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K#257;l#299; è il genere femminile del termine sanscrito k#257;la, che significa “nero, di colore scuro”, ma anche “tempo”. Per questo motivo il suo nome è stato più volte tradotto come Colei che è il tempo, o Colei che consuma il tempo o la Madre del tempo, ed infine Colei che è nera. È anche il nome di una forma della Dea Durga nel Mah#257;bh#257;rata, ed il nome di uno spirito maligno di sesso femminile nel Harivamsa.
L’omonimia con il termine “tempo”, che secondo il contesto può significare anche “morte”, è distinta dal termine “nero”, ma sovente l’etimologia popolare li associa. L’associazione si trova nel Mah#257;bh#257;rata, dove incontriamo una figura femminile che porta via gli spiriti dei guerrieri e degli animali uccisi: essa è chiamata K#257;lar#257;tri (che secondo Thomas Coburn, uno storico della letteratura sanscrita, è traducibile con “notte di morte”) ed anche k#257;l#299; (che, sempre secondo Coburn, potrebbe indicare sia un nome proprio sia un attributo).L'associazione al colore nero della dea è in contrasto con suo marito Shiva, il cui corpo è ricoperto di cenere bianca, cenere dei terreni di cremazione (in sanscrito: #347;ma#347;#257;na) nei quali medita, cui è associata anche Kali come #346;ma#347;#257;na K#257;l#299;.
Kali compare per la prima volta nel Mundaka Upanishad non esplicitamente come dea, ma come la nera tra le sette lingue fiammeggianti di Agni, il dio hindu del fuoco; tuttavia, il prototipo della figura che conosciamo come Kali appare nel Rig Veda, sotto forma di una dea chiamata Raatri, che è considerata anche il prototipo di Durga