druidismo è una religione che promuove pace, preservazione e armonia della e con la natura. Per il Druidismo inoltre, l'essere umano non è superiore al resto del mondo e degli esseri viventi, ma fa parte di esso.
Molti studiosi affermano che i Druidi provenissero da Atlantide, prima che essa scomparse, altri sostengono che i Druidi erano il risultato di una fusione con i celti. La cosa più interessante nella loro storia è che le loro pratiche hanno notevoli somiglianze con quelle degli Indiani d'America. Riscontriamo pertanto nuovamente una forte correlazione con popolazioni coinvolte nell’idea di “Rinascita” di una civiltà umana in armonia con la natura secondo i modelli delle società anarchico-gilaniche delle origini e del sogno enkilita.
I primi scritti sui Druidi provengono dall'epoca romana, da Giulio Cesare, attorno al 52 a.c. A quel tempo i Druidi erano presenti nella Gallia, nella Valle Padana, in Inghilterra e in Irlanda. Anche se è chiaro che la loro esistenza è ancora più remota, purtroppo non è rimasta traccia alcuna sulla loro nascita. E' molto difficile oggi ricostruire l'ordine dottrinale, mistico, magico e l'insieme di conoscenze scientifiche e tradizioni possedute dagli antichi Druidi. Essi, infatti, non ci hanno trasmesso nulla di codificato, e la quasi totalità della loro dottrina è andata perduta con la morte dell'ultimo di essi. Tuttavia, attraverso un'analisi di alcune fonti, manoscritti di età cristiana e folklore nordeuropeo, si è riusciti, negli ultimi due secoli, a dipingere un quadro generale estremamente interessante.
L'impero romano, non capendo la civiltà celtica, dedita all'armonia con la natura, volle assogettare gli stessi ai loro usi e costumi, siccome i territori dei Celti erano molto boscosi, fu proprio nei boschi che i Romani conobbero le batoste più pesanti, e non a caso durante le guerre di conquista in Gallia e in Padania, per prima cosa distrussero le foreste, spianarono i centri fortificati e costruirono al loro posto le caratteristiche città-accampamento militare a pianta quadrata, contribuendo a distruggere la tradizione direttamente proveniente da Atlantide.
Ma ciò che turbava di più i Romani erano alcuni personaggi della società celtica, per loro davvero incomprensibili: proprio i druidi, le figure centrali della religione celtica. Secondo Plinio il Vecchio, il loro nome deriva dal culto che riservavano alle querce. Avevano poteri molto grandi: conoscevano i moti degli astri e prevedevano i fenomeni atmosferici; decidevano l'esito delle controversie pubbliche e private e stabilivano pene e risarcimenti. Erano anche i responsabili dell'educazione dei giovani, ai quali insegnavano l'astronomia e l'uso della memoria. Grazie alla conoscenza delle erbe, erano anche formidabili guaritori. Erano gli unici a saper usare la scrittura e l'alfabeto, che i Celti consideravano sacro e utilizzavano solo in casi eccezionali.
Tutto ciò faceva dei druidi il cardine della società celtica, e i portavoce del volere enkilita quali maestri della “Rinascita”: ecco perché i Romani, a partire da Cesare in Gallia, si accanirono per prima cosa contro di loro per sottomettere le popolazioni.
Gli imperatori non furono teneri nemmeno con i druidi britannici, ultimi simboli (dopo il genocidio ai danni dei Celti padani e dei Galli) di una cultura consideravano barbara e pericolosa. Tiberio li mise fuori legge e Claudio cercò di sopprimerne la "casta", ma fu Nerone, solito alle imprese megalomani, a volerli annientare completamente. Il pretesto fu fornito da una rivolta scoppiata in Britannia nel 60. Per riportare la situazione alla normalità, nel 61 Nerone incaricò il governatore Svetonio Paolino di procedere contro i ribelli, arroccati sull'isola di Mona (odierna Anglesey).
Narra lo storico Tacito: "Sulla spiaggia era radunata la schiera dei nemici, percorsa da donne coperte di vesti come le Furie e che, sparse le chiome, agitavano le fiaccole. Intorno stavano i druidi che, levate le mani al cielo, lanciavano preghiere e maledizioni e con il loro aspetto colpivano i soldati al punto che essi, come paralizzati, si esponevano alle ferite, quasi avessero le membra legate". Per non fare brutta figura, i legionari, incitati dai loro capi, "si gettarono contro di loro, li abbatterono e li travolsero con le loro stesse fiamme". Dopo lo sterminio dei druidi, "fu imposto ai vinti un presidio e furono abbattuti i boschi sacri alle loro superstizioni selvagge".
Il massacro continuò poi in tutta la Britannia. La conseguenza fu l'annientamento del druidismo in Britannia e la sua relegazione alla sola Irlanda e alla Scozia. Fortunatamente la loro tradizione non andò perduta, grazie al fatto che nella chiesa Irlandese vennero ammessi i Bardi. Nella chiesa affluirono clero e aristocratici, a seguito di ciò la chiesa popolare scomparve, mettendo in pericolo l'esistenza del Druidismo e della Wicca.
Ma la storia dei druidi non termina con questo genocidio. Facciamo un salto temporale di diversi secoli e arriviamo fin quasi ai giorni nostri. Forse pochi di voi sanno che uno dei più famosi e rispettati statisti del 1900 venne iniziato al culto druidico. Stiamo parlando di Winston Churchill.
Churchill nasce nel 1874 e suo padre, Randolph Henry Spencer era stato un massone e questo può aver fornito al giovane Winston la possibilità di entrare in contatto con il mondo della massoneria. Ci sono ipotesi discordanti sull’anno in cui effettivamente Winston sia stato iniziato al grado di apprendista; quella più accreditata fa riferimento all’anno 1901 a Studholme Lodge a Londra.
Oltre al mondo massonico Churchill entrò in contatto con il mondo druidico inglese: una foto del libro di Stuart Piggot “The Druids” lo ritrae in gioventù affiancato da un certo numero di uomini, alcuni dei quali in evidenti costumi druidici. Secondo l’iscrizione questa fotografia mostra l’inizio del percorso druidico di Winston Churchill nel Lodge Albion, antico ordine dei Druidi, nel mese di Agosto 1908 a Blenheim, nella sua casa di famiglia.
Contemporaneamente a questi eventi, oltre il canale della Manica, sorgevano in Germania una serie di società ispirate alla teosofia di Madame Helena Blavatsky, come la società Thule o la società Vril, che nei decenni successivi saranno di grande ispirazione per la nascita di quello che diventerà il partito nazista.
Tutto ciò ci consente di poter leggere gli eventi che porteranno alla seconda guerra mondiale e alla tenace resistenza da parte di Churchill ai progetti nazisti non solo sotto il piano storico-politico, ma anche e soprattutto da un punto di vista mistico-esoterico, dove le forze e la posta in gioco vanno al di là del sapere comune.
Perché, — e questo è il punto che il dibattito non rileva, — il premier inglese percepiva nel nazismo non un semitotalitarismo come quello comunista, ma una componente 'occulta' con fini non negoziabili, 'la costruzione di uno spazio eurasiatico che consentisse ai popoli ariani di ritrovare la loro antica saggezza e potenza'.
Il Führer avrebbe voluto associare a questo progetto l'Inghilterra, 'sorella ariana'. Churchill lo riteneva pura follia, dettata da una cultura occulta la cui presenza egli avvertiva grazie ai suoi saperi esoterici e temeva anche in settori influenti (aristocratici, intellettuali) della società inglese. Riteneva di salvare l'occidente da un pericolo 'demoniaco' e sperava anche di salvare l'Impero con l'aiuto degli Stati Uniti.

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L’iniziazione all’ordine druidico di Winston
Churchill nella foto di Piggot


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IL MESSAGGIO DI ORIONE

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9625

La costellazione di Orione, insieme di stelle dall’inconfondibile disegno, sembra aver affascinato da sempre l’uomo: Sumeri, Egizi e Cinesi attribuivano ad essa un significato particolare. In cielo Orione è raffigurato che affronta la carica del Toro sbuffante della costellazione confinante, nonostante il mito di Orione non faccia nessun riferimento a un tale combattimento. In ogni caso, la costellazione nacque con i Sumeri, che videro in essa il loro grande eroe Gilgamesh che combatteva contro il Toro del Cielo. Il nome sumero di Orione era URU AN-NA, che significa luce del cielo. Il Toro era GUD AN-NA, toro del cielo.
Gilgamesh era l'equivalente sumero di Eracle, il che ci porta a un altro rompicapo. Essendo il più grande eroe della mitologia greca, Eracle merita una costellazione della brillantezza di questa, ma in realtà gli è assegnata una zona di cielo molto più scura. è possibile, allora, che Orione in realtà altro non sia che Eracle sotto mentite spoglie? Potrebbe essere, se si pensa che una delle fatiche di Eracle fu quella di catturare il toro di Creta e che in cielo è raffigurato un combattimento tra Orione e il Toro.

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In questa illustrazione, tratta da Uranographia di Johann Bode,
Orione solleva il bastone e lo scudo per difendersi dalla carica
del Toro sbuffante. La sua spalla destra è segnata dalla stella
lucida Betelgeuse, e il suo piede sinistro da Rigel. Tre stelle in
fila formano la sua cintura.

Come descritto nel mito Eracle, dopo aver catturato il Toro e averlo cavalcato attraversando le acque che separavano Creta dal continente, raggiunse la Città dei Ciclopi [Atlantide? ndr] e a loro consegnò l’animale.
Ecco la traduzione del mito secondo Alice A.Bailey, nata Alice LaTrobe Bateman (Manchester, 16 giugno 1880 – New York,15 dicembre 1949), saggista, esoterista e studiosa di teosofia britannica. La Bailey affermò che la maggior parte delle sue opere le erano state dettate telepaticamente da un «Maestro di Sapienza», chiamato anche «il Tibetano» e in seguito identificato con Djwhal Khul ritenuto un maestro anche della Blavatskij.

“Da solo Ercole cercò il toro, da solo lo inseguì fino alla sua tana, da solo lo catturò e lo montò. Intorno a lui stavano le sette Sorelle [le Pleiadi? ndr] che lo spingevano a procedere e, nella luce splendente, egli cavalcò il toro attraverso l’acqua scintillante, dall’isola di Creta fino alla terra dove dimoravano i tre Ciclopi [Atlantide? ndr].
Questi tre grandi figli di Dio attendevano il suo ritorno, seguendo il suo progredire attraverso le onde. Ercole cavalcò il toro come se fosse un cavallo e, accompagnato dal canto delle Sorelle, si avvicinò alla terra.
...
Ercole si avvicinava, incitando sul Sentiero il toro sacro, proiettando la luce sul sentiero che va da Creta al Tempio del Signore, nella città degli uomini dall’occhio singolo. Sulla terraferma, al limitare dell’acqua, stavano tre ciclopi che afferrarono il toro, così togliendolo ad Ercole.”

Il ciclope è una figura della mitologia greca; è il discendente di un'antica razza di giganti [Anunnaki? Ndr], caratterizzati dalla presenza di un solo occhio, anche se ciò contrasta con le prime descrizioni ove l’unico occhio è il solo tenuto aperto dei tre presenti sul loro volto.

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Il "terzo occhio", simbolo di Conoscenza nel significato più profondo del termine, è nelle filosofie orientali il presupposto dell'"intuito" e della "chiaroveggenza". Esso è situato nel centro della fronte leggermente sopra le sopracciglia. E' collegato al sesto chakra e alla ghiandola pituitaria o ipofisi, anche se è comune credere che la ghiandola pineale o epifisi sia la ghiandola del terzo occhio. Attualmente possiamo dire che la pineale è una ghiandola in letargo, dovuto al suo inutilizzo negli ultimi millenni da parte dell'uomo.
Tramite di esso è possibile rivivere in pieno una propria vita passata, ma anche vedere quella di altri. E' possibile sapere e vedere che cosa fanno, pensano e dicono le altre persone, restando però nella più completa discrezione. E' possibile fare un "volo astrale". Con il terzo occhio è inoltre possibile praticare la magia nera, come malocchio, fatture, malefici, stregoneria, ecc., e la magia bianca, come sciamanesimo, guarigioni miracolose sia fisiche che astrali, esorcismi, ecc. Il suo uso non sempre però necessita di un essere pienamente consapevole, a volte il soggetto opera usando l'intuizione unita alla grande pratica acquisita nel tempo. Una coscienza involuta usa la veggenza per operare la magia nera, altresì, una coscienza evoluta la usa per operare quella bianca.
Anche nel Vangelo vi è un accenno al terzo occhio.

"La lucerna del tuo corpo è il tuo occhio. Se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà luminoso. Ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo (astrale) sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande e nera sarà la tenebra!" (Matteo 6,22-23)

L’importanza del terzo occhio e lo studio dei suoi significati esoterici profondi assume importanza rilevante negli studi teosofici di Helena Blavatsky (1831-1891), fondatrice della “Società Teosofica” a New York nel 1875. La sua opera massima, La Dottrina Segreta, venne pubblicata nel 1888 ed ebbe un forte impatto in tutto il mondo. La sua influenza su Adolf Hitler e i nazisti, che viene praticamente trascurata dagli storici, alterò completamente il corso del 20 ° secolo. Notare la svastica sul logo della sua organizzazione:

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Ignorando il concetto biblico che “Dio creò l’uomo in sei giorni”, la Blavatsky affermò l’antichità, il primato, e l’universalità della cosiddetta dottrina della “caduta dell’uomo e la sua discesa nella materia”, che costituisce la radice della dottrina di gran parte del pensiero orientale (Induismo, Buddismo), della filosofia greca e dei moderni circoli esoterici occidentali.
Essa insegna che sotto la carne gli uomini e le donne sono degli “dei” o “anime eterne” cadute nel “mondo materiale” dalla nostra più alta “casa spirituale” alla quale l’anima dovrà poi fare ritorno. Durante la sua discesa, anima ha dovuto indossare una “veste” cioè il corpo fisico, in questo modo non è più riuscita a riconoscere la sua natura eterna e spirituale.

“Non hai un’anima. Tu sei un’anima. Hai un corpo. “
-C.S. Lewis
“L’uomo è un dio nel corpo di un animale secondo la filosofia antica …”
-Dr. Alvin Boyd Kuhn

Secondo la Blavatsky, la caduta dell’anima è una conoscenza andata salvata dal cataclisma che distrusse l’antica e potente civilità di Atlantide. Come sappiamo il filosofo greco Platone citò per primo Atlantide nel IV secolo a.C., riferendosi ad essa come ad un’isola ormai sommersa che un tempo fioriva nell’oceano Atlantico.
Platone sostenne che gli Atlantidei possedevano una altissima religione spirituale, che permetteva loro di “vedere” la loro divina ed eterna “anima” all’interno del corpo fisico. Secondo lui, vedendo la propria ‘”anima interna” gli abitanti di Atlantide ebbero la possibilità di sfruttare dei poteri superiori, finchè lentamente la loro parte umana prese il sopravvento su quella divina.
Parte divina certamente riconducibile alla simbologia del ‘Terzo occhio’ induista che ritroviamo nei Ciclopi del mito di Ercole così come descritto precedentemente.
La Blavatsky vide, nei miti del diluvio, leggende parallele su una catastrofe globale che costrinsero l’uomo e la civilità a ricominciare da capo, un pallido ricordo dell’affondamento di Atlantide. Da questa catastrofe si generò una digressione totale, non solo culturale, che implicò una vera e propria involuzione della razza atlantidea stessa. La capacità Atlantidea di “mantenere la visione” della loro “anima interna” andò perduta. E’ rimasta solo l’”idea” di anima eterna che si è mantenuta fino ai giorni nostri. Nel corso dei millenni, la razza atlantidea si estinse; la Blavatsky sostenne che essa fu rimpiazzata da quella ariana.

“I Greci, che sono ariani, attribuiscono le loro origini alle persone che si salvarono dal diluvio, così come fecero altre razze di origine ariana … qui troviamo un’altra prova del rapporto tra Ariani e il popolo di Atlantide .. i Greci, una razza ariana, nelle loro tradizioni mitologiche, mostrano la più stretta relazione con Atlantide … Abbiamo visto che il re di Atlantide, la cui tomba può essere vista a Creta, fu trasformato nel dio greco Zeus. “
-Ignatius Donnelly, Atlantis: The Antediluvian World, 1882

Gli Atlantidei erano più alti di noi, ma persero la loro imponente statura non appena la loro spiritualità cominciò a vacillare. La seconda e più significativa mutazione impedì alla nuova razza ariana di “vedere” lucidamente l’”anima interiore.” Questo lasciò i suoi moderni discendenti, incapaci di vedere e riconoscere la propria divinità interiore. La Blavatsky riteneva che gli Atlantidei possedessero questa capacità un tempo, grazie all’esistenza di un enigmatico organo luminoso, all’interno del cervello, chiamato “occhio ciclopico” o “Terzo Occhio”.
Sulla fronte, al centro vi sarebbe una strana ma affascinante appendice. Come i nostri due occhi vedono all’esterno e al mondo materiale, questo unico occhio vede all’interno, alle questioni spirituali, all’anima. Quando gli abitanti di Atlantide involvettero in Ariani, il Terzo Occhio si atrofizzò.
La Blavatsky scrisse:

“… Il “terzo occhio”, una volta, era un organo fisiologico che, in seguito, a causa della progressiva scomparsa della spiritualità e dell’aumento del materialismo si atrofizzò”.
- Helena Blavatsky, La Dottrina Segreta, 1888

Anche se atrofizzato, la Blavatsky insisteva nel dire che come i nostri antenati di Atlantide, noi uomini moderni, potevano ancora accedere a questo organo; alcuni scienziati all’inizio del 19 ° e del 20 ° secolo lo identificarono nella ghiandola pineale, descritta nel seguente modo:

“Una piccola … appendice conica presente nel cervello di tutti i vertebrati craniati che in alcuni rettili ha la struttura essenziale di un occhio … è ritenuta un terzo occhio rudimentale, un organo endocrino, o la sede dell’anima …”
- Webster’s Ninth New Collegiate Dictionary
Il filosofo francese René Descartes (1596-1650) chiamò la ghiandola pineale la “sede dell’anima”, “Occhio singolo” e “Terzo Occhio”.

Torniamo a questo punto alla costellazione di Orione e alla sua “battaglia” celeste contro il Toro questo punto è interessante rilevare come Orione sia molto utile per trovare altre stelle. Estendendo la linea della Cintura verso sudovest, si può trovare Sirio (#945; Canis Majoris); verso nordest, Aldebaran (#945; Tauri), appunto la stella più luminosa della costellazione del Toro.

