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MessaggioInviato: 10/03/2013, 15:30 
Un popolo è libero di decidere solo se è correttamente informato...Invece sulle questioni inerenti l'Europa, l'italiano medio non lo è. Un referendum in una condizione di assoluta disinformazione è solo una manovra politica scorretta.



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 15:55 
e quindi? Noi non siamo abbastanza intelligenti per decidere, il governo non può perchè è manipolato dalle banche, chi decide?



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 16:59 
Quindi prima di proporre un referendum su questo tema, si faccia corretta informazione, si ammettano gli errori, si dica che dall'euro si puó e si deve uscire, si preparino piani e proiezioni per far capire alla gente cosa dovremo affrontare e perché, quali sono le alternative e le possibili strategie di uscita. Solo dopo aver fatto quest'operazione capillarmente si può pensare a proporre una consultazione popolare che non generi il caos e il panico dopo la terapia del terrore antieuro che ci é stata propinata per anni



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 18:46 
Cita:
Blissenobiarella ha scritto:

Quindi prima di proporre un referendum su questo tema, si faccia corretta informazione, si ammettano gli errori, si dica che dall'euro si puó e si deve uscire, si preparino piani e proiezioni per far capire alla gente cosa dovremo affrontare e perché, quali sono le alternative e le possibili strategie di uscita. Solo dopo aver fatto quest'operazione capillarmente si può pensare a proporre una consultazione popolare che non generi il caos e il panico dopo la terapia del terrore antieuro che ci é stata propinata per anni


quoto in toto,ma purtroppo abbiamo una cricca di politicanti,che hanno solo la capacita' di mettersi sull'attenti ad ogni starnuto della merkel &c [:(!]


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MessaggioInviato: 10/03/2013, 19:28 
La merkel sta perdendo consensi, il partito antieuro tedesco è guidato da un ottimo economista...in tutta Europa scalpitano perchè i paesi in crisi sono in crisi e quelli in surplus non vogliono prendersi i loro debiti. A questo punto la partita si sta giocando su suolo internazionale, probabilmente ne vedremo presto gli effetti.



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 19:40 
Ma il futuro sostituto della Merkel di che orientamento è? E soprattutto quante possibilità ha la Merkel di essere rieletta? Mi pare che anche in germania le cose inizino ad andare, non dico male, ma meno bene...



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 20:07 
In Germania le cose vanno bene per ora. Però tieni presente che Il concetto di moneta unica si fonda su alcuni meccanismi vincolanti. Uno di questi è il trasferimento di fondi dalle aree più ricche a quelle più povere esattamente come accade qui in Italia tra settentrione e meridione. Ed, esattamente come succede da noi, gli stati in surplus non accettano volentieri di dover pagare per quelli in deficit.

Questa la situazione nel parlamento tedesco:
Schiaffo alla Merkel: il Senato dei Laender boccia il fiscal compact

http://www.lindipendenza.com/schiaffo-a ... l-compact/

di REDAZIONE

L’attenzione e’ ancora puntata sul voto italiano e sul pericolo che la crisi s’inasprisca, ma uno schiaffo alle politiche europee di Angela Merkel e’ arrivato oggi in ‘casa’: quando il Bundesrat, e cioe’ il Senato dei Laender, ha bloccato il fiscal compact. Una mossa politica, in piena campagna elettorale – in Germania si vota a settembre – che ha messo in allarme il governo sui possibili effetti in Europa. L’opposizione di Frau Merkel, rappresentata da socialdemocratici e verdi, ha in questo modo approfittato della maggioranza nella seconda Camera – effetto recente dell’ultima vittoria alle amministrative in Bassa Sassonia – per ostacolare la cancelleria. Una mossa stigmatizzata dal governo, con un appello del ministero delle Finanze alla ”responsabilita”’ nei conforti dell’eurozona. In realta’, i Laender approfittano della situazione, e del valore centrale del patto di bilancio che Angela Merkel ha voluto in Europa, per mettere i loro ‘paletti’, chiedendo soldi. In cambio del carico finanziario che comporta il fiscal compact, le Regioni chiedono di poter ottenere fra i 2,5 e i 3,5 miliardi di euro all’anno, nell’arco di tempo che va dal 2014 al 2019. Una rivendicazione che prolunga i tempi della approvazione, per la quale a questo punto si aprira’ una trattativa in una Commissione di mediazione.

A Berlino, Martin Kotthaus, portavoce del ministro delle finanze Wolfgang Scheuble – il severo fautore dell’Austerity per tenere i conti in ordine – ha aspramente criticato l’atteggiamento delle Regioni. ”Questo non e’ certamente di aiuto alla questione generale di come portare avanti l’Europa in questo percorso – ha affermato -. Faccio appello alla responsabilita’ del Senato federale rispetto alla politica europea e spero che si trovi presto la possiblita’ di una accordo”. Anche il ministro degli Esteri Guido Westerwelle e’ intervenuto definendo la decisione del Bundesrat ”deplorevole”. Il ministro presidente della Renania-Palatinato, Karsten Kuehl, socialdemocratico, ha pero’ replicato che l’accordo trovato nel Bundestag la scorsa estate prevedeva degli impegni non ancora mantenuti. La decisione di oggi ”non ha niente a che fare con un tentativo di ostruzionismo – ha sostenuto – noi vogliamo certezze nella programmazione”. Le risorse rivendicate serviranno ai Laender per la costruzione di strade comunali, scuole superiori, spazi per bambini ed edilizia civile. ”Non dovremmo indebolire il governo tedesco a livello europeo”, ha constatato invece il ministro presidente della Sassonia Stanislaw Tillich (Cdu), criticando l’esito della seduta. Non e’ la prima volta che il fiscal compact e’ a rischio proprio nel Paese che piu’ lo ha voluto in Europa: impugnato da diversi oppositori di Frau Merkel fu oggetto di una verifica dell’alta Corte di Karlsruhe, che poi diede il via libera lo scorso autunno, legittimando il Meccanismo europeo di stabilita’ ESM. La campagna elettorale e le difficolta’ di un quadro politico interno sempre piu’ insidioso & 8211; con un consenso federale granitico per la cancelleria, la cui coalizione di governo e’ pero’ finita in minoranza al Senato & 8211; si fanno sentire anche su Angela Merkel. Aldila’ del blocco che potrebbe esser temporaneo sul Patto di bilancio, quello di oggi e’ un chiaro segnale politico: l’opposizione non avra’ piu’ un approccio collaborativo, almeno fino alle elezioni.



