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MessaggioInviato: 27/10/2012, 01:52 
ECCO PERCHE' IL MES (fondo salva stati) ORA E' INCOSTITUZIONALE




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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 27/10/2012, 02:29 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:


LORO SANNO CHE IL DEBITO PUBBLICO SI PUO’ CANCELLARE



Perchè l' hanno creato loro.

E la loro "soluzione" sarà trasferire a loro tutti i poteri, moneta in primis.

David Icke docet.


Il player B? Può essere.

Sono stato il primo a dire che non si possono tagliare le parti col coltello tra qualunque organizzazione, perchè lo scontro è anche all' interno delle stesse.

O una astuta strategia della confusione?

Sanno benissimo che alcuni, come noi sanno del loro gioco. Magari ci stanno solo gettando fumo negli occhi.


Scusate se continuo a battere il ferro, sono sardo e sono testardo:


Confrontate questa notizia:

Cita:
ll 16 ottobre sul Wall Street Journal:

"La Tentazione della Gran Bretagna: cosa succederebbe se la Banca di Inghilterra cancellasse semplicemente i 400 miliardi di debito pubblico che ora detiene.."


con questa, sempre della stessa fonte, una settimana dopo:

Cita:
http://www.wallstreetitalia.com/art...mmit-ue.aspx

Francoforte - Angela Merkel alza il tono con il premier britannico David Cameron.

Il cancelliere tedesco ha ventilato la minaccia di annullare il vertice europeo di novembre se il premier conservatore punterà i piedi sulle sue posizioni in materia di bilancio dell'Unione europea, scrive stamane il Financial Times

"La Germania vuole lanciare un avvertimento alla Gran Bretagna, dicendo di essere pronta a chiedere l'annullamento del vertice europeo del prossimo mese se il premier David Cameron insisterà nel porre il veto su qualsiasi accordo che preveda altro che non un blocco delle spese", scrive il giornale britannico che cita persone vicine ai negoziati.



"Avvertimento"...

Ci rendiamo conto di che linguaggio sono arrivati a usare contro altri Paesi?

Parla come il Boss di Cosa Nostra.

Solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile da chiunque verso chiunque, e ora invece..... [xx(]



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Per quanto possa essere buia la notte sulla Terra, il sole sorgerà quando è l' ora, e c' è sempre la luce delle stelle per illuminarci nel cammino.

Non spaventiamoci per quando le tenebre caleranno, perchè il momento più buio è sempre prima dell' alba.

Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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MessaggioInviato: 27/10/2012, 12:22 
Imposizione mondialista oppure libertà?


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Di Rosa Zingaro

Oggi noi viviamo schiacciati da un debito illegale. A causa di ciò, la pressione fiscale ha raggiunto vette per la maggior parte insormontabili. I veri padroni del mondo sono coloro i quali gestiscono la moneta, ovvero le banche. Gli Stati nazionali hanno ceduto la sovranità monetaria e si indebitano quotidianamente per poter mandare avanti la baracca. L’attuale sistema di tassazione è illegale perché perpetra e sorregge un sistema fraudolento e dittatoriale. Lo scopo ultimo è il servaggio sociale totale. L’obiettivo è creare un popolo ricattabile e soggiogabile, schiavo e fiero di esserlo, in perenne adorazione, completamente dipendente. E’ chiaro che la macchina della propaganda non farà cenno alla vera truffa. Lautamente ricompensati, essi dispensano panem et circenses, plagiando le già poveri e banali menti del popolo italiota. Il loro mestiere è mentire, e lo fanno spudoratamente.

Le soluzioni per uscire da questa crisi sistemica indotta ci sono. Ma se aspettiamo che gli stessi creatori della crisi, o i loro valletti, ci diano la soluzione ad essa, sbagliamo di grosso. Le crisi economiche sono golpe sociali preparati a tavolino, atti a schiavizzare le masse, per imporre il dominio totalitario. La nostra economia è ferma non per assenza di opportunità o pigrizia, ne tanto meno a causa dell’evasione fiscale, ma per mancanza di denaro. Mancando questo vengono meno i beni e i servizi necessari per i cittadini, lo stato sociale viene smantellato, le aziende falliscono o vengono vendute. Il futuro di intere generazioni, che cresceranno all’ombra dell’incertezza, sarà sotto il giogo asfissiante della dittatura del nuovo ordine mondiale.

L’imposizione mondialista diventa ogni giorno più sfacciata e dichiarata, ci vogliono abituare lentamente che tutto quello che sta accadendo sia la normalità, inarrestabile e fatale.

Non facciamoci abbindolare dai falsi portatori di verità.
Informiamoci in altro modo, è l’unica strada.

fonte: frontediliberazionedaibanchieri.it



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MessaggioInviato: 30/10/2012, 02:32 
COSTITUZIONALI IN ISLANDA – IL POPOLO HA PARLATO!

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DI JOSÉ M. TIRADO
Counterpunch

http://www.altrainformazione.it/wp/2012 ... a-parlato/

Ad alcuni potrebbe non sembrare esattamente così, ma il popolo ha parlato. In una domenica chiara e tranquilla, gli islandesi hanno espresso il voto più importante della loro storia, un brillante esempio per le democrazie del mondo; oppure, hanno attuato una finta pseudo-rivoluzione architettata da dilettanti per incasinare una costituzione gracile che solo ora si sta sistemando. Di certo, questo dipende dalla persona a cui si chiede. La classe media e gli osservatori stranieri tendono a dare più peso alla seconda interpretazione. I banchieri, i vecchi politici e gli oligarchi di serie inferiore condividono la prima.

Dopo la “Rivoluzione delle Pentole e Padelle”, gli islandesi hanno richiesto la creazione di alcune garanzie future per assicurare che un eventuale nuovo crollo finanziario venga preannunciato e che in futuro i responsabili vengano puniti o dissuasi dal giocare alto a poker con le risorse economiche dell’intera Nazione.
Il governo, guidato dal dominante Partito dell’Indipendenza (i “repubblicani” islandesi, un amalgama di centro-destra composta da nazionalisti, liberi venditori e sostenitori degli interessi bancari combinati con i vecchi oligarchici, la “piovra” delle famiglie esportatrici della quota per la pesca ed i loro sostenitori) è stato costretto a dimettersi. È stata eletta una nuova coalizione Alleanza Sinistra-Verde/Partito Socialista. In più, è stato lanciato un appello per una nuova costituzione che sostituisca quella ispirata a quella dei danesi.
. Dopo molto discutere, è stato indetto un Forum Nazionale e selezionato un comitato di 25 cittadini, scelti da un campione di 1000 candidati che spaziava da idraulici a politici, ed è stata presentata la proposta in Parlamento (Althingi). Il voto di sabato rappresenta una cristallizzazione di quella proposta in sei problematiche principali (cortese traduzione di Paul Nikolov). I risultati sono ora pronti e sono alquanto decisivi, a dir poco:

1. Vuoi che le proposte del Consiglio Costituzionale gettino le basi per una nuova bozza della Costituzione?
SI: 66.1% – NO: 33.9%[/f]

Forse la più essenziale tra le proposte, la popolazione ha scelto di procedure con la nuova Costituzione, una più equa, che tuteli i diritti degli animali, che protegga le risorse naturali e più aperta all’emendamento popolare. Il Partito dell’Indipendenza ha iniziato a sbraitare sul numero insufficiente di votanti che rendeva illegittimo il voto, ma le cifre asimmetriche probabilmente assicureranno che il nuovo testo costituzionale, con qualche minimo emendamento da parte del Parlamento, verrà votato in primavera. E probabilmente anche approvato.

