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Thethirdeye ha scritto:

Sì ma a parte il pensiero di Krugman (ma quanto va di moda spostare l'asse della discussione sulle persone evitando gli argomenti?), tu cosa pensi di questa possibilità? Ti ho fatto tre domande ma... mi rispondi solo su Krugman.... [:(]


krugman sarà anche un genio dell'economia, ma a te pare normale predicare l'aumento dell'inflazione, specie per paese come il nostro con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi?



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 02:42 
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rmnd ha scritto:

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Thethirdeye ha scritto:

Sì ma a parte il pensiero di Krugman (ma quanto va di moda spostare l'asse della discussione sulle persone evitando gli argomenti?), tu cosa pensi di questa possibilità? Ti ho fatto tre domande ma... mi rispondi solo su Krugman.... [:(]


krugman sarà anche un genio dell'economia, ma a te pare normale predicare l'aumento dell'inflazione, specie per paese come il nostro con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi?

Non mi rispondere con una domanda rmnd.....

quale opzione sceglieresti, se fossi TU a decidere, tra:

A) l'aumento momentaneo dell'inflazione (spauracchio della stampa di denaro dal nulla)
B) il collasso irreversibile dell'economia reale di cui siamo testimoni passivi come "cittadini europei".

A oppure B?



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 08/04/2013, 03:39 
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Nell'Isola dei ghiacci hanno fatto il contrario di quanto banchieri ed avvoltoi della finanza domandavano. Chiedevano di salvare le Banche che avevano portato al disastro economico e di tartassare i cittadini e loro hanno risposto in coro: no, grazie, sono aziende del mercato e quindi falliscano come le altre.


Non dovrebbe essere la prassi?

p.s.: anche se la domanda non è per me io rispondo A. L'aumento dell'inflazione è una palla, in america sono anni che stampano dollaroni (unico motivo per il quale non sono in default tra l'altro) e l'inflazione è pressoché stabile -_-


Ultima modifica di MaxpoweR il 08/04/2013, 03:44, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 08/04/2013, 10:05 
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Thethirdeye ha scritto:

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rmnd ha scritto:

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Thethirdeye ha scritto:

Sì ma a parte il pensiero di Krugman (ma quanto va di moda spostare l'asse della discussione sulle persone evitando gli argomenti?), tu cosa pensi di questa possibilità? Ti ho fatto tre domande ma... mi rispondi solo su Krugman.... [:(]


krugman sarà anche un genio dell'economia, ma a te pare normale predicare l'aumento dell'inflazione, specie per paese come il nostro con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi?

Non mi rispondere con una domanda rmnd.....

quale opzione sceglieresti, se fossi TU a decidere, tra:

A) l'aumento momentaneo dell'inflazione (spauracchio della stampa di denaro dal nulla)
B) il collasso irreversibile dell'economia reale di cui siamo testimoni passivi come "cittadini europei".

A oppure B?


nè A nè B.

Proseguire sulla strada del rigore. Abbattimento del debito pubblico, con tagli drastici della spesa pubblica. Privatizzazione e svendita beni pubblici.
Unione politica Europea.



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 13:09 
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rmnd ha scritto:
nè A nè B.

Proseguire sulla strada del rigore.

Ma la strada del rigore è fallimentare. I risultati si vedono chiari e limpidi e oramai
sono gli stessi vertici europei a mettere in discussione questo metodo..... non te ne sei accorto? [8]

Cita:
Unione politica Europea.

Certo come no... non riusciamo a metterci d'accordo in Italia, pensa cosa possa mai avvenire in Europa.
Soprattutto con i paesi del nord che ci vorrebbero vedere MORTI & SEPOLTI.



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 13:12 
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MaxpoweR ha scritto:
p.s.: anche se la domanda non è per me io rispondo A. L'aumento dell'inflazione è una palla, in america sono anni che stampano dollaroni (unico motivo per il quale non sono in default tra l'altro) e l'inflazione è pressoché stabile -_-

Ma infatti non si capisce il motivo per cui non debba essere adottato lo stesso sistema qui da noi.... [V]



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 13:28 
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Thethirdeye ha scritto:

Cita:
rmnd ha scritto:
nè A nè B.

Proseguire sulla strada del rigore.

Ma la strada del rigore è fallimentare. I risultati si vedono chiari e limpidi e oramai
sono gli stessi vertici europei a mettere in discussione questo metodo..... non te ne sei accorto? [8]

Cita:
Unione politica Europea.

