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07/03/2013, 15:14

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http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 60185.html

[:280] [:280] [:280]

22/04/2013, 22:29

Blissenobiarella ha scritto:

DISTRUTTE LE INTERCETTAZIONI NAPOLITANO-MANCINO
Trattativa Stato-Mafia
http://www.cadoinpiedi.it/2013/04/22/di ... ncino.html


Sono state distrutte oggi nell'aula bunker dell'Ucciardone a Palermo le intercettazioni delle telefonate tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, eseguite dalla Procura di Palermo nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia.

Erano presenti il Gip Riccardo Ricciardi, che aveva disposto mesi fa la distruzione a seguito della decisione della Corte costituzionale sul confrlitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale, un cancelliere e il tecnico che ha materialmente cancellato i file audio. (AGI)


Che tempismo perfetto.... eh? [:D]

Che abbiano velocizzato la pratica... contestualmente
all'accordo notturno con la SPECTRA? [:D] [8D]

19/05/2013, 20:39

Ragazzi ora inizio a capire perchè napolitano ha fatto una retromarcia diretta al quirinale.praticamente non ha lasciato nemmeno il parcheggio.

Trattativa Stato-mafia Scontro su Napolitano

Dopo la richiesta della procura di Palermo di ascoltare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come testimone nell’ambito dell’inchiesta su Stato-mafia s’accende lo scontro politico. La notizia non viene commentata dal Quirinale, non si vogliono rinfocolare le polemiche. Ma certo la decisione della Procura non ha trovato il Capo dello Stato indifferente. Con lui vengono citati anche l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso, l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato. Dal Colle dunque non si commenta la notizia, perché non si vuole alimentare una polemica che in passato ha assunto toni drammatici e che andrebbe a impattare su un clima politico che nella giustizia ha uno dei suoi argomenti più spinosi.

Ci pensano gli altri a gettare benzina sul fuoco. La decisione della procura di Palermo, Giorgio Napolitano, è un «atto doveroso» dice Antonio Ingroia, ieri a Piazza San Giovanni per la manifestazione Fiom. Secondo l’ex candidato premier di Rivoluzione Civile, si tratta semplicemente di una «conseguenza inevitabile e doverosa delle indagini svolte assieme, anche perché, quando lessi la lettera di Loris D'Ambrosio», l’allora consigliere del Quirinale, «mi colpì subito il riferimento agli "indicibili accordi" che erano sullo sfondo di quelle vicende. Da quella lettera sembra di capire che Loris D'Ambrosio poteva aver parlato con Napolitano. E quali "indicibili accordi" se non quelli di una trattativa tra Stato e Mafia?», conclude Ingroia.

La vede al contrario Fabrizio Cicchitto (Pdl): «Il rinnovato attacco della Procura di Palermo al presidente Napolitano, e cioè a quella che è non solo la figura istituzionale di maggiore rilievo, ma anche la personalità di maggior prestigio dalla quale dipende per larga parte la stabilità e le possibilità di modernizzazione del quadro politico e istituzionale, rende evidente che esiste un nucleo sia pur ristretto di magistrati che vuole destabilizzare tutto il sistema».

Va sulla stessa scia il vicecapogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: «È davvero opinabile la decisione di ascoltare il presidente Napolitano presa da parte della magistratura palermitana». Aggiunge: «Il fatto che Ingroia, già cancellato opportunamente dagli elettori e intento a far vacanza, approvi la decisione della Procura di Palermo ci dimostra in modo inequivocabile che è una scelta sbagliata. Invece di far perdere tempo a Napolitano a Palermo - prosegue Gasparri - si esiga la verità da Ciampi. È lui che deve parlare. Era presidente del Consiglio quando, con la regia di Scalfaro fu decisa la cancellazione del carcere duro per centinaia di boss. È un’offesa ai tanti caduti nella lotta alla mafia questo silenzio ostinato. Ciampi sa tutto. Ci furono nomine illegittime di cui Scalfaro fu coautore per cambiare linea e dare segnali ai boss. Conso lo ha ammesso. Ciampi liberi la sua coscienza da questo peso». Conclude: «La colpa è grave. Ma è più pesante la colpa del silenzio. Invece di molestare il Quirinale di oggi si esiga la verità da chi fu protagonista di scelte che gravano sulla storia della Repubblica. Ciampi invece di avallare libri poco utili dica cosa fece con Scalfaro e perché. Negare l'evidenza dei fatti è un esercizio inutile. Che non potremo consentire».