[wbf]2. Nella nuova Costituzione, vuoi che le risorse naturali non possedute da privati vengano dichiarate proprietà nazionale?
SI: 81.2% – NO: 18.8%[/f]

In maniera eclatante, gli islandesi hanno dichiarato, a mani basse, la loro opposizione alla “piovra” di famiglie che già dominavano la maggiore risorsa del Paese, la pesca, e hanno dichiarato che le risorse naturali rimanenti sono patrimonio di tutta la popolazione. Questo è molto significativo e comporterà un’acerrima opposizione da parte di coloro che si aggrapperanno ai loro privilegi, specialmente “i baroni del mare”. Anche in questo caso, il leader del Partito dell’Indipendenza mette in discussione i risultati, dichiarando che gli astenuti ed i contrari verranno conteggiati insieme nello sforzo di limitare i danni. Suppongo che gli interessi più radicati non resteranno in silenzio, ma il sentimento popolare non è ambiguo.

[wbf]3. Vorresti che nella nuova Costituzione siano presenti disposizioni sull’istituzione di una chiesa nazionale in Islanda?
SI: 57.3% – NO: 42.7%[/f]
Qui ci si riferisce all’eventualità che la Chiesa Evangelica Luterana debba essere identificata come Chiesa di Stato, come lo è ora, o se nessuna chiesa debba esserlo e quindi mettere in atto una formale “separazione tra Stato e Chiesa”. Visibilmente, gli islandesi vogliono mantenere i legami culturali con la chiesa, nonostante il fatto che quasi il 43% di contrari sottolinea la diminuzione annuale dell’influenza di questa istituzione, ormai moribonda.

[wbf]4. Vorresti che nella nuova Costituzione sia presente una disposizione che autorizzi l’elezione di un individuo specifico al Parlamento (Althingi) più di quanto non sia possibile ora?
SI: 16.4% – NO: 23.6%[/f]
In parole povere, ci si riferisce all’elezione di individui vs. di partiti. Attualmente, vengono fornite liste di partiti ed i leader vengono poi votati in base alla percentuale finale del voto dato ai rispettivi partiti. Personalmente, nutro sentimenti contrastanti sulla questione dato che qualsiasi mossa verso un processo elettorale più individualista potrebbe portare allo stile teatrale degli USA. Visibilmente, tuttavia, gli islandesi la pensano diversamente, nella speranza che i loro leader più carismatici dei partiti minori, o quelli non appartenenti a nessun partito, possano avere una migliore opportunità.

[wbf]5. Vorresti che nella nuova Costituzione sia presente una disposizione che dia lo stesso peso ai voti raccolti in ogni parte del Paese?
SI: 55.6% – NO: 44.4%

Tuttora, viene dato un peso leggermente maggiore ai voti delle zone più remote e rurali, malgrado il fatto che circa il 90% della popolazione nazionale si concentri in due aeree urbane, una più grande (Reykjavík) ed una più piccola (Akureyri). Questo rende i voti equi. In modo appropriato.

6. Vorresti che nella nuova Costituzione sia presente una disposizione che dichiari che una certa proporzione dell’elettorato abbia la facoltà di richiedere il referendum su alcune problematiche?
SI: 70.5% NO: 29.5%

Questo punto è secondo per importanza. In parte perché la gente vuole assicurarsi che prima che vengano apportati cambiamenti a qualcosa che hanno già approvato (ci si stupisce di fronte ad una tale complessità elettorale in un Paese della dimensione del Kentucky e con la popolazione di Indianapolis) abbiano il diritto di votarlo di nuovo, in un referendum nazionale.

Presi alla lettera, questi cambiamenti potrebbero non sembrare minacciosi. Ma la risposta di alcuni ambienti è stata furiosa e frenetica; primo, hanno dissuaso i votanti persino dal partecipare, poi si sono lamentati del possibile collasso dell’Islanda in una repubblica quasi-socialista governata da dilettanti e rivoluzionari. Questa era l’opinione di alcuni del Partito dell’Indipendenza che sta rapidamente diventando il partito islandese dei “no”. Se la democrazia è un affare complicato, allora l’esempio islandese ne dà un ampia conferma. Tuttavia, la pazienza e la determinazione sono sempre stati alleati del cambiamento e la tenacia degli islandesi di contrastare i solidi interessi che hanno dominato la politica sin dalla Seconda Guerra Mondiale potrebbe risultare efficace.

Il reverendo JOSÉ M. TIRADO è poeta, predicatore e scrittore e sta terminando il suo dottorato in psicologia mentre vive in Islanda.


Fonte: Counterpunch
Link: http://www.counterpunch.org/2012/10/23/ ... n-iceland/

Traduzione per Comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO



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MessaggioInviato: 30/10/2012, 19:27 
Quando Esploderà il Giappone?

L’economia giapponese è una specie di bomba a tempo termonucleare, sappiamo che esploderà, sappiamo che trascinerà nella distruzione una gran parte del sistema finanziario mondiale, ma non abbiamo la minima idea di quando accadrà.

Cerchiamo di ricapitolare alcuni fatti che riguardano il Giappone:

Fatto 1: Il Debito Pubblico.

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Il Giappone ha un rapporto Debito/Pil che a fine 2012 sarà di circa il 235%, ovvero il per ogni Yen di prodotto interno lordo ci sono 2,3 Yen di debito pubblico.

Fatto 2: Il Debito Totale (dati al primo semestre 2011)

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Il Giappone ha un rapporto fra debito totale (pubblico+privato) e il suo pil del 512% ( a metà 2011, a fine 2012 dovremmo essere al 525%), ovvero per ogni Yen di PIL prodotto all’anno esistono 5,12 Yen di debito.

Fatto 3: Il saldo primario del Giappone, ovvero il deficit pubblico del Giappone esclusa la spesa per interessi (dato al primo trimestre 2011)

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Siamo all’8% sul Pil, ovvero il Giappone nel 2011 (e anche nel 2012) ha aumentato il debito pubblico dell’8% senza contare le spese per interessi (si arriva a circa il 9%).

Fatto 4: Gli interessi che il Giappone paga sul suo debito in rapporto a quanto riesce a prendere dalle tasse.

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Siamo al 20% (nel 2010, ad oggi il rapporto non è cambiato).

Domanda delle 100 pistole: come fa il Giappone a sopravvivere in queste condizioni?

La risposta è semplice ma genera una seconda domanda:

La banca centrale del Giappone, ha sempre “stampato” abbastanza YEN per comprare tutto il debito necessario, e il debito giapponese al 95% si trova in giappone..

Seconda domanda: come mai lo YEN non ha subito una iperinflazione, ovvero come fanno i giapponesi ad assorbire la gran parte della massa di YEN stampati dalla banca centrale.

La risposta anche qui è semplice: Attraverso lo storico e gigantesco surplus commerciale giapponese, per tradizione il giappone esporta moto più di quanto importa. La ricchezza che ne scaturisce si trasforma in risparmio delle famiglie, il risparmio in un enorme quantità di debito pubblico che giace nei fondi pensione e nei portafogli titoli dei cittadini giapponesi.

