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sabato 16 febbraio 2013
Bruciano banche e negozi, Atene in fiamme


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Decine di edifici sono stati dati alle fiamme durante gli scontri di Atene. Tra questi la biblioteca universitaria, due cinema, le filiali di due banche e un caffe Starbucks

da Repubblica

http://www.nocensura.com/2013/02/brucia ... iamme.html


Ultima modifica di Wolframio il 16/02/2013, 20:45, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/02/2013, 14:58 
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Wolframio ha scritto:

sabato 16 febbraio 2013
Bruciano banche e negozi, Atene in fiamme


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Decine di edifici sono stati dati alle fiamme durante gli scontri di Atene. Tra questi la biblioteca universitaria, due cinema, le filiali di due banche e un caffe Starbucks

da Repubblica

http://www.nocensura.com/2013/02/brucia ... iamme.html


...eh ma a Sanremo ha vinto Mengoni...[:D]



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MessaggioInviato: 17/02/2013, 15:39 
La Germania vuole il rimpatrio dell’oro depositato negli USA, ma i forzieri della Federal Reserve son vuoti


17 febbraio 2013

Le autorità germaniche hanno informato il governo degli Stati Uniti dell’intenzione di rimpatriare parte delle circa 1’500 tonnellate di lingotti depositati presso la Federal Reserve di New York.

C’è chi dice che la Germania chiede il rimpatrio del proprio oro unicamente a causa di pressioni politiche interne e che nessun altro paese seguirà l’esempio.
Invece il co-direttore generale dell’azienda di gestione di investimenti Pimco, Mohammed al Erian, dichiara che “non vi è dubbio che la richiesta tedesca si traduce in pressione su altri paesi per rimpatriare gli averi in oro depositati nelle banche centrali estere.”

Il redattore economico britannico Ambrose Evans Pritchard, scrive su The Telegraph : “Le banche centrali nel mondo intero hanno acquistato nel 2012 il più grande volume di oro degli ultimi 50 anni. Hanno accumulato 536 tonnellate supplementari, diversificando le nuove riserve e evitando le monete “sospette” : dollaro statunitense, euro, lira sterlina e yen.
L’Accordo di Washington (siglato nel settembre 1999, impegnava le banche centrali a limitare le vendite delle riserve auree per cinque anni) in virtù del quale ogni anno la Gran Bretagna, la Spagna, i Paesi Bassi, l’Africa del sud, la Svizzera e altri paesi hanno venduto parte del loro oro sembra già appartenere all’epoca illusoria in cui gli investitori pensavano che l’euro avrebbe rimpiazzato l’oro diventando un pilastro accanto al dollaro.
Questa speranza è svanita. In 10 anni gli averi delle banche centrali in euro-obbligazioni sono calate del 26%.

Euro e dollaro non ispirano fiducia. L’Unione monetaria europea è una costruzione malandata, incline a barcamenarsi di crisi in crisi senza il supporto di un dipartimento del Tesoro comune. Quanto al dollaro, è seduto su una piramide di debiti.

Ned Taylor-Leyland, della Cheviot Asset Management, sostiene che la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra non restituiranno mai l’oro ai proprietari stranieri, in quanto questo oro non esiste più.
Altri affermano che più precisamente Stati Uniti e Gran Bretagna non hanno venduto le riserve d’oro, le proprie e quelle estere, ma le hanno date in prestito o impegnate come garanzia. Di fatto dunque non le possiedono.
E’ stato documentato che la Federal Reserve ha dato in prestito gran parte delle sue riserve in oro e che le grandi banche prendono in prestito l’oro alle banche centrali, prestandolo a loro volta a molteplici terze parti.
Dunque, non sarebbe sorprendente se la Federal Reserve avesse bisogno di anni per poter restituire alla Germania 300 tonnellate di lingotti d’oro [...] anche se la Fed afferma di avere 6’720 tonnellate del prezioso metallo nella sola sede di New York.