Certo come no... non riusciamo a metterci d'accordo in Italia, pensa cosa possa mai avvenire in Europa.
Soprattutto con i paesi del nord che ci vorrebbero vedere MORTI & SEPOLTI.


La strada del rigore in Italia è fallimentare perchè non si abbatte la spesa pubblica, preferendo percorrere la via più facile; quella dell'aumento delle tasse.



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 14:05 
Potrei anche essere d'accordo con rmnd.

Sarebbe però interessante entrare nello specifico della definizione di "Spesa Pubblica".. perchè questa è composta da innumerevoli voci:

- Sanità
- Previdenza
- Istruzione
- Ricerca
- Spese Militari
- Oneri finanziari
- Stato Sociale
- Costi legati alla burocrazia
- Infrastrutture
- Investimenti
- Stipendi pubblici (dipendenti e dirigenti)
- Costi inermi (auto blu, spese mantenimento quirinale)
- etc.etc.

Facile dire tagliamo la spesa pubblica.. ma dove? Se dici tagliamo i costi di acquisto dei caccia F35 allora mi trovi d'accordo, ma se vogliamo tagliare ancora Sanità, Istruzione e Previdenza mi domando dove andremo a finire.

Molte voci inoltre potrebbero essere gestite secondo principi di maggior efficienza. Decine di miliardi spese per la TAV quando si sarebbe potuto (e dovuto) potenziare il trasporto locale di persone e merci.

E comunque, finchè una fetta preponderante delle risorse viene mangiata dagli interessi sul debito e dai piani salva-banche.. hai voglia a tagliare.. taglierai in eterno.. finchè la pianta morirà.

[8]



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 15:44 
Rigore rigore rigore....gol... [:D]

Servirebbero decenni di rigore e di austerità, ricordiamoci che lo scandalo dei derivati che ha dato il via a questo schifo è più o meno 10 volte il pil dell'intero pianeta...quindi invece che massacrare le persone a forza di balzelli, bisognerebbe appendere al laccio tutti quei banchieri "liberisti" senza scrupoli che in nome del profitto personale hanno distrutto le nostre vite.
Il capitalismo, come tutti gli "ismo" è una piaga che deve finire al più presto, altrimenti andremo incontro a seri danni per tutti.

PS: Invece che svendere e privatizzare il bene pubblico alle multinazionali straniere per due soldi bisogna nazionalizzare! nazionalizzare! nazionalizzare!, sopratutto le banche [:D]



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MessaggioInviato: 08/04/2013, 16:07 
Cita:
GanjaMan ha scritto:

Rigore rigore rigore....gol... [:D]

Servirebbero decenni di rigore e di austerità, ricordiamoci che lo scandalo dei derivati che ha dato il via a questo schifo è più o meno 10 volte il pil dell'intero pianeta...


Decenni? Secoli!

Quanto è vero quello che dice Ganja! Ne ho parlato proprio qui...

http://www.progettoatlanticus.net/2013/ ... mondi.html

Forse non ci rendiamo conto che il capitalismo e l'intero Sistema si fonda su una bugia.

[8]


Ultima modifica di Atlanticus81 il 08/04/2013, 16:07, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 08/04/2013, 20:58 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

Cita:
MaxpoweR ha scritto:
p.s.: anche se la domanda non è per me io rispondo A. L'aumento dell'inflazione è una palla, in america sono anni che stampano dollaroni (unico motivo per il quale non sono in default tra l'altro) e l'inflazione è pressoché stabile -_-

Ma infatti non si capisce il motivo per cui non debba essere adottato lo stesso sistema qui da noi.... [V]


mi accontenterei che lo facesse l'europa con l'istituzione di una federal reserve.



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MessaggioInviato: 09/04/2013, 00:12 
Cita:
rmnd ha scritto:
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

Rispetto alla situazione attuale, che a parte il '29 non ha
precedenti storici, invece di mandare nazioni intere a dormire sotto i ponti, si potrebbe
STAMPARE, una tantum, una quantità di denaro tale da rimettere le cose a posto. Così
come fanno gli americani e i giapponesi.

Tu, che NON credi alla tesi del "complotto", potresti indicarmi il motivo che ha impedito
all'America di collassare nel 2012? Sapresti dirmi inoltre come mai, in uno dei vertici del
G20, il Presidente Obama abbia indicato come soluzione della crisi europea proprio quella
di STAMPARE IL DENARO NECESSARIO, così come si fa in USA, e come mai nessuno gli
abbia dato ascolto?