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 20:08 
Leggete questo perchè merita davvero.... [;)]

Un'altra volta, i tedeschi ci danno lezioni di sovranità

Immagine

http://www.byoblu.com/post/2013/03/08/U ... x#continue

di Valerio Valentini

Per oltre un anno, in Italia, abbiamo accettato le folli politiche di austerità imposte dalle élite finanziarie. Lo abbiamo fatto perché tutti i giornali e le televisioni ci ripetevano che l’Europa chiedeva rigore e sacrifici, e che una nostra opposizione avrebbe messo in crisi gli equilibri economici e politici dell’intero continente. Era impossibile, del tutto impensabile percorrere un’altra strada per uscire dalla crisi.

E invece cosa succede? Proprio il Paese più severo, quello che ha dettato ai maiali l’agenda dell’austerità, ha dimostrato la settimana scorsa che certi provvedimenti incostituzionali possono e devono essere bloccati. O, quantomeno, rimessi in discussione. E lo ha fatto per la seconda volta, dopo avere in precedenza ridefinito e limitato il potere del MES, la potente organizzazione che gestisce il fondo Salva Stati, dichiarandone incostituzionali molte sue parti centrali, mentre i nostri "rappresentanti" firmavano tutto in nostro nome, nel silenzio generale dei media, svendendo gli ultimi residui di sovranità come un venditore di aspirapolveri smaltisce le ultime scorte di magazzino.

Il primo marzo scorso, il Bundesrat (il senato delle regioni tedesco) si è opposto all’approvazione del Fiscal Compact, voluto e sostenuto dalla CDU di Angela Merkel, dopo che già il Bundestag aveva dato il suo assenso, alla fine del 2012. A prevalere è stata la coalizione composta da Verdi, Social Democratici e partito della Sinistra, che da poche settimane detiene (per la prima volta dal 1999) la maggioranza dei seggi (36 su 69) alla Camera dei Lander, dopo che proprio i Verdi hanno vinto le elezioni regionali nella Bassa Sassonia. Ora il disegno di legge verrà ridiscusso da una commissione di mediazione parlamentare, che deciderà su eventuali modifiche da apportare.

La scelta dell’opposizione di seguire la linea dura è stata evidentemente influenzata dall’imminenza delle prossime elezioni nazionali di settembre: si è voluto lanciare un segnale chiaro contro le politiche di austerità imposte dalla destra (in Germania la sinistra usa fare così). Verdi e Socialdemocratici hanno riportato un’ulteriore successo nei confronti della cancelliera Merkel, ottenendo l’approvazione sia di un disegno di legge che prevede l’introduzione di una tariffa minima legale per i lavoratori di 8,50 Euro all’ora, sia di un altro provvedimento volto ad equiparare lo status legale e fiscale delle coppie omosessuali a quello delle coppie eterosessuali. I portavoce dei partiti di opposizione sono stati concordi nel ribadire la necessità di introdurre misure volte ad evitare eventuali forme di sfruttamento dei lavoratori sottopagati, soprattutto in un momento di crisi, e ad annullare qualsiasi tipo di discriminazione (in Germania la sinistra fa così).

Ovviamente per Angela Merkel si è trattato di un triplice smacco, che ha messo in agitazione molti esponenti del suo partito. Nonostante, infatti, la sua coalizione conservi una solida maggioranza nel Bundestag, che probabilmente consentirà di correggere o bocciare i provvedimenti sgraditi, in molti, all’interno della CDU, continuano a guardare con timore al crescente risentimento nei confronti delle politiche comunitarie dettate da Bruxelles e da Francoforte. Il governatore della Sassonia Stanislaw Tillich, alleato della Merkel, ha dichiarato che la Germania dovrebbe mandare un segnale di forza ed affidabilità all’Europa, soprattutto in un momento di incertezza sugli sviluppi futuri che si è aperto dopo le elezioni in Italia. È per questo, secondo Tillich, che il tentativo dell’opposizione di indebolire il governo Merkel è quantomai deplorevole: “non dovrebbe esserci alcuna esitazione, da parte nostra, nel pretendere disciplina fiscale dagli altri Paesi europei”, ha dichiarato di fronte al Bundesrat. Da più parti, immediatamente, si sono levati appelli alla “responsabilità rispetto alla politica europea” (vi ricorda qualcosa?), come quello lanciato dal portavoce del Ministro delle Finanze, Martin Kotthaus.

L’opposizione, però, non si è lasciata condizionare. Quello che Verdi e Social Democratici chiedono, infatti, è l’emissione di bond federali-statali (lo stesso principio degli Eurobond, insomma, applicato ai vari Lander tedeschi) che aiutino a ridurre il debito delle regioni. Un provvedimento, questo, che era stato promesso dal Ministro delle Finanze Schaeuble durante le contrattazioni per ottenere il consenso del Bundesrat, ma che non è stato sinora approvato.

Il risultato finale, comunque, è che per ora la Germania respinge il Fiscal Compact. Ci si ritrova, dunque, nella paradossale situazione per cui lo Stato che più d’ogni altro aveva sostenuto questo provvedimento a livello europeo, imponendolo di fatto a 25 dei 27 membri dell’UE, ora si mostra estremamente riluttante nell’approvarlo. L’Italia, manco a dirlo, è stata uno tra i più solerti dei 12 Stati che già lo hanno ratificato, senza che nessuna discussione al riguardo avvenisse né in Parlamento né sui media. Obbedire e tacere: è stata questa la logica dominante. Oltre, ovviamente, a quella di condannare le sparute voci critiche. Ed è così che ci ritroveremo a pagare una cifra che oscillerà tra i 50 e i 70 miliardi all’anno, per i prossimi vent’anni.