Il co-direttore generale di Pimco Bill Gross dichiara : “Ogni mese la Federal Reserve acquista obbligazioni del Tesoro e crediti ipotecari per 85 miliardi di dollari. In realtà, non ha di che garantirli, niente oltre alla fiducia.”
Quando un operatore di primaria importanza come J.P. Morgan o Bank of America vende le sue obbligazioni al Tesoro della Fed, ottiene un credito denominato “riserva”. Può spendere le sue “riserve” in cambio di altro, ma a questo punto un’altra banca ottiene un credito per le sue riserve, ecc. ecc.
La Federal Reserve ha detto alle banche : “Dateci la vostra fiducia, onoreremo sempre le “riserve”. Dunque le banche danno fiducia alla Fed, le aziende i i singoli danno fiducia alle banche e avanti in questo modo.

54 trilioni di dollari (1 trilione = 1’000 milioni) di credito nel sistema finanziario degli Stati Uniti basati unicamente sulla fiducia verso una banca centrale, che nei suoi forzieri non ha di che garantire né la fiducia né tutti questi soldi.

Lingotti in tungsteno laccato d’oro sono stati trovati un po’ ovunque e un esperto germanico conferma l’esistenza di falsi lingotti d’oro segnati con il marchio ufficiale degli Stati Uniti.
La Federal Reserve ha respinto una richiesta del governo di Berlino di ispezionare le proprie riserve in oro depositate nei forzieri di New York.
Ovvio che i tedeschi abbiano perso fiducia nell’affidabilità della Fed e vogliano avere il proprio oro a casa, sotto controllo.

articoli correlati:
ORO SVIZZERO: raccogliamo firme per salvarlo - di Gianfranco Soldati
Guerra monetaria : vendere dollari, comperare oro
Crisi economica. La Bundesbank rimpatria l'oro custodito all'estero

Source: La Germania vuole il rimpatrio...Reserve son vuoti - Ticinolive


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Come dicevo, ne vedremo delle belle
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=266455
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Ultima modifica di Wolframio il 17/02/2013, 15:48, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/02/2013, 15:55 
il nostro oro dov'è? Sempre alla FED o qui in italia? Abbiamo pur sempre la IV riserva aura del mondo se non erro...



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MaxpoweR ha scritto:

il nostro oro dov'è? Sempre alla FED o qui in italia? Abbiamo pur sempre la IV riserva aura del mondo se non erro...

Tu cerchi il nostro Oro dopo mezzo secolo di fiducia totale all'America e anche dopo mezzo secolo di intrallazzi e ruberie???.[:D]


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beh io sapevo che il nostro oro era in ITalia... Sbaglio?



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MessaggioInviato: 17/02/2013, 17:37 
Buona parte dell'oro italiano non è fisicamente in Italia, ma è depositata presso i depositi di USA e Inghilterra



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MessaggioInviato: 17/02/2013, 17:39 
bene quindi siamo a secco pure noi come la germania... Mal comune mezzo gaudio ^_^



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Wolframio ha scritto:

Buona parte dell'oro italiano non è fisicamente in Italia, ma è depositata presso i depositi di USA e Inghilterra

sicuramente in lingotti di piombo! [:(]
Il nostro oro se ne andato in fumo,il fumo delle guerre che hanno fatto in tutti questi anni.


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MaxpoweR ha scritto:

beh io sapevo che il nostro oro era in ITalia... Sbaglio?



giovedì 17 gennaio 2013

Ma dove sono le riserve d'oro dell'Italia?

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Ma dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro italiane, la quarta riserva aurea al mondo?Presso Bankitalia? Non certo tutte: una parte è custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank ha deciso di farlo tornare a casa, non sarebbe il caso di dare una controllatina? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero? Esiste poi un registro?

Le barre o lingotti sono contraddistinte con numeri seriali, dai quali si evince senza ombra di dubbio la proprietà italiana delle stesse?