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Su quest’ultima, su Aldebaran, concentriamo per un attimo la nostra attenzione. Sappiamo che Aldebaran viene nominata nelle esperienze di channelling delle donne membro della società Vril, quest’ultima allineata proprio al pensiero teosofico della Blavatsky. La loro guida era la medium della Thule Gesellschaft, Maria Orsitsch (Orsic) di Zagabria, che aveva ricevuto messaggi e disegni dagli Alieni Ariani di Alpha Tauri nel sistema binario di Aldebaran, distante dalla Terra 65 anni-luce.
Questi Alieni avrebbero visitato l'Antica Agade, portandovi la civiltà che avrebbe poi prodotto l'Impero Accadico, il primo immenso impero della Storia, guidato da Sargon I, detto il signore delle quattro parti del mondo. Il termine Vril, infatti, deriverebbe dal termine accadico "VRI-IL" (Simili a Dei).
Nel Dicembre del 1919 una ristretta cerchia di persone della Vril Gesellschaft si riunirono in una foresteria a Ramsau, nei dintorni di Berchtesgaden. Tra loro vi erano 2 medium: Maria Orsic, croata, che aveva incontrato Haushofer a Vienna nel 1917 insieme al Barone Rudolf Von Sebottendorf, ed un certo Sigrun.
Essi ricevettero per via telepatica un messaggio in un codice segreto usato dai Tempari, che essi peraltro ignoravano. Dopo la decodifica si comprese che si trattava di indicazioni per costruire una "macchina volante" od una "macchina del tempo". Tale messaggio giungeva proprio dalla Stella Aldebaran.
Curiosamente, il contatto delle medium della Vril non sarebbe stato stato l'ultimo contatto medianico con gli Aldebarani. Il medium Richard Miller afferma di aver ricevuto il 12 marzo 1958 un messaggio telepatico da Kla-La di Aldebaran, il quale avrebbe portato i saluti dalla Luce della sua dimensione.
Se non esistono prove certe dei contatti avuti dalle medium della Vril e dei nazisti con questi fantomatici ariani di Aldebaran altrettanto esistono prove oggettive della devozione delle antiche civiltà nei confronti della costellazione di Orione e, indirettamente, della sua battaglia ‘celeste’ contro il Toro Divino.
Le piramidi di Giza, in accordo con le ricerche di Hancock e Bauval, gli henge di Thornbourugh, tumuli circolari del periodo neolitico scoperti in Inghilterra, il sito archeologico di Tenochtitlan e diversi altri luoghi ricordano infatti l’allineamento con le stelle di Orione.

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Assumendo come valida la teoria della retrodatazione delle piramidi e di molti altri siti megalitici misteriosi a un tempo precedente la fine della glaciazione di Wurm, ovvero antidiluviano, la decisione del popolo che abitava il pianeta durante la cosiddetta età dell’Oro di costruire i propri monumenti o edifici in modo che ricordassero la costellazione di Orione era, secondo le conclusioni raggiunte dal Progetto Atlanticus, il modo migliore per celebrare la vittoria di un antico Dio (Orione = Enki) contro la popolazione di Aldebaran rappresentata appunto dal Toro Celeste.
Non sappiamo purtroppo se si trattò di una vittoria “militare”, “politica” o “culturale”.
In ogni caso, di qualsiasi tipo di vittoria si trattò, significa che ancora oggi, ogni volta che guardiamo, pieni di interrogativi, la maestosità delle grandi piramidi, stiamo celebrando la grandezza di Enki, al quale i complessi megalitici allineati alla costellazione di Orione fanno onore, in guerra contro il popolo di Aldebaran, per motivi a noi sconosciuti.
Se questo avveniva è ragionevole pertanto pensare accadesse in un tempo precedente al “Diluvio Universale”. In un secondo momento, nel tardo neolitico (ca. 6000 7000 anni fa) l’esito della “guerra” viene totalmente ribaltato. Storicamente, ciò si ricollega alla soppressione delle società gilaniche, queste nate secondo il Progetto Atlanticus direttamente su ispirazione dei resti dell’antica civiltà atlantidea fondata da Enki e dai suoi seguaci, da parte delle società indo-europee (ariane) di matrice patriarcale in tarda epoca neolitica, comunque dopo il Diluvio Universale, ovvero la fine della glaciazione di Wurm.
Notevole in tal senso è la ricerca di Marija Gimbutas (Vilnius, 23 gennaio 1921 – Los Angeles, 2 febbraio 1994) è stata un'archeologa e linguista lituana. Studiò le culture del neolitico e dell'età del bronzo della “Europa Antica”, un'espressione da lei introdotta, i cui lavori pubblicati tra il 1946 e il 1971 introdussero nuovi punti di vista nell'ambito della linguistica e dell'interpretazione della mitologia con particolare riferimento alla cultura indo-europea e alla cultura Kurgan.
Questi ultimi principali artefici di ciò che nel libro “Genesi di un Enigma” viene definito come “Riconquista”, concetto in contrapposizione con la “Rinascita” di matrice Enkilita.

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Le origini del popolo Kurgan… notare ancora una volta
la vicinanza alla regione del Mar Nero

Ciò offre la possibilità di interpretare sotto una diversa chiave di lettura sia la storia passata sia, soprattutto, la nostra storia recente approfondendo come quanto sopra descritto abbia influenzato le correnti esoteriche occulte di quei movimenti che hanno determinato la storia conosciuta dell’umanità e di coloro che ancora lo fanno.
Un dubbio onestamente ancora ci rimane… Quelle entità con cui entrarono in contatto le medium della VRIL avevano realmente l’obiettivo di portare il nazismo al potere con le nefaste conseguenze che conosciamo? O furono in realtà ingannati, così come le stesse medium, dalla successiva strumentalizzazione del messaggio esoterico ricevuto, da parte dei gerarchi nazisti?
La domanda nasce dal fatto che la presunta e involontaria ‘visita’ fatta agli Ariani da parte dell’ammiraglio Byrd che tutti gli appassionati di misteri certamente conoscono non lasciava presumere malvagità o intenti crudeli nei confronti dell’umanità da parte degli abitanti dell’ipotetico mondo di Agarthi i cui punti di accesso rimangono ancora ignoti.
Che a un livello a noi insondabile Orione e il Toro, Enki e gli Ariani, siano giunti infine a una pace che ancora non è stata recepita al livello materiale in cui viviamo noi esseri umani? Forse solo il tempo ci aiuterà a capirlo.


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MessaggioInviato: 19/10/2012, 17:14 
LO SHAMIR E GLI SCALPELLI DI LUCE DIVINA

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9651

Chiunque abbia una certa dimestichezza con la paleoarcheologia di certo conoscerà diversi siti archeologici risalenti, secondo la storiografia ufficiale, a un tempo in cui l’uomo iniziava a scoprire i segreti della metallurgia, della lavorazione del rame e successivamente del bronzo. Addirittura alcuni di questi siti risalgono a una preistorica età della pietra.
Il luogo e il tempo dell'invenzione del bronzo sono controversi. è possibile che la metallurgia del bronzo fosse stata inventata indipendentemente nella cultura Majkop del Caucaso settentrionale, risalente alla metà del IV millennio a.C., il che farebbe di loro i fabbricanti del bronzo più antico mai conosciuto, ma altri datano gli stessi reperti della cultura Majkop alla metà del III millennio a.C.
Tuttavia, questa cultura aveva soltanto il bronzo d'arsenico, una lega che si trova già allo stato naturale. Il bronzo di stagno, che si sviluppò più tardi, richiede tecniche più sofisticate di produzione: lo stagno deve essere estratto dalla miniera, principalmente come cassiterite, minerale dello stagno e fuso separatamente, aggiunto dunque poi al rame liquefatto per formare la lega del bronzo.

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In Mesopotamia l'età del bronzo inizia verso il 2900 a.C., nel tardo periodo di Uruk, abbracciando l'antico periodo dinastico di Sumer, l'Impero accadico, i periodi antico babilonese e antico assiro e il periodo dell'egemonia cassita. Ma è il subcontinente indiano a possedere il primato rispetto all’area mesopotamica della produzione e dell’utilizzo di utensili di lega di bronzo già a partire dal 3300 a.C., data che segna ufficialmente l’inizio dell’età del bronzo nel vicino oriente, con la nascita della civiltà della valle dell'Indo. Gli abitanti dell'antica valle dell'Indo, gli harappa, svilupparono nuove tecniche nella metallurgia producendo rame, bronzo, piombo e stagno.

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Esempi di utensili dell’età del bronzo

Ciò comporta che, per la storiografia ufficiale, la costruzione delle imponenti opere architettoniche megalitiche e la precisa lavorazione con cui spesso le pietre utilizzate venivano incise o modellate, avvenne con utensili e strumenti fabbricati in rame o al massimo in bronzo; la scoperta della lavorazione del ferro avverrà infatti soltanto a partire dal 1200 a.C., per lo meno nelle aree di nostro maggior interesse (mesopotamia, egitto e valle dell’Indo). In mesoamerica, con la sola eccezione dell’impero Inca, non si andrà oltre il neolitico.
Ecco pertanto i primi grandi interrogativi che gli antichi siti megalitici pongono agli storici: in che modo gli antichi hanno trasportato blocchi di pietra pesanti decine se non centinaia di tonnellate come, ad esempio, a Stonehenge? In che modo sono state estratte dalle cave di origine e poi lavorate, e in alcuni casi perfettamente levigate, preparate per la “posa”, come per esempio a Baalbek? In che maniera sono state praticate le incisioni che possiamo osservare nelle rovine di Puma Punku, così come all’interno delle piramidi e dei templi egizi? Davvero tutto ciò è stato possibile con fragili e deboli utensili di rame o, nella migliore delle ipotesi, in bronzo?
Emblematico è il citato esempio di Puma Punku, località vicina a Tihuanaco, sito nelle vallate boliviane prospicienti il lago Titicaca.

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Dettagli della lavorazione praticata sulle pietre di Puma Punku

Le lastre di Puma punku sono fatte di granito e di diorite. Le cave di granito e diorite più vicine a Puma punku si trovano a circa 60 Km di distanza dalla città. Il che presuppone una sbozzatura nella cava e il successivo trasporto fino alla città per 20 Km nel deserto boliviano. Inoltre alcune pietre presentano delle incisioni o delle perforazioni della roccia di altissima precisione, perfettamente rettilinee e sottili (6 millimetri), oltre che parallele. Pare improbabile che siano stati fatti con strumenti di pietra o di bronzo, ma in qualche modo devono averlo fatto. Alcune delle rocce di Puma punku sono lavorate in modo tale da formare una serie di blocchi ad incastro, che presumibilmente avrebbero composto un muro.
La diorite è una roccia estremamente dura, ma questo sembra non aver rappresentato un problema nella sua lavorazione da parte delle popolazioni di 5000 anni fa. Esempi di lavorazione della diorite sono stati ritrovati in giro per il mondo. Come gli Egizi, che utilizzavano sfere di diorite per lavorare il granito, o per realizzare vasi ed intarsi di notevole qualità.
Ciò che colpisce l’osservatore è la massima perizia seguita dagli artefici di queste incisioni, accompagnata da una precisione millimetrica e dalla presenza di simmetrie geometriche, dal nostro punto di vista troppo complicate da realizzare attraverso il semplice utilizzo di utensili di bronzo.

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Esempi di incisioni geroglifiche egizie

Di teorie sulla costruzione delle piramidi ne sono state enunciate moltissime, dalla tradizionale e comunemente accettata “rampa” sulla quale centinaia, migliaia di lavoratori spingevano i pesanti blocchi su rulli o binari di legno, alla più controversa ipotesi di un particolare vegetale o sostanza in grado di plasmare la roccia, fino alla più incredibile possibilità di un coinvolgimento diretto da parte degli extraterrestri. Le stesse ipotesi valgono per le costruzioni ‘impossibili’ di tutto il mondo. Forse nessuna di queste è in grado da sola di dare una risposta definitiva al nostro quesito.
Mario Collepardi, riprendendo la teoria di J.Davidovits descritta in “The Pyramids: an enigma solved”, Hippocrene Books, New York, 1989, ci introduce alla seguente ipotesi che parte dal presupposto che fosse praticamente impossibile ritagliare, da cave rocciose, blocchi di pietra che in alcuni casi raggiungono un peso di oltre 2 tonnellate, con gli strumenti in pietra e rame disponibili in quell’epoca agli Egiziani. Secondo la teoria più comunemente accettata, infatti, si ritiene che grossi blocchi di calcare siano stati prima intagliati in forme prismatiche quasi perfette, quindi sollevati sempre più in alto con il procedere della costruzione, ed infine montati l’uno accanto all’altro per la loro sistemazione definitiva che dava forma alle Piramidi.
Secondo Davidovits, né una tecnica di lavorazione così precisa e geometricamente perfetta delle pietre, e neppure i mezzi di movimentazione e sollevazione di blocchi così grandi, erano disponibili agli Egiziani all’epoca della costruzione delle Piramidi. Davidovits avanza quindi una ipotesi alternativa per spiegare come gli antichi Egiziani abbiano potuto costruire opere così imponenti dotate di una precisa collocazione dei blocchi lapidei.
Vale subito la pena di precisare che la ipotesi di Davidovits si basa sulla disponibilità di particolari materie prime presenti nei luoghi vicini alle Piramidi, ma non disponibili in altri siti e quindi non utilizzabili al di fuori delle aree dove si trovano le Piramidi. Una materia prima fondamentale, distante non più di un chilometro dalle Piramidi, era costituita da un calcare marnoso, un minerale contenente carbonato di calcio (CaCO3) e argilla (H2O•SiO2•Al2O3) mineralogicamente ed intimamente tra loro frammisti. Questo calcare argilloso veniva mescolato con acqua e conservato in appositi canali scavati vicino al Nilo fino ad ottenere una sorte di fango nel quale il calcare era disaggregato dall’argilla.
Una seconda materia prima, assolutamente indispensabile per la trasformazione del fango contenente calcare e argilla in blocchi di pietra artificiale, era costituito dalla soda caustica (NaOH). Questo composto, del quale ovviamente gli Egiziani non conoscevano la composizione chimica, non è disponibile in natura. Tuttavia gli Egiziani,secondo Davidovits, avevano empiricamente scoperto che il composto, che oggi è noto come soda caustica, poteva essere ottenuto mescolando il minerale Natron (Na2CO3), disponibile in natura nelle aree prossime alla costruzione delle Piramidi, con acqua e con calce (CaO), a sua volta ottenuta riscaldando pietra calcarea. Come abbiano potuto riscaldare la miscela in modo efficiente rimane un mistero.
Le piramidi sono solo un esempio della straordinaria abbondanza, in tempi remoti, di manufatti realizzati nei più duri minerali esistenti, come ad esempio il basalto, che è uno tra i più antichi materiali lavorati dall'uomo. In Mesopotamia, in Egitto, in Asia Minore, tra il rovinoso sfasciume dei cumuli di blocchi calcarei in avanzato stato di dissolvimento e decomposizione, consumati dai millenni, statue, basamenti, pilastri e architravi in basalto emergono integri, come fossero stati fatti ieri. Superfici levigate, spigoli netti sui quali le intemperie di quaranta o cinquanta secoli praticamente non hanno prodotto neanche un graffio. E allora, quanto tempo ci sarebbe voluto a un operaio per renderli perfetti quali sono? E con quali utensili li avrebbe tagliati, rifiniti, levigati, incisi? Ma lo stesso discorso del basalto vale di sicuro anche per il granito o per il porfido e per tutte le altre rocce vulcaniche. Quanti anni avrebbe dovuto aspettare re Narmer per avere la sua coppa di porfido, se gliela avessero dovuto scavare a mano con una scheggia di granito?
Abbiamo esempi di incisioni, figure, scritte, delle dimensioni massime di un paio di centimetri, eseguite sul quarzo (durezza 7 sulla scala di Mohs che misura il grado di durezza degli elementi), sul diaspro (idem), sull'onice di pietre da sigillo o da ornamento, in gran parte riportate alla luce dagli scavi in Mesopotamia e in Egitto, iscrizioni il cui spessore a volte non supera 0,16 millimetri. Mentre ci è difficile persino raffigurarci la misura e l'aspetto del morsetto che necessariamente doveva tenerle ferme durante il lavoro del bulino, è stato calcolato che quelle pietre debbono essere state lavorate con punte resistentissime da mm 0,12. Di che materiale?

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La scala di Mohs

E di che materiale erano fatti gli strumenti con i quali venne scolpita la statua in diorite di Gudea di Lagash, che ha più di 4000 anni? O la stele famosa del Codice di Hammurabi, di poco posteriore, dove il basalto nero è tutto coperto da una minutissima e nettissima scrittura cuneiforme che pare impressa nell'argilla o nella cera?
Vasi, coppe e tutti gli altri recipienti rinvenuti presso il sito di Naqada in Egitto, risalenti al lontanissimo periodo predi nastico oltre 5000 anni fa, pezzi di grande raffinatezza, con pareti dallo spessore minimo, simmetrici, rifiniti e levigati in maniera ineccepibile sembrano essere stati lavorati al tornio, cosa assolutamente anacronistica.
Molte delle anfore - scavate ed a volte perfino incise all'interno non si capisce come - hanno un collo sottilissimo, elegantemente allungato, e un'imboccatura così stretta che non ci passa nemmeno un dito. Fra i reperti datati al periodo più antico c'è anche una lente di cristallo, talmente perfetta che sembra molata meccanicamente. Il più antico nome di un sovrano ritrovato a Saqqara è quello di Narmer, che fu forse Menes, il leggendario unificatore dei due regni del Basso e dell'Alto Egitto: è inciso su di una coppa di porfido, materiale di grande durezza, con cui oggi viene fabbricata tra le altre cose la pavimentazione stradale. E di lì in poi - sparse ovunque - decine di migliaia di oggetti piccoli e grandi di tutte le specie, di statue, obelischi (alti fino a 73 metri, dice Plinio), stele, e centinaia di migliaia, anzi milioni di blocchi da costruzione e di rocchi di colonne, e chilometri quadrati di bassorilievi incisi, scolpiti, di geroglifici iscritti su quelle durissime rocce.
E’ paradossale che, gli antichi egizi (e come loro le altre grandi civiltà antiche) scegliessero tra le opportunità a disposizione i materiali più complicati da lavorare per il gusto di rendersi la vita difficile quando avrebbero potuto optare, per fare le loro opere d'arte, di qualche altro elemento meno ostico. Forse usavano quei materiali perché in realtà non erano poi tanto impegnativi da lavorare, perlomeno di quanto sembrino a noi oggi. In altre parole, può essere che conoscessero un altro metodo per tagliare, squadrare, dar forma alla pietra e, considerando l’opportunità di accesso a conoscenze alchemiche testimoniate dagli antichi papiri e testi quali “Il libro dei morti”, la cosa non ci stupirebbe più di tanto.
Tutti questi manufatti e infiniti altri - meravigliosi nell'aspetto e di fattura perfetta - sembrano eseguiti con la massima facilità, come se la solida pietra fosse stata semplicemente plasmata, e non violentemente colpita con rozzi attrezzi primitivi, tenacemente scavata, levigata e lucidata per un tempo interminabile. Parrebbe che quei materiali avessero subìto una lenta, silenziosa dissoluzione chimica, piuttosto che l'aggressione di un impatto meccanico. Un testo specifico ("Le pietre magiche", di Santini De Riols) ci dice che per lavorare queste pietre destinate al culto veniva usato un "punteruolo consacrato".
Mura megalitiche fatte con blocchi di dimensioni mostruose messi in opera con precisione millimetrica. Minute, delicatissime incisioni su pietre di estrema durezza. Oggetti, in pietra altrettanto dura, lavorati come fossero modellati in creta. Apparentemente senza attrezzi metallici, poiché metalli adatti e sufficientemente resistenti non ce n'erano. Gli strumenti in rame oppure in bronzo, qualora non si fossero sbriciolati sotto la pressione e l'attrito, avrebbero immediatamente "perso il taglio", e avrebbero dovuto essere continuamente riparati ed affilati. L'unico modo conosciuto per intervenire su materie di quella durezza è quello di scalfirle - con santa pazienza oppure, al giorno d'oggi, utilizzando altissime velocità di rotazione - con un arnese di forma adatta, fatto di qualcosa di ancora più duro. Ma non esistono molte sostanze più dure di quelle sopra citate, anzi non ne esiste alcuna tranne il diamante che le vince tutte, ma che però a quel tempo non veniva ancora normalmente impiegato innanzi tutto perché la tecnica non aveva fino ad allora raggiunto il livello indispensabile per saperla tagliare e in realtà non l’avrebbe raggiunto per molto molto tempo ancora.