Ultima domanda: sapresti dirmi quale opzione sceglieresti, se fossi TU a decidere, tra
l'aumento momentaneo dell'inflazione (spauracchio della stampa di denaro dal nulla)
e il collasso irreversibile dell'economia reale di cui siamo testimoni passivi come "cittadini
europei"?

Proseguire sulla strada del rigore. Abbattimento del debito pubblico, con tagli drastici della spesa pubblica. Privatizzazione e svendita beni pubblici.
Unione politica Europea.


Rmnd....... è triste dirlo ma... anche Brunetta dice quello che dico io...... [:D]

Moneta e Titoli di Stato: per uscire dalla crisi, copiamo il Giappone
http://www.wicomwebspace.com/avanti/wp- ... oriale.pdf



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MessaggioInviato: 09/04/2013, 21:52 
La Germania butta fumo negli occhi dell'Europa: così la crisi continuerà a strozzare
Di Giovanni De Mizio | 12.03.2013 18:46 CET
http://it.ibtimes.com/articles/46313/20 ... rmania.htm

Tutto fa brodo in campagna elettorale, lo sanno anche i tedeschi. La Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), giornale conservatore, soffia sul fuoco dell'antieuropeismo di stampo teutonico basato sul ritornello "la vostra crisi non la paghiamo". La FAZ è giunta in possesso di un report BCE che dimostrerebbe come i Paesi 'cattivi' (come i PIIGS ma soprattutto Cipro, in questo caso) siano in realtà più ricchi di quanto possa sembrare, e che per questo la loro crisi dovrebbero pagarsela essi stessi. Peccato che questa idea, per quanto affascinante per due terzi dei tedeschi, ignori bellamente le cause della crisi europea.



Intanto vediamo i numeri: il report della FAZ considera il patrimonio medio degli adulti dei Paesi europei, e già questo dovrebbe far sentire odore di bruciato. È sempre la storia del pollo di Trilussa: se una persona ha due polli e un'altra nessuna, in media hanno un pollo ciascuno. Le lamentazioni tedesche parlano di Cipro, ma strizzano l'occhio all'Italia, patria dell''odiatissimo' Mario Draghi.

Il casus belli è infatti il salvataggio di Cipro: qui il patrimonio medio per adulto si attesta a 87mila euro, ben superiore alle medie di altri Paesi che dovrebbero sborsare quattrini per salvare Nicosia, come slovacchi (19mila) o estoni (21mila), in modo tale che questi ultimi si indignino a sufficienza per accodarsi al trenino tedesco che non vuole sborsare il becco di un quattrino.

Chi deve avere orecchie per intendere, però, è l'Italia, che con il suo 165mila euro di patrimonio medio per adulto si piazza ai vertici della classifica, ben al di sopra anche della Germania, ferma a 135mila. Se poi in Italia ci sono ricchi molto ricchi e poveri molto poveri e la forbice fra i due ceti si allarga, pazienza: la media parla chiaro, gli italiani navigano nell'oro, è evidente.

Bando al sarcasmo: questa statistica, vista nell'ottica e nella dinamica della crisi europea, vale quanto la carta straccia, se possibile anche meno.

Altri dati parlano chiaro, ne abbiamo parlato ieri: le famiglie italiane si ritrovano con sempre maggiori disoccupati sul groppone e la ricchezza viene via via sempre più intaccata per sopravvivere. Parliamo, chiaramente, non dei ricchi (che hanno i mezzi per continuare ad accumulare), bensì della classe media e di chi sta più in giù nella scala sociale.

Chi sono i colpevoli di questa sventura? Internamente lo sappiamo: siamo noi italiani, che abbiamo scelto più e più volte negli ultimi anni governanti di rara incapacità quanto dubbia onestà. Ma ci sono anche cause esterne, e molte di esse risiedono in Germania.

È un fatto che la Germania abbia approfittato della crisi per fare il proprio gioco: la disoccupazione, che nel 2005 era dell'11% (con punte del 17% nella Germania est), si è oggi dimezzata ed è sui minimi. In che modo? A scapito dei partner europei (anche se le colpe vanno condivise, come vedremo). La bilancia commerciale europea nella sua interessa è infatti più o meno in equilibrio, ma guardando i dati per Paese notiamo che la Germania ha incassato rilevanti surplus commerciali a scapito dei PIIGS e della Francia.

