11/05/2013, 19:19
11/05/2013, 22:02
Thethirdeye ha scritto:rmnd ha scritto:
I trattati internazionali che io sappia, non possono essere sottoposti a referendum.
Eh già.... l'hanno studiata bene la GABBIA che hanno creato.
Sei contento rmnd?
Tanto i trattati internazionali, dovranno essere RI-trattati......
Con le buone o con le cattive. Cominciamo pure ad abituarci all'idea....
12/05/2013, 09:11
Thethirdeye ha scritto:
Battaglia austerità-crescita, arriva la fase finale
Bruxelles apre ma Italia ancora su graticola, a giugno verdetto
10 maggio, 19:32
http://www.ansa.it/web/notizie/speciali ... 86645.html
La pressione per voltare pagina in Europa e mettere fine all'austerita' e' sempre piu' forte, soprattutto dopo che le previsioni economiche della Commissione hanno certificato la debolezza dell'eurozona e la difficolta' a rimettere in moto l'economia. E la battaglia tra rigore e crescita entra ora nella sua fase finale, per chiudersi nel vertice europeo di giugno che decretera' il vincitore.
I segnali della svolta che sembra ormai a portata di mano gia' ci sono: Bruxelles ha concesso due anni in piu' a Francia e Spagna per risanare i conti e far scendere il deficit, e la Germania ha dato il suo benestare. L'Italia, che si aspetta di uscire dalla procedura per deficit eccessivo a fine mese, e' lasciata ancora un po' sulla graticola: la Commissione vuole vedere prima le intenzioni del nuovo governo, il suo impegno a rispettare gli obiettivi di bilancio pattuiti con il governo Monti, e soprattutto vuole vedere il piano per rilanciare l'economia. La debolezza e' ormai strutturale, fanno notare in Commissione, quindi il Paese ha bisogno di interventi radicali per affrontare le difficolta' e per sostenere l'occupazione in caduta libera.
Sara' l'Eurogruppo di lunedi' a fare l'esame al nuovo governo Letta: fonti hanno gia' fatto sapere che e' prevista una presentazione del piano di riforme e di quello di risanamento da parte del ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni, che rispondera' successivamente alle domande dei colleghi. Le richieste dell'Europa saranno di due tipi: dall'Italia vogliono conoscere come rispettera' gli impegni su conti, cioe' come coprira' gli interventi sull'imu e sull'iva, e qual e' la scaletta delle riforme per rilanciare la crescita. ''La crescita in Italia manca da troppo'', spiega una fonte dell'eurogruppo, secondo cui non c'e' tempo da perdere per un Paese con tale difficolta' di sviluppo.
Se anche all'Italia verra' dato credito, e sara' quindi chiusa la procedura per deficit il 29 maggio quando la Commissione presentera' le 'raccomandazioni specifiche per Paese', la battaglia per la crescita sara' gia' un pezzo avanti. A quel punto il confronto tra i capi di Stato e di Governo nel summit di giugno sara' piu' semplice, e lo schieramento pro-crescita, guidato da Francia, Italia e Spagna, avra' piu' chance di convincere i rigoristi tedeschi, finlandesi e austriaci.
Ma se la Merkel non si e' opposta alla flessibilita' sui conti dimostrata dalla Commissione con Francia e Spagna, non e' detto che sia disponibile a ulteriori concessioni, soprattutto qualora esse significassero contribuire col proprio portafoglio al rilancio della crescita nei Paesi deboli. Una solidarieta' che la Merkel non puo' far capire ai suoi cittadini, e comunque a quattro mesi dalle elezioni non si assumerebbe il rischio di spiegargliela.
12/05/2013, 23:01
13/05/2013, 12:56
Atlanticus81 ha scritto:
Non c'è mai fine...
Irlanda ancora nei guai: servono altri 30 miliardi di euro
Le recenti crisi a Cipro e in Slovenia ci hanno fatto dimenticare di uno dei primi fronti dell’eurocrisi: l’Irlanda.
Come si fa a credere che i piani di salvataggio dell'Europa servano a qualcosa... COME?!