MA………………

la festa è finita

Vi presentiamo la bilancia commerciale del giappone in versione 2012:

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Piccolo problema: se il Giappone non riesce più ad arricchire le famiglie esportando più di quanto imposrta, anzi se le famiglie giapponesi tenederanno ad impoverirsi dovranno VENDERE una parete del loro patrimonio…. quindi una parte del debito pubblico e comunque non saranno più in grado di assorbirne di nuovo.

CONSEGUENZA FINALE: la massa di YEN messa in circolo dalla banca centrale del giappone, o troverà un improbabile sfogo all’estero (come per il dollaro USA) o lo YEN è destinato ad implodere, e l’economia giapponese a collassare.

Parliamo di trimestri non di anni.

http://www.rischiocalcolato.it/2012/10/ ... lcolato%29


Ultima modifica di Atlanticus81 il 30/10/2012, 19:29, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 31/10/2012, 15:54 
IL PIU’ GRANDE TRASFERIMENTO
DI RICCHEZZA DELLA STORIA UMANA


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Un'immagine che vale più di mille parole...

Fonte: http://www.vincitorievinti.com/2012/10/ ... to-di.html

di Paolo Cardenà

Che siamo seduti su una montagna di debiti pronta ad esplodere, non è una novità. Non lo è neanche sapere che il sistema bancario, seppur con le opportune distinzioni del caso, da Paese a Paese, è sullo’orlo dell’insolvenza e ad un passo dal fallimento. Così come lo sono una moltitudine di stati, di imprese e di famiglie.
Di fatto, questa montagna di debiti, viene mantenuta a galla a forza di stampare moneta e gonfiando artificiosamente bolle finanziarie allo scopo di tentare di riassorbire nel tempo distorsioni economiche e finanziarie prodotte in oltre un ventennio, o forse più. Allo stesso modo, l’apparente solvibilità bancaria è mantenuta proprio grazie ad una pioggia di denaro senza precedenti nella storia umana. Di fatto, la BCE, così come la FED e le altre banche centrali sparse per il mondo, stanno garantendo un flusso pressoché continuo di liquidità, tale da scongiurare l’insolvenza di un nutrito numero di banche e stati che causerebbe un armageddon economico-finanziaria su scala planetaria. I primi e forse gli unici che troveranno giovamento da queste politiche monetarie che non trova precedenti nella storia, sono proprio i primi prenditori di queste risorse: ossia le banche e le grande multinazionali. Gli stati devono ridurre l’indebitamento, e devono poterlo fare nel più breve tempo possibile; peraltro in mancanza di adeguati gettiti tributari che vengono meno per effetto della congiuntura economica negativa. Le banche, a causa del deteriorarsi dei propri attivi, stanno riducendo le rispettive esposizioni nei confronti di un mercato che sembra contrarsi sempre più per effetto della crisi in atto che compromette il normale flusso di capitali di famiglie e imprese, che stentano a ripagare i rispettivi debiti bancari a scadenza. Analogo discorso può essere riprodotto per le imprese e le famiglie. Le prime non si fidano più dei loro clienti e, nella necessità di dover rientrare dalle loro esposizioni debitorie nei confronti del sistema bancario, tendono a ridurre i tempi nei pagamenti delle loro forniture commerciali, drenando ulteriori risorse. Mentre le seconde, le famiglie, a causa della compressione dei redditi disponibili, vedono il futuro sempre con maggior preoccupazione e tendono a scrollarsi di dosso (ove possibile) gli indebitamenti contratti con troppa leggerezza nei periodi di vacche grasse; debito che ha offerto loro la possibilità di poter abusare di un tenore di vita al di sopra della proprie possibilità, che ora sta presentando il conto.
In un simile contesto, accade che il reddito derivante dalla ricchezza che si produce, una volta che si sono ripagati i fattori necessari per produrlo (merci, materi prime, personale ecc ecc) e l’immancabile tassazione, anziché essere reinvestito nell’economia (attraverso maggiori consumi, investimenti, ecc. ecc. ), viene sottratto dal ciclo economico per poter essere destinato al ripianamento dei debiti. Si innesta così in circolo vizioso che autodetermina una maggiore contrazione economica per poi sfociare nella depressione. Gli stati, con i propri bilanci dissestati, sono nell’impossibilità di poter sopperire alla compressione di ricchezza che gli agenti economici virtuosi, in condizioni di normalità, reinvestirebbero nell’economia reale. In altre parole, gli Stati sono privi della possibilità di sostenere l’economia attraverso investimenti pubblici (strade, porti, scuole infrastrutture ecc). Dovendo anch’essi ridurre l’indebitamento, imprimono il colpo di grazia all’economia inasprendo la pressione fiscale che colpisce i veri produttori di ricchezza che a quel punto, oltre a trovarsi nella condizione di non poter investire nell’economia reale per sostenere azioni di sviluppo, godono via via di minori risorse disponibili anche per ripagare i debiti. Ciò, nella migliore delle ipotesi, determina un allungamento dei piani di rientro delle rispettive posizioni debitorie e quindi, conseguentemente, anche un maggior esborso di oneri finanziari che decurtano ancora di più le già ridotte disponibilità di risorse. Questo riduce sempre di più il bacino dal quale lo Stato trae la sua linfa vitale. Ma dovendo nutrirsi di risorse sempre crescenti per mantenere un apparato pubblico e amministrativo vezzo a nutrirsi con dosi crescenti di ricchezza, l’unica cosa che riesce a fare, anziché mettersi a dieta, è quella di chiedere sempre di più, anche a costo di affamare a uccidere chi produce ricchezza reale: imprese e famiglie. In altre parole, Si creano così un insieme di processi, attività e veicoli normativi idonei a trasferire (rapinare) ricchezza finanziaria (già ampiamente tassata) da chi ne ha la disponibilità e da chi è in grado di produrla, a favore di chi ne necessita facendo un percorso univoco da privato a pubblico, ovvero da privato a sistema bancario.
Nel primo caso, lo Stato, poiché dispone dell’autorità di imporre la propria pretesa tributaria, ottiene le risorse necessarie attraverso l’imposizione fiscale.
Nel secondo, le banche, poiché conniventi e simbiotiche in modo sistemico con il potere politico per reciproca convenienza, trovano un giusto alleato proprio nei governi che si rendono disponibili a porre in essere operazioni di sostegno o di salvataggio dei dissestati bilanci bancari. E anche in questo caso, lo fanno attingendo ricchezza da chi ne ha la disponibilità e da chi la produce.
In altre parole si sta assistendo ad un fenomeno epocale le cui radici dovrebbero essere abortite da qualsiasi morale umana: la privatizzazione dei profitti – per lo più a favore di grandi banche (poche) e multinazionali -, finalizzati per lo più al mantenimento dei privilegi dei pochi, e la socializzazione delle perdite spalmate su vasta scala proprio in capo alla collettività, oppressa dal potere coercitivo esercitato in maniera illegittima da uno Stato padre padrone.
Ciò vuol dire che, almeno nel contesto europeo ed in particolar nell’area mediterranea, benché con le opportune distinzioni del caso, è in atto il più grande trasferimento di risorse dal privato al pubblico e da questo, almeno in parte, al mondo bancario.
Quanto sopra affermato, trova ampio riscontro nelle politiche economiche e monetarie varate in questo periodo di crisi e, in tal senso, le scelte fatte nel contesto europeo e quindi nei vari stati appartenenti all’unione monetaria, ne costituiscono un esempio paradigmatico.