Interviene anche l’ex pm, Antonio Di Pietro: «Vogliamo sapere tutta la verità sulla trattativa fra Stato e mafia. Noi di IdV lo abbiamo gridato nelle piazze, lo abbiamo chiesto più volte in Parlamento e non ci stancheremo mai di ripeterlo e denunciarlo: un Paese non può definirsi civile e democratico se non fa piena luce su una delle pagine più controverse e buie della sua storia e se non consegna alla giustizia coloro che hanno barbaramente ucciso chi ha servito lo Stato con onestà e sacrifico anche a costo della propria vita». Il leader dell’Idv aggiunge: «A distanza di 20 anni dalla stagione torbida della trattativa fra Stato e mafia continuano ad emergere frammenti di verità, come l'inedito filmato dei vigili del Fuoco, nel giorno della strage di via D'Amelio, in cui si vede un losco individuo armeggiare vicino all'agenda rossa del valoroso magistrato Paolo Borsellino. Chi era quell'uomo e per conto di chi lavorava? Non è più tempo di omissioni, depistaggi, strani sucidi e colpevoli silenzi. La procura di Palermo, nel processo sulla trattativa che inizierà a maggio ha chiamato a testimoniare personaggi eccellenti, fra cui il Capo dello Stato. Quella frase sugli "accordi indicibili" contenuta nella lettera inviatagli dal suo consigliere giuridico, Loris D'Ambrosio, lo scorso 18 giugno, è inquietante. Tutti gli italiani hanno il diritto di sapere di quali accordi si parla».


http://www.iltempo.it/politica/2013/05/ ... -1.1140037

19/05/2013, 20:43

Io voglio invitare tutti a pregare,anche se siete laici come me pregate che esca fuori questa agenda,ora che questi farabutti sono ancora in vita.

Manfredi Borsellino: "Può essere la svolta
in quell'agenda papà custodiva i suoi segreti"


Dopo il fotogramma pubblicato dal nostro giornale parla il figlio del giudice ucciso in via d'Amelio. "E' possibile che l'avesse in mano al momento dell'esplosione o che l'avesse lasciata sul cruscotto". "Ora cercate le persone che appaiono nel video"

PALERMO - "Che mio padre anche quel giorno avesse l'agenda rossa con sé e che sia stata trafugata da qualcuno in via d'Amelio nell'immediatezza della strage e non altrove noi non abbiamo mai avuto alcun dubbio. E certo ora questo filmato potrebbe essere un elemento importantissimo. Se solo gli inquirenti di allora avessero lavorato come stanno facendo quelli della Procura guidata da Sergio Lari...".

È emozionato e turbato Manfredi Borsellino alle otto e mezza del mattino quando sulla prima pagina di Repubblica vede per la prima volta quel fotogramma che immortala la presenza di un'agenda rossa tra le macerie fumanti della strage in via d'Amelio. Parla a nome suo ma anche delle sue sorelle Lucia e Fiammetta. I loro telefoni non smettono un attimo di suonare. Tutti, magistrati, investigatori, giornalisti, amici, vogliono sapere da loro se quella è l'agenda di Paolo Borsellino che tutti cercano invano da vent'anni.

Manfredi, voi figli siete in grado di riconoscere quell'agenda?
"Così, da un fotogramma un po' sgranato pubblicato sul giornale non siamo in grado di dire che quella è proprio l'agenda di mio padre. Ma certamente non lo escludiamo. È indubbio che questo è un elemento importantissimo nelle indagini. Ho parlato con il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e, anche a nome delle mie sorelle, gli ho ribadito tutta la piena e incondizionata fiducia che abbiamo nel lavoro dei magistrati dell'attuale Procura di Caltanissetta. Siamo certi che, come
hanno dimostrato negli ultimi tempi, non tralasceranno alcun elemento utile all'individuazione di chi, in via d'Amelio (e questo ormai è un dato acquisito processualmente) ha fatto sparire l'agenda di mio padre".

Il procuratore Lari ha detto che è assurdo che questo filmato, agli atti del processo e certamente visionato dalla Scientifica, non sia stato segnalato come rilevante. Voi cosa dite?
"Ribadisco. Che abbiamo piena fiducia in questa Procura. Se vent'anni fa avessero lavorato allo stesso modo forse non staremmo qui a parlare di depistaggi".

Ma quell'agenda di suo padre com'era? Aveva dei particolari segnali distintivi, voi sareste in grado di riconoscerla?
"Se la vedessimo da vicino, nitidamente, sì. Era un'agenda rossa, di pelle, di un certo spessore, che aveva sulla copertina in basso a destra inciso un piccolo logo dell'Arma dei carabinieri, nulla sul retro. Era un'agenda semplice".