13/05/2013, 13:10
13/05/2013, 19:51
14/05/2013, 08:15
La secessione degli inglesi
C'è di nuovo parecchia foschia sulla Manica. Questa volta potrebbe però essere vero che isolato è un po' anche il continente, non solo la Gran Bretagna. La possibilità che Londra abbandoni l'Unione Europea è diventata concreta: certo, è innanzitutto un problema del Regno Unito, dopo che il primo ministro David Cameron ha promesso per il 2015 un referendum sul tema, il partito «indipendentista» ha conseguito una vittoria alle recenti elezioni locali e una serie di ministri e deputati conservatori si sono espressi per un abbandono in tempi rapidi. Al punto che il presidente americano Barack Obama ha invitato ieri Cameron a ricucire i rapporti con Bruxelles. È anche però un problema per l'Europa, che senza Londra non sarebbe necessariamente migliore. Alzare le spalle di fronte a un'ipotesi del genere non è una buona idea.
Una Brexit - come viene definita l'uscita britannica dalla Ue - avrebbe conseguenze di rilievo.
Innanzitutto, verrebbe meno la portata internazionale garantita da Londra: deterrente nucleare, esercito, diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, legami d'amicizia con le ex colonie, una diplomazia esperta. L'ambizione di fare dell'Europa una potenza globale verrebbe ridimensionata.
Secondo, un'Unione Europea senza Regno Unito perderebbe uno dei maggiori sostenitori del mercato unico e delle politiche di liberalizzazione. Se un ruolo positivo, tra i tanti negativi, Londra lo ha infatti giocato nella politica europea è stato nella spinta che i suoi governi hanno dato alle aperture in economia. Senza questa pressione, le posizioni più protezioniste avrebbero domani più spazio. Di riforme si parlerebbe meno, a Bruxelles: e l'Italia sa quanto le non molte innovazioni introdotte nei decenni passati siano state frutto esclusivo delle politiche imposte dall'Europa.
Terzo, l'allargamento della Ue cambierebbe di segno. In particolare, il processo che deve portare all'ingresso della Turchia - che ha trovato in Londra il suo maggiore sostenitore ma che è sempre stato voluto anche da Roma - finirebbe nella sabbia. Quarto, l'uscita del Regno Unito renderebbe davvero più omogenea e più stabile l'Unione, come sostengono i politici e i funzionari europei che vedono bene il divorzio? Probabilmente, più che un compattamento, la perdita di Londra sarebbe vista come il segno di forze centrifughe al lavoro nella Ue. Vero che la Grecia non la si è voluta perdere soprattutto per difendere l'euro (del quale Londra non fa parte): ma, avendo pagato a caro prezzo il salvataggio di Atene, ha senso affrontare la possibile uscita dalla Ue di un Paese di ben maggiore peso con indifferenza o soddisfazione?
La risposta a questi argomenti è, di solito, che il Regno Unito accampa pretese ingiustificate per restare ed è un ostacolo nel processo verso «più Europa». Vero, come si è visto nel recente passaggio del bilancio europeo, nella discussione sull'Unione bancaria e in tante circostanze precedenti. Non un buon motivo, però, per arrendersi a un'eventualità che potrebbe rivelarsi molto negativa. La strada di alcune concessioni reciproche, come indica Obama, può forse essere tentata. Meglio sollevare la nebbia che restare isolati su ambedue le sponde del Canale.
http://www.corriere.it/editoriali/13_ma ... f514.shtml
14/05/2013, 18:20
15/05/2013, 13:33
15/05/2013, 19:08
16/05/2013, 18:25
16/05/2013, 22:22
18/05/2013, 18:30
19/05/2013, 13:20
L'INTERVISTA IL MINISTRO DEGLI ESTERI RILANCIA IL PROGETTO DI INTEGRAZIONE «LEGGERA»
[color=blue]«L'Europa federale? Ora o mai più»
Bonino: «Berlino chiede un'unione politica. Prendiamola in parola. Come ha fatto Hollande in Francia»
ROMA - «Prendo molto sul serio l'apertura di François Hollande. Quali che siano le ragioni che l'hanno ispirata, per la prima volta Parigi segnala la disponibilità a una rivisitazione dell'Europa che mi fa molto piacere, perché fino a poco tempo fa era tabù anche solo parlare di modifiche ai Trattati. È ovvio che le cose ipotizzate dal presidente francese presuppongano per lo meno una revisione dei patti esistenti. Ma se si ammette il bisogno di una riconsiderazione complessiva delle istituzioni e delle politiche, allora si apre lo spazio per discutere se vogliamo un'Europa intergovernativa, come temo Hollande abbia ancora in testa, oppure se ne vogliamo una federale».