Fonte: http://www.vincitorievinti.com/2012/10/ ... to-di.html



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G20: rischi su crescita da Ue e Usa
Fonti,in bozza conclusioni timori anche su mercati materie prime

(ANSA) - CITTA' DEL MESSICO, 4 NOV - Lo stallo sulla crisi in Europa e il 'fiscal cliff' statunitense preoccupano i ministri delle Finanze riuniti al G20 di Citta' del Messico, che temono ripercussioni negative sulla crescita globale, la quale rischia di rimanere ''modesta''. E' quanto riferiscono fonti vicine al negoziato, che citano anche timori legati a possibili shock sui mercati delle materie prime.

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La bolla mondiale del debito. Ci sono ragioni per credere che Usa, Giappone e Ue rientreranno mai dai rispettivi buchi di bilancio?
di Vito Lops



Il debito della prima economia del pianeta, gli Stati Uniti, ammonta a 16mila miliardi di dollari. Per essere precisi, la cifra esatta - che però andrebbe aggiornata al ritmo di 3,5-4 miliardi al giorno - è di 16.190.979.268.766,67 di dollari. Poi c'è il Giappone, la terza economia del pianeta, che ha un debito superiore ai 10milia miliardi di dollari (più del doppio rispetto al Pil). L'Italia, che in questo momento è l'ottava economia del mondo incalzata da India, Canada e Russia, non scherza dato che ha ormai raggiunto la soglia dei 2mila miliardi di euro (oltre 2.500 miliardi di dollari al cambio attuale euro/dollaro 1,28) che, in prospettiva (considerate le stime calanti del Prodotto interno lordo nel 2012) dovrebbe attestarsi al 126% del Pil.

La lista dei Paesi fortemente indebitati è lunghissima. In questo momento tra i 20 Paesi primi nella classifica del Pil si nota una strana correlazione tra debito e livello di potenza. Come dire che, con qualche eccezione, gli Stati più forti sono anche i più indebitati.

E, a giudicare dalle prospettive sull'andamento dell'economia nei prossimi anni (negli Stati Uniti pesa l'incubo del precipizio fiscale mentre la cancelliera Angela Merkel non ha usato mezze misure nel dire che la crisi europea potrebbe durare anche altri cinque anni) è ragionevole ipotizzare che, nonostante le varie misure di austerity in atto, il livello di indebitamento medio è destinato a salire.

Questa ipotesi è corroborata da un report dell'agenzia di rating Standard and Poor's (Global Aging 2010: An Irreversible Truth) secondo cui nel 2060 il 60% dei Paesi andrà in bancarotta. Fra meno di 50 anni gli Stati Uniti dovrebbero veder crescere il proprio debito al 415% del Pil (rispetto all'attuale 140%).

Insomma, stiamo davvero andando verso la più grande bolla dei debiti della storia? È ormai fantascienza ipotizzare che i Paesi più sviluppati rientreranno in futuro dei propri debiti o, invece, è più logico aspettarsi che continueranno ad aumentare la loro esposizione verso creditori interni (famiglie e risparmiatori) o esteri?

Ciò è tenicamente possibile in un sistema monetario, come quello statunitense, dove nel momento in cui la Federal Reserve stampa moneta, la presta difatti allo Stato trasformandola immediatamente la stessa moneta in un debito.

«I debiti non verranno mai ripagati, la questione cruciale è fare in modo che siano sostenibili. Innanzitutto occorre cambiarne la traiettoria, in toeria semplicemente riducendone lo stock in relazione al Pil con politiche economiche adeguate -spiega Tommaso Federici, responsabile gestioni Banca Ifigest -. Da una parte con il consolidamento fiscale: riduzione del fabbisogno annuo e come deciso per i Paesi dell'eurozona, con bilancio pubblico in pareggio. Allo stesso tempo con una politica monetaria accomodante come nei casi inglese, statunitense e giapponese dove letteralmente monetizza il debito. Ma anche in maniera meno diretta consentendo un'inflazione superiore ai tassi nominali che i governi pagano sul debito. In sintesi, la politica monetaria deve in questo frangente innanzitutto scongiurare il rischio deflazionistico che porterebbe all'insostenibilità del debito nel medio termine. Purtroppo i debiti continueranno ad essere da freno per la crescita, ma la paura dei mercati riguardo il problema di debiti pubblici è sovrastimato. Tutte le istituzioni mondiali e nazionali stanno lavorando su questa questione più di ogni altra».

Secondo Gabriele Roghi, responsabile gestioni patrimoniali di Invest Banca «sembra sempre più difficile pensare che si possa ripagare questa mole di debito con mezzi convenzionali: è talmente elevato che necessita sostanzialmente di più di una delle seguenti condizioni: 1) una crescita economica che sia forte e più elevata del costo del debito da pagare e che quindi riesca a generare avanzi di bilancio elevati per abbattere il debito: 2) un tasso di inflazione che abbatte in termini reali lo stock di debito e consente di operare quella che tecnicamente viene identificata come "financial repression": tassi di interesse reali negativi inadeguati al merito di credito del debitore ed al livello di inflazione che crea la condizione per cui chi acquista i titoli di stato volontariamente paga una tassa per abbattere il debito: esempio molto semplice: chi compra un treasury americano a tre anni che rende 0,33% o anche il decennale all'1,6% paga volontariamente un proprio contributo all'abbattimento del debito americano dato che l'inflazione è tra 1,7 e 2%; 3) una qualche forma di ristrutturazione (delle durate o delle cedole), o cambiamenti delle regole del mercato o distorsione del mercato stesso con acquirenti di ultima istanza che sostengono arbitrariamente le quotazioni: in questa categoria rientrano le azioni di monetizzazione che attualmente le banche centrali stanno effettuando per sostenere la domanda che il libero incontro sul mercato non riesce a trovare acquirenti».

Come giudicare se un debito è veramente sostenibile? «Il modo migliore e la prima regola semplice per tenere sotto controllo e poi diminuire il debito di un Paese (come di una qualsiasi organizzazione) è di avere una buona crescita economica - argomenta Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l'Italia Convictions am -. Ossia una crescita della ricchezza del Paese che sia superiore al costo del debito e quindi ai rendimenti reali dei titoli di stato (rendimento nominale– inflazione). Per esempio, gli Usa con una crescita reale del Pil del 2% circa (ed una crescita potenziale non inflattiva tra il 2.5%-3.5%) e dei rendimenti reali negativi, passa questo primo esame e se il nuovo Presidente riuscirà finalmente ad approvare un piano di rientro dei deficit credibile sul medio lungo termine, non ci saranno problemi. Da noi invece la situazione è ben diversa: ormai sono anni che l'Italia cresce nel migliore dei casi allo 0,qualcosa% e cade in recessione nei momenti di crisi, mentre i rendimenti reali dei titoli di stato italiani sono ancora positivi e ben superiori alla nostra crescita economica. Alla fine è il buon senso che deve prevalere: se spendo i deficit per consumare anziché per investire e produrre ricchezza con cui ripagare i miei debiti, prima o poi il sistema diventa insostenibile. In Italia per anni si è fatto esattamente il contrario, si sono tagliati gli investimenti per tenere sotto controllo una mole di debito generata per finanziare spese correnti improduttive…prima o poi bisogna cambiare il sistema».


http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=AbSIcR1G


se queste sono le prospettive dop sacrifici lacrime e sangue,non c'e' che dire....................