In linea vagamente teorica questo squilibrio si sarebbe dovuto risolvere lasciando che salari e prezzi si riequilibrassero, nella fattispecie facendo aumentare stipendi e inflazione nell'area germanica relativamente a quelli della periferia. In altre parole, dato che il motore tedesco girava a forti ritmi, si sarebbe dovuto surriscaldare e quindi rallentare. Il governo tedesco è però intervenuto per contenere questa febbre (l'inflazione) impedendo ai salari di crescere oltre la produttività, sicché la Germania ha potuto proseguire nella sua cannibalizzazione d'Europa, e anzi ha cominciato a bacchettare i Paesi giudicati meno virtuosi. Peccato che, ad esempio, in questo modo gli squilibri si siano approfonditi, creando problemi anche a Paesi virtuosi. La Spagna di inizio secolo, ad esempio, era messa molto meglio della Germania quanto a conti pubblici, proprio negli anni in cui Berlino gestiva una crisi economica condita da disoccupazione record. Memoria corta, come al solito.

La Germania ha quindi stabilito che, invece di aumentare il livello dei prezzi e dei salari nell'area germanica, sarebbero dovuti essere i Paesi 'cattivi' ad abbassare i propri (ovvero fare austerità, tanta austerità). L'effetto finale, in teoria, è lo stesso. Peccato, però, che svalutando internamente il costo reale del debito diventi ingestibile, e da questo consegue una buona parte della crescita del debito pubblico (e dei relativi rendimenti) nei Paesi periferici. Si creano nuovi buchi di bilancio, che devono essere ripianati con nuova austerità, che creano nuove difficoltà alle imprese, mandano in asfissia le banche, creano disoccupati, dopodiché si ricomincia con altri buchi di bilancio e così via, fino alla morte. Il motore dei Paesi periferici (ovvero tutti, tranne Germania e Finlandia, come le notizie recenti dimostrano) si raffredda progressivamente, mentre quello tedesco continua a viaggiare a pieno ritmo.

Almeno finché la giostra non si rompe: la situazione potrebbe peggiorare ancora, e, se oggi uscire dall'euro non è conveniente per nessuno (nemmeno per i tedeschi), domani potrebbe diventare un male 'meno peggiore' che rimanere stritolati dai diktat tedeschi.

Ciò che i tedeschi non sembrano voler capire (ma non sono i soli) è che la rottura dell'euro porta inevitabilmente a una catastrofe continentale, in cui saranno coinvolti comunque. La moneta è neutra, i problemi sono reali, e si avrebbero anche se in Italia tornassimo alla lira piemontese e al ducato borbonico. Occorre una nuova politica europea che porti a una maggiore integrazione, specie fiscale. I Paesi in crisi hanno evidentemente grossi peccati da scontare, uno per tutti quello della produttività. In Italia, infatti, i salari sono cresciuti nonostante la produttività sia rimasta ferma, ed è ovvio che l'industria italiana sia stata (per propria colpa) soffocata da aziende, come quelle tedesche, che producono meglio prodotti migliori.

È però obbligatorio rendere l'area valutaria dell'euro più ottimale, e la strada passa inevitabilmente per la politica fiscale integrata. Che ci siano squilibri in un'area valutaria è inevitabile, basti pensare agli USA. Gli States, però, hanno una valvola di sfogo in una politica fiscale largamente federale: gli Stati dell'Unione non possono indebitarsi, facoltà lasciata solo al governo federale (e alle singole città). Esattamente il contrario di quanto avviene in Europa.

In Italia un embrione di convergenza fiscale c'era, ed erano i vincoli di Maastricht. I Paesi membri, tuttavia, li hanno interpretati largamente a modo proprio, finendo per abolirli de facto prima (come Grecia e Italia) e de jure poi (come Francia e Germania), quando più gli faceva comodo.

Serve quindi tornare all'Unione Europea delle origini e dargli più forza: le politiche fiscali dei singoli Paesi vanno poste sotto il controllo dell'Europa nella propria interezza per impedire ai singoli Paesi di approfittarne. Nel frattempo, però, è necessario lasciare il pedale dell'austerità: i Paesi 'cattivi' devono riformare, ma hanno bisogno di soldi per farlo. Vanno impedite le spese pazze, ovviamente, ma i soldi van trovati: la Germania accetti un rigore meno sciocco oppure condivida una parte del proprio surplus con i propri partner, sotto forma di trasferimenti ai Paesi "poveri" (chiaramente sotto forti vincoli per evitare abusi) oppure di inflazione interna.

Tutto il resto, come il rantolo della Frankfurter Allgemeine, è fumo negli occhi che farà schiantare l'Europa contro un muro di realtà molto, molto duro.