A febbraio il quotidiano britannico “The Independent” rilanciava la conferma di una forte pressione tedesca fin dall’inizio del 2012 affinché Roma mettesse mano alle sue riserve per incidere sullo stock di debito. L’Italia è una economia di 2 miliardi di dollari con piu’ di 2400 tonnellate di oro. L’Italia, ha la seconda posizione aurea nella zona europea. Ha un bella quantità di oro che il Fondo Monetario Internazionale e la gente che lo sostiene come Mario Monti e i gli altri terroristi dell IMF stanno cercando di agevolare il furto delle 2400 tonnellate di oro italiano.

Tanto che il 19 gennaio scorso i deputati Fabio Rampelli e Marco Marsilio presentarono un’interrogazione parlamentare (con richiesta di risposta scritta) indirizzata al ministro dell’Economia e delle Finanze – leggi Mario Monti – per chiedere lumi al riguardo, mettendo in luce la ‘dispersione’ del nostro oro in vari caveaux internazionali, e non certo casuali: alla BRI di Basilea, alla Bank of England di Londra e alla Federal Reserve di New York. Ne era sorta una diatriba tra Tremonti che diceva che il nostro oro apparteneva, giustamente, al nostro Stato e l’allora presidente della BCE, Trichet, che asseriva che il nostro oro apperteneva alla Banca d’Italia e, pertanto, alla BCE.

L’interrogazione è, naturalmente, a tutt’oggi rimasta senza risposta.

Ecco il testo dell’interrogazione parlamentare (Fonte:http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=48038&stile=6&highLight=1&paroleContenute=%27INTERROGAZIONE+A+RISPOSTA+SCRITTA%27)

Cita:
4/14567 : CAMERA – ITER ATTO

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14567

Dati di presentazione dell’atto

Legislatura: 16

Seduta di annuncio: 573 del 19/01/2012

Firmatari

Primo firmatario: RAMPELLI FABIO

Gruppo: POPOLO DELLA LIBERTA’

Data firma: 19/01/2012

Elenco dei co-firmatari dell’atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MARSILIO MARCO POPOLO DELLA LIBERTA’ 19/01/2012

Destinatari

Ministero destinatario:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE [/list]
Attuale delegato a rispondere:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

delegato in data 19/01/2012

Stato iter:

IN CORSO

Atto Camera Interrogazione a risposta scritta4-14567

presentata da

FABIO RAMPELLI

giovedì 19 gennaio 2012, seduta n.573

RAMPELLI e MARSILIO. -

Al Ministro dell’economia e delle finanze. - Per sapere – premesso che:

da un articolo pubblicato sul noto quotidiano nazionale La Repubblica, datato 1o agosto 2009 e dal titolo «L’oro italiano? A Manhattan. La Fed detiene parte dei lingotti» si apprende che gran parte della riserva aurea italiana sarebbe custodita presso uno stabile sito vicino la Federal Reserve statunitense, a New York;

dallo stesso articolo, si evince inoltre che altri quantitativi della nostra riserva aurea, seppur minori rispetto al succitato, vengono detenuti presso la Banca d’Inghilterra e presso la Banca dei Regolamenti internazionali con sede a Basilea;

la stessa notizia viene riportata dalla trasmissione televisiva «Passaggio a Nord Ovest», noto programma di approfondimento di RAI 1, nella puntata andata in onda in data 11 settembre 2010;

dalle stesse fonti si apprende inoltre che una parte dell’oro custodito presso i forzieri della Banca d’Italia, nella sede di via Nazionale a Roma, non sarebbe sotto la nostra diretta custodia perché affidato alla Banca centrale europea -:

se quanto citato in premessa corrisponda al vero ed, eventualmente, quando e in base a quale accordo o disposizione di legge sia stata assunta una tale decisione e se tale scelta «strategica» sia ancora ritenuta funzionale agli interessi dell’Italia;

a chi appartengano la proprietà della riserva aurea detenuta a Palazzo Koch e la proprietà della riserva aurea detenuta nelle sedi estere;

se l’Italia abbia la completa disponibilità delle succitate riserve auree, sia di quella detenuta presso la Banca d’Italia, sia di quelle eventualmente detenute presso sedi estere. (4-14567)

Source: TERRA REAL TIME: Ma dove sono le riserve d'oro dell'Italia?