Ultima modifica di ubatuba il 10/11/2012, 13:05, modificato 1 volta in totale.

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Atlanticus81 ha scritto:

Cari signori di FMI, Banca Mondiale, UE... Non sarebbe il caso di iniziare a tentare strade diverse?!?

Voglio un'altra Cristina a capo del FMI al posto di Christine Lagarde!!!

Voglio Cristina Kirchner!!!

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Sicuramente molti argentini sarebbero felici di darti la Kirchner pur di sbarazzarsene
[8D]


Cita:
http://www.lastampa.it/2012/11/09/esteri/argentina-in-piazza-contro-la-kirchner-basta-insicurezze-e-ora-di-cambiare-RaWOklFmjVaesq6zPIbmCJ/pagina.html

Argentina in piazza contro la Kirchner
[color=blue]“Basta insicurezze, è ora di cambiare”

La capitale Buenos Aires invasa dai manifestanti: «Siamo un milione».
Nel mirino la crescente inflazione, la corruzione e la possibile riforma per la rielezione della presidente.


Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza ieri sera a Buenos Aires e nelle principali città dell’Argentina per esprimere la loro opposizione alla presidente Cristina Fernandez de Kirchner, in un maxi «cacelorazo» (protesta) senza leader né discorsi che si è svolto senza incidenti di rilievo.

L’epicentro della protesta è stato l’Obelisco sulla Avenida 9 de Julio, una delle più larghe del mondo, verso il quale sono confluite decine di migliaia di manifestanti, mentre proteste minori si sono svolte in vari quartieri della capitale e in varie città del Paese, in un clima pacifico segnato più dal caldo afoso che dalla tensione.

I manifestanti non portavano simboli di partiti politici, mentre erano molto numerose le bandiere argentine e i cartelli fai-da-te, con slogan di protesta riferiti soprattutto all’insicurezza, l’inflazione - ufficialmente al di sotto del 10%, nei fatti intorno al 25% - la possibilità di una riforma che permette una seconda rielezione di Fernandez, la corruzione e le restrizioni sul mercato cambiario.

Più numerosi che nel «cacerolazo» dello scorso 13 settembre, i manifestanti questa volta non erano concentrati esclusivamente nelle zone più benestanti della capitale, ma anche questa volta si erano organizzati - al di là dell’adesione esplicita di molti dirigenti oppositori, di settori che vanno dal centro-destra alla sinistra antiperonista - principalmente attraverso le reti sociali di Internet.

I più ottimisti hanno rivendicato «siamo un milione in piazza», e il governo ha stimato in modo inverosimile, immagini alla mano, che la partecipazione alla protesta è stata di 70-100 mila persone: più realiste risultano le cifre della polizia di Buenos Aires e di alcuni media privati, che parlavano ieri sera di 600-700 mila manifestanti solo nella capitale argentina. [/color]



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rmnd ha scritto:
Sicuramente molti argentini sarebbero felici di darti la Kirchner pur di sbarazzarsene
[8D]


Anche in Italia il popolo è sempre diviso. Da una parte ci sono quelli che a Monti
farebbero un monumento... dall'altra quelli che lo schiaccierebbero come un bacarozzo.



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MessaggioInviato: 13/11/2012, 10:34 
Manipolazione del mercato, la procura Trani chiede
il processo per Standard&Poor's, Moody's e Fitch


Immagine

http://notizie.tiscali.it/feeds/12/11/1 ... 00027.html?

Le indagini della Procura della Repubblica di Trani, durate due anni, sulla ipotesi di condotte illecite poste in essere da responsabili, anche apicali, delle tre principali agenzie di rating operanti a livello mondiale (Standard & Poor's, Moody's e Fitch) hanno portato alal richiesta di rinvuio a giudizioe per cinque responsabili dell'agenzia Standard & Poor's (procedimento penale N. 3942/11) e 2 responsabili dell'Agenzia Fitch (procedimento penale N. 3189/12).

Le altre richieste - Contestualmente la Procura ha avanzato la richiesta di archiviazione per i restanti 2 responsabili dell'Agenzia di rating Moody's. Più in dettaglio, il procedimento N. 3942/11 è stato instaurato a seguito di esposto-denuncia presentato in data 11 luglio 2011 presso questa Procura della Repubblica dai legali rappresentanti delle associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori nei confronti di analisti finanziari della Standard & poor's in relazione 'agli attacchi speculativi al mercato finanziario italiano conseguenti alla diffusione, a mercati aperti, di una 'nota', da parte della citata agenzia di rating, con la quale si criticava la manovra finanziaria del governo italiano, prima della sua pubblicazione ufficiale'.

I rinvii a giudizio - Deven SHARMA, Presidente della STANDARD & POOR'S FINANCIAL SERVICE dal 2007 al 23 agosto 2011; Yann LE PALLEC, Managing Director Head of Insurance Rating della STANDARD & POOR'S sede di Londra; Eileen ZHANG, Associate Director, Sovereign Rating della StandardØ & Poor's sede di Londra; Franklin CRAWFORD GILL, Senior Director of European Sovereign Ratings, della STANDARD & POOR'S sede di Londra; Moritz KRAEMER, Managing Director European Sovereign Ratings, della STANDARD & POOR'S sede di Francoforte, in quanto ritenuti tutti responsabili del delitto di manipolazione del mercato continuata e pluriaggravata (previsto e punito dagli artt. 110 - 81 cpv. C.p. e 185, commi 1 e 2 del D.Lgs. 58/1998, 61, n. 7 del c.p.) perché, dipendenti apicali dell'Agenzia Standard & Poor's nelle loro rispettive qualità di presidente mondiale e responsabile per l'Europa della predetta Agenzia (Sharma e Le Pallec), nonché di analisti 'senior' del debito sovrano (Zhang, Gill e Kraemer), in concorso fra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e in tempi diversi (nell'arco temporale compreso tra il maggio 2011 ed il gennaio 2012), 'ponevano in essere una serie di artifici' tanto nell'elaborazione, quanto nella 'diffusione' dei rating sul debito sovrano italiano 'concretamente idonei a provocare': 1) una destabilizzazione dell'immagine, prestigio e affidamento creditizi dell'Italia sui mercati finanziari; 2) una sensibile alterazione del valore dei titoli di Stato italiani, segnatamente un loro deprezzamento; 3) un indebolimento dell' Euro.

Le accuse alle agenzie di rating - Attraverso gli "artifici", posti in essere anche a carattere "informativo", secondo la Procura di Trani, dirigenti e analisti indagati fornivano intenzionalmente ai mercati finanziari un'informazione tendenziosa e distorta (come tale, anche falsata) in merito all'affidabilità creditizia italiana ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico adottate dal Governo italiano, in modo da disincentivare l'acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne, così, il loro valore. Nel mirin dei magistrati in particolare un report del 20 maggio 2011 con il 'taglio' dell'outlook del debito sovrano dell'Italia da stabile a negativo seguito da un ulterio report, due giorni dopo, esplicativo delle 'motivazioni' del 'taglio' dell'outlook: valutazioni - secondo la Procura - artificiosamente comunicate/diffuse ai mercati con una tempistica sfalsata e tale da generare sui mercati una volatilità ed un'incertezza che (con)causava sensibili perdite su titoli azionari, obbligazionari e titoli di Stato italiani.