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Esempi di costruzioni e lavorazioni “impossibili”:
da sinistra Sacsayhuaman, Gobekli Tepe

D’altronde l’opzione diamante è accreditata anche per il sarcofago della “Camera del Re” della grande piramide di Cheope. A prescindere dal fatto se abbia davvero o meno contenuto le spoglie mortali del faraone suddetto, ciò che ci interessa è come possa essere stato svuotato il blocco di granito che la compone. Flinders Petrie, suggerisce l'utilizzo di seghe tubolari, sempre in bronzo, in cui erano incastonati diamanti, e che avrebbero dovuto estrarre da quel masso "carote" di granito fino a creare lo spazio interno. Purtroppo però Petrie suppone anche che quelle seghe o quei trapani per poter penetrare la pietra, avrebbero dovuto ruotare o ad una così elevata velocità impossibile da raggiungere manualmente, applicando inoltre all'attrezzo una pressione o carico di una o anche due tonnellate.
Anche la conclusione di Pincherle sull’utilizzo di scalpelli di un buon acciaio fatica a convincerci del tutto come unica soluzione e risposta all’interrogativo su come le grandi civiltà ai primordi della nostra storia siano state in grado di costruire monumenti e opere architettoniche di quella portata e di quella fattura.

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Il presunto sarcofago di Cheope

Ciò convalida ulteriormente il presupposto di Davidovits, ovvero che non fosse possibile effettuare le lavorazioni sopra descritte con il livello tecnologico raggiunto a quel tempo; presupposto che è anche quello di molte delle ipotesi approfondite dalla paleoarcheologia controcorrente. Ma seppur non in possesso delle tecnologie necessarie, queste epocali opere rimangono lì, ancora piene dei loro misteri e domande senza risposta. Se esse sono lì, qualcuno deve pur averle costruite… ma come, e quando?
Torniamo allora all’ipotesi del “punteruolo consacrato” in quanto abbiamo diverse testimonianze di un simile “oggetto” o tecnologia nella nostra misteriosa storia. In nostro aiuto arriva la dettagliata ricerca di Lia Mangolini su una antichissima tecnologia per la lavorazione della pietra senza l’uso di strumenti metallici.
Questa tecnologia è rappresentata dal misterioso oggetto presente nella tradizione ebraica chiamato “Shamir”. Questo misterioso e potente oggetto viene citato in numerosi midrash tra i quali quello riportato nella ricerca della Mangolini e che ci aiuta a introdurci nello studio di questo strumento.
I midrash sono definiti come narrazioni popolari che ampliano e arricchiscono di tradizione orale e di leggenda gli scarni testi dell'Antico Testamento. Spesso i midrashìm trattano le identiche storie ed i medesimi personaggi, fornendo talvolta su di essi indicazioni essenziali, ma non sono stati inclusi nella Sacra Scrittura per motivi dottrinari. Ne esistono a centinaia, di diverse epoche, soggetti e provenienze, raccolti in moltissime antologie.
Nel nostro caso il midrash che parla dello Shamir riporta che, per la costruzione del Tempio, Salomone aveva dato ordini molto precisi. Secondo la Legge mosaica, Legge divina, nessun materiale facente parte del Tempio doveva essere lavorato con attrezzi di ferro, il metallo di cui son fatte le armi che portano morte, evitando così di contaminare la sacralità del luogo.
L'altare, soprattutto, non doveva essere profanato in nessun modo da quel contatto, e nel cantiere non doveva entrare nemmeno un chiodo; né tanto meno martelli, scalpelli, picconi o altro. Tanto è vero che il materiale da costruzione - o almeno, sicuramente, la pietra - era arrivato sul posto già squadrato, se non rifinito, di modo che durante i lavori "non si udì nel Tempio nessun rumore prodotto da utensili metallici". L'unica maniera alternativa di lavorare la pietra senza impiegare strumenti di ferro era quella di usare il "magico Shamìr". Dio stesso, secondo la tradizione, l'aveva consegnato a Mosè sul Sinai, il quale se ne era servito per incidere i nomi delle dodici tribù sulle pietre incastonate nel pettorale e nell'"efòd" che facevano parte dei paramenti del Sommo Sacerdote. Da allora però lo Shamìr era sparito e non si sapeva più che fine avesse fatto.
Indizi sull’esistenza dello Shamir provengono da almeno una quindicina di midrashìm diversi, alcuni dei quali molto antichi, segno di un qualcosa di ben noto. Tutti sostanzialmente concordi sui punti principali, che figurano in svariate antologie, ma meglio accorpati o riassunti in quella che è la più completa e ponderosa raccolta moderna del genere, "Le leggende degli ebrei" di Louis Ginzberg. Rimandando ad uno studio più approfondito l'esame diretto delle fonti originali, i particolari che ne emergono sono i seguenti.
Lo Shamìr, con altre creature soprannaturali, venne creato al crepuscolo del sesto giorno della Creazione. E' grande più o meno come un grano di frumento o d'orzo, e possiede la mirabile proprietà di tagliare qualsiasi materiale per quanto durissimo, anche il più duro dei diamanti. Per questa ragione venne utilizzato da Mosè per lavorare le gemme poste sul "pettorale del giudizio" del Sommo Sacerdote. I nomi dei capi delle dodici tribù furono dapprima tracciati con l'inchiostro sulle pietre destinate a essere incastonate nel pettorale e anche sulle due onici dei fermagli posti sulle spalline dell'"efòd". Poi lo Shamìr venne passato sui tratti che rimasero così incisi come la stessa letteratura rabbinica spiega. Il fatto più straordinario fu che l'attrito o l'azione che segnò le gemme non produsse nessun residuo.
Sembra proprio la descrizione di un processo industriale moderno a guida laser.
Lo Shamìr venne inoltre usato per tagliare le pietre con cui fu costruito il Tempio, perché la legge proibiva di usare per quest'opera strumenti di ferro così come possiamo leggere nel Talmud e nell’ambito della letteratura midràshica. Inoltre, sempre dalle stesse fonti, sappiamo che lo Shamìr non può essere conservato in un recipiente chiuso di ferro o di qualunque altro metallo, poiché lo farebbe scoppiare, forse a causa dell’emissione di gas o di calore derivante da una possibile radioattività dell’elemento. Radioattività che giustificherebbe i malanni di Re Salomone e di Re Davide dopo l’utilizzo dello Shamir e della elevata mortalità di coloro che lo maneggiava per più tempo senza probabilmente le dovute precauzioni. Esso, una volta finito di essere usato va avvolto in un panno di lana e deposto in un cesto di piombo pieno di crusca d'orzo. Istruzioni troppo dettagliate per essere esclusivamente attribuite a un oggetto mistico solo frutto della fantasia dei redattori dei midrash.
Altre incredibili applicazioni dello Shamir sono descritti nel racconto di come Salomone riuscì a impossessarsi dello strumento in oggetto. Il dèmone Asmodeo il quale conosce l’ubicazione di tutti i tesori nascosti, fu costretto a rivelare al re che Dio aveva consegnato lo Shamìr a Rahav, l'Angelo (o il Principe) del Mare, il quale non lo affidava mai a nessuno se non, raramente e solo a fin di bene, al gallo selvatico, il quale viveva lontano, ai piedi di montagne mai esplorate dall'uomo: questi se ne serviva per "forestare" intere colline nude e pietrose, producendovi - per mezzo dello Shamìr - innumerevoli forellini, nei quali poi piantava semi di varie piante e di alberi. Ciò veniva fatto nell'imminenza della migrazione di gruppi tribali divenuti troppo numerosi, che più tardi, arrivando sul posto, avrebbero trovato un ambiente vivibile.
Come non collegare a questa descrizione le Migliaia di buche delle dimensioni di un uomo scavate nella nuda roccia vicino a Valle Pisco, Perù, su una pianura chiamata Cajamarquilla. Questi strani buchi (pare 6900), si estendono per circa 1450 mt in una banda larga approssimativamente 20 mt di terreno montuoso e irregolare e sono stati qui da così tanto tempo che le persone non hanno idea di chi li ha fatti e perché.

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Valle Pisco, Perù

Gli archeologi hanno immaginato che siano stati scavati per immagazzinare il grano ,ma una obiezione si presenta a questa ipotesi: perché i costruttori avrebbero sprecato anni di duro lavoro per fare depositi così piccoli, quando avrebbero potuto costruire meno camere, ma più grandi? Forse sono stati utilizzati come tombe per una sola persona a sviluppo verticale? Ma non ci sono ossa, artefatti, , iscrizioni, gioielli … nemmeno un dente o una frazione di capello è stato trovato nei buchi. Inoltre non hanno coperchi per sigillare come dovrebbe avere una tomba e non c’è storia sacra o anche mito che sono stati tramandati fino ad oggi per etichettarli come tali.
In alcune sezioni ci sono buchi fatti con perfetta precisione, alcuni allineamenti funzionano in curva ad arco, in alcune linee sono senza ordine alcuno. Variano nella profondità, da circa 6-7 metri a quelli che sembrano solo accennati. A tutt’oggi, nessuno ha idea del perché sono qui, chi li fece e che cosa avessero significato.
A meno che non fosse il tentativo di forestazione, suggerito dal midrash ebraico, utilizzando il “magico Shamir”, il che porta la presenza del potente oggetto, e dei suoi divini possessori, al di là dell’Oceano Atlantico. Questo avvalora l’incredibile ipotesi che gli Egizi o comunque qualcuno prima di loro, sia riuscito a raggiungere il Sudamerica, dando origine alle prime civiltà mesoamericane. Gli studiosi hanno stabilito che il giorno uno del calendario olmeco era coincidente con il 13 Agosto 3113 a.C., data della nascita della civiltà olmeca, evento straordinario per tutte le civiltà dell'America Latina al pari dell’anno zero del calendario cristiano. Ma il 3113 a.C. indica per la precisione la data esatta dell'esilio di Thoth e dei suoi seguaci africani dall'Egitto per mano di suo fratello Ra, verso i confini del mondo per la colonizzazione di nuove terre. Una storia che ricorda in qualche modo l’esilio di Enki verso l’Abzu ordinato da suo fratello Enlil.
D’altronde possibili prove di un retaggio comune, e quindi di un passaggio di proprietà dello Shamir tra le sponde dell’oceano ci vengono fornite da un misterioso sito archeologico trovato in Perù. Trattasi dell'antica città di Caral.

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La città di Caral

Tornando da questa parte dell’Oceano Atlantico abbiamo un altro esempio di possibile applicazione pratica dello Shamir: le tavole della legge incise dal “Dito di Dio” nella pietra, sul monte Sinai – altro esempio somigliante a una moderna lavorazione a guida laser. Uno dei primi a citare lo shamir associandolo a una tecnologia laser fu il matematico ed etnologo russo Matest Agrest Mendelevitch. Agrest deve essere ricordato per essere stato tra i primi scienziati a divulgare la tanto discussa teoria degli antichi astronauti. Insomma, almeno un decennio prima che identiche ipotesi fossero poi riprese, sviluppate e, purtroppo, a volte anche strumentalizzate.

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Nel 1995 pubblicò il volume “L’antico miracoloso meccanismo Shamir”, in cui identificava lo Shamir come uno strumento utilizzato per il taglio e l’incisione di pietre durissime. In questo suo volume Agrest ricorda come lo Shamir viene descritto nel Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, come “…un ‘verme tagliente’ usato per scolpire i nomi dei Shevatim sulle pietre del Choshen” e nello Zohar, altro libro sacro degli Ebrei, importante per la tradizione cabalistica, come un “tarlo metallico divisore”.
Nella Bibbia, Geremia 17/1, è descritto come un diamante: “Il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, con una punta di diamante è inciso sulla tavola del loro cuore e sugli angoli dei loro altari…”; lo stilo era la penna usata all’epoca per incidere sulle tavolette di cera: poteva essere una specie di raggio laser ricavato appunto da un diamante?
Questo “verme di diamante”, adoperato per tagliare e forare, era considerato di natura divina e per questo motivo raramente affidato agli esseri umani. Agrest precisò che poteva essere stato descritto come un insetto a causa dell’errata traduzione della parola latina “insectator” (tagliatore), quindi scambiato per un “tarlo” perché praticava dei fori.
Tutto questo avvalora l’ipotesi che Mosè, guidando il popolo ebreo fuori dall’Egitto, abbia effettivamente sottratto agli egiziani una serie di conoscenze e di strumenti tecnologicamente avanzati, probabilmente da questi ereditati a loro volta da una civiltà ancora precedente ma paradossalmente più evoluta, antecedente anche ai Sumeri – sto parlando di Atlantide, o meglio dell’Atlantide così come descritta e immaginata dal Progetto Atlanticus.
Insieme di conoscenze e strumenti tecnologicamente avanzati in grado di entrare nei racconti e nei miti antichi come oggetti divini, confluendo forse nel significato del termine Shamir nella traduzione dall’ebraico, i cui significati sono: diamante, verme leggendario che tagliava le pietre, finocchio, paliuro. L’unica indicazione aggiuntiva viene dal termine "niàr shamìr" che in ebraico moderno indica la comune "carta vetrata", sempre riferendosi pertanto a qualcosa che consuma e corrode.
Ecco che allora nei molteplici significati che il termine Shamir racchiude possiamo individuare una parte della tecnologia che permise alle antiche civiltà l’edificazione di costruzioni megalitiche, la lavorazione e la messa in opera di blocchi di granito, porfido, basalto e altri materiali duri, l’incisione precisa e dettagliata di figure e scritte apparentemente impossibile.
Il verme leggendario che tagliava le pietre potrebbe essere il metaforico risultato dell’interpretazione che l’uomo antico poteva dare a un applicazione laser, sfruttando la concentrazione di luce che avrebbe potuto realizzarsi in quella pietra di colore verde della dimensione di un grano di frumento o d'orzo descritta nei midrash ebraici. Laser utilizzato per produrre le incisioni dei geroglifici e della scrittura su pietra così come le lavorazioni dei blocchi già visti a Puma Punku. Ad un uomo di 5-6000 anni fa certamente una tecnologia paragonabile al laser e dintorni sarebbe apparsa di origine divina; poiché non erano degli stupidi, avranno anche capito la potenziale letalità di un ipotetico strumento del genere e quindi è altamente plausibile che venisse coperto di segreto ed affidato solamente a gente degna, protetto quindi come uno dei segreti pratici della massoneria operativa di quei tempi.
L’associazione del termine “Shamir” al termine “diamante” potrebbe invece racchiudere un insieme di utensili che sfruttavano la durezza del diamante per realizzare tagli o attività più pesanti: seghe circolari, trapani a punta di diamante, persino martelli pneumatici idealizzati dall’uomo comune come “scalpelli divini” in grado di tagliare, frantumare, levigare anche le pietre più dure.
Tale esempio di applicazione viene suggerito anche in un capitolo del libro “Scoperte archeologiche non auorizzate” di Marco Pizzuti. In questo capitoletto si dice, tra le altre cose, che ad Abusir sono ancora presenti giacimenti di durissima diorite e graniti con tracce chiarissime di carotaggi che di certo non avrebbero potuto essere effettuati con scalpelli di rame. Nel libro viene sostenuto che questi fori presentano un tipo di scanalatura perfetto quanto quello delle moderne trivelle a punta di diamante. Si dice inoltre che secondo il testo dell'Agada lo shamir era in grado di frantumare qualsiasi materiale.

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Esempi di odierni utensili di diamante: punte, seghe circolari

Shamir significa anche finocchio, accostandosi pertanto al mondo vegetale e quindi all’ipotesi, mai del tutto scartata, di un impasto vegetale o di un acido di origine vegetale, in grado di plasmare la roccia, renderla malleabile e quindi più facilmente lavorabile.
Sembra sempre più evidente che lo Shamìr fosse un ritrovato tecnologico-scientifico di forte interesse. Non il più importante (il primato spetta con ogni probabilità all’Arca dell’Alleanza), ma notevole abbastanza perché il primo midràsh citato lo nomini specificamente, a parte. E comunque di grande valore pratico, per lo meno nell'àmbito delle attività artigianali e artistiche della lavorazione delle pietre da ornamento, di quelle da costruzione e di quelle impiegate per la statuaria, i bassorilievi, le decorazioni et similia e cioè nei settori istituzionalmente addetti alla realizzazione esclusiva di opere e manufatti "sacri", destinati a mostrare il fasto e la magnificenza di divinità e di regnanti. Tutto ciò che lo riguardava era un "segreto di Stato".
Faceva infatti parte anche lo Shamìr, di sicuro, di quel limitato e perciò inestimabile patrimonio di riservatissime, enigmatiche conoscenze scientifiche e culturali (astronomiche, mediche, chimiche, arte dello scrivere e quant'altro) che erano proprietà privata di tutte le Supreme Autorità. Quelle cognizioni che, rappresentate da un qualche "magico" oggetto, da un'arma "fatata", da un "potente" talismano o da una "mistica" sostanza, costituivano il "segno" tangibile della "rivelazione" di Dio concessa solo a chi ne fosse "degno"; della benedizione del cielo; del riconoscimento divino del diritto di un sovrano a regnare. Solamente pochissimi eletti - per celeste privilegio - potevano accedervi. I Sovrani consacrati. Gli Unti del Signore. Ma insieme a loro anche i Sacerdoti. Gli Iniziati. I Maghi. Gli Stregoni.
Ovvero tutti coloro che, dopo il Diluvio Universale, al termine dell’Età dell’Oro caratterizzata dalla civilità atlantidea, furono selezionati dai sopravvissuti al cataclisma per riavviare la società umana consegnando loro quelle conoscenze e quegli strumenti necessari per farlo – ciò che il Progetto Atlanticus definisce come eredità degli dei. Una eredità di cui certamente lo shamir fa parte.
Certo, durante l’età dell’oro, qualsiasi processo industriale o edile prevedeva l’utilizzo di tali applicazioni essendo il risultato del livello tecnologico raggiunto da quella mirabile civiltà. Successivamente al diluvio solo pochissime e limitate persone entrarono in possesso di questi strumenti utilizzati esclusivamente per utilizzi legati all’ambito sacro o bellico, comunque come estrema ratio, per sancire il potere e il dominio di chi li possedeva nei confronti degli altri. Basti pensare alla campagna militare di Giosuè in palestina al ritorno degli ebrei dall’Egitto.
Proviamo allora a immaginare un antico cantiere in cui i costruttori potevano utilizzare simili ritrovati tecnologici: seghe circolari in diamanti, composti in grado di ammorbidire la pietra più dura, tecnologia laser e, perché no, onde sonore per movimentare gli elementi più pesanti, così come narrato nelle leggende tibetane. Ovviamente una simile visione poteva essere interpretata dagli uomini dell’età del bronzo esclusivamente come espressione di un potere divino oppure, come ipotizzato dal Progetto Atlanticus, come “ricordo” dell’espressione della potenza divina. Trattandosi infatti di oggetti mitologici di estrema rarità, tanto che Salomone dovette letteralmente rubare l’unico esemplare per potere permettere l’edificazione del tempio, è difficile sostenere che con così pochi utensili a disposizione si sia potuto provvedere all’edificazione di così tante opere.
A meno che tutte queste non siano state originariamente costruite durante l’età dell’oro, prima della fine della glaciazione di Wurm, quando questo tipo di tecnologia e sapere era comune agli ingegneri, architetti e costruttori. Costruzioni di più di 12000 anni fa, riutilizzate e parzialmente ristrutturate dagli uomini dell’età del bronzo, i quali ricordarono come le stesse furono edificate “dagli dei” con taluni strumenti i cui pochi elementi rimasti, facenti parte dell’”eredità degli dei” furono consegnati a uomini degni: sovrani, sacerdoti, maghi, scriba…
Ripercorrendo i possessori dello shamir possiamo pertanto tracciare il cammino che l’eredità degli dei ha seguito attraverso i millenni. Ci proveremo in un nostro prossimo articolo.