È possibile che l'agenda di suo padre sia finita intatta sotto la macchina? Che non fosse dentro quella borsa rimasta in macchina e poi passata di mano in mano?
"Assolutamente sì, come abbiamo detto tante volte, mio padre non teneva in modo particolare alla sua borsa da lavoro, ma all'agenda, quella rossa, sì. E spesso la portava in mano, fuori dalla borsa. Quella domenica 19 luglio, certamente nella borsa mio padre aveva un'altra agenda, di cuoio marrone, quella è stata ritrovata, c'erano dentro appunti, ma niente di rilevante e quella ci è stata restituita. Ma quella rossa, dove lui teneva i suoi appunti riservati, no. Niente di strano, dunque, che anche nel momento dell'esplosione potesse averla in mano o che l'avesse lasciata per qualche minuto sul cruscotto. Perché in realtà quella domenica 19 luglio mio padre era sceso dalla macchina solo per citofonare a mia nonna, non per salire su da lei. Quindi non pensava di dover restare fuori dall'auto più di qualche minuto. C'era stato un improvviso cambio di programma quella domenica".

E cioè?
"Il cardiologo che avrebbe dovuto visitare mia nonna, il professore Piero Di Pasquale, la notte precedente aveva subito l'incendio del suo camper e quindi non poteva allontanarsi da casa e allora mio padre decise di andare a prendere mia nonna e di portarla lui a casa del cardiologo".

Nel video girato dai vigili del fuoco si vede quest'agenda ma si vede anche un uomo che, per due volte, con il piede sposta un cartone che la copre parzialmente. Anche questo è un elemento che conferma i vostri sospetti.
"Ora parlo anche da poliziotto. È chiaro che ogni elemento, ogni piccola tessera del mosaico può risultare decisiva. Forse, nella fattispecie, il gesto compiuto da questa persona può essere la cosa più importante e magari la comparazione di questi fotogrammi con altri o con gli altri video in possesso dei magistrati può portare altrove".

Un passo avanti verso quella ricerca della verità che vostra madre, da poco scomparsa, non si è stancata di chiedere fino all'ultimo.
"Ce lo auguriamo. La richiesta di mia madre è quella di noi figli".

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -59141436/
Ultima modifica di Ronin77 il 19/05/2013, 20:44, modificato 1 volta in totale.

19/05/2013, 20:46

"Stato-Mafia, ci hanno messo 20 anni..ma alla fine.. "
Alla fine hanno arrestato più di 30 "Boss" ...! [8D]

19/05/2013, 20:52

Ufologo 555 ha scritto:

"Stato-Mafia, ci hanno messo 20 anni..ma alla fine.. "
Alla fine hanno arrestato più di 30 "Boss" ...! [8D]
No,quelli dello stato ancora li devono prendere...

26/05/2013, 07:53

Ufologo 555 ha scritto:

"Stato-Mafia, ci hanno messo 20 anni..ma alla fine.. "
Alla fine hanno arrestato più di 30 "Boss" ...! [8D]

Sì ma le persone che sanno... sono ancora lì.... pagate da noi....
Bello eh?

26/05/2013, 07:54

Travaglio all'attacco,ci fu trattativa stato-mafia
Documenti inediti nel nuovo show in tournee quest'estate

25 maggio, 16:47

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 65743.html

di Maria Grazia Marilotti

"Al bando la definizione 'presunta trattativa'". Marco Travaglio invita a mettere da parte il condizionale e rinforza la sua posizione: "E' ambiguo nascondersi dietro una vuota formula dubitativa per negare che la trattativa Stato-Mafia c'é stata". Le inquietanti pagine di un periodo della vita politica della nostra Repubblica sono raccontate dal vice direttore del Fatto Quotidiano, con dovizia di particolari, dettagli e soprattutto documenti inediti nel suo ultimo spettacolo "E' Stato la Mafia" , sui palcoscenici di una tournee estiva che si chiude in Sardegna il 31 agosto a Cagliari e l'1 settembre a Sassari (organizzazioni Spettacoliemusica). Ma prima è atteso il 14 luglio a Forte dei Marmi, il 23 a Castrignano de Greci, il 24 a Taranto, il 27 a Grosseto. Della 'presunta' trattativa parlerà apertamente in questo show dal titolo che lascia poco spazio al dubbio o al condizionale. Il giornalista si abbandona ad una pesante affermazione: "Il negoziato c'é stato eccome. Anzi, se si aprissero gli armadi e si scardinassero i cassetti degli archivi segreti dello Stato, avremo una delusione, sappiamo già quasi tutto. La questione grave - spiega - è che non se ne parla e non se ne vuole parlare con il tacito accordo tra politici e il benestare di una parte consistente del giornalismo italiano". In questo nuovo exploit teatrale prodotto da Promo Music di Marcello Corvino, sarà accompagnato sul palco dall'attrice Isabella Ferrari, impegnata nella lettura di brani di Gaber, Pasolini, Calamandrei, Pertini e Flaiano.