Anche da ministro degli Esteri, Emma Bonino non dissimula il suo codice genetico «radicale, spinelliano e federalista», riproponendo quella posizione ostinatamente tenuta per tanti anni in minoranza, insieme a un minuscolo drappello di visionari dell'Europa. «È una posizione storicamente mia - dice nella prima intervista concessa dal suo insediamento alla Farnesina - ma è anche quella dell'Italia, visto che di Stati Uniti d'Europa ha parlato il presidente Enrico Letta al momento della fiducia».
Giuliano Amato dice affettuosamente che lei è «sempre troppo avanti coi tempi». Il rilancio dell'Europa federale è stato il tema conduttore del suo esordio alla guida della diplomazia. In Parlamento e poi all'Università europea, lei ha parlato della necessità di «un nuovo spartito», indicando il federalismo come uno dei temi centrali della prossima presidenza italiana della Ue nella seconda metà del 2014. Non rischia di essere una fuga in avanti?
«No, se si riconosce che l'Europa sia in una situazione insostenibile. Prendiamo l'esempio dell'Unione bancaria, decisa più di un anno fa. Ancora non ci siamo, perché la governance non funziona e quindi non possono funzionarne le politiche. Il tempo non è elemento marginale: una cosa che va bene ora, non funzionerà tra 5 anni quando il mondo sarà andato da un'altra parte. La tesi secondo cui austerità e tagli da soli avrebbero portato alla crescita, a trattati vigenti viene smentita da tutte le parti. Avere i conti a posto è importante e in Italia lo abbiamo fatto, anche grazie al governo Monti. Ma i costi economici sono alti (per tutti, compresa prossimamente la Germania) e a questi si aggiungono quelli politici, perché assistiamo allo sviluppo di populismi ed euroscetticismi che assumono dimensioni preoccupanti, trasformandosi poi in nazionalismo e razzismo, da cui la nostra Storia ci mette in guardia».
Ma perché l'opzione intergovernativa non funzionerebbe?
«Perché a forza di andare avanti sulla strada dell'Europa delle patrie, si distruggono pure le patrie. Non riesci neppure a governare una crisi relativamente piccola come quella di Cipro. Sono federalista per convinzione e non conosco altro sistema istituzionale al mondo in grado di tenere insieme in democrazia, Stato di diritto e diversità 500 milioni di persone di lingue e storie diverse. E non è una cosa esotica, lo abbiamo vicino, in Germania, dove funziona. Non è pensabile cedere ulteriori competenze senza una accountability democratica, senza che il presidente sia eletto, senza che il Parlamento europeo, magari integrato da quelli nazionali, possa votare la sfiducia. Non esiste una capacità di bilancio e imposizione fiscale senza risvolto del controllo democratico, che fra l'altro non è limitato solo all'aspetto economico».
Cosa vuol dire?
«Che esiste nell'Europa attuale anche uno spread di diritti civili. Per esempio sul tema delle carceri e della giustizia in Italia, o della democrazia costituzionale in Ungheria. Non esistono cioè strumenti seri di correzione. Abbiamo criteri economici forti per entrare nella Ue, meccanismi di monitoraggio efficaci: procedure d'infrazione, multe, eccetera. Mentre sulla parte democratica ci sono criteri forti per l'ingresso, ma una volta dentro un Paese può cambiare la Costituzione eliminando la divisione dei poteri senza che accada nulla come è il caso a Budapest. Oppure si può essere come l'Italia, dove pare che il diritto alla difesa non esista più, perché un processo che dura 10 anni non è più tale».
Dove ha sbandato il progetto d'integrazione?
«Si è fossilizzato sulla moneta unica. Ci siamo fermati, aiutati dal fatto che l'euro, checché se ne dica, è stato un successo strepitoso, perfino in questo sistema imperfetto, al punto che ci si è dimenticati di andare avanti con le altre parti finché siamo sprofondati nella crisi. La moneta unica aveva una governance da bel tempo, con la tempesta non ha retto più».
Si è perso però anche il principio di solidarietà, la ragione per cui si è insieme...