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Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9683

“I costruttori di queste grandi fondamenta e fortificazioni ci sono ignoti, né sappiamo quanto tempo è trascorso dall’epoca loro, dal momento che oggi scorgiamo solo mura di raffinata fattura, erette secoli e secoli fa. Talune di queste pietre sono consumate e in rovina, e ve ne sono altre talmente imponenti che viene da chiedersi come poté la mano dell’uomo trasportarle fino a dove oggi si trovano. Oserei dire che si tratta delle antichità più vetuste di tutto il Perù … Ho chiesto ai nativi se risalissero al tempo degli Incas, ma gli indigeni, ridendo della domanda, mi hanno ripetuto ciò che ho già detto: vennero costruite prima del regno degli Incas; ma non sapevano indicare o ipotizzare chi o perché le avesse erette”.

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Questa frase, riferita alle rovine di Tiwanaku, è stata scritta dal cronista spagnolo Pedro Cieza de Leon, nel 1549. Egli si era infatti posto come obiettivo quello di ricostruire la storia degli Inca dalle origini ai suoi giorni e diede corpo a questo redigendo la “Crónica del Perú, que trata del Señorio de los incas Yupanquis y de sus grandes hechos y gobernación.”.
Per redigere questa opera il Cieza si preoccupò di interrogare gli anziani saggi degli inca ancora sopravvissuti e ne elencò scrupolosamente i nomi e le famiglie di origine, consentendo anche agli storici attuali una attendibile indagine critica ripresa poi da W.Wetphal nella sua opera “Gli Inca” edita da Bertelsmann nel 1985. Fu anche da queste interviste che ebbe origine il pensiero che apre l’articolo.

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Pedro Cieza de Leon

Secondo una delle interpretazioni più diffuse, Tiwanaku significherebbe letteralmente “la città di Dio”. Quando gli Incas guidati dal leggendario imperatore Pachacutec giunsero a Tiwanaku per la prima volta, “si sentirono invadere dallo stupore“,: “costruzioni simili non ne avevano mai viste“.come riferiscono i manoscritti di Cobo e Barnabé (rispettivamente datati 1599 e 1657) successivamente antologizzati nella opera “Historia del Nuevo Mundo”
Non deve dunque destare meraviglia che già a partire dall’epoca Inca le leggende più incredibili e le storie più strane prendessero a circolare sull’identità dei misteriosi costruttori di Tiwanaku. Secondo una nota leggenda Inca, a Tiwanaku, dove il mondo era stato creato, il creatore del mondo Tikki Viracocha inviò i suoi due figli, Manco Capac e Mama Occlo affinché fondassero un nuovo impero.
Una storia questa che richiama un certo sincretismo tra i personaggi citati nella leggenda Inca con i miti sumeri degli Anunnaki. Ecco che Viracocha può diventare Anu e i suoi due figli, Manco Capac e Mama Occlo, rispettivamente Enki ed Enlil. Non guardiamo ai nomi che purtroppo poi col tempo e con le tramandazioni orali dei miti nei secoli tendono a sovrapporsi e confondersi l’uno con l’altro. Viracocha può essere qui Anu e in un’altra leggenda ricordare la figura di Enki, portatore di conoscenza e benevolo nei confronti dell’umanità. Guardiamo piuttosto alle figure e alla descrizione dei ruoli. Abbiamo anche nel caso degli Inca la figura di un dio e dei suoi due figli caratterizzati da una funzione colonizzatrice. Addirittura secondo ulteriori leggende il dio Viracocha era apparso presso il sacro lago Titicaca e da li avrebbe rifondato la Terra dopo il diluvio. E in questa immagine subito balena alla mente il ruolo di Enki e dei sopravvissuti dell’età dell’oro nello svolgimento della “Rinascita” così come previsto nelle teorie sostenute nell’ambito del Progetto Atlanticus.

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Il dio Viracocha raffigurato sulla porta del sole a Tihuanaco

Tutti sulle Ande sapevano di Tiwanaku, e pellegrini Inca (e non solo Inca) giungevano ad ammirare i grandi templi e gli immensi edifici di pietra, affrontando viaggi che potevano durare anche anni. Eppure, all’epoca degli Inca solo rovine restavano del grande centro cerimoniale. La fine di Tiwanaku resta infatti uno dei molti enigmi irrisolti dell’archeologia precolombiana.
L’intera città sembra essere stata sconvolta da un cataclisma di indescrivibile potenza, che squarciò i palazzi e ridusse i grandi templi, le strade e le piazze ad un unico immenso cimitero, seppellendo tutto sotto una coltre di fango spessa in alcuni punti anche 21 metri. Le distruzioni maggiori Tiwanaku dovette tuttavia subirle dopo la conquista. Divenuta ormai una sterminata cava di pietre. Intorno alla metà dell’800 le spoliazioni procedevano ad un ritmo tale che una linea ferroviaria dovette essere appositamente costruita per collegare Tiwanaku a La Paz. Ancora oggi risulta perciò difficile riconoscere molti dei luoghi tanto accuratamente ritratti e disegnati dai viaggiatori europei del tempo.
Fu Arthur Posnansky il primo a intraprendere scavi scientifici nella zona, tratteggiando dunque per la prima volta un quadro più chiaro dell’antica civiltà dei suoi costruttori e descrivendo la possibilità che l’area di Tiwanaku a 3844 metri s.l.d.m. sarebbe stata costruita circa 15.000 anni prima di Cristo. Questo dato non concorda con l’archeologia ufficiale, che in base al metodo del carbonio 14 ha datato alcuni oggetti ritrovati nei pressi della città al 200 d.C.
Ma è altresì vero che una città, come qualsiasi altro monumento in pietra è molto difficile da datare, e non sempre ci si più basare sul metodo del carbonio 14.
Inoltre, assumendo vera l’ipotesi della archeologia ufficiale, ci troveremmo dinanzi a una città di più di 40-50.000 abitanti in una regione che offre scarse risorse di cibo e ci possiamo accorgere subito confrontando l’ambiente circostante la città di Tiwanaku con l’immagine di ciò che doveva essere lo sfarzo e la magnificenza del sito archeologico durante il suo massimo splendore. Chi edificherebbe la propria capitale in mezzo al deserto? Chi costruirebbe una enorme città dove i suoi abitanti avrebbero difficoltà a trovare le risorse sufficienti al suo sostentamento?
A queste stesse conclusioni era giunto già Squier nel 1877:

“Non è questa una regione che possa offrire nutrimento o sostentamento per una gran massa di persone, e certamente non è un’area dove ci si potrebbe aspettare di trovare una capitale. Tiwanaku forse fu un luogo sacro o un santuario, la cui posizione venne fissata casualmente, in base a un auspicio o ad un sogno. Mi è difficile credere che fosse la sede di un qualche potere centrale.”

A meno che, ai tempi della edificazione, l’ambiente circostante non fosse diverso, più adatto alla costruzione di una città di tali dimensioni e importanza nella zona. In tal caso dobbiamo per forza di cose tornare a un tempo precedente alla fine della glaciazione di Wurm. In tal caso i miti e le leggende Inca diventano più verosimili rispetto alle teorie dei nostri archeologi.

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Arthur Posnansky

Soprattutto perché l’area archeologica di Tiwanaku è composta da più siti tutti egualmente misteriosi e affascinanti: La Porta del Sole, la Porta della Luna, il Palazzo, il monolito El Frate, la piramide di Acapana e qualche kilometro più a sud-ovest l’enigmatico sito di Puma Punku, sul quale concentriamo la nostra attenzione.

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Immagine tratta da “Le mappe di Atlanticus
’età dell’oro” http://goo.gl/maps/8FzOy

Ancor più di Tiwanaku, Puma Punku è in grado di suscitare nel visitatore profondi interrogativi su chi abbia popolato questa regione e su chi e come abbia edificato le incredibili opere presenti sull’altipiano a pochi chilometri dal lago Titicaca, anch’esso carico di misteri. Chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questo luogo è rimasto imbarazzato dinanzi alla peculiare lavorazione e forma dei blocchi di pietra disseminati nell’area. Ancora una volta le leggende locali ci indicano alcuni dicono essere Tiwanaku un tempio, costruito in un antico passato dagli uomini del posto per commemorare l’arrivo degli dei del cielo nella vicina Puma Punku.
Impossibili lavorazioni, pietre perfettamente levigate, fori che solo chiamando in causa il leggendario Shamir di Re Salomone sarebbe stato possibile realizzare, (leggasi a tal proposito il precedente articolo appunto dedicato allo Shamir).

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Esempi di lavorazione praticati sulle pietre di Puma Punku

Il tempio principale del Puma Punku, affacciato su di una vasca cerimoniale o piazza sprofondata, perfettamente levigata, è una delle costruzioni in pietra più grandi del nuovo mondo, in cui a blocchi di pietra di 440 tonnellate ne seguono altri più piccoli, di 200, 100, e via via fino a quelli di 80 e 40 tonnellate.
Il Puma Punku colpisce per la dimensione dei blocchi, ma colpisce anche per la raffinatezza della decorazione scultorea. Ovunque giacciono sparsi al suolo parti di quelli che furono portali, finestre, nicchie o semplici blocchi di pietra. In nessun luogo del nuovo mondo, e probabilmente neppure del vecchio, si trova traccia di una lavorazione della pietra tanto precisa e raffinata. Come in un gigantesco gioco a incastri, ogni blocco era progettato per incastrarsi perfettamente con quelli adiacenti tramite un complesso sistema di indentature, incavi e morsetti metallici. Dai pochi frammenti rimasti, sembra che anche il tetto di questi straordinari edifici fosse costituito di enormi lastre di pietra.
Il rebus di Puma Punku sta tutto nella precisione millimetrica dei suoi blocchi di pietra, specialmente quelli a forma di H. Sono tutti della stessa grandezza come fossero stati prodotti in serie con una sorta di stampo, hanno linee perfette, scanalature levigate, fori di estrema precisione e, come gli altri blocchi, sembrano fatti per essere assemblati a incastro, al fine di creare megalitiche muraglie e insolite costruzioni.
Molti ingegneri sono rimasti stupiti e ammirati da cotanta perfezione millimetrica, che sarebbe difficile da ottenere anche al giorno d’oggi con i moderni mezzi in nostro possesso. Questi enormi blocchi sono infatti composti di diorite, una pietra vulcanica dura quasi come il diamante, come potevano quegli uomini antichi tagliarli e scolpirli con tale precisione.

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I blocchi H

Una teoria, forse non del tutto azzardata, ipotizza l’esistenza ai tempi dell’età dell’oro antidiluviana di un canale fluviale che collegasse il lago Titicaca all’oceano Pacifico. Alcuni ritengono che i colossali resti ritrovati a non molta distanza dal Puma Punku rappresentino la possibilità dell’esistenza di un grande porto, anch’esso costituito di filari su filari di enormi lastre monolitiche.
Teoria che consente quantomeno una spiegazione di come movimentare tali blocchi dalle cave di andesite poste a più di 60 km di distanza. Le cave di andesite, l'equivalente vulcanico della diorite, si trovano a 10 miglia di distanza. Stupisce parecchio come abbiano potuto trasportare pietre del peso di anche 130 tonnellate per quella distanza. Una delle cave si trova presso la penisola di Copacabana, sul lago Titicaca, distante circa 90 km da percorrere sul lago, più altri 10 km per raggiungere Tiwanaku.
La teoria del trasporto fluviale è stata sperimentata da Paul Harmon, un archeologo sperimentale che lavora a Tiwanaku, è quella del trasporto delle pietre sulle tradizionali zattere di canna. per trasportare una pietra di nove tonnellate, è stata necessaria una zattera larga 5 metri, lunga 14 a alta 2, composta da più di 3000 fasci di totora, la canna locale.
Se poi consideriamo che chi fu in grado di lavorare la pietra a quel modo probabilmente possedeva tecnologia in grado di sostituire preistoriche zattere con chiatte moderne possiamo pensare a un immagine di Puma Punku che nulla ha a che invidiare con i più moderni porti industriali.
Puma Punku potrebbe essere quindi una sorta di “fabbrica” di moduli prefabbricati in diorite, sbozzati dalle cave presenti a 60 km di distanza (il che presuppone comunque la necessità di movimentare tonnellate di materiale), costruiti in serie con tecnologie sconosciute: alcune pietre presentano delle incisioni o delle perforazioni della roccia di altissima precisione, perfettamente rettilinee e sottili nell’ordine di pochi millimetri, oltre che parallele. Pare improbabile che siano stati fatti con strumenti di pietra.
Moduli prefabbricati che come enormi “LEGO” antidiluviani, furono progettati per essere estremamente funzionali per i progetti architettonici di quell’antica civiltà madre perduta dell’età dell’Oro? Certo immaginare un grande porto industriale sull’altipiano andino più di 15000 anni fa sembra essere una ipotesi azzardata. Altrettanto azzardate sono le sperimentazioni effettuate da alcuni ricercatori sulle applicazioni pratiche di questi blocchi H? I risultati sono sconcertanti.
E’ stato infatti osservato che le nicchie dei blocchi a forma di H presentano un incastro ‘a coda di rondine’. Tale tipo di incastro rispetto ad altri modelli di giunzione presenta il doppio vantaggio di massimizzare la superficie di contatto dei giunti e di avere denti trapezoidali, più difficile a separarsi, rendendo estremamente resistente l’intera struttura scaricando il peso o la pressione non solo sul singolo blocco, ma su tutti in caso di eventuale crollo. la stessa disposizione dei blocchi fa presagire che nel sito si erigesse un edificio posizionato con un sistema modulare simile a quelli moderni.

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Blocco H visto dall’alto con evidenza della struttura della nicchia a “coda di rondine” *

Un muro megalitico costruito sfruttando questa fattispecie di incastri risultava pertanto essere estremamente resistente sia in caso di attacchi nemici che in caso di eventi naturali.
Ma la versatilità dell’incastro a coda di rondine dei blocchi H si manifesta anche nella possibilità prevista da altri studiosi che queste nicchie fossero gli alloggiamenti di enormi cardini per altrettanto enormi porte, come ipotizzato da Cristopher Dunn. Sull’idea di Dunn noi del Progetto Atlanticus abbiamo immaginato, nella nostra follia onirica, che i blocchi H potessero fungere da alloggiamento per i cardini delle porte d’accesso al “porto industriale” così come descritto nei paragrafi precedenti.

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Esempio di cardine incastrato nel blocco H *

Ipotesi ancora più affascinante è quella suggerita dal ricercatore Paul Francis, realizzatore di modelli del Lucas Francis Studio, il quale, sempre partendo da modelli in scala dei blocchi H è stato in grado di realizzare una sorta di binario.

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Rampa di lancio costruita con modelli di blocchi H *

Binario che nella sua interpretazione poteva servire allo scopo di rampa di lancio di apparecchi volanti. Apparecchi volanti che peraltro esistono nell’archeologia precolombiana proprio come se questi oggetti fossero stati fonte di ispirazione per l’artigianato locale.

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Esempi di artigianato precolombiano

Ovviamente qui ci addentriamo nell’ambito della teoria degli antichi astronauti, ma a prescindere che si tratti di extraterrestri, atlantidei, civiltà perdute o esseri umani tali e quali noi, quanto trovato a Puma Punku rappresenta un enigma indecifrabile.
Indecifrabile a meno che non si prenda in seria considerazione la descrizione che la tradizione ebraica fa dello Shamir, il punteruolo sacro degli dei, lo scalpello di luce divina, che un midrash, descrivendo come Re Salomone ne fosse venuto in possesso recita:
“Il dèmone Asmodeo il quale conosce l’ubicazione di tutti i tesori nascosti, fu costretto a rivelare al re che Dio aveva consegnato lo Shamìr a Rahav, l'Angelo (o il Principe) del Mare, il quale non lo affidava mai a nessuno se non, raramente e solo a fin di bene, al gallo selvatico, il quale viveva lontano, ai piedi di montagne mai esplorate dall'uomo: questi se ne serviva per "forestare" intere colline nude e pietrose, producendovi - per mezzo dello Shamìr - innumerevoli forellini, nei quali poi piantava semi di varie piante e di alberi. Ciò veniva fatto nell'imminenza della migrazione di gruppi tribali divenuti troppo.”
Se proviamo ad associare sincreticamente quelle lontane montagne mai esplorate dall’uomo con le Ande e Rahav, il principe del mare con Viracocha/Enki, ecco che il mito della tradizione ebraica chiude il cerchio della leggenda Inca con la quale abbiamo aperto l’articolo in oggetto.

* Immagini tratte dall'ottava puntata della quarta stagione di “Enigmi Alieni”, dedicata a Puma Punku


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LA SCONFITTA DELLA RINASCITA

Articolo di Paolo Brega
Fonte: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9694

All’interno del nostro blog abbiamo affrontato l’effetto delle migrazioni dei popoli indoeuropei nell’Europa gilanica secondo le teorie di Marija Gimbutas a partire da 7000 fino a 4000 anni fa con particolare attenzione alla cultura Kurgan e l’impatto di questo evento sui piani di “Rinascita” previsti dagli Enkiliti; Enkiliti; che rappresentano il Player B della nostra ‘scacchiera’ sulla quale si gioca da migliaia di anni una complicata partita.
Di fatto l’arrivo dei Kurgan sostituisce a una società fondata sul dono, sulla spiritualità e sulla cooperazione tra individui pari appartenenti alla comunità, una società invece fondata sul possesso, sull’autorità e sul dominio da parte del forte sul debole.
Oserei dire che con le migrazioni indoeuropee di 7000 anni fa il modello sociale Enkilita viene pertanto soppiantato dal modello sociale “Rettiliano”, riconducibile invece al Player C.