Le note sotto inchiesta - Il luglio 2011 'elaboravano e divulgavano una nota che - con l'artificio di diffondere valutazioni negative sulla manovra finanziaria correttiva presentata dal Ministro dell'Economia prima ancora che il testo della stessa fosse reso ufficiale e pubblicato in Gazzetta Ufficiale (condotta che determinava l'intervento della CONSOB) - determinava ulteriori turbolenze sul mercato dei titoli di Stato italiani, con pericolo concreto di deprezzamento degli stessi. Il 5 dicembre 2011 (ossia all'indomani della conferenza stampa tenuta dal Presidente del Consiglio Prof. Mario Monti per presentare un programma di riforme strutturali, arginare l'ondata di sfiducia montata nei giorni precedenti sui mercati finanziari nei confronti dell'Italia e fornire così, un segnale positivo agli investitori) ponevano il "credit watch negativo" sull'Italia, così adottando un ulteriore 'artificio' temporale-informativo concretamente idoneo a predisporre negativamente i mercati finanziari, nonostante l'intervenuto cambio di leader alla guida del Governo e le riforme strutturali preannunziate (in conferenza stampa)

Il declassamento - Il 13 gennaio 2012, continua la Procura, operavano il declassamento/taglio del rating del debito sovrano della Repubblica Italiana, confermando l'outlook negativo: tanto realizzavano nonostante il responsabile del "Bank Team" per l'Italia di STANDARD & POOR'S, Renato PANICHI, avesse segnalato, in un'email diretta (nella mattinata del 13/1/2012) agli analisti ZHANG e KRAEMER, che il giudizio dai medesimi espresso sul sistema bancario italiano (ed alla base del doppio taglio di rating del debito sovrano da essi elaborato) fosse errato, addirittura 'esattamente contrario' alla situazione reale, e li avesse per questo invitati perentoriamente a rimuovere quell'informazione dal comunicato; rimozione avvenuta solo parzialmente e sul solo testo in lingua inglese, non invece su quello trasmesso - come per legge - alla Repubblica Italiana, né su quello in lingua italiana e diffuso in Italia (con ulteriore confusione e distorsione delle informazioni rese alla Repubblica Italiana, ai Mercati, agli analisti ed agli investitori).

Le conseguenze - Il declassamento, inoltre ipotizzano i magistrati della procura nella richiesta di rinvio a giudizio, "veniva decretato alla stregua di argomentazioni incoerenti e incongruenti sia rispetto alle motivazioni poste a base del precedente declassamento dell'Italia del 19 settembre 2011, sia per l'intervenuto sensibile calo dello spread tra i titoli di debito italiani e i Bund tedeschi; in tal modo gli indagati adottavano l'ennesimo 'artificio informativo' concretamente idoneo a predisporre negativamente i mercati finanziari ed a provocare una sensibile alterazione del prezzo dei titoli di Stato (alterazione effettivamente registrata dall'aumento dello 'spread' - a seguito della notizia del declassamento - da 482 punti base a 505 punti base)'.

Gli altri a processo - Con riguardo al procedimento penale N.3189/12, instaurato a seguito delle notizie apparse, a partire dal giorno 10 gennaio 2012, su diversi organi di stampa che preannunciavano l'imminente declassamento (avvenuto poi in data 27 gennaio 2012) del debito sovrano della Repubblica Italiana da parte dell'agenzia di rating FITCH, per le ipotesi di reato di cui agli artt. 184 e 185 del TUF, la procura di Trani ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di: 1) David Michael Willmoth Riley, Capo Rating Sovrano dell'Agenzia di Rating FITCH, sede di Londra; 2) Alessandro Settepani, Senior Director della FITCH ITALIA - SOCIETA' PER IL RATING Spa di Milano; per l'ipotesi di reato di manipolazione del mercato pluriaggravata di cui agli artt. 185, comma 1 e 2 del D.Lgs. 58/1998 - 61 nn.rr. 7, 9 e 11 del c.p., perché, a far data dal 10/1/2012 e fino al 18/1/2012, nelle rispettive qualità di analisti economico-finanziari dei debiti sovrani e dipendenti con funzioni apicali dell'Agenzia FITCH (rispettivamente delle sedi di Londra e Milano), rilasciavano indebiti annunci preventivi di imminente declassamento della Repubblica Italiana (declassamento non ufficialmente decretato dall'Agenzia Fitch fino al 27/1/2012), così divulgando a mercati aperti informazioni che dovevano restare riservate, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari.


12 novembre 2012

[:280] [:280] [:280]



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Thethirdeye ha scritto:

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rmnd ha scritto:
Sicuramente molti argentini sarebbero felici di darti la Kirchner pur di sbarazzarsene
[8D]


Anche in Italia il popolo è sempre diviso. Da una parte ci sono quelli che a Monti
farebbero un monumento... dall'altra quelli che lo schiaccierebbero come un bacarozzo.


tifare per la Kirchner solo perche la Lagarde è un'esponente dell FMI quindi un personaggio negativo per definizione, non mi pare sia una buona mossa...Noi non siamo argentini e possiamo vedere le cose con più distacco e lucidità...e la Kirchner non mi pareun personaggio "positivo" più di quanto lo possa essere la Lagarde.

Il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore senza personaggi come la Lagarde... e la Kirchner
[8D]

http://www.linkiesta.it/Cristina-Kirchner-buenos-aires-argentina-liberta
Cita:
[color=blue]
L’Argentina scende in piazza: “Contro la Kirchner e per la libertà”

Gabriela Orione
In duecentomila, giovedì, nelle piazze di Buenos Aires e di altre città argentine. In tanti, non sopportano più la restrizione alle libertà. Così la presidenta Cristina Kirchner copre il paese di propaganda, e deve fare i conti con argentini che si convocano attraverso i social network. Il nostro reportage, con foto.


BUENOS AIRES — «Se va acabar, se va acabar, la dictadura de los Ka», hanno cantato in coro giovedì sera argentini di tutte le età, tra cui tantissimi giovani, mentre, sbattendo pentole o sventolando cartelli, marciavano determinati verso le arterie che portano alla Plaza de Mayo di Buenos Aires, davanti alla casa Rosada, sede presidenziale dove oggi governa Cristina Fernandez de Kirchner. Il giorno dopo, la notizia era sulla stampa internazionale, mentre in Argentina è sta documentata solo dai giornali di opposizione, mentre il governo della Kirchner e il suo partito starebbero lavorando per una marcia pro-esecutivo, mentre sottolineano - con tanta insistenza - che a manifestare c’erano solo argentini delle classi medio-alte.

Convocati essenzialmente attraverso le reti sociali e il passaparola, migliaia di argentini si sono ritrovati nelle piazze delle principali città, uniti in una marcia nazionale contro il governo, «che non si vedeva dai tempi del cacerolazo», assicura Josefina, esile, nascosta dietro a un cartello bianco su cui si legge tre volte, in caratteri cubitali, la parola “LIBERTAD”. Quella di giovedì a Buenos Aires è stata una manifestazione ordinata, spontanea, compatta, unanime e allo stesso tempo intransigente contro le misure della politica kirchnerista che lentamente ha instaurato in molti argentini un grande senso di frustrazione. Una frustrazione forse in parte dovuta a una passività che ha storicamente impedito al paese di resistere ai movimenti populisti o alla dittatura, non una volta sola (come in Italia e in Germania, che sembrerebbero aver imparato da quella volta), ma in più opportunità, sotto forme diverse e reiterate.