Testi in gran parte incentrati su personaggi ed esponenti politici che si sono distinti come guida morale dello Stato e padri della Costituzione. "Uomini che hanno rifiutato qualsiasi trattativa o compromesso con la bugia e il malaffare", sottolinea il giornalista. Con il suo stile inconfondibile Travaglio svela "una storia di patti inconfessabili e segreti che - sostiene - hanno alimentato la vita della Seconda Repubblica e continuano a ammorbare la vita politica italiana". Nel lavoro teatrale, inoltre, mette l'accento sulla vicenda delle intercettazioni delle telefonate intercorse fra l'ex ministro Nicola Mancino, il presidente Napolitano e il suo consigliere giuridico. Le telefonate depositate dai magistrati e dunque pubbliche, anche se ignorate da gran parte dei media, verranno lette e spiegate sul palco. "Il termine 'presunto' - riprende Travaglio - è appropriato per i reati e per i colpevoli. Quindi utilizzarlo per parlare della trattativa in questione è un modo goffo per non prendere posizione. Ora per far emergere questa verità sommersa in un mare magnum di depistaggi e silenzi compiacenti, può essere utile la chiamata sul banco dei testimoni delle alte cariche dello Stato. Devono dare il buon esempio e riferire ai giudici di Palermo quanto è a loro conoscenza, se lo meritano tutti gli italiani, ma soprattutto i giudici, i poliziotti e quanti sono morti per mano della mafia".

Rispetto allo show andato in scena lo scorso inverno, lo spettacolo ha delle varianti. "Nel nuovo libro nero c'é la lunga lista dei nuovi e vecchi impresentabili entrati in Parlamento e al Governo, che non meriterebbero di sedere su quegli scranni", precisa. Tra aforismi e boutade, Travaglio confessa con orgoglio un primato: "I miei spettacoli e libri sono i meno recensiti d'Italia". Ma a controbilanciare questa curiosa anomalia le platee sono sempre strapiene e il gradimento corre sul web e su numerosi blog dei suoi sostenitori. Così come nei precedenti spettacoli anche "E' Stato la Mafia" farà di Travaglio un personaggio amato e odiato allo stesso tempo. La paura di raccontare fatti e verità non lo ha mai sfiorato. "L'unico rischio che si corre è quello di non far carriera - ironizza - Il mio unico desiderio è continuare a scrivere facendo mia una massima di Salvatore Borsellino: 'La trattativa e' il peccato originale della Seconda Repubblica. E senza verità e giustizia sulle stragi non ci possiamo definire un Paese civilé".

27/05/2013, 13:56

Trattativa Stato-mafia, Mancino:
non posso stare a processo con i boss


L'ex ministro: 'Sempre combattuto Cosa Nostra.
Chiederemo uno stralcio'. Udienza al via


27 maggio, 12:21

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 71863.html

14/06/2013, 20:32

Strage via D’Amelio, Spatuzza rivelò a Grasso il depistaggio già nel 1998


In un colloquio segreto spiegò al super procuratore perché Scarantino mentì. Dieci anni prima di pentirsi il boss di Brancaccio mise in guardia lo Stato e accusò La Barbera

Gaspare Spatuzza aveva svelato a Piero Grasso già nel 1998 che la storia della strage di via D’Amelio, come raccontata dal falso pentito Vincenzo Scarantino, era una balla. Non solo: in un colloquio investigativo rimasto finora segreto, Spatuzza aveva anche spiegato a Grasso perché Scarantino aveva mentito accusando se stesso e altri innocenti di reati mai compiuti. E aveva anche indicato il cognome del possibile responsabile di uno dei più grandi depistaggi della storia giudiziaria italiana: “Toto La Barbera” si legge nel verbale integrale che pubblichiamo su ilfattoquotidiano.it. Piero Grasso e il suo capo di allora, il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, nel colloquio non chiedono a Spatuzza chi sia quel “Toto La Barbera”.

Ci sono due funzionari della Polizia coinvolti in questa storia con quel cognome. Il primo si chiamava Arnaldo La Barbera, era il capo del pool che ha realizzato quello che – secondo lo stesso Sarantino – era un depistaggio studiato a tavolino. Nel 1998, quando Spatuzza parla di un “Toto La Barbera” a Grasso era Questore a Napoli, e morirà nel 2002, onorato come il superpoliziotto che ha scoperto i colpevoli della strage. Poi c’è Salvatore La Barbera: oggi è capo della Polizia Postale ed è indagato anche lui a Caltanissetta per calunnia a seguito delle nuove dichiarazioni di Scarantino. Allora era un giovanissimo funzionario che dipendeva dall’omonimo più anziano. “Certo a leggere oggi quel verbale qualche rammarico viene. Forse se si fosse battuto più su questa strada alcune cose sarebbero venute fuori tempo fa e la verità su persone innocenti sarebbero emerse prima”, ha commentato il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari.