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Le migrazioni dei Kurgan

Come dimostra la cartina geografica, popolazioni indoeuropee, patriarcali e guerriere, provenienti dall'area caucasica e siberica, si introdussero in Europa, estinguendo o assoggettando con le armi e la violenza le società gilaniche (vedi link http://italianimbecilli.blogspot.com/20 ... unita.html) cancellando di fatto l'eredità lasciata loro dagli insegnamenti enkiliti, durante il processo di Rinascita.
Le prime comunità umane, libere e pacifiche, fondate su una auto-organizzazione basata su cooperazione e solidarietà, che per migliaia di anni avevano prosperato in Europa e in Mesopotamia, vengono pertanto soppiantate dalle ondate delle popolazioni indoeuropee tra cui appunto i Kurgan.
Il modello sociale imposto vede come elementi dominanti la forza fisica e l'autorità maschile relegando la figura della donna (e della sua spiritualità) a un livello di schiavitù e di concubinaggio forzato. L'ordine anarchico venne represso, fu introdotto il concetto di proprietà (che poi sfocerà nella monetizzazione, nel mercato) soppiantando un efficace sistema economico basato sul dono.
Da questa logica oppressiva nacque quella che la storiografia ufficiale, riconosce come la "nostra" civiltà, le prime monarchie, i primi regni... omettendo tutto ciò che di buono vi era prima in una arcadica società così come venne progettata per l'uomo da Enki, dopo il diluvio, con il processo di Rinascita, grazie alla quale ebbero origine le prime società umane, tra cui i Sumeri, appunto poi soppiantate dall'arrivo degli Indoeuropei.

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I popoli coinvolti nella “Riconquista”

E' solo dopo il loro arrivo infatti che la linea del tempo inizia a registrare gli accadimenti storici che studiamo sui libri di testo, relegando alla figura di semplici miti ciò che precedeva la storia. Una storia prima della storia, volutamente cancellata dalla storia.
E' dalle ricerce di Marija Gimbutas che possiamo conoscere le misteriosi origini del popolo indoeuropeo. Dagli studi della Gimbutas emerge un quadro abbastanza semplice e lineare della comparsa degli Indoeuropei sulla scena della storia: migrando dalle loro regioni d'origine (Urheimat collocata fra gli Urali e il Danubio), le popolazioni indoeuropee si sarebbero sovrapposte un po' ovunque (dall'Europa occidentale all'India) alle popolazioni neolitiche preindoeuropee, come élites guerriere tecnicamente più avanzate (detentrici della metallurgia del rame e del bronzo), imponendo in gran parte alle popolazioni sottomesse la loro struttura sociale e la loro religione.

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I movimenti migratori dei popoli Indoeuropei

L'ipotesi più diffusa sulla tipologia di popolazione era quella di un popolo di guerrieri nomadi che, migrando dalle sue sedi originarie a causa della scarsità di risorse, avrebbe travolto le civiltà preesistenti, portando tuttavia delle innovazioni tecnologiche come la metallurgia del bronzo, poi del ferro, l'uso del carro da guerra e del cavallo.
Soprattutto fra gli indoeuropeisti di scuola tedesca, tra cui Gustaf Kossinna, lo studio sull'origine degli indoeuropei veniva mischiato con lo studio sull'origine Germani, che si presentavano come guerrieri patriarcali rozzi e feroci, primitivi e nomadi, in opposizione all'avanzata civiltà mediterranea antica greco-latina.
Andando assai più indietro nel tempo, nelle tradizioni fra storia e leggenda che circondano l'origine dell'età antica mediterranea, agli studiosi si offriva il modello dell'invasione dorica che, intorno al 1100 a.C. avrebbe spazzato via la civiltà micenea preesistente, anch'essa indoeuropea (e non meno guerriera, visto che aveva sopraffatto la civiltà asiatica dei Troiani).
Quanto al ramo indiano dell'indoeuropeo, o indo-germanico, era fin troppo facile ravvisare, nei Veda come nei più tardi poemi epici Mahabahrata e Ramayana, il sovrapporsi, a genti preindoeuropee, di una società guerriera, non dissimile da quella descritta nei poemi omerici.
Gli Indoeuropei erano quindi una popolazione nomade primitiva, guerriera, patriarcale, venuta dal nord che si sovrappose in una o più fasi, alle popolazioni preindoeuropee, soggiogandole e dominandole come élite guerriera, che poi impose la propria lingua alle genti sottomesse, secondo un modello che Andrew Colin Renfrew ed altri studiosi definiscono "mutamento linguistico per sovrapposizione di un'élite".
E' proprio l'arrivo degli indo-europei a 'rovinare' i piani di Enki e della Rinascita in quanto, sostituendo i loro paradigmi sociali a quelli tipici della Rinascita danno il via alla storia umana, alle sue violenze, alla prevaricazione del forte contro il debole, all'introduzione della proprietà privata e a tutte le conseguenze che ciò porterà nel corso dei millenni a venire.
Culture mai entrate in contatto con gli indo-europei (e penso ai nativi americani) sono rimaste invece più legate ai vecchi paradigmi della Rinascita enkilita e ai modelli delle arcadiche società gilaniche.
Ma l’azione degli antagonisti, avversari, alla visione Enkilita della gestione della razza umana non si ferma qui. Una più forte invasione avviene a partire da 4000 anni fa, proprio al termine delle migrazioni del ceppo culturale Kurgan. Trattasi delle migrazioni di quelli che verranno conosciuti nella storia come i “Popoli del Mare”. Migrazioni che partiranno dalla culla del Player A; il popolo eletto degli Enliliti: i Sumeri, o meglio gli Ebrei loro diretti eredi, così come possiamo dedurre dalle ricerche di Arno Poebel prima e dell’importante sumerologo Kramer, i quali riscontrano significative correlazioni tra Sumeri e Ebrei.
Dalla Bibbia sappiamo a un certo punto che “…Abramo uscì dalla città di UR dei Caldei…” per raggiungere la terra promessa, la terra di Canaan, su indicazione diretta di Dio/Yahweh/Enlil. Possiamo collocare temporalmente nel XVIII sec. a.C. la partenza della tribù di Abramo verso Canaan, ovvero 3800 anni fa, esattamante alla fine dell’azione Kurgan nel continente europeo.
Ma da ciò che narra la Bibbia possiamo osservare come il tragitto di Abramo compia una sosta nella città di Harran. Ed è in realtà proprio ad Harran che Abramo riceve da Dio la “missione” di scendere verso la terra promessa.

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Il percorso di Abramo

Al lettore interesserà sapere che il luogo in cui Yahweh scelse Abramo per questa audace missione è lo stesso luogo dove Marduk fece la sua comparsa dopo un'assenza di mille anni e fu più tardi il luogo in cui una serie di eventi incredibili cominciarono a susseguirsi. Questi furono avvenimenti di portata profetica, che influenzarono sia le questioni umane sia quelle divine.
Gli eventi chiave, raccolte per i posteri da testimoni oculari, cominciarono e finirono con l'adempimento delle profezie bibliche riguardanti l'Egitto, l'Assiria e Babilonia; e includevano la partenza di un dio dal suo tempio e dalla sua città, la sua ascesa ai cieli, e il suo ritorno dai cieli mezzo secolo più tardi.
E, per una ragione forse più metafisica che geografica o geopolitica, molti degli eventi cruciali degli ultimi millenni del conto cominciato quando gli déi, riuniti in consiglio, decisero di assegnare all'Umanità la civiltà, ebbero luogo ad Harran o nei suoi pressi. I dettagli di una tavoletta che facevano parte di una corrispondenza reale di Assurbanipal, il figlio successore di Assaraddon, si evince l'intenzione che Asarrandon meditava di attaccare l'Egitto, dirigendosi a nord invece che a ovest alla ricerca del tempio in legno di cedro di Harran. Lì vide il dio Sin appoggiato a un bastone, con in testa due corone. Il dio Nasku gli stava difronte. Il padre di sua maestà il mio re entrò nel tempio.
Il dio gli pose una corona sulla testa, e disse: "Viaggerai verso le nazioni, e ne sarai il conquistatore!" Egli partì e conquistò l'Egitto. Scopriamo inoltre che nella lista degli Dèi sumeri, Nasku era un membro dell'entourage di Sin.
Ma torniamo ad Abramo e alla sua tribù: dopo l’investitura da parte di Yahweh, Abramo e il suo popolo eletto, scende verso l’attuale palestina e la occupa. Se, come ipotizzato nelle teorie del Progetto Atlanticus, Yahweh fu davvero un Enlilita significa che l’occupazione della terra di canaan da parte degli ebrei di Abramo fu una ponderata decisione politico-strategica del principe ereditario Anunnako forse volta a boicottare i piani del fratello Enki, oppure a definire il proprio potere nella regione.
Il lettore potrebbe chiedersi a questo punto: “Ma non stavamo parlando di Europa? Cosa centra tutto questo con le migrazioni degli indo-europei e dei Kurgan?”. Centra, perché la Bibbia dimentica di dire che ad Harran la tribù di Abramo (che ancora non è nazione di Israele, in quanto sarà Giacobbe a ricevere questo incarico da Dio), si divide in tre sottotribù.
Una prima tribù, volge a sud, verso la palestina, e la Bibbia seguirà le vicende di questa, poiché da essa nascerà la nazione di Israele, prediletta dal Signore (ovvero Enlil)
Una seconda tribù si dirigerà a nord, risalendo il Danubio e occupando perciò la parte nord dell’Europa fino all’Irlanda dove verranno ricordati come i Tuatha de Dana.
Una terza prenderà la via del mare dando origine a tutta una serie di popoli che saranno noti per le loro abilità guerriere tanto da venire utilizzati come soldati mercenari e guardie del corpo del faraone (Shardana) in quell’Egitto, sempre fortemente collegato alla storia del popolo ebraico, tanto che durante il regno del faraone Akhenaton esisteva una vera e propria ambasciata dei “Popoli del Mare” in terra d’Egitto, il che rafforza l’affascinante ipotesi che il faraone ‘eretico’ e Mosè fossero la stessa persona, considerando l’origine comune di “Popoli del Mare” e Ebrei. Ricordate quanto accaduto nella città di Harran?

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I percorsi seguiti dalle tribù di Dan, dopo la separazione di Harra, 4-3000 anni fa

Il suffisso DAN è comune nelle vicende di quelli che diventeranno i “popoli del mare”. Il nome Sher-Dan (SRDN) significa principi di Dan, e Tuatha de Dana sta a significare più o meno “quelli della tribù di DAN”.
è una coincidenza strana che essi portassero il nome del figlio di Giacobbe che amava l’arte della guerra. Secondo i mirabili studi di Leonardo Melis, possiamo solo ipotizzare che i Shardana, come gli Ebrei (Ossia quelle tribù che poi formarono il popolo ebraico), arrivarono in Egitto intorno al 1700 a.C. con l’invasione degli Hiksos, quindi c’era sicuramente un legame fra i due gruppi
Certo che per la loro abitudine di lasciare tracce del loro passaggio dappertutto, come il serpente, oggi possiamo almeno sapere dove si stabilirono. Sappiamo dagli Egizi che nell’ultima tremenda invasione verificatasi mezzo secolo dopo questi avvenimenti, intorno al 1200 a.C., insieme a Shardana (Sardi?), Thursha (Etruschi?), Shakalasa (Siculi?), Liku (Liguri?), Libu (Libici? Cartagine?) stavolta ci sono altri popoli che vengono dall’estremo nord dell’Europa. i Greci li chiamavano anche Iperborei e dicevano adorassero il dio Apollo, cui dedicavano templi e altari megalitici, a volte di forma circolare, come Sthonenge, ma anche come Circuitus in Sardegna presso Laconi, in una località chiamata stranamente Stunnu, un vocabolo dal suono incredibilmente simile al più famoso sito megalitico inglese.
Il nome di questi nuovi alleati: Saksar (Sassoni?) e Danen (Tuatha de Dana), o Danuna. Vedremo che non si tratta dell’unico richiamo al nome di Dan che noi troveremo nelle terre del Nord. Alcuni esempi: Danmark=Traccia di Dan, Tuatha de Dana=Gente di Dan o Tribù di Dan. Questi ultimi erano gli antenati degli Irlandesi e adoravano la Grande Madre, la Dea Danu. La stessa Irlanda è piena di toponimi Dun (Es. Duncan, leggi Dancan), ma anche Dan stesso (Danny boy)...
Sappiamo anche che Mosé affidò a Ooliab di Dan (insieme a Jezalel di Juda) la costruzione dell’Arca, che poi sarà custodita dagli stessi Daniti, prima a Dan, poi a Silo, infine presso il Tempio di Salomone.
In conclusione possiamo osservare il percorso degli Enliliti rappresentati dal popolo di Abramo che si divide ad Harram e che, muovendosi per le terre d’Europa, si integra e si mischia con le precedenti genti indo-europee giunte da est definite nelle ricerche della Gimbutas come Kurgan. A volte l’integrazione è pacifica, a volte violenta. Kurgan prima, tribù dei Dana poi, il risultato finale va comunque nuovamente a discapito dei piani di Rinascita Enkilita, con quella commistione di ruoli dei Player A (Enliliti) e Player C (“Rettiliani” – volutamente tra virgolette) che caratterizzerà la storia d’Europa fino ai giorni nostri.
Qualcuno potrebbe obiettare a questa affascinante ipotesi chiedendo dove siano le prove. Ovviamente prove certe non ne abbiamo, ma altrettanto esistono numerosi indizi che inducono una ragionevole concretezza alla teoria fin qui esposta rendendo la stessa meritevole di approfondite ricerche a riguardo.
La prima su tutte le citazioni presenti nei testi sacri e nella mitologia dei popoli coinvolti, oltre che a diversi riferimenti storici, soprattutto nella storiografia egizia. Un ulteriore indizio sta nelle forti similitudini della foggia delle armi e delle vesti dei guerrieri etruschi, celti, ittiti, hyksos e via discorrendo.

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Spade etrusche a confronto con spada celtica
si noti la particolare foggia dell’impugnatura

Oltre alle evidenti analogie nel vestiario e nelle armi utilizzate dai guerrieri di Dan, siano essi etruschi, celti, irlandesi, ittiti o sardi, riscontriamo incredibili analogie anche nell’utilizzo di particolari simboli: la spirale e il fiore della vita, noto anche come rosa celtica. Troviamo esempi di questo simbolo nelle lapidi etrusche, in Galizia, in Transilvania, in Irlanda e, di nuovo, nelle iscrizioni egizie del tempio di Abydos e persino nel Tempio di Salomone e sul Monte Sinai… addirittura nel palazzo di Assurbanipal.

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Rosa celtica in Egitto e in Israele

Ma è ancora Lorenzo Melis a fornirci il più incredibile indizio: il calendario nuragico. Ecco come il ricercatore sardo descrive la scoperta.
La straordinaria scoperta di questo antico calendario di 4000 anni è stata fatta in contemporanea con un altro studioso, che già aveva decodificato l’”Abaco” degli Inca e il loro sistema di calcolo. Chiameremo convenzionalmente il nostro calendario “Nuragico”, anche se vedremo che fu usato parallelamente da altri popoli aventi la stessa origine del popolo che allora abitava la Sardinia. Fra tutti i Celti, col cui calendario abbiamo trovato incredibili somiglianze. Soprattutto col calendario festivo annuale. ARRODAS DE TEMPUS l’appellativo usato da Nicola De Pasquale, questo il nome dello studioso col quale siamo in contatto da alcuni mesi.
Nelle immagini che seguono vediamo una “Pintadera” sviluppata da De pasquale… a seguire la “Pietra di Nurdole”, in cui abbiamo ravvisato il calendario delle feste agricole e pastorali rapportate alla Luna e al Sole. Quest’ultimo schema o “ruota” corrisponde, come del resto corrispondono le festività, al calendario dei Celti raffigurato in basso a destra con segnate le feste. Le feste lunari, più importanti, formano la “croce” e quelle solari formano la “X”.

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Vediamo a seguire uno schema di queste feste.
LUNARI:

BELTANE (1° Maggio) = S. EPHIS (in Sardinia le feste hanno preso nomi di santi Cristiani)
LUGHNASAD (Agosto) = ARDIA e le varie feste equestri, candelieri… intitolate all’Assunta
SAMAIN (2 Novembre = SAS ANIMAS (il culto dei Morti. Le usanze sono identiche in sardinia )
INBOLCH (genn. Febbraio) = FESTE DEI FUOCHI (oggi intitolate a S. Antonio)
SOLARI: Solstizi ed Equinozi. In Sardinia hanno preso nomi Cristiani, ma le celebrazioni sono rimaste intatte.
21 Marzo: A Pasqua il rito del sacrificio del primo nato e l’offerta del germoglio di grano (Nenneri) dedicato una volta a Baku-Dioniso.
21 Giugno (LAMPADAS). Oggi S. Giovanni. Una volta dedicata all’iniziazione dei giovani. Accompagnati dal “Santuauanne”, il Padrino, i giovani si cimentavano nel salto del fuoco.
21 Settembre (Capodanni). Inizio dell’anno agricolo con “Sos akkordos”. Si stipulavano i contratti per la gestione di un campo o di un gregge.
21 Dicembre (Paskixedha)… Le celebrazioni antiche non figurano più, soppiantate da una celebrazione tropo importante per il Nuovo Culto: Natale. I sardi lo considerano una “Piccola Pasqua”, quindi una “Piccola Rinascita”.

Effettivamente il sole comincia nuovamente ad allungare le giornate.
Esistono quindi forti indizi di un retaggio comune di una origine “enlilitica” della cultura europea dominante. Una origine che partendo dai Sumeri, passando per Ebrei e la tribù di Dan, intesa come parte della più grande “famiglia” di Abramo, si mischia con i Kurgan indo-europei già presenti nel continente da millenni, andando a creare una nuova ‘visione del mondo’ a metà tra l’interpretazione Enlilita e quella Rettiliana.
Il rimpianto è che tutto questo ha tolto agli onori della storia l’esperienza Enkilita delle società gilaniche che caratterizzarono la storia d’Europa dalla fine della glaciazione di Wurm fino a 7000 anni fa, quando i Kurgan si affacciarono al di qua del Danubio. 5000 anni sono troppi per essere cancellati con l’ipotesi di società primitive incapaci di organizzarsi in società civili. L’avvento dei Kurgan prima e dei Dan dopo ha cancellato questa parte di storia.


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INTERVISTA A GRAHAM HANCOCK

Articolo di Adriano Forgione
Fonte: http://www.romaoggi.com/hera5.htm

Ho incontrato Graham Hancock a Malta nel dicembre 2001. Ero con Robert Bauval ed Anton Mifsud nella hall di un elegante albergo dell'isola. Il colloquio è stato cordiale e fitto lo scambio di informazioni. Gli chiesi ragguagli sulle scoperte in India, annunciate nel marzo 2001, e mi rispose: "Presto ne saprai di più. Quando sarà il momento telefonami e te ne parlerò". Oggi, dopo la notizia della datazione delle città sommerse, il momento è giunto. Nessuno meglio di lui poteva fornirmi informazioni precise su questa recente scoperta e sulle polemiche che attualmente stanno nascendo intorno al suo nuovo libro, "Underworld", appena uscito nei paesi di lingua inglese.

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A.F. Dunque, Graham, in Inghilterra il tuo nuovo libro "Underworld" è uscito quasi in contemporanea con l'omonimo documentario che hai girato per Channel 4. Quali aspettative hai da questo tuo nuovo lavoro, che ti ha visto impegnato negli ultimi anni?