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MessaggioInviato: 10/03/2013, 20:20 
Si, anche la Germania ha i suoi "irresponsabili" [:D]



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MessaggioInviato: 11/03/2013, 13:26 
Ue, i croati non vogliono saperne: “Nuovo referendum”

Rodolfo Toè - L’anno scorso avevano detto sì. Ora i referendari ci riprovano in extremis per sfuggire a Bruxelles



ZAGABRIA – Non c’è solo Grillo a proporre “referendum sull’euro” e a invocare una maggiore democrazia diretta. In Croazia, il Paese che diventerà il ventottesimo stato membro dell’Unione Europea a partire dal primo luglio, un comitato (Referendumski Ustanak, “rivolta del referendum”) sta cercando di organizzare un referendum per chiedere alla popolazione di esprimersi sull’ingresso nell’Unione. Il Premier croato, Zoran Milanovi#263;, aveva già organizzato una consultazione popolare sulla questione nel febbraio 2012. Aveva vinto il ’sì’ a Bruxelles, ma l’affluenza era stata bassissima. Meno del 50% degli aventi diritto al voto aveva deciso di pronunciarsi.

Cosa è cambiato da allora? Nell’ultimo anno, il Paese è scivolato gradualmente nella morsa della crisi economica, provocata soprattutto dalla stagnazione dell’eurozona. In tre anni, il Pil è diminuito dell’8,7%. I disoccupati in Croazia, a gennaio 2013, rappresentavano circa il 22% del totale. A questo si sono aggiunte le misure di austerità del governo e i downgrade successivi delle principali agenzie di rating. Per Moody’s e Standard & Poor’s i titoli del debito croato sono già spazzatura.

Di fronte a questo scenario desolante, il comitato referendario si sta battendo per cercare di riportare le questioni fondamentali per il Paese al centro del dibattito pubblico. I quesiti proposti sono drastici: annullamento della legge sulle privatizzazioni degli anni Novanta; proibizione di ulteriori cessioni della proprietà pubblica; messa al bando degli Ogm nel Paese. Oltre, naturalmente, alla domanda fondamentale: «Volete diventare il ventottesimo membro dell’Unione?».
Linkiesta ha incontrato i promotori di Referendumski Ustanak:

Un referendum sull’Ue l’avete già avuto, nel gennaio 2012. Perché chiederne un altro? Cosa è cambiato in questi mesi?
Ci sono moltissimi motivi per organizzare questo referendum, non ultimo l’approssimarsi della fatidica data del 1 luglio. Il primo referendum sull’Unione fu una farsa. Innanzitutto, venne organizzato nel 2011, e non nel 2003, quando la Croazia chiese l’ingresso; e nemmeno nel 2005, quando cominciarono i negoziati. Per far andare a buon fine il referendum, il Governo cambiò addirittura la legge, in modo da annullare il quorum del 50% e rendere efficace la votazione anche con una partecipazione più bassa. Di fatto, solo il 44% degli aventi diritto si recò alle urne. Ma dal punto di vista legale fu abbastanza.
Prima del voto, fummo sommersi di propaganda. I media non davano alcuno spazio alle voci di dissenso. Era impossibile ottenere un’informazione imparziale e ragionata. Durante la stessa votazione, ci furono molte denunce di irregolarità e manipolazioni, ma non se ne fece nulla. Era già deciso che il referendum dovesse avere un esito favorevole. Era già programmato dai nostri politici; quello dell’anno scorso fu semplicemente uno spettacolino organizzato per la cittadinanza. Nel frattempo, molte cose sono cambiate in Europa. Un numero crescente di persone si rende conto di quello che comporta diventare membri dell’Unione.

Da chi è composto il vostro movimento?
Da cittadini. Di tutte le età, con differenti professioni, attitudini, orientamenti politici… siamo un gruppo molto eterogeneo, che ha voluto riconoscere la necessità di mettere al di sopra delle proprie divergenze un obiettivo comune: rimediare agli errori e alla mala fede della nostra élite politica, perché i loro interessi ormai sono diventati gli unici a contare, molto più di quelli della gente comune.
Per questo motivo chiediamo maggiore democrazia diretta, intesa non come concetto astratto, ma come l’unico modo che il popolo ha oramai di esercitare la propria sovranità, senza delegarla a dei politici che ne hanno chiaramente tradito la fiducia. I nostri cosiddetti “rappresentanti” hanno fallito, e i croati sono stanchi dei loro giochini. La cosa più importante, per noi, è che tutte queste persone insoddisfatte hanno capito che il referendum è un mezzo molto più efficace delle proteste di strada per far sentire la propria voce.

Perché essere contro l’Unione Europea adesso?
Noi non siamo contro l’Unione europea tout court, ci tengo a sottolinearlo. Noi vogliamo soltanto che la Croazia abbia la possibilità di esprimersi su questo tema in modo legale. Certo negli ultimi mesi molte cose sono cambiate per noi, nella nostra economia e nella nostra percezione dell’opportunità di unirci a Bruxelles. Tuttavia, ti sorprenderà sapere che nel nostro movimento ci sono molti convinti europeisti.
Chi sdegna l’Europa ha le sue ragioni. Prima di tutto, la preoccupazione per la diminuzione degli standard di vita, l’innalzamento dei prezzi e la possibilità concreta che la nostra produzione agricola e industriale possa essere spazzata via dalla concorrenza nel mercato unico. Aggiungici pure il timore, più che fondato, che le privatizzazioni possano tradursi in un vero saccheggio del patrimonio naturale del Paese, e che le tecnocrazie a Bruxelles non riusciranno a prendere decisioni concrete nel nostro interesse. Molta gente in Croazia è preoccupata che il Paese possa diventare una colonia soggetta alla potenza delle principali nazioni e banche europee. Non desideriamo perdere l’indipendenza che conquistammo a caro prezzo vent’anni fa. Guarda quello che è successo in Spagna o in Grecia. Non vogliamo che questo debba succedere a noi.