In questi giorni si sta celebrando il nuovo processo per la strage di via D’Amelio e tra il pubblico sparuto c’è sempre seduto all’ultimo banco un signore magro con gli occhiali. Si chiama Gaetano Murana e – a causa delle false accuse di Vincenzo Scarantino – è rimasto in carcere in isolamento per 18 anni. Se i magistrati avessero ascoltato i suggerimenti di Spatuzza del 1998, sarebbe potuto uscire dal carcere dieci anni prima. Nel 1998 la condanna non era definitiva però “dopo quel colloquio investigativo non fui più richiamato da nessuno e così – ha chiosato martedì durante il suo interrogatorio in aula a Roma, Gaspare Spatuzza – ora siamo qui a rifare tutto il processo”.

Oggi, con il senno di poi, è facile dare più importanza alle parole dette nel 1998 da Spatuzza rispetto alle menzogne con il timbro della Polizia di Scarantino. Ma quel verbale non era firmato perché non era presente l’avvocato di Spatuzza. Il colloquio era “investigativo”, una sorta di corteggiamento per convincere Spatuzza a pentirsi. Essendo fallito quel verbale non vale nulla. Nonostante la richiesta dell’avvocato Flavio Sinatra, difensore di due degli imputati, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, la Corte mercoledì non ha ammesso il verbale tra gli atti del dibattimento. Spatuzza nel 1998 non arrivava a dire: “Procuratore Grasso sono stato io!” ma diceva: “So che qualcuno ha rubato l’auto così, l’ha preparata così e Scarantino mente”. I giudici di Caltanissetta non conoscevano queste parole quando condannavano all’ergastolo gli innocenti. Ecco perché, anche se non è rilevante dal punto di vista processuale, il verbale merita di essere riportato.

***
Grasso: Ah, così è. E quindi quelli che l’hanno avuta rubata non sanno niente?
Spatuzza: Non sanno niente poi, altri ladri l’hanno rubata a loro. Orofino (il carrozziere accusato dal falso pentito Vincenzo Scarantino di avere ospitato nella sua officina la preparzione dell’auto, ndr) non esiste questo.

Grasso: In che senso non esiste?
Spatuzza: Non esiste. Perché chi l’ha rubata, l’ha messa dentro e l’hanno preparata. (…) Lui è estraneo a tutto. Aveva subito un furto.

Grasso: Lei allora dice che Orofino non sa?
Spatuzza: Non esiste. Loro hanno questa situazione all’officina, e prendono per dire una macchina mia?

Grasso: E allora come è andata?
Spatuzza: Praticamente stu disgraziato di Orofino fu coinvolto pirchi c’iru a rubari i targhi a notti stissu.

Grasso: Anche le targhe hanno rubato? Ma allora non si è fatta nell’officina di Orofino la preparazione?
Spatuzza: Nru nru. (verosimilmente lo Spatuzza annuisce come per dire di no, ndr).

Grasso: E queste targhe di macchine a loro volta rubate?
Spatuzza: No, erano di macchine che Orofino aveva nell’officina.

Grasso: Orofino aveva le macchine, vanno a rubare nell’officina di Orofino la targa che lui aveva dentro in riparazione. Dopo la usano per metterla nella macchina dell’autobomba, cosi è?
Spatuzza: Si

Grasso: Che viene preparata in un altro luogo, e non nell’officina di Orofino. E Scarantino in questa cosa che cosa che c’entra?
Spatuzza: Non esiste completamente .

Grasso: Non partecipa completamente?
Spatuzza: Non esiste.

Grasso: E scusi, com’è che allora le cose che lui ha detto che sa?
Spatuzza: Lui era a Pianosa, ha ammazzato un cristiano che doveva ammazzare, e ci ficiru diri chiddu ca nu avia adiri. Toto La Barbera.

Poi Grasso chiede dell’altro falso testimone di accusa, Andriotta. Spatuzza replica: “ ma, di… vieninu chisti? Si sono rifatti di nuovo pentiti? Tutti questi cinque nella stessa cordata, evidentemente”. Una cordata di falsi pentiti scoperta 10 anni dopo.

Da Il Fatto Quotidiano del 14 giugno 2013

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Mafia, chiesti oltre 7 anni per il senatore D’Alì (Pdl): “Vicino a Messina Denaro”


I pubblici ministeri della Dda di Palermo hanno chiesto che si riconosca la colpevolezza del politico per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa il politico, già sottosegretario all'Interno con relativa scorta, avrebbe anche incontrato il boss di Castelvetrano
Una condanna a sette anni e quattro mesi per l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, senatore Pdl, accusato di avere aiutato, muovendosi quasi da “pari” a “pari” la mafia più potente che esiste, quella del super latitante Matteo Messina Denaro, a fare affari, a pilotare appalti, inquinare le istituzioni, infiltrare il tessuto sociale ed economico della provincia di Trapani.