Ultima modifica di Wolframio il 17/02/2013, 17:50, modificato 1 volta in totale.


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secondo quali carte l'oro appartiene ALLA BANCA D'ITALIA e non all'ITALIA? MA i nostri politici che caspita fanno? Con la seconda riserva aurea europea dovremmo dettare legge ed invece siamo degli zimbelli... bah



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MaxpoweR ha scritto:

secondo quali carte l'oro appartiene ALLA BANCA D'ITALIA e non all'ITALIA? MA i nostri politici che caspita fanno? Con la seconda riserva aurea europea dovremmo dettare legge ed invece siamo degli zimbelli... bah


I nostri politici solitamente sono intenti a pensare a come depredare il popolo italiano non a come garantirgli sicurezza, futuro e prosperità...



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Cita:
Wolframio ha scritto:

Ma dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro italiane, la quarta riserva aurea al mondo?Presso Bankitalia? Non certo tutte: una parte è custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank ha deciso di farlo tornare a casa, non sarebbe il caso di dare una controllatina? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero? Esiste poi un registro?



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MessaggioInviato: 17/02/2013, 23:09 
La rivoluzione energetica Usa trasformerà il paese in un nuovo Medio Oriente? Quali conseguenze sugli investimenti in valute e sui mercati azionari e obbligazionari? L'Opinione di Alessandro Fugnoli.

MILANO (WSI) - Ex bono malum. San Francisco, nel 2007, è stata la prima città americana a bandire i sacchetti di plastica e a incentivare l’uso di sporte per la spesa riutilizzabili. Uno studio molto accurato, condotto da tre università e pubblicato nelle scorse settimane, è arrivato alla conclusione che l’introduzione delle borse riutilizzabili ha coinciso con un brusco aumento permanente delle visite in pronto soccorso per infezioni batteriche, (escherichia coli, salmonella, toxoplasmosi, campylobacter).

Per queste infezioni in più sono morte, nella sola San Francisco, 5,4 persone ogni anno. La stessa correlazione è stata verificata puntualmente in altre città in corrispondenza dell’introduzione del divieto dei sacchetti usa e getta. La buona notizia è che un lavaggio accurato della sporta riutilizzabile elimina il 97 per cento dei batteri. La cattiva notizia è che solo il 2 per cento la lava davvero ogni volta.

Ex malo bonum. Curt Stager è un paleoclimatologo e insegna al Paul Smith’s College tra le foreste dell’Adirondack, là dove lo Stato di New York confina con il Canada. È abituato a misurare il tempo non sui secoli o i millenni, ma sui milioni di anni. Guardando alle conseguenze dell’effetto serra, quindi, il suo sguardo non si ferma al futuro prossimo, ma si spinge più in là. Il suo libro del 2011, Deep Future, ragiona di clima ed evoluzione della vita nei prossimi centomila anni.

Stager è molto pacato nei suoi ragionamenti e il libro, pur essendo tecnico, è di scorrevole lettura. È piaciuto molto agli ambientalisti, che hanno spesso ripreso una delle sue tesi, quella per cui i prossimi cento anni di uso di combustibili fossili cambieranno il clima per i prossimi centomila.

A leggere bene il libro, tuttavia, si scopre che Stager non è particolarmente pessimista. Nel giro di un paio di secoli le risorse fossili saranno necessariamente esaurite e il danno ambientale, per quanto ampio, sarà comunque limitato. La nostra vecchia Terra impiegherà centomila anni per ripulirsi, ma alla fine ce la farà.

Certo, nota Stager, nei prossimi decenni i mari si alzeranno di qualche metro e farà più caldo. Le conseguenze del nostro uso spensierato dei fossili saranno pesanti per i nostri nipoti, ma i loro discendenti otterranno in cambio un vantaggio colossale, quello di evitarsi, fra cinquantamila anni, la prossima glaciazione. Il riscaldamento globale sta alla glaciazione, secondo l’autore, come una rissa da bar sta alla guerra termonucleare.