Così, diffidenti verso le ultime proposte di riforma della costituzione presentate dal governo (voto ai minorenni, rielezione della “presidenta” al terzo mandato, voto agli stranieri senza una precisa politica immigratoria), molti argentini, nutriti da un diffuso senso d’impotenza, hanno deciso di ritentare con il vecchio metodo del “cacerolazo”, dove ormai le pentole non sono che una scusa.

Oltre all’enorme crisi delle istituzioni che sta soffrendo il paese, fondamentalmente molti argentini sembrano non sopportare la sensazione di restrizione alle libertà che riconoscono oramai in molte azioni della politica kirchnerista, cominciando, per esempio, da quella di pensiero. Nelle scuole, ultimamente, ha creato un certo sgomento l’invio di esponenti della Campora, (il partito peronista-kirchnerista nelle cui prime file si ritrova Maximo Kirchner, figlio della “presidenta”) a indottrinare gli studenti. Un’azione poco democratica, che a molti argentini non appare del tutto casuale, perché iniziata proprio nel momento in cui il governo si prepara a cambiare la legge elettorale per dare il voto ai sedicenni.

La misura, che sembra essere vicina all’approvazione, implica un milione e mezzo di votanti in più, di cui però la maggioranza poco informati (o indottrinati), e spesso mantenuti dai "piani di sostegno". Questi ultimi, più che essere interpretati come una spinta al miglioramento delle condizioni delle classi povere, sono visti come una forma per mantenere sotto controllo pacchetti di voti, stimolando così lo stare fuori dal vero mondo del lavoro, anziché fomentarlo. Tutto ciò si somma all’ignavia di una classe lavoratrice che gode del numero più alto di festività nazionali al mondo (pochi giorni fa nel calendario argentino è stato approvato il diciannovesimo), un salario più alto di quello brasiliano e messicano e molto vicino a quello nord americano, ma che ogni giorno deve fare i conti con un’inflazione inarrestabile.

La disoccupazione di più di un milione di persone, un 7,2% secondo i dati sempre poco attendibili forniti dall’Indec (Istituto nazionale di statistica e censo), sta diventando un problema serio, e anche psicologico. A parte la disponibilità di sussidi che spesso non spinge a cercar lavoro, tra le cause di disoccupazione si ritrovano essenzialmente la sensazione di sfiducia, impotenza e frustrazione, derivate da un’educazione e preparazione professionale percepita come inadeguata, altro tema scottante e preoccupante del paese.

Lo stesso senso di frustrazione e affronto alla libertà molti argentini lo percepiscono nella libertà d’espressione. La "presidenta" non concede conferenze stampa, ma comunica solo servendosi esageratamente della “cadena nacional”, (che secondo la costituzione argentina dovrebbe essere usata solo per comunicazioni gravi e in situazioni di emergenza), con un fanatismo che sconfina in toni che a molti argentini ricordano quelli di temuti dittatori. In questo stato di cose, sono in molti a credere che chi pensa in modo diverso viene considerato un nemico, non solo del governo, ma del paese. Nelle ultime settimane, davanti a casi di opposizione al governo da parte di dirigenti e imprenditori, si sono manifestate esplicite intimidazioni pubbliche da parte del governo, dai toni decisamente poco concilianti.

Mentre la povertà continua ad essere un tasto dolente, il governo afferma, a sproposito, che in Argentina è possibile alimentarsi spendendo 6 Pesos (meno di un Euro) al giorno, quando oggi i prezzi in un supermercato argentino hanno ormai superato quelli di Italia o Spagna, aggravati oltretutto da una disponibilità ridotta di prodotti, a causa delle severe misure protezionistiche. Sono affermazioni infelici come questa che screditano la fiducia, già di per sé precaria, nella politica del governo. Gli scandali con ricorrenti episodi di corruzione, di clientelismo, di cui sono protagonisti i suoi funzionari, non fanno che aumentare la diffidenza e la sensazione d’insicurezza a tutti i livelli. Cristina Kirchner, di fronte a questi fatti, scherza (o forse no), e afferma pubblicamente che «bisogna temere Dio, ma anche un poco la sottoscritta», il che fa supporre a molti che forse le cose non vengano fatte come si deve.

Allora, quando davanti alla crescita delle villas, all'aumento degli indigenti e degli incidenti dovuti alla mancanza d’investimenti nelle infrastrutture (strade, edifici, trasporti), vengono spese cifre esorbitanti per le campagne politiche e per altre iniziative assolutamente non prioritarie, gli argentini decidono di unirsi in protesta, come giovedì sera. Il sistema ferroviario, già in crisi, è ora arrivato al collasso: deragliamenti, incidenti, rotture, sono fatti di cronaca quotidiana. Le strade rimangono un’alternativa insicura, mentre la metropolitana di Buenos Aires si ritrova nel bel mezzo di una battaglia tra governo e città per mancanza di fondi destinati invece a progetti minoritari. Infatti, la politica economica del governo nazionale, spesso definita improvvisata, sembra quella di favorire le regioni allineate alla sua politica, penalizzando le altre con una distribuzione delle risorse nazionali, che appare sproporzionata o addirittura ingiusta.

La libertà degli argentini (quelli che possono permettersi di viaggiare) è messa in discussione quando si vedono costretti a chiedere il permesso per ritirare dollari per uscire dal paese o quando all’estero si ritrovano limitati nell’uso delle loro carte di credito. Ma certo in patria le cose non vanno meglio: l’inflazione incontrollabile non fa che penalizzarli e va ad aggiungersi all’imposizione governativa di gestire i propri risparmi utilizzando solo moneta locale, proprio mentre la svalutazione rende quest’ultima sempre più instabile.

Ma il vero nerbo che spinge con fermezza gli argentini a protestare, rimane l’insicurezza, il più grande fantasma per un popolo pacifico, storicamente non abituato alla violenza sociale. Oggi la gente è spaventata da questa nuova realtà del paese, ed esce terrorizzata per le strade, (sempre più popolate dalla criminalità), per manifestare la propria inquietudine. Già la settimana scorsa più di quattro mila persone si erano riunite a Buenos Aires, nel quartiere di Lanus, protestando contro l’insicurezza, contro i continui furti e violenze che pregiudicano la zona, certamente non la sola a subire questa spiacevole realtà. La libertà condizionata concessa dal governo ad assassini e criminali, perché assistano ai propri atti politici, e la mancanza di polizia, dovuta al fatto che il governo preferisce non usare la forza per paura di tentazioni militaristiche, fa nutrire i sospetti di coloro che pensano che il governo abbia smantellato le forze militari e le forze di polizia per paura che possano minacciare il suo potere.