Read more: http://it.ibtimes.com/articles/44680/20 ... z2Pzt3qlYq



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MessaggioInviato: 09/04/2013, 22:04 
Cita:
Blissenobiarella ha scritto:

Tutto il resto, come il rantolo della Frankfurter Allgemeine, è fumo negli occhi
che farà schiantare l'Europa contro un muro di realtà molto, molto duro.


Già... ma non possiamo uscire dall'autovettura PRIMA che si schianti
sul muro molto ma molto duro della realtà? [8D]



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http://www.repubblica.it/politica/2013/04/10/news/l_europa_di_kubrick-56316618/
Cita:
[color=blue]L'Europa di Kubrick
di BARBARA SPINELLI

Eyes wide shut: tale la postura dell'Europa, da quando è caduta nell'odierna crisi esistenziale. Vi è caduta con gli occhi spalancati dalla paura, dalla paralisi, ma sappiamo che se gli occhi li sbarri troppo è come se fossero chiusi.

È uno dei mali di cui soffre l'unità europea, quest'intreccio perverso tra visione e cecità: ne discendono le più convenienti mitologie, i più nefasti luoghi comuni. Tra questi vorremmo citarne uno: sempre più spesso, l'Europa è descritta come utopia, parente prossima di quei messianesimi politicio religiosi che fioriscono in tempi di guerre, di cattività, di esodo dei popoli. Il vocabolo ricorrente è sogno. I sogni hanno un nobile rango: dicono quel che tendiamo a occultare. Resta il loro legame col sonno, se non con l'ipnosi: ambedue antitetici alla veglia, all'attiva vigilanza.

Ebbene, l'Europa unita è qualcosa di radicalmente diverso da un sogno, e ancor meno è un'utopia, un'illusione di cui dovremmo liberarci per divenire realisti; o come usa dire: più moderati, pragmatici. La crisi cominciata nel 2007 ha disvelato quel che avrebbe dovuto esser chiaro molto prima, e che era chiaro ai padri fondatori: l'esaurirsi dei classici Stati nazione. La loro sovranità assoluta, codificata nel trattato di Westphalia nel 1648, s'è tramutata in ipostasi, quando in realtà non è stata che una parentesi storica: una parentesi che escluse progetti di segno assai diverso, confederali e federali, sostenuti già ai tempi di Enrico IV in Francia e poi da Rousseau o Kant. Gli effetti sulla vita degli europei furono mortiferi: questa constatazione, fatta a occhi ben aperti, diede vita, durante l'ultima guerra mondiale, non già al "sogno", ma al progetto concreto d'unificazione europea.

Nel frattempo tale sovranità assoluta - cioè la perfetta coincidenza fra il perimetro geografico d'un Paese e quello del potere statuale da esso esercitato - è divenuta un anacronismo non solo incongruo ma inconcludente, che decompone governi e Parlamenti. I nodi più ardui da sciogliere - una finanza mondiale sgovernata, il conflitto fra monete, il clima, le guerre, la convivenza tra religioni differenti - non sono più gestibili sul solo piano nazionale.

Tanto meno lo sono con l'emersione di nuove potenze economiche (i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa). La loro domanda di energia, materie prime, beni alimentari, è in rapida crescita e quel che esse pretendono, oggi, è una diversa distribuzione delle risorse planetarie: inquiete per il loro rarefarsi, esigono la loro quota. Non è più tollerato che una minoranza di industrializzati perpetui tramite l'indebitamento il dominio sui mercati: è attraverso il debito infatti che i ricchi del pianeta s'accaparrano più risorse di quelle spettanti in base alla loro capacità produttiva. È il motivo per cui debiti che erano considerati solvibili non lo sono più: i BRICS non vogliono più rifinanziarli.

Il debito sovrano, in altre parole, non è più sovrano: va affrontato come incombenza mondiale, e per cominciare come compito continentale europeo. Pensare che i singoli Stati lo assolvano da soli, indebitandosi ancora di più, è non solo ingiusto mondialmente: è ridicolo e impraticabile. L'unità politica fra Europei è insomma la via più realistica, pragmatica, e la più promettente proprio dal punto di vista della sovranità: cioè dal punto di vista del monopolio della coesione civile, del bene pubblico, della forza. L'abbandono-dispersione del monopolio conduce all'irrilevanza del continente e al diktat dei più forti, mercati o Stati che siano.