I pubblici ministeri della Dda di Palermo, Paolo Guido e Andrea Tarondo, dinanzi al giudice per l’udienza preliminare Francolini, hanno chiesto che si riconosca la colpevolezza del politico per concorso esterno in associazione mafiosa. Durante la requisitoria i due pm hanno descritto il contesto sociale trapanese dove tanti negano l’esistenza della mafia e dove D’Alì “è stato anello di collegamento tra la società civile e l’organizzazione mafiosa”. Gli sono contestati episodi di riciclaggio, 300 milioni di lire (un’operazione semplice, secondo l’accusa, per chi come lui controllava una banca, la Banca Sicula); la fittizia vendita di un terreno ai Messina Denaro, e appalti favorevoli a una serie di imprenditori “chiacchierati”.

Nel periodo in cui era sottosegretario all’Interno avrebbe tentato di ottenere la “cacciata” da Trapani di alcuni investigatori, spingendo perché il governo Berlusconi nell’estate 2003 procedesse a quello che risultò essere l’improvviso trasferimento del prefetto di Trapani dell’epoca, Fulvio Sodano, inviso ai mafiosi perché aveva tolto di mano loro i beni confiscati e impedito l’assalto ad una delle imprese più ghiotte, la Calcestruzzi Ericina. Agli atti del processo c’è anche la testimonianza dell’ex moglie di D’Alì, Antonietta Picci Aula, che ha detto di avere visto un giorno arrivare al marito il telegramma di un boss dal carcere che si lamentava di essere stato dimenticato dal maritO, e gli appalti milionari per i porti di Trapani a Castellammare del Golfo finiti “grazie a D’Alì” in mano di imprese mafiose.

“Ladri e assassini fanno quello che vogliono, e la polizia, con il pretesto di mantenere l’ordine, sta sui campi di calcio… per guardare la partita! Oppure gioca a fare la guardia del corpo del senatore Ardolì…!”; in un passaggio de “la Gita a Tindari” del “maestro” Andrea Camilleri l’Ardolì sembra ecoincidere con il senatore. Dal 2001 al 2005 sottosegretario cnn tanto di scorta, si occupò di sicurezza e criminalità nonostante i suoi presunti storici rapporti con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro di Castelvetrano. Con don Ciccio, morto nel 98, e Matteo da 20 anni super latitante, tutti e due padre e figlio, “campieri” del D’alì anche durante la latitanza. Uno dei fatti che emerge dal processo è quello che Matteo Messina Denaro già ricercato e D’Alì già senatore, si sarebbero pure incontrati in un “baglio” (cortile, ndr) dove ancora oggi i Messina Denaro condividono con i D’Alì la proprietà.

http://www.ilfattoquotidiano.it

02/07/2013, 22:04

Stato-mafia: rivelazioni Riina confermerebbero trattativa
Ad agenti avrebbe detto che a farlo arrestare fu Provenzano

02 luglio, 18:28

http://www.ansa.it/web/notizie/speciali ... 64294.html

Dal capomafia Toto' Riina arriverebbero clamorose conferme sull'esistenza della trattativa Stato-mafia. Agli agenti penitenziari avrebbe detto che a farlo arrestare furono Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino. Le parole del boss, che non collabora con la giustizia, sono finite in una relazione degli agenti che oggi e' stata depositata agli atti del processo sulla trattativa insieme agli interrogatori delle guardie carcerarie che hanno sentito le frasi di Riina.

Dalle parole del boss verrebbe una conferma alle dichiarazioni del figlio di Ciancimino, Massimo, che ha raccontato ai pm che furono il padre e Provenzano a fare arrestare Riina ai carabinieri a gennaio del 1993. Il padrino avrebbe fatto riferimento poi alla circostanza che qualcuno sarebbe andato da lui: frase sibillina che potrebbe alludere al tentativo di dialogo avviato dal Ros con Riina attraverso Vito Ciancimino che avrebbe segnato l'avvio della trattativa.

Il ruolo dei servizi segreti nella strage di Capaci, nella scomparsa dell'agenda rossa del giudice Borsellino e nell'attento di via D'Amelio sono stati oggetto delle confidenze fatte, in carcere, dal boss Toto' Riina a un agente della polizia penitenziaria che le ha poi riferite in una relazione di servizio consegnata alla procura di Palermo. Nella relazione la guardia, riportando le parole del boss, dice che Riina avrebbe sostenuto che: ''Brusca non aveva fatto tutto da solo e che li' c'era la mano dei servizi segreti. La stessa cosa - prosegue l'agente, sempre riportando le parole del boss - vale anche per l'agenda del giudice Paolo Borsellino. Perche' non vanno da quello che aveva in mano la borsa e non si fanno dire a chi ha consegnato l'agenda? In via D'Amelio c'entrano i servizi che si trovano a Castello Utveggio e che dopo cinque minuti dall'attentato sono scomparsi, ma subito si sono andati a prendere la borsa''.