«In realtà non abbiamo mai dovuto praticarlo sul serio, perché non siamo mai stati messi veramente alla prova: bastavano i fondi di coesione e le altre voci del bilancio. Questa è la prima grande crisi e l'incapacità di dare risposte fa passare il rifiuto della solidarietà dai governi ai cittadini. Popper ci ha insegnato che in crisi ognuno si rivolge all'autorità più vicina per trovare una soluzione. Per tre anni abbiamo preso misure appena sufficienti a non esplodere: troppo poco e troppo tardi. La verità è che solo un grande progetto di rilancio a tutti i livelli può appassionare qualcuno. Non credo sia più possibile rimettere insieme l'Europa con i piccoli passi. La bizzarria fantastica è che l'Europa continui a essere un magnete di attrazione per tutti i popoli non europei».
Qual è oggi l'argomento forte del bisogno d'Europa?
«Nessuno di noi da solo ha le risorse o l'economia di scala per riuscire a garantirsi un futuro per le proprie generazioni. La visione opposta è quella autarchica e nazionalista, la tentazione di chiudere tutto che poi diventa razzista e fomentatrice di guerre. Insieme siamo più forti sul piano economico e democratico».
Il ministro delle Finanze tedesco Schäuble dice che bisogna modificare i trattati anche solo per l'Unione bancaria. È d'accordo?
«Secondo me non vale la pena. Non è vero che le piccole riforme siano più digeribili da un certo tipo di Paesi. Comunque molti di loro sono obbligati a sottoporle a referendum. E la gente non si rinnamorerà dell'Europa se gli dici che facciamo l'Unione bancaria. Già era difficile innamorarsi di una moneta. Ci sono però cose che toccano molto di più l'immaginario popolare. Non mi stanco per esempio di chiedere cosa ce ne facciamo di 27 eserciti nazionali. Sono 250 miliardi di euro. Abbiamo 2 milioni di persone sotto le armi, nude, cioè non equipaggiate. Tant'è vero che ogni operazione di peacekeeping diventa un dramma: equipaggiamenti, standard diversi, sistemi d'arma diversi, in Libia dopo dieci giorni eravamo senza munizioni. Oppure le infrastrutture, la ricerca».
È la sua idea della Federazione leggera?
«Sì, con un bilancio di appena il 5% del Pil europeo: mettere in comune 4 o 5 settori, nulla a che vedere col Superstato. Il resto lo lasciamo alla sussidiarietà. Non dobbiamo diventare assolutamente omogenei. A differenza della mia amica Ulrike Guérot, secondo cui l'Europa non si fa perché non ci si mette d'accordo se è meglio pasteggiare a vino o a birra, penso che la nostra ricchezza siano proprio la birra e il vino di ognuno dei nostri Paesi. Insieme dobbiamo fare solo le cose che contano: esteri, difesa, sicurezza, fiscalità, tesoro, ricerca, infrastrutture e ci metto anche l'immigrazione. Le cifre più prudenti dicono che l'Europa avrà bisogno di 50 milioni di immigrati entro il 2050».
In che modo il governo italiano dovrà muoversi per far sì che questa apertura francese non sia lasciata cadere?
«Il punto è capire quanta disponibilità ci sia. Boutade a fini interni o meno come qualcuno dice, penso che sia quel tipo di seme che una volta gettato assume vita propria. A noi tocca curarlo, metterci l'acqua, un po' di concime. Se c'è un accordo di massima, sia pure con resistenze comprensibili, questa dovrà diventare l'agenda dei viaggi del presidente del Consiglio, del ministro degli Esteri e di quello del Tesoro. Dobbiamo attivarci in tutti i forum. Così potremo preparare un diverso tipo di elezione europea, con le grandi famiglie politiche che indichino il loro candidato alla presidenza della Commissione, dei commissari e del presidente del Consiglio, avere un diverso dibattito in grado di coinvolgere ed entusiasmare la gente».
E la Germania, uscirà dalla cautela imposta dalle elezioni?
«Capisco che la campagna elettorale abbia una sua dinamica e imponga le sue regole. Ma al netto di questo, Berlino ha sempre detto nessuna mutualizzazione del debito se non c'è cessione di sovranità. Prendiamo la Germania in parola. Se è un bluff andiamo a vederlo».
Paolo Valentino
19 maggio 2013 | 11:42
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