Pensate che far parte dell’Europa ridurrà il vostro potere come cittadini? Pensate che l’Ue sia compatibile con la democrazia?
Quello di perdere la nostra sovranità è un pericolo reale, di cui siamo consci. Non solo in un contesto europeo, anche in quello statale. Succede ogni qualvolta deleghi il tuo potere a qualcun altro che dovrebbe, teoricamente, rappresentarti. Il nostro comitato ha anche questo obiettivo, aumentare la consapevolezza e l’impegno politico dei cittadini. Molte persone rinunciano ad esercitare i loro diritti, per mancanza di interesse o, peggio ancora, per pigrizia. Quindi intendiamoci: non si tratta tanto di preferire un Governo di Zagabria rispetto a quello di Bruxelles. La sovranità popolare è già ridotta, oggi, nel nostro Paese. Se i Croati riusciranno a risollevarsi, tutti insieme, come popolo, questo sarà di grande aiuto anche agli altri paesi europei. Sta al popolo fare una differenza.

Come si vive in Croazia in questo momento? Cosa pensano i giovani a proposito dell’Europa e del loro futuro?
Tra i giovani le opinioni sono contrastanti. Chi vede l’Europa come un’opportunità lo fa soprattutto perché vuole emigrare. Viceversa, chi è ostile a Bruxelles lo è perché vorrebbe avere un futuro in Croazia, fare la differenza nel proprio Paese.
La vita per noi è diventata indiscutibilmente più dura. Ma è quello che avviene in buona parte d’Europa, ad ogni modo. La classe media sta sparendo e la forbice tra classi agiate e povere sta ampliandosi. Molta gente deve indebitarsi per vivere. Ci sono enormi differenze geografiche all’interno della stessa Croazia. Da una parte ci sono le aree turistiche, che sono ovviamente più sviluppate. Dall’altra regioni più povere, come Lika o la Slavonia, dove la disoccupazione cresce di giorno in giorno e le imprese sono costrette a chiudere. C’è gente che aspetta il proprio salario da più di sei mesi. La grandi industrie sono in crisi profonda, mentre le piccole sono soffocate da tasse e burocrazia.

Siamo onesti: ci sarà, questo referendum? Ve lo lasceranno fare? È questa la vostra ultima possibilità contro la minaccia delle "tecnocrazie" e la globalizzazione?
Bruxelles e i suoi tecnici sono già qui. Possiamo resistere a questi assalti, ma è necessario un risveglio collettivo - e non sto pensando solo alla Croazia. Credo che le nostre possibilità siano molto limitate. La decisione di entrare in Unione europea è già stata presa molto tempo fa, la nostra opinione non interessa. Ma in ogni caso il nostro obiettivo sarà realizzato – abbiamo dato una scossa alla cittadinanza.

Credi che la Croazia abbia altre opzioni al di fuori dell’Unione Europea?
Dobbiamo innanzitutto pensare a noi stessi. Ripulire casa nostra, realizzare la democrazia diretta. Poi ci chiederemo che direzione prendere.

Perché la Croazia vuole entrare in Europa, dopo ciò che è successo in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, e quello che potrebbe succedere in Italia o nella vicina Slovenia?
Bella domanda. Dovresti porla ai nostri politici.

La Germania è sempre stata dalla parte di Zagabria, ma è una delle poche nazioni a non avere ancora ratificato il vostro trattato di adesione. Ultimamente, poi, le voci critiche al riguardo da parte di Berlino si sono moltiplicate. Come mai?
In queste manovre diplomatiche c’è molto più fumo che arrosto, credimi. E poi in fondo avrebbero anche ragione i tedeschi a preoccuparsi: non ha senso per un’Unione già in preda al caos di accettare tra i propri membri un Paese che evidentemente non è ancora pronto a esserlo.

Quanto è cambiato il vostro Paese negli ultimi vent’anni? Davvero vi mancano i giorni della Jugoslavia socialista?
La Croazia è cambiata molto, nel bene e nel male. In passato i diritti sociali erano più tutelati, l’economia funzionava. Non c’erano tutti questi centri commerciali, avevi più soldi in tasca. Certo, d’altra parte, la democrazia era un concetto del tutto astratto. C’era molta speranza alla fine della guerra negli anni novanta. Eravamo fiduciosi che il futuro sarebbe stato dalla nostra parte. Ora abbiamo capito che dobbiamo lavorare in prima persona per costruirlo. Nel complesso, Tito non ci manca. La Jugoslavia aveva anche il suo lato oscuro.

Quale è l’opinione dei Croati: possiamo riformare l’Europa? O è soltanto un progetto da abortire?
Possiamo riformare l’Europa. Anzi, dobbiamo farlo. Dipende da noi.

http://www.linkiesta.it/referendumski-u ... z2NAcGDXs3



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Il fiscal Compact è illegale! [:D] [:D] [:D]

Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale

Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.

Il guaio, dice Guarino a Marco Valerio Lo Prete, che l’ha intervistato per il “Foglio”, è che nessuno, in Italia, osa neppure contraddirlo: semplicemente, i “malati” fingono di ignorare la diagnosi del “medico”. Il professor Guarino esibisce cifre imbarazzanti: l’Europa dell’Eurozona sta continuando a franare, fino a crollare. Un destino segnato in partenza: «Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del Pil era stata del 3,86% in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia». Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione Europea, sono invece impietose: «La Francia scese all’1,7%, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto». E i dati che vanno dal 1999 al 2011, aggiunge Guarino, sono addirittura drammatici: «La media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61%, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale».

La causa? Va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Unione Europea in generale: «Non esiste precedente storico di Stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio». Vincoli – insiste Guarino – imposti illegalmente. Fino all’incredibile Fiscal Compact, firmato nel marzo 2012 dopo esser stato negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. Fiscal Compact che, all’articolo 3, introduce l’obbligo, per gli Stati, di mantenere «in pareggio o in avanzo» la posizione di bilancio della pubblica amministrazione. Norma suicida, avvertono gli economisti neo-keynesiani come Krugman e Stiglitz: tagliando la spesa pubblica, va a rotoli l’intero sistema economico, incluso il settore privato, come la realtà quotidiana si sta incaricando di dimostrare. In più, aggiunge Guarino, il Fiscal Compact è addirittura «inapplicabile», alla lettera, perché è scritto che può essere davvero applicato «soltanto finché compatibile “con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea”». Problema: pur molto restrittivi, i trattati costitutivi dell’Ue non arrivano a vietare la possibilità di indebitarsi.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, «fissa al 3% il limite che l’indebitamento non può superare», ricorda Guarino. «Il Fiscal Compact, invece, riduce il limite a zero punti». In altre parole, il Fiscal Compact «sopprime la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama». Forse, osserva Guarino, il Fiscal Compact è stato una “scorciatoia”, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. «Fatto sta che questo trattato rimane illegale: non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona». Quell’obbrobrio giuridico, primo responsabile delle spietate politiche di rigore che stanno letteralmente piegando le economie del Sud Europa, è estraneo persino al diritto fondamentale europeo, perché «l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio».