I problemi da risolvere (per problemi intendo le crisi-svolte che aprono alla stasi o alla trasformazione) si manifestano dentro geografie diverse, ciascuna delle quali va governata. Non è più vero che il re è imperator nel suo regno: superiorem non recognoscens (ignaro di poteri sopra di sé), come nella formula del Medio Evo, quando l'impero era sfidato dai primi embrioni di Stati. La formula risale al XIII secolo, e nell'800-900 divenne dogma malefico. Oggi il singolo sovrano deve riconoscere autorità superiori: organi internazionali, e in Europa poteri federali e una Carta dei diritti che vincola Stati e cittadini.

Neanche la sovranità popolare è più quella sancita nell'articolo 1 della nostra Costituzione: non solo essa viene esercitata "nella forme e nei limiti della Costituzione" - dunque è divisibile - ma sempre più è scavalcata da convenzioni transnazionali (il Fiscal Compact è tra esse) che minacciano di corroderla e screditarla, se non nasce una potente sovranità popolare europea. I partiti non sono meno colpevoli degli Stati: nelle elezioni europee, è inesistente lo sforzo di vedere, oltre i propri Paesi, l'Europa e il mondo.
Questo significa che l'Unione va ripensata, oltre che rifatta: sapendo che solo lì recupereremo le sovranità perdute. Edificando un potere sovranazionale, e un Parlamento che possa controllarlo e eleggerne i rappresentanti. Le stesse Costituzioni esigeranno adattamenti alla nuova sovranità ritrovata solidalmente. Le discussioni della Corte costituzionale tedesca sono spesso dettate da chiusure nazionaliste, e tuttavia cercano di vedere e dominare mutazioni reali. È un peccato che discussioni analoghe non avvengano, con la stessa puntigliosa intensità, nelle Corti degli altri Stati dell'Unione.

Qui giungiamo al punto cruciale: all'astratto furore imputato a chi invoca gli Stati Uniti d'Europa. Tanto più astratto e fallimentare, vista la crescente disaffezione dei popoli. Disaffezione relativa, per la verità. Non è vero che tutti i referendum europei siano stati negativi, nella storia dell'Unione: la maggior parte non lo sono stati. Quanto all'euro, solo il 2 per cento dei cittadini (l'1 in Italia) vuole abbandonarlo.

Dove sta allora, oggi, l'utopia? Sta nella perpetuazione di sovranità nazionali fittizie: tenute in semi-vita da simulacri di poteri e da cittadini disinformati (le due cose vanno insieme: più spadroneggia lo status quo, più la realtà vien nascosta ai popoli). Machiavelli descrive con occhio profetico le disavventure delle grandi mutazioni: "Debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; ed ha tiepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene. La qual tepidezza nasce parte per paura degli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità degli uomini, li quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono inimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri difendono tiepidamente, in modo che insieme con loro si periclita".
Tepidezza, incredulità, paura: questi i sentimenti che impediscono la nascita di ordini nuovi. L'ordine vecchio è difeso con partigianeria, anche quando è manifestamente defunto. Quello nuovo con tiepidezza, anche quando è manifestamente necessario. Mi è sempre apparsa tiepida la formula di Gramsci, sull'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Proprio la ragione deve essere ottimista (per ottimismo non intendo fede progressista, ma la non-rassegnazione di cui parla Pessoa: "Tutto vale la pena, se l'anima non è piccola"). Ogni volta che udite parlare di Stati che si riprendono la sovranità, state sicuri: di fronte avete un illusionista che "dell'ordine vecchio fa bene": usandolo per dominare. I veri populisti, ingannatori di popoli, oggi sono loro.

Anche lo scetticismo è parola da usare cautamente: per rivalutare il suo antico significato. Il vero scettico non apre alcun credito all'apparenza, e non è pregiudizialmente avversario dell'unità europea ma si fa sottile e assai dubbioso osservatore dello Stato nazione. Non teme il nuovo ordine. Diffida del vecchio, ed è lo status quo che considera una chimera. Lì è il sonno - l'incubo - da cui vale la pena svegliarsi, se l'anima non è piccola. Il vero scettico non si contenta dell'Europa così com'è, perché ha capito che è un ibrido velenoso. Dunque quando incontriamo un antieuropeo dovremmo replicare, se vogliamo cambiare il mondo: sono io lo scettico, non tu che stai sdraiato nel falso ordine vecchio per timore del nuovo che già è cominciato.

L'articolo riproduce parte della lezione magistrale che Barbara Spinelli tiene oggi all'Università di Padova


(10 aprile 2013) © RIPRODUZIONE RISERVATA[/color]



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[^]The best quote ever (2013 Nonsense Award Winner):
«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
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