G.H. Aspettative in termini di reazioni del pubblico?

A.F. Sì, ma, soprattutto, in termini di reazioni dell'ambiente archeologico accademico.

G.H. Con questo libro spero di ottenere una risposta più razionale e ragionevole da parte degli accademici, rispetto al passato. Il libro è comunque un attacco contro l'archeologia "ortodossa" e sottolinea molti dei suoi probabili fallimenti, ad esempio a Malta, ma questa volta ho cercato di basare molto più solidamente i contenuti del libro su prove archeologiche accertate. Insomma, ho cercato di fare delle dichiarazioni molto radicali ma supportate da prove archeologiche irrefutabili. Credo che, questa volta, nel libro ci saranno molte affermazioni su cui gli archeologi troveranno difficile essere in disaccordo: almeno è quello che spero. Spero anche che, con le mie ricerche, riuscirò a far prendere seriamente in considerazione il fatto che, alla fine dell'ultima Era Glaciale, 25 milioni di chilometri quadrati di territorio furono inondati: un evento che non è mai stato adeguatamente studiato dagli archeologi. E quest'area assente dalla storia dell'umanità è troppo vasta perché si possa affermare di avere in nostro possesso tutti gli elementi della vicenda.

A.F. Quali sono stati gli ultimi sviluppi, dopo il tuo annuncio circa il ritrovamento delle due città sommerse in India e la loro datazione al radiocarbonio?

G.H. Ho notato che gli accademici hanno reagito con un atteggiamento di cautela: ovviamente devono tenere conto dell'annuncio reso dal governo indiano ma, chiaramente, non vogliono credere all'esistenza di città così antiche sul fondo del mare. Quindi, tutto ciò ha causato loro un certo grado di conflitto e difficoltà. Credo, comunque, che la richiesta più pressante sia stata quella di compiere maggiori ricerche sull'argomento: ricerche indubbiamente necessarie e spero che, nei prossimi sei mesi, riuscirò ad organizzare delle immersioni nei siti delle due città, in collaborazione con il team indiano del NIOT (National Institute of Ocean Technology). Nel frattempo, è importante sottolineare l'esistenza di un altro sito, nel sud-est dell'India, che riveste un ruolo primario nel mio libro. Si chiama Poompuhar e ci tornerò nel mese di marzo con una spedizione internazionale, britannica e indiana, per esplorarlo accuratamente. Mi sono già immerso alcune volte, in quel sito, l'ho descritto nel libro ed è stato filmato nel documentario: si tratta di una struttura molto grande, a forma di U con l'apertura rivolta verso nord, e venne sommersa circa 11.000 anni fa.

A.F. Non è ancora stata studiata?

G.H. Io l'ho esplorata, ma solo con un limitato numero di immersioni e anche l'Istituto Nazionale Indiano di Oceanografia l'ha esaminata ma anche loro hanno potuto effettuare solo poche immersioni perché non hanno fondi sufficienti per svolgere delle ricerche adeguate. Adesso abbiamo raccolto i fondi necessari per finanziare una spedizione internazionale ed effettueremo tre settimane di ricerche nel sito, perché non si tratta di una singola struttura, intorno a quella principale ve ne sono altre 27 individuate con il sonar a scansione, quindi si tratta di un intero complesso di edifici. La geologia del luogo, poi, indica molto chiaramente il periodo in cui fu sommerso, 11.000 anni fa o forse ancora prima.

A.F. Molto interessante, quindi le affermazioni dei geologi contrastano con quelle degli archeologi?

G.H. Sì, effettivamente è così. Vedi, il punto su cui tutti devono trovarsi d'accordo è la questione dell'innalzamento del livello dei mari alla fine dell'Era Glaciale. La scienza è molto chiara su questo argomento, con prove fondate ed ampiamente dimostrate, e nessuno nega che, a quel tempo, andò persa un'enorme estensione di terre emerse. Ma gli studiosi non hanno considerato quanto fossero nevralgiche, durante l'Era Glaciale, quelle aree di territorio, perché si trovavano vicino alla costa, spesso in zone riparate e dal clima più mite, dove sicuramente la gente aveva cercato rifugio dal clima glaciale delle zone più settentrionali.
Credo che, per l'archeologia, questo sia un vero punto cieco: molte delle teorie finora enunciate sull'origine della civiltà sono state sviluppate tenendo conto dei mutamenti climatici e di altri aspetti della fine dell'Era Glaciale, ma nessuno ha mai preso in considerazione il fatto che potrebbe esserci stata un'antecedente evoluzione dell'agricoltura e degli insediamenti urbani, in quei territori poi sommersi dalle acque. Così come nessuno ha mai considerato che, probabilmente, non è un caso se quelli che oggi interpretiamo come i primi segni di civiltà presenti nei reperti archeologici, apparvero proprio nello stesso periodo in cui avvenne quest'enorme inondazione e che, forse, sono opera dei sopravvissuti al diluvio.

A.F.. Puoi spiegarmi come ti sei trovato coinvolto in questa eccezionale scoperta e come ti hanno accolto gli esperti dell'Istituto Nazionale Indiano di Oceanografia?

G.H. Il team indiano mi ha accolto molto bene fin dall'inizio. Il mio interesse verso l'India risale a molto tempo fa: la prima volta in cui sentii parlare di una città sommersa in India fu nel 1992 e, in quello stesso anno, mi recai sul posto ma non ho potuto immergermi nel sito, che si chiama Duhaka e si trova nel nord-ovest dell'India, prima del 2000. Per potermi immergere fu necessario incontrare i responsabili dell'Istituto Nazionale di Oceanografia, perché sono loro i responsabili del sito, e ci volle quasi un anno prima di riuscire ad ottenere il permesso di effettuare le immersioni. Comunque, quel sito non è antichissimo: quando mi recai là ero aperto a qualunque possibilità ma sono giunto a questa conclusione dopo aver osservato le strutture, che si trovano in acque basse e presentano somiglianze con uno stile architettonico indiano più recente, forse medievale. Tuttavia, pur non essendo molto antico, quel sito per me rappresentò l'ingresso nel mondo misterioso dell'archeologia indiana, nonché l'occasione di entrare in contatto con l'archeologia subacquea indiana e riuscire a compiere delle immersioni in altri siti. Vorrei chiarire che le due città sommerse del nord-ovest sono state scoperte da un altro istituto indiano, con iniziali simili: l'Istituto Nazionale per la Tecnologia Oceanografica. Non sono archeologi ma oceanografi e, a maggio dell'anno scorso, stavano redigendo una mappa del fondale nel Golfo di Cambay e svolgendo delle ricerche sull'inquinamento della zona, quando scoprirono la presenza delle strutture con il sonar a scansione. Non appena la notizia venne resa pubblica, io li chiamai e rimasi in contatto fino a novembre-dicembre 2001, quando mi recai sul posto per lavorare con loro.

A.F. Che tipo di reperti sono stati analizzati, finora, e come sono stati recuperati dal mare?

G.H. I reperti sono stati recuperati con uno speciale braccio meccanico. L'imbarcazione è stata posizionata proprio sopra le strutture individuate dal sonar ed il team ha calato sul fondale il braccio meccanico, che ha riportato in superficie i manufatti direttamente dal sito. Questo è l'unico modo in cui sono riusciti a recuperare i manufatti, finora, perché immergersi in quella zona è estremamente complicato e difficile: prima di tutto il sito si trova a grande profondità, poi ci sono delle correnti molto forti. Effettuare un'adeguata operazione di immersioni - che, comunque, compiremo in marzo - richiede un supporto logistico maggiore di quello che avevamo a disposizione all'epoca. L'uso del braccio meccanico è un sistema piuttosto rozzo, ma avevamo bisogno di stabilire se, effettivamente, nel sito si trovassero dei manufatti oppure no. Avendo ormai accertato la presenza di manufatti, il braccio meccanico non verrà più utilizzato, ma si procederà con le immersioni.

A.F. Fra i reperti recuperati, vi sono oggetti che presentano iscrizioni o qualche forma di scrittura?

G.H. Sì, uno dei reperti è un frammento di pietra con dei caratteri in rilievo sulla superficie che sembrerebbero proprio una qualche forma di scrittura.

A.F. Caratteri simili alla scrittura dell'Indo?

G.H. Sono differenti, ma si possono riscontrare delle somiglianze. Credo che esista senz'altro una connessione tra questa civiltà e quella dell'Indo anzi, per la precisione, credo che la civiltà dell'Indo sia semplicemente una forma più tarda di quella stessa cultura che costruì le città sommerse. Penso vi sia una continuità culturale in India e che le origini della civiltà dell'Indo siano da ricercare proprio sott'acqua. Ma bisogna risalire molto indietro nel tempo, fino a 8.000/9.000 anni fa, per trovare queste origini.

A.F. Ho letto che alcuni archeologi americani, come Garrett Fagan, stanno levando strali contro di te, accusandoti di volerti appropriare indebitamente di una scoperta di grande valore scientifico. Noi sappiamo che non è vero, ma cosa rispondi ai tuoi detrattori?

G.H. In verità, io ho semplicemente fatto il mio dovere di reporter, riferendo la storia della scoperta dei manufatti e delle città sommerse compiuta dai ricercatori indiani. Se io non avessi riportato la notizia, sicuramente non avrebbe avuto una tale risonanza, in Occidente; addirittura, inizialmente in Gran Bretagna la notizia fu totalmente ignorata ed ero stupefatto che nessun giornale se ne occupasse, così cercai di attirare l'attenzione del pubblico sul ritrovamento e scrissi alcuni articoli in proposito. Tutto qui, ma non è una mia scoperta, la scoperta è del NIOT e non ho mai affermato il contrario, quindi trovo molto strano che mi si accusi di rubare il merito di questo ritrovamento. Il lavoro del reporter consiste nel riferire le notizie ed è esattamente quello che faccio.

A.F. Le immagini sonar mostrano strutture di una complessità sbalorditiva, per una civiltà preistorica. Ci sono altre informazioni circa la composizione architettonica di questi centri urbani?

G.H. Le uniche nuove informazioni provengono da un'analisi tecnica della porzione inferiore delle strutture, sottostante il fondale, che mostra delle fondamenta molto dense e massicce, quasi sicuramente costituite da enormi blocchi di pietra: sembra, quindi, che le costruzioni furono concepite su scala estremamente vasta. Quel che lascia perplessi è il fatto che i reperti recuperati finora non sono affatto spettacolari, sono proprio il genere di oggetti che ci si aspetterebbe di trovare in un insediamento indiano di circa 9.000 anni or sono. L'unica loro particolarità sorprendente è il fatto di trovarli nel contesto di queste grandi città sommerse. Sembra molto strano che lo stile dei manufatti sia tipico di altri siti dello stesso periodo ma che il sito stesso in cui sono stati trovati sia completamente diverso, molto più complesso e ben 150 volte più vasto di qualunque altro insediamento della stessa epoca.

A.F. Tu affermi che le analisi al Carbonio 14 datano queste città al 9500 a.C. circa, mentre le dichiarazioni ufficiali citano il 7500 a.C. Sono entrambe date molto remote ma c'è uno scarto di 2.000 anni. Puoi spiegare questa discrepanza?

G.H. No, non è esatto. In realtà, uno degli oggetti esaminati al C-14 risale a 9.500 anni fa, ovvero esattamente al 7500 a.C. mentre un altro reperto risalirebbe ad un migliaio di anni prima di questa data, cioè 10.500-11.000 anni fa.

A.F. Ok, chiarito l'equivoco. Ma com'è possibile che una civiltà di almeno 9.000 anni fa fosse in grado di erigere dei centri urbani di questo tipo? Secondo gli archeologi, in quel periodo della civiltà dell'Indo erano appena sorti siti come Merghar - più simili a piccoli villaggi che a vere e proprie città - come spieghi questa anomalia?

G.H. L'unica ipotesi che posso avanzare è che lo sviluppo dell'agricoltura sia avvenuto prima di quanto si pensi, e che abbia avuto luogo proprio nelle grandi pianure presso le coste. Per qualche motivo, questo antico popolo era decisamente gente di mare: vivevano lungo la costa, vicino al mare. All'epoca il clima nelle regioni dell'interno era sicuramente molto arido, freddo ed inospitale e, quindi, non avevano grandi incentivi per trasferirsi nei territori interni. Ripeto, la mia è solo una teoria, ma credo che la spaventosa alluvione che distrusse queste città lasciò comunque dei sopravvissuti e un sito come Merghar potrebbe essere stato costruito proprio dai superstiti di quell'anteriore, ormai perduta, civiltà costiera.

A.F. è una teoria molto interessante: una storia analoga a quella di Nevali Çori e Çatal Höyük, in Turchia.

G.H. Sì, esatto. Sussistono molti misteri, riguardo Merghar, perché i suoi primi abitanti conoscevano già le tecniche di allevamento e l'agricoltura, sapevano già erigere costruzioni di mattoni, possedevano molte abilità che avevano evidentemente sviluppato altrove, ma nessuno sa dove.

A.F. Se la datazione al C-14 suggerita si rivelerà corretta, credi che sarà necessario riesaminare anche le attuali datazioni delle progredite civiltà di Harappa e Mohenjo Daro?

G.H. No, osservando i resti di città come Mohenjo Daro, Harappa e Dolavira, credo che le loro datazioni siano, probabilmente, esatte. Inoltre, ripercorrendo l'evoluzione di queste città indietro nel tempo, si può notare un ininterrotto processo evolutivo, a partire da insediamenti primitivi come Merghar, fino allo sviluppo dei grandi centri urbani tipici della civiltà dell'Indo. Quello che sostengo, invece, è che andrebbe considerata molto più attentamente l'evoluzione avvenuta prima della costruzione di Merghar, perché gli indizi suggeriscono che, in un periodo anteriore, vi fu una civiltà molto più progredita che in seguito fu distrutta e che poi risorse lentamente, sia a Merghar che in altri siti. Ed è esattamente quel che sostengono tutti gli antichi miti indiani…la storia del dio Manu parla proprio di questo. Non è un caso se Manu viene ricordato come il custode delle sementi e come colui che ripristinò l'agricoltura dopo il Diluvio.

A.F. Molto interessante. Questo ritrovamento sembra confermare che le culture più evolute appena uscite dall'Era Glaciale fossero insediate nell'area situata fra gli attuali Afghanistan, Pakistan e India. Come inseriresti questa nuova scoperta nel panorama del concetto accademico, a mio parere discutibile, delle invasioni Arie?

G.H. Credo che le invasioni Arie siano una finzione ed una completa assurdità, in realtà non sono mai avvenute. Anche molti accademici ortodossi come il britannico Colin Renfrew, ad esempio, sono assolutamente certi che non vi fu mai nessuna invasione Aria, che non sono mai esistite le popolazioni Arie e che l'intera faccenda sia una semplice fantasia, inventata durante il periodo dell'imperialismo britannico per tentare di risolvere un enigma linguistico. All'epoca trovarono degli indizi che suggerivano una connessione fra il sanscrito, il latino ed il greco e, convinti com'erano della superiorità della cultura latina e greca rispetto a quella indiana, ipotizzarono che il sanscrito fosse nato in occidente e che si fosse poi spostato in oriente, attraverso le fantomatiche invasioni. Ovviamente, è molto più logico che sia avvenuto il contrario, ovvero che il sanscrito sia originato in India, in quelle pianure costiere oggi sommerse, e che si sia poi diffuso dall'oriente verso l'occidente.
Non esistono prove che siano avvenute le invasioni Arie ed è verosimile che le lingue indo-europee siano state usate in India per più di 8.000 anni. Questo è il punto di vista di Colin Renfrew e io lo condivido.

A.F. Oltre alle due città sommerse in India, quali sono stati i siti che hai esplorato durante le tue ricerche per il libro "Underworld" e quale, tra questi, presenta le prove più evidenti dell'esistenza di un'antica civiltà pre-diluviana?

G.H. Senz'alcun dubbio quelli situati in Giappone e fra Taiwan e la Cina. La zona lungo le coste orientali cinesi, che è larga 1.500 chilometri e si estende ininterrottamente dall'estremità meridionale della Cina fino alla penisola coreana, fu completamente sommersa dalle acque alla fine dell'Era Glaciale. Ed è esattamente in quest'area, nel Giappone meridionale e fra Taiwan e la Cina, che troviamo affascinanti rovine sommerse (cfr HERA 21). Io credo che appartengano ad un "episodio mancante" nella storia della civiltà di quella zona geografica. Quindi, oltre all'India, è questa l'area che prediligo. Comunque, anche il Mediterraneo è una zona interessante: come sai, ho svolto una discreta quantità di ricerche su Malta e credo ci sia davvero molto da scoprire, in quei fondali.

A.F. Anche il tuo documentario su Malta ha scatenato parecchie controversie…

G.H. è vero. Sfortunatamente, trattandosi di un documentario televisivo, non fornisce delle informazioni dettagliate e contiene solo un paio delle mie idee su Malta. Ma il 99% di quello che ho da dire su Malta si trova nel libro, quindi credo che, leggendolo, la gente otterrà il quadro completo del contesto in cui s'inseriscono le mie osservazioni e le comprenderà molto meglio.

A.F. L'idea di Atlantide che avevi espresso in "Impronte degli Dèi" e "Custode della Genesi " sembra trasformarsi in qualcosa di più complesso e vasto, in "Lo Specchio del Cielo". Qual è il modello di Atlantide che presenti in "Underworld" ?

G.H. Ho sempre pensato che quello di Atlantide fosse solo uno dei circa 600 miti riguardanti il Diluvio finora scoperti, in giro per il mondo. La maggior parte di essi ha diverse caratteristiche in comune con la storia di Atlantide, ad esempio l'esistenza di un'antecedente civiltà altamente progredita, punita dagli dèi per aver commesso qualcosa di imperdonabile e distrutta da una terribile alluvione. Questo è un tema molto comune e ricorrente in tutte le culture del mondo, quindi non trovo nulla di davvero speciale nel mito di Atlantide, a parte il fatto di fornirci una datazione precisa per quell'evento, che avvenne intorno agli 11.600 anni fa, come ben sai: datazione che corrisponde perfettamente ad un periodo di rapido scioglimento dei ghiacci, successivo all'ultima Era Glaciale. è estremamente difficile capire come Platone possa aver scelto casualmente tale collocazione temporale perché, se avesse voluto scegliere intenzionalmente un periodo in cui il mondo era effettivamente colpito da alluvioni su vasta scala, catastrofici terremoti e violente eruzioni vulcaniche, l'epoca più indicata sarebbe stata proprio 11.600 anni fa.
Per quanto riguarda la loro cultura, cerco di non fare troppe congetture sul livello di civiltà che avevano raggiunto, ma non ho alcun dubbio che si trattasse di una civiltà progredita, perfettamente in grado di disegnare mappe del mondo intero. Credo che questo sia l'indizio più evidente del loro elevato grado di civiltà, infatti, in "Underworld" ne parlo diffusamente e presento un vasto corpus di nuovi materiali assolutamente inediti, riguardanti quelle antiche mappe. Ho evitato di ripetere ragionamenti già esposti prima, non mi sembrava necessario; ho cercato solo materiali completamente nuovi, che dimostrano la perfetta analogia esistente fra le antiche mappe e quelle moderne basate su rilevamenti scientifici, per quanto riguarda l'aspetto della Terra alla fine dell'Era Glaciale. Penso che una cultura di questo livello si possa definire estremamente progredita…anzi, forse non si trattò di un'unica civiltà: credo che, nel caso dell'India, abbiamo a che fare con almeno due distinte civiltà, una nel nord-ovest e l'altra nel sud-est, che avevano dei contatti e condividevano concetti religiosi e idee ma che erano, comunque, diverse. E poiché credo che circostanze analoghe si siano verificate in tutto il mondo, forse non è il caso di parlare di un'Atlantide ma di molte Atlantidi.