Per Guarino, l’aggiramento delle leggi grazie a normative varate sottobanco è un po’ il “vizietto” delle autorità europee: fino al 6 dicembre 2011, giorno d’entrata in vigore dell’attuale Regolamento numero 1175, era già stato applicato un altro regolamento «viziato da incompetenza assoluta», il numero 1466 del 1997. Quell’anno, proprio mentre si concludeva la fase transitoria che avrebbe dovuto rendere più omogenee tra loro le economie dell’Eurozona in vista dell’introduzione della moneta unica, «la Commissione si arbitrò di sostituire l’articolo 104 C del trattato dell’Unione Europea con due regolamenti, uno dei quali è appunto il 1466 del ‘97». In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente, cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni.

«I ministri della Repubblica italiana continuavano a parlare di “parametri di Maastricht”», protesta Guarino, ma «in realtà operavano ottemperando a vincoli ancora più stringenti». Il pareggio di bilancio anticipato in modo semi-clandestino dal regolamento del ’97? Fu «un attentato alla Costituzione europea», ad opera di membri della stessa Commissione, tra i quali oltretutto figuravano Mario Monti, “ministro” europeo per le regole sulla concorrenza, e la stessa Emma Bonino: incaricata di occuparsi di politica dei consumatori, pesca e addirittura aiuti umanitari, proprio mentre Bruxelles varava misure che avrebbero provocato la catastrofe umanitaria della Grecia e il tracollo socio-economico degli altri Piigs, causando l’incredibile retrocessione di una potenza industriale come l’Italia. La motivazione di quella mossa? Forse doveva servire da “pungolo” per condizionare gli Stati meno rigorosi, in vista della convergenza verso l’adozione dell’euro: «Si trattò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti», cioè estorti, e senza mai la necessaria trasparenza, né una vera validazione democratica, tantomeno referendaria.

E’ lo stesso schema che oggi si ripete per il giro di vite finale, quello più drammatico, imposto da Fiscal Compact che condanna l’Italia a tagliare di tutto, dalle pensioni alla scuola, dagli enti locali alla sanità, precipitando il paese nell’abisso della povertà e dell’insicurezza sociale. Nel 1997, ribadisce Guarino, fu un semplice regolamento burocratico ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione Europea che si arrogò il diritto di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o addirittura in attivo. Nel 2012, firmato il Fiscal Compact sul rigore assoluto di bilancio, grazie alle fortissime pressioni della Germania guidata da Angela Merkel, Bruxelles «ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175 del 2011». Ma attenzione, lo strapotere tedesco è miope: «Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantaggiarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza».

Secondo Guarino, si impone una svolta: per salvare l’economia, ma anche “in nome della legge”. Ovvero: «Il Fiscal Compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio». Quanto alla possibile reazione dei “mercati”, cioè il potere di ricatto dello spread, Guarino parla di «grande imbroglio» e rivela che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere semplicemente «muovendo una decina di miliardi di euro». Speculazione pura, manipolazione politica persino a buon mercato. Così, Guarino suggerisce la prima mossa da compiere, per un esecutivo davvero responsabile: «Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al 3% del Pil». Questo, in base alle attuali norme – che il Fiscal Compact calpesta. Senza contare che i rivolgimenti politici in corso, a partire dall’Italia, potrebbero costringere la Germania e tutta l’Unione Europea ad archiviare per sempre l’ideologia suicida del taglio della spesa pubblica, se si vuole davvero una “ripresa” dell’economia e dell’occupazione che scongiuri, per l’Europa, il ripetersi di scenari come quelli che portarono alla Seconda Guerra Mondiale.

http://www.libreidee.org/2013/03/fiscal ... -illegale/



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MessaggioInviato: 12/03/2013, 22:39 
Cita:
Blissenobiarella ha scritto:

Il fiscal Compact è illegale! [:D] [:D] [:D]

Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale

Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.


Ottimo.... speriamo in un azzeramento... emhm... forzato... [:D]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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http://www.wallstreetitalia.com/article ... -euro.aspx


[:280] [:280] [:280]



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MessaggioInviato: 12/03/2013, 23:52 
L'Europa dei banchieri inizia a traballare,staremo a vedere gli sviluppi ma credo sia partita una carambola inarrestabile...

IL mal contento è evidente un pò ovunque,anche se è ancora presto per dirlo mi sa che questo euro/disaster stia per finire...


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MessaggioInviato: 15/03/2013, 20:38 
L'IRLANDA SI RIPRENDE PARTE DELLA SUA SOVRANITA'
Postato il Giovedì, 14 marzo @ 18:06:43 CDT di Truman




DI PIERO VALERIO
Tempesta-perfetta

Che l’eurozona sia nel caos ormai è un dato di fatto. La mancanza di un governo centrale capace di prendere decisioni univoche e chiare (e magari anche razionali e comprensibili, che non guasta) si sta facendo sentire proprio adesso che bisogna fare delle scelte e nessuno sa bene chi sia autorizzato a farle. In mezzo a questo putiferio istituzionale l’Irlanda nel silenzio più assoluto dei media (perché parlare di cose importanti, ci sono tante belle scemenze di cui parlare? Gli occhi di Berlusconi, le lacrime di Bersani, le bacchettate di Grillo, l’elezione del papa, insomma per i cialtroni dell’informazione c’è solo l’imbarazzo della scelta), la piccola Irlanda ha fatto una mossa che potrebbe mettere presto in crisi il colosso d’argilla europeo e nessuno sembra avere la capacità di cambiare gli eventi. La Commissione Europea scarica il compito alla BCE e la BCE, a sua volta, per bocca del suo governatore Mario Draghi, passa la patata bollente al Consiglio Direttivo, che a quanto pare sul caso specifico dell’Irlanda dovrà pronunciarsi entro la fine dell’anno.