"Appuntato, lei mi vede a baciare Andreotti? Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre". Così il boss Totò Riina, il 21 maggio scorso, avrebbe risposto a un agente della polizia penitenziaria che gli chiedeva se fosse vera la storia del bacio tra lui e Andreotti. A riferire il particolare ai magistrati di Palermo è stata la stessa guardia carceraria che ha depositato sul suo colloquio con Riina una relazione di servizio finita agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia.

03/07/2013, 12:30

Integro il post di TTE con questo articolo

Totò Riina: “L’agenda rossa rubata dai servizi segreti”

Il boss mafioso detenuto nel carcere di Opera a Milano è un fiume in piena, le sue dichiarazioni toccano quegli eventi che hanno determinato la svolta nella storia del nostro Paese, consentendo il transito dalla Prima alla Seconda Repubblica e la salita di Cosa nostra sul carro dei vincitori. A partire dal famoso ‘papello’ contenente le richieste avanzate dalla mafia siciliana, nel cui contesto spicca il ruolo di Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia. Brusca, ha dichiarato Riina, fu “il primo a parlare del ‘papello’”, ma “non ha fatto tutto da solo, c’è la mano dei servizi segreti”. Per poi parlare della famosa e mai più ritrovata agenda rossa del giudice Borsellino: “La stessa cosa vale anche per l’agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda. In via D’Amelio c’erano i servizi”.

Secondo il capomafia Cosa nostra non avrebbe mai potuto organizzare due stragi come quelle di Capaci e via D’Amelio senza l’appoggio di altri personaggi appartenenti ad ambienti para istituzionali: “Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse, come è che sono responsabile di tutte queste cose?”. E ancora: “Nella strage di Capaci – ha continuato Riina – mi hanno condannato con la motivazione che essendo io il capo di Cosa nostra non potevo non sapere come è stato ucciso il giudice Falcone. Lei mi vede a me a confezionare la bomba di Falcone?”.#8232;

Le rivelazioni – riferite da La Repubblica - che l’ex capo di Cosa nostra ha rilasciato qualche settimana fa ad alcuni agenti del gruppo speciale della polizia penitenziaria, fanno parte di una relazione che è stata oggi depositata al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, nell’ambito della quale, asserisce Riina: “Sono stati loro a venire da me non io da loro”, aggiungendo poi che “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”. Frasi criptiche che dovrebbero in realtà tradursi in una concreta collaborazione con la giustizia. #8232;“Le ripetute e ravvicinate affermazioni del Riina su vicende processuali o fatti che lo riguardano (come l’arresto) appaiono anomale rispetto a un atteggiamento che da sempre lo ha contraddistinto, di ‘riservatezza’ nell’approccio con gli operatori tutti” ha detto Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Opera, secondo il quale la “’loquacità’ di Riina “potrebbe avere un preciso significato quanto essere riconducibile a un deterioramento cognitivo legato all’età”.#8232;

Il boss corleonese, parlando con gli agenti, si è inoltre dichiarato “andreottiano da sempre”: “Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre” ha detto durante una pausa di processo della trattativa all’agente che gli domandava se fosse vera la storia del bacio tra lui e Giulio Andreotti. #8232;Inutile dire che possono essere fatte innumerevoli congetture sul motivo che ha spinto Totò Riina, il quale ha sempre negato di essere a conoscenza della trattativa, a rilasciare dichiarazioni di tale peso. La verità è che Riina è ben consapevole, essendo condannato a numerosi ergastoli, che, come quasi tutti i capi di Cosa nostra (escluso Matteo Messina Denaro, tuttora latitante) non uscirà mai più dal carcere.

La ragione più plausibile che si nasconde dietro questa improvvisa inversione di rotta è che il capomafia voglia lanciare un messaggio, ricordando tutti i segreti di cui è a conoscenza. Finchè rimane in vita, Riina è una bomba pronta a esplodere in qualsiasi momento contro quello Stato-mafia che ancora oggi occupa le stanze del potere. #8232;

Non è un caso, nè la prima volta che Riina fa delle rivelazioni proprio a ridosso dell’anniversario della strage di via d’Amelio. Nel luglio del 2009, dopo diciassette anni di silenzio, disse sull’uccisione di Paolo Borsellino che “L’ammazzarono loro”. E poi – riferendosi agli uomini dello Stato – aggiunse: “Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi”. #8232;Riina, o chi per lui, sta lanciando nuovi messaggi intimidatori: forse Cosa nostra, ancora una volta, vuole ricattare lo Stato-mafia? Aspettiamo e vedremo.

http://www.antimafiaduemila.com/2013070 ... retiq.html

13/08/2013, 12:18

Mafia, le ‘larghe pretese’ del rito abbreviato

di Giovanna Maggiani Chelli - 11 agosto 2013


Il 2 Maggio del 2000 in notturna alle ore 21,30 nove persone si radunarono e proposero l’annullamento dell’ergastolo anche alla mafia stragista del 1993 e di lì a breve fu norma, erano:

4 DS (Democratici di sinistra)

2 PPI (Partito Popolare Italiano)

2 FI (Forza Italia)


1 del Governo Amato che però ha votato contro.