La “presidenta”, votata con il 54% dei voti, perde, seppur di poco e molto lentamente, consensi. Ma gli argentini sanno che non basta. Così, senza farsi sopraffare dalla frustrazione, ma tirando fuori il loro caratteristico orgoglioso spirito nazionalistico hanno fatto capolino dopo tanto tempo. Per le strade della capitale si vedevano camminare famiglie intere, persone comuni, cittadini semplici impegnati a mostrare a se stessi e ai propri figli che ci potrebbe essere una strada per un’Argentina migliore, più sicura, più democratica. La manifestazione potrebbe essere stato un primo passo per uscire dalla frustrazione e dalla paura.
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Ultima modifica di rmnd il 13/11/2012, 18:52, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 14/11/2012, 10:17 
L'Europa scende in piazza e dice no all'austerità

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Scioperi generali in Spagna e Portogallo, le economie più colpite dalla crisi. Ma interruzioni anche in Grecia e in Italia, manifestazioni in Germania e Polonia. Il popolo è stanco, frustrato, e soprattutto è in collera contro il sistema.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... erita.aspx

Roma - L'Europa scende in piazza contro l'austerità e le politiche di rigore dei governi, in una giornata segnata dallo sciopero generale in Spagna e in Portogallo, due fra i paesi più colpiti dalla crisi e da mobilitazioni in molti altri paesi europei.

La Spagna, quarta economia della zona euro, strozzata da una disoccupazione oltre il 25% e da drastiche politiche di rigore si prepara a vivere il secondo sciopero generale in un anno.

Nella notte i primi picchetti hanno preso posizione nei punti nevralgici di Madrid, aeroporti, depositi di bus, mercati generali. Dal 29 marzo scorso, giorno del precedente sciopero generale, si sono succedute diverse manifestazioni contro la politica del governo conservatore di Mariano Rajoy, che prevede 150 miliardi di euro di tagli entro il 2014.

Sciopero generale annche in Portogallo dove sono previste manifestazioni in diverse città: "Per il lavoro e la solidarietà" e contro le politiche di "solo rigore che stanno alimentando pericolosi processi di recessione in Europa come in Italia", sono le motivazioni addotte dalla Ces, la Confederazione europea dei sindacati per questa giornata di mobilitazione europea che vedrà manifestazioni anche in Germania, Polonia, Francia e Grecia.

In Italia la Cgil ha convocato uno sciopero di quattro ore e circa cento manifestazioni in tutto il Paese. (TMNEWS)



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I greci devono accontentarsi di 2 euro l’ora

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Crisi in Grecia - I greci dovranno cavarsela con 350 euro al mese: «Se non è “cinesizzazione” questa, non saprei come altro definirla», dice l’analista indipendente Debora Billi: con le nuove misure di austerity appena varate ad Atene si sta realizzando il progetto, targato Germania, che mira appunto a “cinesizzare” la Grecia, facendo dell’intero paese una di quelle “zone economiche speciali” di cui ha raccontato Naomi Klein. «Si tratta di aree dove i paesi industrializzati possono far produrre le proprie merci a costo quasi zero, grazie alla schiavizzazione di chi lavora».

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13 novembre 2012

Crisi in GreciaI greci dovranno cavarsela con 350 euro al mese: «Se non è “cinesizzazione” questa, non saprei come altro definirla», dice l’analista indipendente Debora Billi: con le nuove misure di austerity appena varate ad Atene si sta realizzando il progetto, targato Germania, che mira appunto a “cinesizzare” la Grecia, facendo dell’intero paese una di quelle “zone economiche speciali” di cui ha raccontato Naomi Klein. «Si tratta di aree dove i paesi industrializzati possono far produrre le proprie merci a costo quasi zero, grazie alla schiavizzazione di chi lavora».

Un po’ come fa la Fiat in Serbia, dove un operaio le costa sei volte meno che in Italia. Nel caso-Grecia, viene retrocesso di colpo un intero sistema sociale: «Nel recente ultimo “pacchetto di austerity” riservato agli schiavi greci – scrive Debora Billi nel suo blog – si prevede un salario minimo di 589 euro lordi», cioè 350 euro netti per arrivare a fine mese. «A questo si unisce la il ritorno della malaria, la gente che non ha di che scaldarsi, gli ospedali senza medicine».

«Lavorare in Grecia o emigrare all’estero? Questo è il dilemma a cui migliaia di giovani greci al di sotto dei 25 anni dovranno rispondere prima di iniziare Grecia, il dramma in piazzala loro vita professionale nel paese oberato dai debiti», racconta il blog “Keep Talking Greece”. Il primo ministro Samaras, scrive Carmen Gallus su “Investire oggi”, ha promesso che questo sarà l’ultimo pacchetto “lacrime e sangue”, le ultime sofferenze inflitte ai lavoratori e ai pensionati, necessarie per “salvare la Grecia” – cioè mantenerla nell’Eurozona, a costo di devastarne la popolazione. «In un paese dove la disoccupazione giovanile è sopra il 55% – aggiunge la Gallus – i più fortunati che trovano un posto di lavoro si troveranno nella invidiabile posizione di guadagnare 660 euro lordi al mese, dopo aver lavorato per lo stesso datore di lavoro per quasi 10 anni». Cento euro in più in busta paga per i meno giovani. Un disastro di proporzioni incredibili: in media, i lavoratori dipendenti – per 40 ore settimanali – saranno pagati 2 euro netti all’ora, non di più.

«In tempi in cui i posti di lavoro sono rari come il denaro – scrive Carmen Gallus in un intervento ripreso da “Megachip” – molte persone lavorano senza assicurazione e senza sicurezza sociale. E il lavoro part-time è in aumento, al fine di evitare il pagamento dei contributi». Attenzione: «I lavoratori part-time hanno zero possibilità di ricevere un’indennità di disoccupazione».

E per giunta: cresce il numero di lavoratori che aspettano di essere pagati da più di sei mesi. Possibile? Oggi, in Grecia, sì. «Come si può vivere e anche creare una famiglia con 510/580 euro al mese? Probabilmente nello stesso modo in cui lui/lei potrà avere una pensione di 200 euro dopo 40 anni di lavoro». Se saranno ancora vivi, naturalmente. Il nuovo regolamento “lacrime e sangue” resterà in vigore fino a che il tasso di disoccupazione non sarà sceso al 10%: oggi è al 25% e tende ad aumentare. Con le nuove misure, non di vede nessuna possibile via d’uscita alla catastrofe.

«Siamo orgogliosi di annunciare che i dipendenti e i lavoratori di un paese dell’Ue ritornano alle tristi condizioni di lavoro del periodo pre-industriale», aggiunge Carmen Gallus: «Abbiamo bisogno di un Charles Dickens che scriva il dramma greco moderno». Tenendo conto che restano elevati i prezzi al consumo per cibo, servizi, biglietti e tariffe, sarà solo questione di tempo: ad Atene sorgeranno “case per i poveri”, sempre la troika lo permetta, nella Grecia trasformata nel nuovo ghetto d’Europa. «Forse – conclude Debora Billi, pensando a tutti gli altri paesi dell’Eurozona, compreso ovviamente il nostro – sarebbe da prendere in mano la situazione e decidere noi come decrescere secondo la nostra convenienza, prima che arrivi lo straniero europeo ad imporcelo per i suoi comodi e suoi profitti».

Fonte: libreidee.org



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MessaggioInviato: 14/11/2012, 11:41 
Difendere questa Europa significa volere il male dei cittadini e il bene delle banche e in generale dei potentati economici.

Lo sappiano i nostri politici, lo sappiano i tecnici... ma che lo sappia anche il popolo!!!

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Ultima modifica di Atlanticus81 il 14/11/2012, 11:42, modificato 1 volta in totale.


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