In questo contesto di confusione assoluta, il governo irlandese guidato dal primo ministro Enda Kenny (foto a sinistra) pare sia l’unica istituzione ad avere le idee chiare e abbia deciso di continuare ad andare avanti per la sua strada, in attesa che qualcuno si decida a pronunciarsi chiaramente sul da farsi. Il risultato odierno è un passo storico sulla strada per la ripresa economica" ha detto trionfante al Parlamento di Dublino Kenny qualche giorno fa "Questa manovra assicura la futura sostenibilità finanziaria dello stato".

Ma cosa ha fatto di così rivoluzionario ed epocale Kenny? Si tratta di un’ennesima bufala o fregatura per i cittadini, oppure questa decisione aiuterà concretamente la ripresa di uno stato a pezzi? Andiamo con ordine perché la posizione attuale dell’Irlanda è molto delicata. Malgrado tutti i plausi pervenuti da ogni parte, da Bruxelles e Berlino in particolare, per il rigore teutonico con cui l’Irlanda ha seguito il suo programma di austerità, fatto principalmente di licenziamenti nel settore pubblico e tasse, la situazione del paese è ancora drammatica, con l’economia che ristagna e la disoccupazione che si attesta intorno al 14%. Senza considerare tutti i massicci movimenti migratori dei giovani ragazzi irlandesi verso l’Australia, soprattutto. Una catastrofe sociale che come i meglio informati sanno non è dovuta affatto all’eccesso di debito pubblico, agli sprechi o alla corruzione della classe politica, ma alle sciagurate gestioni fallimentari di un ristretto manipolo di banchieri privati, appoggiati e spalleggiati ovviamente dai politici locali, che nel giro di pochi anni sono riusciti a sommergere di debiti l’intero paese. Chi ancora ha dei dubbi su come si sia sviluppata e quale sia la vera origine della crisi finanziaria che attanaglia oggi l’eurozona, dovrebbe studiare meglio il caso dell’Irlanda che è sicuramente il più emblematico di tutti. E con qualche piccola variante, dovuta alla minore o maggiore compartecipazione del settore pubblico, applicarlo poi agli altri paesi PIIGS. Italia compresa.

Ma vediamo innanzitutto a grandi linee quali sono gli elementi e gli eventi principali che caratterizzano il caso irlandese. Prima dello scoppio della bolla speculativa dei titoli subprime americani del 2008, l’Irlanda era a detta di tutti il paese più “virtuoso” d’Europa per quanto riguarda i conti pubblici: aveva raggiunto il pareggio di bilancio fra entrate e uscite e il suo debito pubblico era sceso addirittura sotto il 40% del PIL. Il regime di defiscalizzazione degli investimenti, con una tassazione media del 12% fra le più basse del mondo, aveva convinto molte multinazionali (Google è soltanto la più famosa, ma ci sono anche IBM, Apple, Xerox, Intel) a prendere sede in Irlanda, per godere dei vantaggi di arbitraggio concessi dalla globalizzazione. I nuovi capitali che arrivavano a fiumi in Irlanda, oltre a dare la parvenza di un paese sviluppato con bassa disoccupazione, avevano ingrossato anche i depositi presso le banche locali che prese dall’euforia si erano lanciate con entusiasmo nel campo degli investimenti speculativi in titoli derivati, soprattutto americani, e nell’attività creditizia interna nel settore immobiliare. Insomma fra l’acclamazione generale si stavano creando le premesse per la nascita di una piccola bolla bancaria all’interno della più grande bolla finanziaria che intanto si stava minacciosamente gonfiando a livello internazionale.

Attirate dagli alti rendimenti, le banche tedesche e francesi non avevano lesinato a sua volta ad investire in titoli delle banche irlandesi, mantenendo in piedi uno schema finanziario molto fragile, perché sostenuto appunto dai capitali e dagli investimenti esteri e non dai risparmi interni. E così mentre il debito pubblico scendeva rapidamente, il debito estero, contratto soprattutto dal settore bancario privato, continuava ad ingigantirsi senza che nessuno suonasse mai il campanello di allarme. Anzi, gli analisti finanziari più esperti si sperticavano in una serie interminabile di elogi per il modello di sviluppo applicato in Irlanda, presentandolo al mondo come un esempio da seguire per molte altre nazioni che stentavano a far ripartire l’economia. L’Irlanda era chiamata la “Tigre Celtica”, proprio per la sua intraprendenza nel campo finanziario, cosa che in effetti avrebbe dovuto preoccupare e insospettire qualcuno dei residenti visto la fine che avevano fatto le “Tigri Asiatiche” dopo lo scoppio della bolla speculativa del 1997. Ma gli analisti finanziari come si sa hanno la memoria corta, soprattutto quelli che lavorano all’interno di grandi gruppi bancari e finanziari e devono tenere alto il valore degli investimenti fatti dalle rispettive società di appartenenza. Importante in questi casi è non rimanere mai l’ultimo con il cerino in mano quando scoppia la bolla, ma fino a quando gli affari si gonfiano bisogna soffiare aria fritta e parole a vanvera con tutta l’energia e la credibilità possibile.