Glaciazione significa ricoprire con tre-quattro chilometri di ghiaccio l’America del Nord fino all’altezza di San Francisco e Washington e l’Eurasia fino al Mediterraneo (che sparirebbe) e alla Cina centrale. A essere sfortunati il ghiaccio potrebbe arrivare all’equatore, come accadde nel Criogeniano 600 milioni di anni fa, quando la glaciazione durò 100 milioni di anni.

Stager, nel 2011, non poteva prevedere la portata epocale della rivoluzione energetica in corso nel Nord America. C’erano già il gas e il petrolio non convenzionali, naturalmente, e si era già capito che le riserve di fossili effettivamente utilizzabili andavano probabilmente raddoppiate rispetto alle stime precedenti. L’uso di nuove tecniche di estrazione si andava diffondendo rapidamente, ma la riconversione del parco automobilistico dalla benzina al gas, per fare un esempio, pareva ancora lontana.

Il solo T. Boone Pickens, profeta solitario, era impegnato nella predicazione del gas come strumento di indipendenza energetica per gli Stati Uniti e di riduzione dell’effetto serra.

Poi le cose sono andate accelerando. Nel marzo del 2012 Edward Morse pubblica per Citi un lungo studio seminale, Energy 2020: North America, the New Middle East? Entro la fine del decennio, dice, il Nord America sarà autosufficiente e potrà smettere di tremare a ogni manifestazione di instabilità mediorientale. Morse non è solo un professore che ha insegnato a Princeton, ma ha una lunga esperienza al Dipartimento di Stato sotto Carter e Reagan. Da qui la sensibilità politica che rende ancora più interessanti le sue tesi.

Lo studio di Morse diventa rapidamente senso comune, ma nonostante il suo tratto visionario viene in pochi mesi superato dagli eventi, tanto da indurre l’autore a pubblicare in questi giorni una nuova riflessione, Energy 2020: Independence Day.

Lo sviluppo della filiera energetica, pur estremamente disordinato, è così impetuoso che gli Stati Uniti, che fino al 2007 importavano più di 5 milioni di barili al giorno (in prevalenza dal Medio Oriente e dal Golfo di Guinea) non avranno più bisogno di importare una goccia di Light Sweet già da quest’estate, mentre per le altre gradazioni di greggio sarà sufficiente il ricorso sempre più modesto alla produzione canadese. Già prima del 2020, dunque, gli Stati Uniti non solo saranno completamente autosufficienti ma saranno diventati un grande paese esportatore.

Va detto che questa rivoluzione sta avvenendo senza nessuna pianificazione politica e in un regime di sostanziale laissez faire. La politica, là dove interviene, non lo fa per incentivare o programmare, ma per ostacolare o rallentare.

L’Alaska è ancora in ampi tratti off limits per l’esplorazione, come buona parte della costa atlantica e pacifica. Le esportazioni di greggio e di gas sono vietate, anche se il divieto viene aggirato esportando benzina e prodotti raffinati. Il greggio dei nuovi giacimenti viene trasportato in treno verso raffinerie lontane migliaia di chilometri perché la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti è boicottata da Washington anche quando le comunità locali non hanno obiezioni.

L’effetto combinato del forte e continuo calo di consumi (il 10 per cento in meno rispetto al 2007) e dell’esplosione della produzione fa sì che si comincino ad avvertire seri segni di sovracapacità. Gli Stati Uniti hanno sempre meno bisogno del petrolio canadese e il risultato è che il Canada non sa letteralmente più cosa fare della sua produzione. L’esportazione verso l’Asia, un punto strategico nei piani dell’amministrazione Harper, procede con il contagocce per l’opposizione degli ambientalisti alla costruzione di un oleodotto dall’Alberta al Pacifico e di un altro verso l’Atlantico.