A.F.. Le tracce di questa civiltà sono evidenti non solo nelle vestigia archeologiche ma anche nel patrimonio spirituale dell'umanità, che sembra avere un nucleo comune. Cosa ne pensi?

G.H. Credo che sia assolutamente vero. Proprio per questo motivo non mi sono limitato ad esplorare i siti sommersi, in "Underworld", ma mi sono concentrato sullo studio degli antichi testi religiosi indiani, i "Veda". Io penso che la prima civiltà sviluppatasi in India fosse una cultura estremamente spirituale e che la spiritualità fosse la sua vera essenza. Infatti, fu precisamente questo aspetto che cercarono di salvare, quando la loro civiltà fu distrutta, e i Veda erano i loro testi sacri - come, del resto, narrano i Veda stessi - testi che vennero poi riutilizzati nella nuova era del mondo, riscoperti e resi pertinenti alle mutate condizioni di vita ed al nuovo stato di cose. Quindi, sono convinto che i Veda ci forniscano una visione incredibilmente approfondita del carattere delle culture del remoto passato. In altri libri avevo esaminato gli antichi testi sacri egizi, ma in "Underworld" mi sono concentrato quasi esclusivamente sui testi indiani e, marginalmente, su alcuni testi giapponesi.

A.F. Sembra che, al largo di Cuba, giacciano delle strutture piramidali, a circa 800 metri di profondità. è una profondità assai maggiore del sollevamento del livello dei mari avvenuto alla fine dell'Era Glaciale. Ho visto le immagini sonar e sono eccezionali. In base alla tua esperienza, come spiegheresti questa anomalia?

G.H. Sì, le "piramidi" di Cabo San Antonio…ho dedicato tre o quattro pagine del libro a questo ritrovamento, penso si tratti di una scoperta molto interessante. Ho motivo di credere che, nell'arco di quest'anno, ci saranno delle rivelazioni, riguardo questa città sommerse. Penso che abbiano già scoperto qualcosa e che non si tratti di formazioni naturali…questa è la mia opinione (cfr. HERA N°19 - 25). Anche perché quella è proprio una delle zone in cui ci si aspetterebbe di trovare delle strutture: intorno al Centroamerica, che fu uno dei maggiori centri in cui si svilupparono delle grandi civiltà, in epoche successive.
Nel caso di Cabo San Antonio, abbiamo chiesto ai geologi quale fenomeno potrebbe giustificare la presenza di strutture architettoniche ad una tale profondità, perché il sollevamento dei mari, effettivamente, non è sufficiente a spiegarla. Se si trattasse solo di questo, la città, o qualsiasi cosa sia, non potrebbe trovarsi ad una profondità maggiore di 120 metri. Secondo alcuni potrebbe essersi trattato di un massiccio franamento del terreno sottomarino: è uno dei fenomeni più probabili, in quella particolare area geologica, e si sa che eventi del genere sono già avvenuti, in passato. Una frana del genere può far inabissare una vasta area di territorio molto rapidamente e a grande profondità. Ci tengo a sottolineare che sto solo facendo delle congetture, basandomi sulle scarne informazioni che sono trapelate finora. D'altra parte, ho buone speranze che tali congetture prenderanno corpo nel corso di quest'anno.

A.F.. Bene, un'ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?

G.H. Insieme a Robert Bauval sto finendo la stesura di un libro, per il quale abbiamo firmato un contratto nel 1994…forse Robert te ne ha parlato, s'intitola "Talisman". Dopodichè, intendo scrivere un libro sulle origini dell'uomo, risalendo ancora più indietro nella nostra storia…ma questo è un progetto a lungo termine.

A.F. .Ok, Graham, grazie per la tua disponibilità.

G.H. è stato un piacere, Adriano, a presto!


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MessaggioInviato: 24/10/2012, 09:16 
INTERVISTA A PETER KOLOSIMO

Fonte: Rivista "Tracce d'eternità" n. 18

Un sogno che si avvera, almeno per me, da sempre estimatore di Peter Kolosimo, compianto divulgatore di quelle tematiche misteriose che ancor oggi affrontiamo su Tracce d’eternità.
Realizzare un’intervista, fuori dal tempo e dallo spazio, cercando le risposte tra le pagine di Pi Kappa, la rivista mensile che Kolosimo portò in edicola all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso.
Parole tratte direttamente dallo spazio che Peter riservava, in apertura, al colloquio con i lettori. Per immaginarci a tu per tu e farci una bella chiacchierata con l’autore di tanti libri di successo, i cui scritti hanno così influenzato quest’insana passione che nutriamo verso il mistero. Frasi aggiustate minimamente, quel tanto che basta per poter rendere scorrevole il pensiero di Kolosimo, incalzato dalle nostre domande. Tanti gli argomenti: Atlantide, i Centauri, le antiche conoscenze, la conquista dello spazio, la diatriba con Von Dakinen, il rapporto tra scienza e fantascienza. Per finire con i consigli che Kolosimo darebbe agli investigatori di oggi.

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Nella speranza che questa mia fatica “taglia e cuci” possa trasmettere, almeno a qualcuno di voi, un brivido, un’emozione, quel qualcosa di indefinibile che dovrebbe stare sempre a monte della ricerca; come fosse uno stato di torpore capace di accendere la scintilla della fantasia e veicolare i nostri sogni nella realtà.
In fondo, quel che avrebbe voluto quel gran sognatore di Kolosimo.

Peter, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso compariva in edicola la tua rivista Pi Kappa, cronache del tempo e dello spazio. Conservo gelosamente ogni numero. Vuoi spiegare ai lettori di Tracce il senso di questa tua iniziativa editoriale?

Il mondo pullulava di dilettanti, pazzoidi e cialtroni che pretendevano di dichiarare guerra ad oltranza alla scienza “ufficiale”. Con PK non avevamo la minima intenzione di farlo. Uscivamo perche eravamo convinti che la scienza non è tale se non è progresso. In tutti i campi. Nella corsa allo spazio il tempo non si ferma. E non si è fermato neppure sui reperti da museo etichettati più di un secolo fa, anche se qualcuno non se ne e accorto. Uscivamo per dire basta da un lato ai maghi, dall’altro ai pontefici e ai loro dogmi. Uscivamo non per prospettare assurde teorie, ma per tratteggiare nuove ipotesi di lavoro, per aprire qualche spiraglio su mondi affascinanti e troppo poco esplorati. Qualche spiraglio, non qualche fetta d’assurdità. Con PK abbiamo cercato di far pensare, non d’imporre. E se per far pensare c’è bisogno di un sogno, ben venga il sogno. Un pizzico di fantascienza invita a riflettere, pero non si deve spacciare per scienza.

L’Associazione Studi Preistorici che dirigevi aveva per simbolo il serpente galattico. Fra l’altro la sigla ASP, in inglese, significa proprio “aspide”. Una scelta voluta?

C’era una volta un pianeta detto Hub, posto al centro dell’universo, retto da un consiglio di cui faceva parte un illustre biologo, Lucifero. Quest’insigne scienziato volle dar vita ad una razza di superuomini, ma i suoi avversari politici lo combatterono e lo vinsero, esiliandolo sul nostro globo. “Vi fu guerra in cielo. Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone (…) e il dragone, il serpente antico che e chiamato Diavolo o Satana (…) venne gettato giù sulla Terra e i suoi angeli vennero gettati giù con lui”. Questo afferma, fra l’altro, la Bibbia (Apocalisse, 12,7).
Le creature di Lucifero, i “Veglianti”, avrebbero insegnato all’uomo l’astronomia, l’astrologia, la lavorazione dei metalli e delle fibre tessili, l’agricoltura e parecchie altre cose. Ammettiamo, per assurdo, che la faccenda abbia una base di verità. Pensiamo ad un naufrago che, proveniente da un paese civile, approdi in un’isola popolata da primitivi. Cercherà di rendersi la vita più facile e tenderà a tornare da dove e venuto: in entrambi i casi, avrà tutto l’interesse ad insegnare agli indigeni quanto conosce. E sarà per loro il “dragone gettato sulla Terra”. Prima del racconto biblico il serpente non e mai stato in alcun luogo ed in alcun tempo segno d’insidia e di perfidia. E stato, anzi, simbolo della creazione, dell’infinito, forse del volo. Già negli anni Settanta del secolo scorso sapevamo che la maggior parte delle galassie aveva la forma del serpente avvolto a spirale. Ma troviamo la stessa figura presso tutti i popoli di un remoto passato, incisa sulla roccia, disegnata, fatta statua. Esistono indubbiamente legami tra figli di tempi immemorabili e l’universo. Con Pi Kappa cercavamo effettivamente di scoprire le gesta di questi naufraghi nostalgici o avventurieri dell’oceano spaziale.

Puoi spiegarci come ti poni di fronte alla scienza e come questa può “convivere” con la fantascienza?

La scienza può e deve attendersi moltissimo dalla fantascienza.
Tesori di fantasia da cui non e raro veder scaturire lo stimolo a nuove conquiste, geniali intuizioni che possono fornire la chiave – cercata a lungo, invano, in altre direzioni – alla soluzione d’un difficile problema tecnico, elaborazioni in chiave letteraria di temi scientifici, tali da indurre menti necessariamente concentrate in campi piuttosto aridi a non trascurare l’elemento più importante, quello umano, con il suo bagaglio di speranze e di timori, d’audacia e di riflessione, di reazioni imprevedibili. Ma la fantascienza non deve pretendere di diventare cronaca, e tanto meno scienza. E noto che a porre in una luce assurda ed assai poco lusinghiera gli studiosi di alcuni appassionanti problemi apparentemente confinanti con l’incredibile, sono stati proprio scrittori di science fiction, usi a prendere un po’ troppo sul serio i loro parti letterari. Il compito più nobile e più bello della fantascienza e di preparare l’umanità ai nuovi orizzonti schiusi dalla scienza. L’esplorazione cosmica, ad esempio, va considerata come una nuova, inevitabile fase dell’evoluzione scientifica e tecnica, alla quale non potremmo rinunciare senza compromettere per sempre le sorti del nostro genere. La fantascienza può e deve costituire il grande punto d’incontro fra scienza e umanità, nella poesia.

Su Pi Kappa c’era una bella rubrica intitolata “Così inventammo il futuro”, in cui si cercava di far luce su scoperte ritenute fino ad allora inspiegabili. Rimane comunque oscura l’origine di altre stupefacenti nozioni possedute dai nostri antenati, riguardanti soprattutto il cosmo. Che ne pensi?

Per quanto si cerchi d’indagare a fondo nella storia della scienza, le conoscenze astronomiche di molti “avventurieri del progresso” (il filosofo Anassimene, Pitagora, Democrito di Abdera, Archimede e Talete di Mileto, questo per fare degli esempi), restano avvolte nel mistero. C’e chi vede in queste straordinarie conoscenze le briciole del retaggio lasciato da favolose, antichissime civiltà, chi pensa ad “influssi esterni”, chi collega le due ipotesi. In verità non ne sappiamo nulla. Un moderato scetticismo e quindi comprensibile. Proprio com’è inaccettabile, dal canto opposto, una negazione aprioristica.

Stiamo ancora cercando l’esatta collocazione della mitica Atlantide.
Te la senti di darci dei suggerimenti?

Gli errori di Platone sono certo molti, alcuni suoi concetti espressi in maniera per noi discutibile, ma la sua descrizione della terra scomparsa e inequivocabile: “Oltre quelle che ancor oggi si chiamano Colonne d’ercole si trovava un grande continente, detto Poseidonis o Atlantis”.
Platone aggiunge che era “più grande dell’Asia e della Libia prese assieme”. E' chiaro che le definizioni geografiche del
400 a.C. non corrispondevano a quelle odierne, ma e altrettanto evidente che l’Asia e la Libia “di allora”, messe insieme, dovevano coprire una superficie ben maggiore, ad esempio, dell’isola di Creta. Ogni tanto viene rispolverata la teoria di un archeologo greco secondo il quale Atlantide dovrebbe essere identificata in Santorini e le famose “colonne” in non sappiamo bene quale passaggio tra isola ed isola. In realtà, circa la posizione di Atlantide, Teopompo di Chio, vissuto nel IV secolo prima della nostra era, concorda appieno con Platone, ponendola “molto al di la delle Colonne d’Ercole, ai margini dell’Oceano”. Le “Purana” indiane parlano di una “grande terra, molto potente” estesa su quello che e ora l’Atlantico; il “Mahabharata” fa la storia di “sette grandi isole del Mare d’Occidente” e non dobbiamo dimenticare le tradizioni americane: riferendosi alla “patria degli antenati”, narrano di Aztland, Atlan o Nahoatlan (che significa “terra fra le acque”), descrivendole sempre come un’estesa zona “posta un tempo la dove sorge il Sole e dove
ora non c’e che acqua”. Seguendo le indicazioni fornite da Platone, il geologo russo D.Zirov descrive Atlantide come un paese montagnoso ed effettivamente c’è un gigantesco sistema montagnoso che si stende da un circolo polare all’altro, passando quasi al centro dell’Atlantico. Tale sistema ha una soluzione di continuità nelle vicinanze dell’Equatore. Secondo Zirov si può parlare di due catene, quella Nordatlantica nell’emisfero settentrionale e la Sudatlantica in quello meridionale: secondo lui l’Atlantide di Platone ha a che fare con la prima catena. Potrei aggiungere numerosi altri elementi attendibili che depongono a favore dell’esistenza di un vasto arcipelago nell’Atlantico, ma non voglio ripetere quanto ho già riferito nei miei libri.

Hai conosciuto personalmente Kurt Marek, meglio conosciuto con lo pseudonimo C.W. Ceram, scomparso nel 1972. Parlaci di lui.

Ceram aveva capito che non era allineando un reperto accanto all’altro, etichettandoli, disponendoli in bella vista nelle vetrine dei musei o nelle pagine di pretenziosi volumi che si poteva ricostruire, sia pure a grandi tratti, la storia dell’umanità. Ceram e stato il padre della storia dell’archeologia, ha aperto ai suoi lettori le porte dei musei, gli ingressi alle zone di scavo, di ricerca, ha spronato gli studiosi ad abbandonare sistemi d’esposizione sterili, se non controproducenti, ne ha indotto molti a trasformarsi, come lui, in “cronisti del passato”. Prima di Ceram, non sapevamo niente della civiltà cretese, di quella troiana, di quella egizia, tanto per ricorrere a qualche esempio tra i più noti. Sui testi scolastici, fino ad allora, avevamo appreso elementi fiabeschi. E stato Ceram a spingerci a guardare oltre il mito, a ricordarci come ogni leggenda sia nata e si sia sviluppata da un nucleo reale. Lo scrittore tedesco ci ha insegnato a “sognare la scienza” e l’unico appunto che gli si potrebbe muovere e quello di essere stato forse troppo prudente nelle sue affermazioni.

Veniamo a un argomento che ti ha sempre infastidito, anche se non ne hai parlato molto. Alcuni sostengono tuttora che il tuo omologo Erik Von Daniken abbia iniziato ad occuparsi delle tematiche misteriose prima di te, e comunque attingendo dagli stessi autori (Horbiger, Bergier, Charroux e Homet).

Non mi piace impegnarmi in polemiche personali ma, visto che alcune volte sono stato chiamato direttamente in causa, credo di dover rispondere una volta per tutte. Il primo libro del Dakinen e uscito in edizione tedesca nel 1968 ed il secondo l’anno dopo. Per quel che mi riguarda, “Il pianeta sconosciuto” e uscito nel 1959, “Terra senza tempo” nel 1964, “Ombre sulle stelle” nel 1966 e “Non e terrestre” nel 1968. Il fatto che io abbia attinto a numerosi autori per esporne, commentarne e discuterne le idee, e verissimo e mi sembra del tutto ovvio: non posso certo dialogare con me stesso. Ma un conto e richiamarsi ad altri studiosi, citandoli scrupolosamente, ed un conto pescare a piene mani da volumi editi in precedenza, appropriandosi delle scoperte e delle teorie altrui. A titolo di esempio, se si desidera maggiori testimonianze sulle “ricerche” equadoriane dello svizzero, e sufficiente leggere il settimanale “Stern” che all’epoca, per primo, fece luce su certi penosi retroscena.

I tuoi lavori sono fortemente impregnati di racconti mitologici.
Cosa pensi fossero quelle creature passate alla storia come centauri?

Gli antichi Greci consideravano i centauri a volte bellicosi e feroci, a volte saggi e virtuosi, sostenendo che i loro antenati furono alternativamente alleati e nemici di questi strani esseri. Nei centauri potrebbero essere identificati i guerrieri sciti, caucasici ed iranici che, addomesticati a cavalli prima degli Ellenici, penetrarono nel Mediterraneo nel III millennio a.C.
Omero non parla dei centauri come dei mostri per meta equini, ma semplicemente di uomini “pelosi e violenti”. La mitologia ci prospetta l’origine di tali esseri con curiose leggende: in una di queste, un certo Issone cerco di sedurre Era, sorella e sposa di Zeus, e quest’ultimo, deciso a condannare l’impudenza dell’intraprendente individuo, gli
gioco un tiro ben poco simpatico: foggiò una nuvola a somiglianza della moglie e lascio che Issone la possedesse. L’aspirante conquistatore si vide anche regalare un rampollo orribile, dagli istinti bestiali: appunto Centauro, il quale
unitosi con le cavalle del monte Pelio, diede il via alla bella razza che porta il suo nome. Desta stupore, semmai, che anche per i Maya i divini figli delle nuvole erano tutt’altro che rari e per gli antichi abitanti di San Agustin, in Colombia, scese dal cielo una mostruosa creatura che aveva la testa umanizzata di un’aquila a quattro zampe.

Si continua, ancor oggi, a parlare di un ipotetico decimo pianeta del nostro sistema solare. Che ne pensi?