Il momento di smobilitare gli investimenti fatti in Irlanda arrivò appunto nel settembre 2008, quando a causa della crisi dei titoli subprime americani, le sei maggiori banche del paese, fra cui la Anglo Irish Bank e la INBS (Irish Nationwide Building Society), si trovarono strette in una doppia morsa di crisi di solvibilità e liquidità, dato che gran parte delle attività finanziarie e immobiliari si erano deprezzate drasticamente e chi era ancora in tempo aveva provveduto a prelevare i suoi depositi per riportarli all’estero. Per impedire che iniziasse una furibonda corsa agli sportelli, il governo irlandese si vide costretto ad apporre la garanzia statale sui depositi delle banche intervenendo pesantemente per evitare il collasso e fornire il salvataggio pubblico necessario. E qui finisce la storia della virtù pubblica dell’Irlanda, che da stato “virtuoso” cominciò ad essere additato dai soliti analisti come uno stato spendaccione, un maiale, alla stregua degli altri PIIGS dell’eurozona (pochi ebbero la decenza e il pudore di spiegare che il governo irlandese era intervenuto soprattutto per salvare gli investimenti delle banche tedesche e francesi, che in caso contrario avrebbero subito ingenti perdite). Ma per capire meglio le dimensioni del debito estero accumulato dall’Irlanda, guardiamo il grafico sotto diviso per categorie (investimenti diretti, investimenti di portafoglio, debiti bancari e finanziari, banca centrale): già nel 2010, il debito estero complessivo ammontava a €1,73 trilioni circa, ovvero 10 volte maggiore del PIL del paese di €173 miliardi. Una situazione molto preoccupante, che non si discostava affatto da ciò che stava accadendo intanto in Spagna, Portogallo e Grecia.





Ovviamente, e per fortuna, l’Irlanda ha anche un credito estero, dal cui saldo derivava una posizione netta sull’estero passiva superiore al 90% del PIL (quindi ben oltre il livello di guardia fissato dai più autorevoli economisti intorno al 50% del PIL). Nel 2010, il governo irlandese ormai alle corde, impossibilitato a finanziarsi sui "mercati" a rendimenti accettabili, si vide costretto a chiedere un piano di salvataggio internazionale da €67,5 miliardi all’Unione Europea, alla BCE e al FMI. In particolare i €30,6 miliardi concessi dalla BCE dovevano servire per il salvataggio diretto delle due banche più in crisi, la AIB e la INSB, che furono fuse in un’unica banca chiamata IBRC (Irish Bank Resolution Corporation). Gli investitori stranieri furono così tutelati senza alcuna perdita e ricevettero la garanzia del ritorno del 100% del loro investimento iniziale, mentre tutto il peso della cattiva gestione delle banche irlandesi ricadde sul governo e indirettamente sui cittadini, che furono penalizzati con un notevole aumento della pressione fiscale e un taglio netto della spessa pubblica, che comportò migliaia di licenziamenti nel settore statale. In finanza accade sempre questo strano fenomeno: chi investe grosse somme non perde mai, mentre chi scommette poco o non ha mai messo piede in una banca e non sa nemmeno cosa sia la borsa deve pagare per i primi. E così, gravati da questa pesante passività, i conti pubblici andarono in rovina, il surplus faticosamente raggiunto prima del 2008 passò a diventare un deficit pubblico, che dal disastroso -30,9% del 2011 è passato al -8,2% attuale (grafico sotto). Anche perché come capita spesso in questi casi oltre alle maggiori uscite per il salvataggio pubblico delle banche il governo dovette assistere ad un calo delle entrate tributarie dovuto al crollo del reddito nazionale.





Il programma di assistenza, Emergency Lending Assistance (ELA), negoziato dal governo con la Banca Centrale d’Irlanda, prevedeva in cambio della liquidità necessaria per far funzionare la nuova banca IBRC la firma e la consegna di vere e proprie cambiali (Promissory Note) pagabili dal governo in 20 anni. Il piano di rientro era così composto: €3,1 miliardi ogni anno per 12 anni (il 2% del PIL nazionale), €2,1 miliardi nel 2024, quindi €0,9 miliardi per 5 anni e infine €0,1 miliardi a saldo nel 2031, con un interesse complessivo associato all’operazione di €17 miliardi che il governo avrebbe dovuto corrispondere durante tutto il corso dei venti anni. Con le solite tasse e i tagli alla spesa pubblica. Di conseguenza il debito pubblico, sotto il peso di questo macigno, è sprofondato dalla sua iniziale quota “virtuosa” inferiore al 30% agli oltre 100% del PIL attuali (grafico sotto), facendo allarmare sia i politici che i cittadini sulla reale sostenibilità dell’intera manovra di salvataggio bancario. Anche perché a più riprese, la protesta dei cittadini si è fatta sentire rumorosamente, sia con manifestazioni contro le crescenti tasse che con proteste di piazza contro i banchieri truffatori e i governanti compiacenti.







Ma a questo punto comincia la parte più interessante del racconto. Già ad inizio gennaio del 2013, il premier Kenny intraprende i suoi primi viaggi della speranza verso Bruxelles e Francoforte per trovare nella Commissione Europea o nella BCE degli interlocutori validi per ritrattare l’intero programma di rientro. La situazione già precaria dell’economia irlandese che mostrava qualche timido cenno di ripresa non poteva essere appesantita con i previsti prelievi annuali e secondo Kenny era più che mai necessaria una ristrutturazione del debito per consentire un atterraggio più morbido e allungare il piano generale di rimborso. Tuttavia il classico balletto dello scaricabarile inscenato dagli inconcludenti tecnocrati europei unito all’avvicinarsi della data del 31 marzo in cui l’Irlanda avrebbe dovuto rimborsare la sua quota annuale, hanno convinto Kenny a prendere una decisione perentoria.




Il governo irlandese scambierà le cambiali in scadenza possedute dalla Banca Centrale d’Irlanda con titoli del debito pubblico con tempi di maturazione media superiori a 34 anni, in cui le maggiori quote di rimborso sono previste per il 2038 e il 2053. Per la prima volta, uno stato non più sovrano dell’eurozona se ne è infischiato di attendere le decisioni degli sfaccendati e stralunati tecnocrati di Bruxelles e ha fatto una scelta a tutti gli effetti “sovrana”, che contrasta vistosamente con i trattati europei e in particolare con il famigerato articolo 123 che impedisce alle banche centrali dell’eurozona di finanziare direttamente i rispettivi governi. Il precedente prestito si è trasformato insomma in una forma più o meno camuffata di monetizzazione del deficit pubblico: soldi freschi della banca centrale in cambio di titoli di stato, anche se poi questi soldi non servono per alimentare la spesa del governo ma sono stati già convogliati nelle casse delle banche fallite. In ogni caso, questo legame diretto fra governo e banca centrale rappresenta un vero abominio e un affronto per la tecnocrazia europea, che proprio su questa inconsueta e ancora incomprensibile cesura aveva fondato le basi del suo primato oligarchico e antidemocratico.