Il risultato è il collasso del prezzo del greggio canadese, che nelle scorse settimane è arrivato a toccare un minimo di 50 dollari. Siamo di fronte a un classico shock da offerta con effetti deflazionistici che si stanno già ripercuotendo sui prezzi delle case, per la prima volta in discesa dopo un lungo bull market. Una ragione in più per considerare arrivato il dollaro canadese e venderlo a favore di quello degli Stati Uniti.

L’emergere prepotente del Nord America, che si accompagna a una forte ripresa della produzione messicana (una ragione in più per comprare i Bonos finanziandosi in dollari), non è il solo dato da segnalare nel panorama energetico globale in rapida trasformazione. Il Golfo di Guinea si conferma sempre più forte, la costa indiana dell’Africa dà grandi soddisfazioni, Brasile e Argentina si rivelano ricchi di potenziale, anche se le interferenze politiche rendono poco redditizia la produzione .

Ci sono anche i perdenti. Il Venezuela, la Russia, l’Iran e l’Arabia Saudita sono accomunati dalla difficoltà (a volte tecnica, a volte finanziaria o politica) nella ricerca di nuovi giacimenti che diano il cambio a quelli in via di esaurimento.

Si tratta anche di paesi che hanno impostato la loro politica fiscale su un prezzo del greggio più alto di quello che vedremo nei prossimi anni (Morse ipotizza un livello di 70-90 dollari). Produzione stagnante e prezzo in calo renderanno più difficile comprare il consenso. I governi saranno più fragili. L’Opec, dal canto suo, ha gli anni contati. La temperatura dei ghiacci groenlandesi è oggi più bassa che in età minoica, romana e medievale.

L’Europa, paese importatore, godrà di prezzi decrescenti, ma comunque molto più alti di quelli americani. Il risultato sarà il trasferimento in America (peraltro già iniziato) di parti ampie del settore automobilistico, di tutta la chimica, del cemento, dell’acciaio e in generale di tutta l’industria pesante.

È interessante paragonare la situazione americana con quella tedesca. In entrambi i paesi c’è sovrabbondanza di energia. Il boom dei fossili negli Stati Uniti e quello delle rinnovabili in Germania sono stati disordinati e convulsi e hanno lasciato in eredità un’offerta abbondante che non si sa come gestire per mancanza di infrastrutture (oleodotti in America e reti elettriche ad alta capacità in Germania).

La differenza è che i prezzi per le industrie e le famiglie sono molto bassi in America e molto alti in Germania (e crescenti in Francia). Le rinnovabili europee sono infatti sussidiate e il costo del sussidio è scaricato sul consumatore.

Paradossalmente, l’America sempre più fossile produce sempre meno gas serra, mentre l’Europa sempre più rinnovabile ne produce sempre di più. Gli Stati Uniti stanno infatti sostituendo carbone e petrolio con il meno inquinante gas, mentre la virtuosa (nelle intenzioni) e costosa Europa sostituisce il nucleare con il carbone. Il trionfo dell’eterogenesi dei fini. Provando in ogni caso ad assumere il punto di vista di Stager sui prossimi centomila anni, la rivoluzione energetica in corso non sta comportando un aumento netto dell’effetto serra.

La rivoluzione energetica pone invece formidabili sfide a chi investe. C’era un tempo, fino a ieri, in cui funzionavano schemi molto semplici. Ripresa economica uguale rialzo di tutti i comparti energetici, rallentamento uguale ribasso. Lo shock da offerta in corso può però produrre un ribasso dell’energia anche in presenza di un’accelerazione del ciclo.

Lo shock può poi attrarre capitali senza però remunerarli adeguatamente (si pensi al petrolio brasiliano). La sovraproduzione può portare alla crisi (e perfino all’insolvenza) società che sembravano scoppiare di salute fino a un momento prima. C’è poi la segmentazione geografica, acuita dalla mancanza di infrastrutture di trasporto.