Di questo “ospite invisibile” ne parlava già Urbain Leverrier, scopritore di Nettuno, nel 1860 (in realtà Leverrier scoprì Nettuno, precedendo d'un soffio Adams, nel 1846, non nel 1860 NDR). Il direttore dell’osservatorio di Parigi, discutendo di Mercurio, si disse convinto che questo pianeta non obbediva alle leggi cosmiche, attribuendone l’irregolarità alla presenza di “uno o più piccoli corpi celesti” con un’orbita interna a quella di Mercurio stesso. Il decimo pianeta, battezzato Vulcano, secondo Leverrier sarebbe distante tredici milioni di miglia da Mercurio ed avrebbe un periodo di rivoluzione di diciannove giorni e diciassette ore. L’astronomo brasiliano Liais asserì che Vulcano sarebbe transitato sulla faccia visibile del Sole il 3 aprile e il 6 ottobre di ogni anno, mentre altri astronomi (Wolfe, Weber, Watson e Smith) fecero osservazioni analoghe nella seconda meta del XIX secolo, durante l’eclissi solare del 29 luglio 1878. I detrattori di Vulcano sostengono che si tratta solamente di macchie solari o di comete ma ad analoghe conclusioni e giunto, ai miei tempi, Henry Courten, il quale sostenne nel 1971 che ad appena quattordici milioni di chilometri dal Sole dovrebbe orbitare un corpo dal diametro di circa ottocento chilometri (Tuttavia, Vulcano non fu mai osservato effettivamente ed è considerato una leggenda metropolitana, perché nacque teoricamente per spiegare il cosiddetto avanzamento del perielio di Mercurio; un avanzamento che, dal 1919 in poi, è stato sperimentalmente attribuito alla gravità solare NDR). Secondo Joseph Brady dell’Università della California, i pianeti del nostro sistema solare sarebbero addirittura undici: nel 1972 ne ha, infatti, ipotizzato l’esistenza con calcoli matematici effettuati al computer e basati sulla deviazione della famosa cometa di Halley. Il “Pianeta X” dovrebbe essere trenta volte più grande della Terra, distante cinque miliardi di chilometri da Nettuno, con un’orbita completata di cinquecento dodici anni (Il "Pianeta X", tanto caro a Lowell, potrebbe esistere ma oggi persistono molti dubbi. Si può approfondire ai seguenti link: http://fuffologia.blogspot.it/2011/09/a ... rduti.html e http://www.astronomia.com/2011/02/21/ty ... e-contate/ NDR). Per finire, anche il sovietico Savelij Hamburg, nel 1971, sosteneva che oltre a Vulcano e al “Pianeta X”, potrebbero forse trovarsi all’estrema, sconosciuta periferia del sistema, altri due corpi celesti. Gli studi di Hamburg sulle leggi di strutturazione cosmica, proverebbero la presenza di altri tre satelliti attorno a Giove e altri cinque attorno a Saturno. Sempre ai miei tempi, qualcuno parlava di un minuscolo inquilino del Sole, situato tra la Terra e Venere, forse con un’orbita regolare o forse senza fissa dimora: un asteroide vagabondo, insomma. “Il safari spaziale” continua.

Chiudiamo questa chiacchierata, fuori dal tempo e dallo spazio, con qualche consiglio che daresti ai ricercatori di oggi.

La scienza e progresso. Ricordiamo che senza verifica, senza rettifiche, senza il coraggio di rinnegare quanto ieri ci sembrava inconfutabile, senza la caparbietà ragionata d’insistere su nuove ipotesi di lavoro, non vi può essere progresso.


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SIRIO: STELLA DELLA VERGINE

Articolo Robert G. Bauval
Fonte: http://www.romaoggi.com/hera4.htm

Nel corso dei secoli Sirio è stata oggetto di grande venerazione ed ha fatto parte dei miti di tutto il mondo. Persino in epoca moderna, negli anni ‘70, è divenuta protagonista di una teoria molto controversa, legata agli extraterrestri ed alla tribù Dogon del Mali, pubblicata dallo studioso Robert Temple.
Tra gli appassionati dibattiti che questa stella suscita, sussistono varie ipotesi sull’origine del suo nome attuale, la cui radice sembra risalire alla parola greca Sirio, che significa “fiammeggiante” o “scintillante”, aggettivo apparentemente dovuto al fatto che si alzava in cielo nel momento di maggiore calore estivo (conosciuta come “Stella del Cane” era associata, infatti, alla “canicola” N.d.R.). Alcuni etimologi, tuttavia, suggeriscono una connessione della stella con l’antico dio Osiride. Ma, di tutti i nomi e gli epiteti che ha ricevuto, quello che meglio riflette la fama del suo ruolo nella storia è: “Stella di Iside”.

Nascita di una Dea
Fin dagli inizi gli antichi Egizi prestarono particolare attenzione a Sirio, che identificavano con l’anima della dea Iside. Ci fu un tempo in cui Sirio non era visibile nel cielo d’Egitto. Questa circostanza è causata da un fenomeno noto come “precessione degli equinozi”, il movimento retrogrado dei punti equinoziali in virtù del quale, di anno in anno, si anticipa leggermente l’inizio delle stagioni. La precessione è, pertanto, un’oscillazione molto lenta che provoca un effetto peculiare, quasi che il paesaggio stellare oscillasse avanti e indietro come un pendolo. Dodicimila anni prima di Cristo, osservando il cielo dall’altopiano di Giza, Sirio si trovava sotto la linea dell’orizzonte. Fece la sua prima apparizione nei cieli di questo luogo intorno al 10.500 a.C.
In seguito, subì un’inclinazione di 58 gradi e 43’, il che significa che era visibile solo da sud, a circa 1,5 gradi sopra la linea dell’orizzonte. Per gli uomini di quel tempo presenziare alla “nascita” di una stella così brillante dovette essere una visione impressionante, legata a significati e messaggi provenienti dagli dei.
L’ascensione di Sirio, inoltre, avvenne mentre la costellazione della Vergine sorgeva ad est, circostanza che potrebbe spiegare perché la stella divenne il simbolo della dea vergine. Non sappiamo esattamente quando Sirio venne identificata con la dea Iside, però l’idea risale all’origine della cultura egizia e fu dalla “matrice” Iside-Sirio che sorse il bambino divino, Horus, il cui concepimento e la cui nascita avvennero in modo magico.

La matrice divina
Iside ed Osiride erano due dei quattro figli nati dalla matrice della dea del cielo, Nut, e del padre Ra, dio del Sole. Gli altri due bambini erano Seth e Nephti. Osiride prese Iside in sposa e divennero i primi reggenti dell’Egitto. All’età di 28 anni, Osiride fu assassinato da suo fratello Seth e il suo corpo venne tagliato in 24 pezzi. Iside recuperò tutti i pezzi eccetto il fallo. Ne fabbricò quindi uno artificiale per Osiride, poi si sdraiò sopra di lui prendendo la forma di un falco e restò gravida del suo seme. In seguito, corse a nascondersi negli acquitrini del Nilo, dando alla luce Horus. Tanto nei Testi delle Piramidi quanto in altri testi religiosi si riflette il fatto che questo mito trova la sua controparte nelle stelle, dove Iside è identificata con Sirio e Osiride con la costellazione di Osiride.
Ricostruendo l’aspetto che i cieli avevano all’epoca della Prima Era Dinastica (verso il 3300 a.C.) ovvero, appena prima della costruzione della Grande Piramide (2750-2100 a.C.), scopriamo che la stella Sirio effettuava nei cieli un ciclo tale da spiegare perché fosse associata ad una nascita magica. A causa del fatto che la Terra ruota intorno al Sole, durante l’anno le stelle fisse sembrano spostarsi in relazione a questo movimento. Le osservazioni annuali di Sirio, ad esempio, dimostrano che c’è un momento in cui la stella si alza ad ovest, immediatamente dopo il tramonto del sole.
Poi, la stella scompare nuovamente per un periodo di 70 giorni. Quando tornerà ad apparire, sorgerà ad est, nel momento che precede l’alba. Questa ri-apparizione è nota come “ascensione eliaca” della stella. In questo modo, nell’anno 3300 a.C., l’ascensione eliaca di Sirio avvenne esattamente il giorno del solstizio d’estate. La precessione ha fatto sì che, da allora, questa data si sia spostata di 45 giorni e adesso l’ascensione eliaca di Sirio avviene il 5 agosto.

Tempo di rinascita
La sorprendente congiunzione dell’ascensione eliaca di Sirio e del solstizio estivo dell’anno 3300 a.C. costituì un potente presagio. Però, allo stesso tempo, in Egitto ebbe luogo un altro avvenimento che, in modo abbastanza letterale, provocò la rinascita di tutto il paese: la piena annuale del Nilo.
Dopo la costruzione della diga di Assuan, avvenuta negli anni ‘60, le inondazioni del Nilo risultano completamente sotto controllo ma, nell’antichità, il Nilo iniziava ad ingrossarsi all’inizio di giugno ed inondava tutta la valle verso la fine di luglio. Sappiamo che gli antichi Egizi credevano che la causa dell’inondazione fosse l’ascensione eliaca di Sirio, che divenne così il segno che marcava l’inizio del Nuovo Anno. Esistono alcuni antichi testi che si riferiscono alla congiunzione del Nuovo Anno, al solstizio estivo, all’inizio della piena ed all’apparizione di Sirio, dai quali si evince che questo avvenimento era della massima importanza. Il più antico di tali testi è inciso su di una piccola tavoletta datata alla I Dinastia (3100 a.C.), dove si legge: “Sirio è colei che apre l’annuale inondazione”.
Nel suo libro “Echoes of the Ancient Skies” (Echi degli antichi cieli) l’archeoastronomo Ed Krupp scrive: “Dopo essere scomparsa dal cielo notturno (per 70 giorni) Sirio riappare finalmente con l’alba, prima che nasca il Sole. La prima volta che ciò accade, ogni anno, si denomina l’ascensione eliaca della stella e, in quel giorno, Sirio rimane visibile solo per un breve periodo di tempo. Nell’antico Egitto questa riapparizione annuale avveniva intorno al solstizio estivo e coincideva con la piena del Nilo. Iside, come Sirio, era la “Signora dell’inizio dell’anno”, poiché per gli Egizi l’anno nuovo era segnalato da quest’evento. Sirio fa rivivere il Nilo, così come Iside fa rivivere Osiride. Il periodo di tempo in cui Iside si nascose da Seth corrisponde al lasso di tempo in cui Sirio scompare dal cielo notturno. Lei diede luce a suo figlio Horus, così come Sirio dà luce al Nuovo Anno e, nei testi sacri, Horus ed il Nuovo Anno sono equivalenti. Lei è il veicolo per il rinnovamento della vita e dell’ordine. Brillando per un momento, in un mattino d’estate, stimola il Nilo ed inizia l’anno”.

Signora della Piramide
è risaputo che, ad est della Grande Piramide, in passato esisteva un edificio chiamato “Tempio di Iside”. Nel cosiddetto “Inventario Stella”, datato alla XXVI Dinastia, Iside è definita la “Signora della Piramide”. Si è perfino suggerito che la “Quinta Divisione del Duat” (l’oltretomba) descritta nel Libro dei Morti, nella quale è raffigurata una doppia sfinge gigantesca che custodisce un’enorme piramide, potrebbe essere una rappresentazione stilizzata della necropoli di Giza. Se così fosse, potremmo stabilire una relazione secondo cui, sulla sommità della piramide della Quinta Divisione, al posto del vertice noto come piramidion, vi sarebbe il “volto di Iside”. Forse, però, risulterà ancora più convincente il nome di Sirio scritto in caratteri geroglifici: una stella a cinque punte, un semicerchio ed uno stretto triangolo. Secondo E.C. Krupp, “un’ultima peculiarità dell’interpretazione che gli Egizi davano a Sirio sembra vincolarla, tramite il culto di Osiride, alle Piramidi. Il nome Sirio, scritto in caratteri geroglifici, include il simbolo di una stella ed altri due simboli che possono essere collegati con il Benben. Il triangolo, lungo e stretto, ricorda più una piramide o, forse, un obelisco. Così come il Benben simboleggia l’emergere dell’esistenza dalla non-esistenza, la nascita del mondo, Sirio commemorava la creazione posandosi sopra il Benben, fosse esso obelisco, piattaforma d’osservazione o piramide…”
Il Benben al quale si riferisce Krupp era una pietra sacra che, per un certo periodo, fu custodita nel “Tempio della Fenice” a Eliopoli, e che servì come modello per il vertice delle monumentali piramidi e degli obelischi. Il Benben della Grande Piramide scomparve, però è probabile che fosse scolpito nel granito nero e ricoperto d’oro, forse per simboleggiare la stella. Tuttavia, la connessione più convincente, tra quelle esistenti fra la stella Sirio e la Grande Piramide, risiede nella struttura interiore di quest’ultima. Da ciascuna delle camere interne della Grande Piramide, quelle del Re e della Regina, si dipartono due lunghi e stretti passaggi, uno verso nord e l’altro verso sud. Dal 1964 sappiamo che questi passaggi erano allineati astrologicamente con le stelle quando la piramide fu completata, nell’anno 2500 a.C.
Ne 1987 scoprii che il passaggio sud della camera della Regina era rivolto verso Sirio. Queste relazioni fra la Grande Piramide e Sirio non ci sorprendono, poiché la Piramide era, quasi sicuramente, la custode della rinascita astrale del culto faraonico contenuto nel mito di Iside ed Osiride.

La Dea in viaggio
Durante l’antica civiltà egizia, la celebrazione della nascita del bambino divino Horus si commemorava all’inizio del nuovo anno, quando la stella Sirio (Iside) compiva la sua ascensione eliaca, all’alba. Circa trecento anni prima della nascita di Gesù l’Egitto era caduto sotto il dominio dei Tolomei, dinastia greca che governò l’Egitto dal 305 a.C. fino al 30 a.C. e la cui ultima regina fu la famosa Cleopatra VII. Durante questo periodo la capitale dell’Egitto fu trasferita ad Alessandria, dove s’instaurò il culto pseudo-egizio di Serapide, un dio nato dalla sintesi del dio egizio Asarhapi (Osiride-Api), il cui nome significa “Osiride del Nilo”. Iside venne così trasformata nella consorte di Serapide e il suo culto fiorì in Alessandria ed in tutto il bacino mediterraneo, essendo adottato da molte delle legioni romane e percorrendo con loro il cammino verso l’Europa occidentale. Accanto al culto di Iside si diffuse la celebrazione della nascita di Horus (Harpocrate per i Greci o Apollo e il Sole Invitto per i Romani). Stranamente, quando Giulio Cesare introdusse il calendario giuliano, fu l’astronomo alessandrino Sosigenis che si occupò di convertire l’antico calendario lunare nel nuovo calendario solare, prendendo l’idea dagli Egizi, i quali possedevano un calendario solare già dal 3300 a.C.
Questo calendario faceva coincidere l’Anno Nuovo con l’ascensione eliaca di Sirio che, all’epoca di Sosigenis, iniziava a luglio. Immagino sia questo il motivo per cui proprio questo mese fu nominato in onore di Giulio Cesare, la cui consorte, la regina egizia Cleopatra, fu un’alta sacerdotessa del culto di Iside.

Un culto con molti Dei
Dopo la morte di Cleopatra, l’Egitto si trasformò in una provincia romana nella quale convivevano una vasta comunità greca e romana (ad Alessandria) e, soprattutto, un grande numero di Ebrei fuggiti dalla Giudea.
Col sorgere della nuova cristianità in Egitto, l’antico culto misterico dei faraoni, che si era mescolato con i culti greci e romani, si unirà alle ideologie giudeo-cristiane. I principi di questi antichi culti misterici rientravano nella convinzione che l’immortalità potesse essere raggiunta attraverso gli insegnamenti iniziatici di un “figlio di Dio morto e resuscitato” e nella rappresentazione simbolica della sua morte e resurrezione. Il dio fenicio Adone, il frigio Attis, l’egiziano Osiride e l’alessandrino Serapide divennero così quasi contendenti all’interno di una dottrina simile.
Come se non bastasse, i Romani avevano importato in Egitto il culto misterico di Mitra, la cui nascita veniva celebrata al tramonto del 25 dicembre. Non sorprende, pertanto, che la prima comunità cristiana celebrasse la nascita di Gesù, il suo “figlio di Dio morto e resuscitato”, proprio il 25 dicembre e con l’idea che fu una “stella sorta ad oriente” a segnalare l’evento sovrannaturale della sua nascita.

Il Vangelo egizio
Solo uno dei Vangeli, quello di S. Matteo, parla della nascita di Gesù collegandola all’apparizione d’una stella e all’arrivo di Re Magi provenienti dall’oriente, ed è anche l’unico che narra della “fuga in Egitto” intrapresa dalla Sacra Famiglia. Perché gli altri Vangeli serbano il silenzio su questo evento? Possiamo dedurne che non si trattò di un avvenimento “storico”, bensì mitico? Per molto tempo gli studiosi hanno pensato che il Vangelo di S. Matteo fu probabilmente redatto fra il 40 e l’80 d.C., nella città di Alessandria. Ebbene, in Alessandria la celebrazione del nuovo giorno e del Nuovo Anno non si svolgeva all’alba, bensì al momento del tramonto per adattarsi, in questo modo, ad entrambe le tradizioni: quella ebreo-cristiana e quella romana, nella quale c’era l’usanza di celebrare tali avvenimenti al tramonto del Sole.
Tenendo a mente questo particolare, abbiamo esaminato il cielo così come appariva, visto da est, il giorno 25 di dicembre dell’anno 50 d.C., all’ora del tramonto: doveva essere identico a quello visibile in Egitto nell’anno 3300 a.C., all’alba, quando la “nascita” di Horus dalla matrice di Iside veniva celebrata dall’ascensione eliaca di Sirio:

• Intorno alle 4:28 (ora GMT) il Sole inizia a porsi 28° a nord-est.
• Circa 35 minuti più tardi, intorno alle 5:03, il sole si è posto completamente ad ovest. Allo stesso tempo, da est appare la cintura di Orione all’orizzonte.
• 51 minuti più tardi, alle 5:54, il Sole si è nascosto circa 10° sotto l’orizzonte e già si scorgono le stelle ad occhio nudo.
• Guardando verso est, la stella Sirio ascende nel cielo (la cintura di Orione si trova a circa 25° sopra l’orizzonte orientale, dando l’illusione che abbia annunciato l’ascensione di Sirio).

L’immagine celeste, pertanto, ci dimostra che il 25 dicembre, dopo il tramonto, erano visibili le tre stelle della cintura di Orione che salivano ad est, come per annunciare l’arrivo della stella della nascita, Sirio, che avveniva un’ora dopo. Sarebbe poco probabile che S. Matteo non si fosse accorto di un segno celeste così potente (che, com’era ben noto, in Egitto segnalava la “nascita del bambino divino”).

Il simbolo perduto
embra evidente che l’introduzione di un nuovo bambino divino (Gesù) in Egitto e nel mondo greco-romano risultò benefica e ben accetta, giacché incorporava la poderosa mitologia di Iside e Sirio.
Pertanto, dobbiamo dedurre che, all’epoca, Iside e il bambino Horus furono trasformati nella Vergine Maria e nel bambino Gesù e che la stella Sirio fu convertita nella “Stella d’Oriente”. Perfino i “tre re” avrebbero il loro simbolismo stellare, essendo identificati con le tre stelle della cintura di Orione. In quest’ottica, nel suo libro “I nomi delle stelle: tradizione e significato”, l’astronomo R.H. Allen segnala che nel folklore europeo la cintura di Orione viene spesso chiamata “dei Magi” o “dei Tre Re”. L’esperto di Mitologia Cristiana Alvin Boyd Khun scrisse:
“Esiste la leggenda dei Tre Re d’Oriente che vennero a Natale per adorare il Dio appena nato…dai giorni dell’antichità, i Tre Re furono le tre stelle visibili della cintura di Orione”. Senza dubbio, le coincidenze sono troppe.


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