Interrogato sullo smacco irlandese dai giornalisti nell’ultima conferenza stampa di inizio marzo, il governatore della BCE Mario Draghi non senza qualche imbarazzo ha riferito di avere preso nota di ciò che sta accadendo in Irlanda, riservandosi di rivedere con calma l’intera faccenda insieme agli altri membri del Consiglio Direttivo della banca centrale di Francoforte. Ad ogni modo, Draghi ha fatto capire che la questione riguarda ormai i rapporti interni fra il governo irlandese e la Banca Centrale d’Irlanda, mentre le presunte irregolarità inerenti il rispetto dell’articolo 123 verranno analizzate con la dovuta scrupolosità entro la fine dell’anno. Nulla però Draghi ha detto riguardo la questione di fondo che soggiace all’intera vicenda e lo stesso Kenny ha spesso accennato in modo velato, con tutte le cautele del caso (non sia mai svegliare i cittadini e spiegargli apertamente quale sia il vero significato dei soldi oggi: i politici sono pur sempre i camerieri dei banchieri, o no?), in pubblico: ma se i soldi prestati dalla BCE al governo irlandese vengono creati dal nulla, perché i cittadini dovrebbero svenarsi e privarsi dei loro risparmi per rimborsare del denaro che una volta rientrato alla base verrebbe distrutto o bruciato? Che senso ha mettere in ginocchio un’intera nazione per dei semplici bit elettronici o delle voci contabili all’interno del bilancio di una banca centrale? Non sarebbe più giusto che la parte di debito dovuto alla BCE venisse in qualche abbonata o decurtata, lasciando intatta solo la quota prestata dal FMI?


Ovviamente di fronte a questi scottanti interrogativi i funzionari della banca centrale tedesca Bundesbank sono sobbalzati all'unisono e hanno fatto una corale levata di scudi, ricordando che il compito principale della banca centrale deve essere il controllo dell’inflazione e pur di mantenere bassa l’inflazione, la gente può essere tranquillamente dissanguata e lasciata morire. Ricordiamo che i tedeschi sono ormai gli unici al mondo, insieme ai loro servili lacchè europeisti disseminati in tutto il continente, a credere che l’aumento della massa monetaria crei automaticamente inflazione e soprattutto che una banca centrale possa davvero influenzare e modificare il livello della massa monetaria circolante. Due scemenze belle e buone che servono per coprire la verità profonda dell'intransigenza teutonica in tema di politica monetaria: per chi ancora non lo avesse capito, l’euro non è una moneta comune ma una veste un po’ più sofisticata del marco tedesco e i marchi, da che mondo è mondo, non si regalano a nessuno, ma bisogna guadagnarseli con il sangue. Fine della storia. O almeno così sembra, dato che nel caos attuale imperante nell’eurozona la decisione “sovrana” dell’Irlanda potrebbe creare un precedente politico a cui potranno in futuro appellarsi gli altri governi degli stati più in difficoltà. In particolare pensiamo a Grecia e Portogallo, i cui governi invece stanno continuando a pagare a caro prezzo i loro durissimi piani di rientro con rivolte popolari, sofferenze e vessazioni non più tollerabili della cittadinanza. Ma anche l’Italia potrebbe essere presto coinvolta in questa faccenda e non a caso qualche tempo fa il direttore del collocamento dei titoli pubblici del MEF Maria Cannata aveva timidamente accennato alla possibilità di rifinanziare l’enorme debito pubblico italiano con titoli a più lunga scadenza, dai 30 fino ai 50 anni. Non è sicuramente una soluzione definitiva al problema del debito pubblico e della perdita della sovranità monetaria, ma indubbiamente un’operazione del genere potrebbe alleviare non poco la pesantezza degli impegni immediati di consolidamento del debito e partecipazione ai fondi di salvataggio presi in sede europea dall’Italia (vedi Fiscal Compact e Mes).


Se i tecnocrati europei sono degli inetti, perché i politici e i funzionari nazionali non dovrebbero adoperarsi da soli, in piena autonomia, per modificare le norme più criminali e controverse dei trattati europei? In questo ingarbugliato castello di carte e burocrazia costruito dal comitato d’affari di Bruxelles, esiste ancora per un governo democratico nazionale lo spazio di manovra necessario per prendere decisioni “sovrane”? La strategia del silenzio assenso potrebbe essere il metodo migliore per riformare rapidamente in senso democratico l’impostazione monolitica e totalitaria dell’eurozona? L'anarchia istituzionale, in cui ognuno decide per sé e cerca di salvare il salvabile, sarà la prossima evoluzione del mostro giuridico europeo? Invece di stare appresso alle lusinghe del fallito Bersani e alle congiuntiviti di Berlusconi, i neo-deputati del Movimento 5 Stelle dovrebbero pronunciarsi e seguire attentamente ciò che sta accadendo oggi in Europa se vogliono stare al passo con i tempi e risultare davvero decisivi per il nostro paese e per il futuro di tutti noi. Perché ormai le decisioni che contano veramente per i cittadini si prendono o non si prendono a Bruxelles, a Francoforte, a Berlino. Mentre a Roma al massimo si elegge un papa e poco altro. E anche qui il baricentro pare essersi spostato verso Buenos Aires. E poco importa se il nuovo papa argentino sia ostile al governo progressista sudamericano e un convinto conservatore, perchè adesso i media italiani saranno costretti loro malgrado a parlare di Argentina. E chissà se un giorno la presidentessa Kirchner verrà in visita in Italia a dare lezioni di democrazia a noi inconsapevoli vittime di una dittatura.



Fonte: http://tempesta-perfetta.blogspot.it
Link: http://tempesta-perfetta.blogspot.it/20 ... .html#more

http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... &sid=11608

chissa'xke' le ns fonti informative , non menzionano nulla di tale notizia,probabilmente sono interessate alle varie monate gossipare italiane,o non vogliono che tale notizia possa essere di dominio pubblica....[;)]


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