Al di là delle complesse ramificazioni della rivoluzione energetica resta il suo aspetto fondamentalmente positivo per l’economia globale, paragonabile per importanza strutturale al Quantitative easing. In un mondo appesantito dall’invecchiamento demografico e dalla crisi fiscale porta un sostegno decisivo. Appaiono a questo punto un po’ meno temibili, nei prossimi anni, crisi geopolitiche improvvise come la Libia del 2011 o la stessa ipotesi di un attacco all’Iran.

Gli shock positivi da offerta, del resto, hanno la piacevole caratteristica di essere positivi tanto per i mercati azionari, quanto per gli obbligazionari.

Venendo all’immediato, il rialzo di Wall Street comincia ad apparire un po’ inerziale, una sorta di schiuma che monta dopo che si è finito di versare la miscela di dati macro e dati societari complessivamente migliori, anche se non di molto, rispetto alle attese. A questo punto, tuttavia, l’asticella per le sorprese positive è stata alzata. Pur rimanendo strutturalmente ottimisti sull’azionario (e non troppo pessimisti sull’obbligazionario) continuiamo a pensare che nel breve sia sufficiente un’allocazione azionaria neutrale.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... zione.aspx


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MessaggioInviato: 19/02/2013, 10:23 
Il titolo del Sole 24 Ore di sabato scorso diceva (quasi) tutto quello che c’è da dire sul recente vertice di Bruxelles: “L’Europa vara il bilancio di austerità”. In effetti la riduzione del bilancio 2014-2020 rispetto a quello 2007-2013 è assai consistente: -3,5%. Ma il dato quantitativo dice ancora poco di quello che sta succedendo. Tra i 40 miliardi di spesa che sono saltati, i settori più sacrificati sono quelli relativi a ricerca e innovazione, formazione e investimenti nelle reti. Ovvero tutte le sfide più importanti e le probabili leve per uno sviluppo qualitativamente diverso da quello fin qui avvenuto e entrato in una profonda crisi strutturale. L’Italia porta a casa qualcosa di meglio della volta precedente – a trattare c’era Berlusconi, quindi non è un gran merito – soprattutto grazie al buon lavoro di Fabrizio Barca, ma tutto sarà devoluto alla campagna elettorale di Mario Monti.

E’ la prima volta che la Ue riduce il suo bilancio già così misero: l’1% del suo Pil. Siamo di fronte non solo ad un dato economico ma a un elemento politico di grande rilevanza. L’insistenza inglese e tedesca sui tagli dimostra che il processo di unità europea è reversibile, che la tendenza all’unità può essere invertita nel suo contrario, che questo avviene ad opera dei paesi più forti dentro la peggiore crisi di tutti i tempi del capitalismo europeo.

Il 2012 si è chiuso con un surplus commerciale tedesco record. Il migliore che si sia mai realizzato fatta eccezione di quello del lontanissimo 1950. Le esportazioni tedesche sono aumentate del 3,4%, le importazioni solo dello 0,7%. Ma questi numeri indicano la poca lungimiranza della politica tedesca. Se l’import arricchisce i produttori esteri, e quindi può essere inteso anche come un freno alla crescita interna, un suo andamento così fiacco mette ancora di più in evidenza la debolezza già in atto della domanda interna, ovvero una difficoltà nella capacità di consumo. Infatti il Pil del quarto trimestre del 2012 si è contratto dello 0,5% rispetto al terzo trimestre. In un quadro come questo l’apprezzamento dell’euro, riavvicinatosi agli 1,40 dollari, e destinato probabilmente ancora a salire (secondo calcoli ovviamente teorici un euro “solo tedesco” varrebbe oggi 1,53 dollari), rischia di capovolgere la situazione per le aziende esportatrici.

Il rischio di nuove guerre valutarie è alle porte. Il motivo è abbastanza semplice. Negli Usa e in Giappone si sta seguendo una linea esattamente contraria a quella dell’austerità europea. E questo è un bene, per loro e per il mondo. Ma in economia non esistono scelte che producano effetti in un’unica direzione. Anzi gli effetti collaterali, voluti o no, sono frequenti e diffusi e a volte finiscono persino per prevalere.

Negli Usa si deciderà il 19 maggio prossimo a quanto potrà salire il livello del debito. Nel frattempo il tetto attuale di 14.400 miliardi di dollari viene abbondantemente sforato, tramite immissione di nuova liquidità da parte della Federal Reserve. In questo modo tra l’altro la Fed pensa di potere governare la discesa del valore del dollaro rispetto all’euro, per rendere così più competitivi i prodotti americani. E’ la messa in pratica del ben noto meccanismo delle “svalutazioni competitive”, ma un conto – osservano Lettieri e Raimondi su ItaliaOggi del 7 febbraio – se queste le fa un paese di piccole o relativamente piccole dimensioni, come successe all’Italia nel 1992, un conto se lo fanno gli Usa. L’impatto sulla situazione mondiale è evidentemente enormemente maggiore e può diventare devastante.

Tanto più che su questa strada si è già immesso il Giappone pronto ad attuare, tramite la propria Banca centrale, un “quantitative easing” di circa 1.200 miliardi di dollari entro il 2013. Tutto ciò malgrado che il debito pubblico giapponese abbia superato il 237% del Pil, ma si tratta di un debito prevalentemente in mano giapponese. L’intenzione del governo di Shinzo Abe è quello di fare uscire il suo paese dalla più che decennale stagnazione. Ma naturalmente la conseguenza è l’abbassamento del valore dello yen sia nei confronti del dollaro, che dell’euro, come dello yuan cinese. Il valore dello yen su dollaro e euro è già sceso del 10%.

In sostanza alla crisi della globalizzazione si risponde in Europa con l’inversione di tendenza dell’unità europea e con una politica di rinazionalizzazione dei bilanci, che peraltro vengono controllati affinché non splafonino tramite i micidiali meccanismi messi in atto dal fiscal compact, mentre nel resto del mondo si accostano politiche espansive con l’apertura di schermaglie o addirittura guerre monetarie.

La Germania si rinchiude sempre più nel suo fortino. Anche la scelta di reimportare nei forzieri tedeschi l’oro sparso per il mondo (pari a circa il 70% delle sue ricchezze aurifere) rientra in questa logica. Come avrebbe detto Keynes i tedeschi si aggrappano alla “barbara reliquia”. Non sono i soli, visto che la Cina, malgrado sia il primo produttore mondiale di oro, ne sta acquistando a tonnellate sul mercato internazionale. Scendendo vorticosamente dal grande al piccolo ben si comprende come i negozietti “compro oro” stiano spuntando come funghi nelle città italiane.

In linea di principio non vi è altra soluzione per uscire da una crisi così lunga e profonda, se non costruendo una nuova governance democratica a livello mondiale, in particolare una nuova Bretton Woods che governi il tramonto auspicabile del dollaro come moneta universale verso una nuova moneta di cambio – secondo il sogno keynesiano – o una sorta di paniere che garantisca il multipolarismo monetario.

Il vaso di coccio è l’Europa. Le scelte dell’altro giorno del Consiglio europeo lo dimostrano. Il parlamento europeo ha su questa materia diritto di veto e il suo Presidente Schulz si è dichiarato contrario. Ma è difficile pensare che ci sia a breve una inversione di tendenza. Questa può derivare solo da una presa di coscienza a livello popolare e delle istituzioni della società civile della centralità e della gravità del problema. Ma se guardiamo alla campagna elettorale di casa nostra, ove di queste tematiche non si è parlato nemmeno per sbaglio, non c’è da essere ottimisti. Non c’è che sperare nel prossimo Forum sociale mondiale previsto per fine marzo a Tunisi, luogo che nel frattempo è diventato il banco di prova di sopravvivenza delle primavere arabe.


http://www.sinistrainrete.info/europa/2 ... zione.html


Tratto da: Austerità, guerre monetarie e crisi della globalizzazione | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2LKqcVYig
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