In quella serata infame si è cercato, attraverso l’approvazione del rito abbreviato, di togliere l’ergastolo a Salvatore Riina e a tutti gli uomini di cosa nostra che il 27 Maggio 1993 avevano raso al suolo il centro storico di Firenze, proprio con l’intenzione di far abolire il regime detentivo speciale di 41 bis e l’ergastolo ai mafiosi, con il tragico bilancio di 5 morti e 48 feriti, tutti invalidati in via definitiva e ancora oggi in cerca di norme economiche adeguate ai risarcimenti del danno.

A Firenze nell’aula Bunker di santa Verdiana in quell’anno 2000 eravamo in pieno processo a cosa nostra per le stragi del 1993.

Mentre in Tribunale attraverso il lavoro dei magistrati sentivamo raccontare tutte le atrocità alle quali i nostri figli erano stati sottoposti con la strage di Firenze, dopo l’approvazione della norma, i mafiosi condannati all’ergastolo, chiesero tutti uno dopo l’altro l’applicazione del rito abbreviato aggirando così la pena dell’ergastolo ottenuta in primo grado.

Solo il nostro intervento sul Governo ha fatto sì che lo scempio non si compisse, fu varato un decreto in 48 ore che fermò la mano di chi stava per fare un regalo alla mafia quando i nostri morti erano ancora caldi.

Sono passati 20 anni, i mafiosi rei di strage condannati con sentenze passate in giudicato, sono tutti pronti per lasciare il carcere, se l’ergastolo dovesse essere abolito dal nostro ordinamento, ed ecco che la cordata di quel Maggio 2000 che oggi governa insistiamo con “larghe pretese”, pensa di riprovare a dare al Paese una ventata di “democrazia” favorendo i desiderata della mafia.

I desideri della mafia, compreso l’annullamento dell’ergastolo, furono espressi come ben spiega il processo di Firenze passato in giudicato, in una nota denominata “papello” che Riina Salvatore fece avere allo Stato per vie traverse, usando l’espressione “si sono fatti sotto” e per la verifica definitiva della qual cosa, a Palermo il 26 Settembre prossimo si va a processo.

da: IlFattoQuotidiano.it
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08 ... to/682606/





Domanda:

Chi erano gli otto politici che decisero per il rito abbrevviato,
aggirando la condanna all'ergastolo per i stragisti mafiosi? [}:)]

26/09/2013, 13:02

Stato-mafia: Pm in aula,
Napolitano deponga a processo


26 settembre, 12:54

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 62847.html

Il Pm Nino Di Matteo ha ribadito in aula, davanti la Corte di Assise che celebra il processo sulla trattativa Stato-Mafia, la necessità di citare a deporre come teste il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il nome del Capo dello Stato era già nella lista testimoniale depositata ai giudici.

Nella lunga illustrazione delle richieste di prova il magistrato ha precisato che il Capo dello Stato dovrebbe in particolare, riferire su contenuti di una lettera che il suo consulente giuridico, Loris D'Ambrosio, morto l'anno scorso, inviò il 18 giugno del 2012. Nella missiva D'Ambrosio esprimeva il timore di essere stato usato ''come l'ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo di indicibili accordi'' facendo riferimento a fatti accaduti tra l'89 e il '93. Secondo i Pm sentire Napolitano è l'unica possibilità per approfondire i timori di D'Ambrosio. Sulla richiesta del Pm e su tutte le istanze di ammissione delle prove fatte dalla Procura dovrà pronunciarsi la Corte di Assise.

Al processo c'era anche l'ex pm di Palermo Antonio Ingoria, in veste di avvocato di parte civile dell'associazione Familiari delle vittime della strage dei Georgofili.

28/09/2013, 21:39

controindicazioni:articolo non adatto a chi ha problemi di cuore e per gli altri si raccomanda enormi dosi di camomilla.

L’Avvocatura Stato-mafia

Tenetevi forte perché questa è strepitosa: il presidente della Repubblica non solo non è indagabile, intercettabile, ascoltabile, nemmeno se uccide la moglie o parla con uno che ha ucciso la moglie; non solo non può essere nominato in Parlamento, come disposto dagli appositi Boldrini e Grasso; ma non può neppure testimoniare la verità in un processo, nemmeno se conosce elementi utili a far luce su un delitto.

E, già che ci siamo, non può testimoniare nessuno che abbia parlato con Lui anche solo una volta o abbia avuto contatti anche sporadici con Lui, essendo irradiato per contagio dal Suo scudo stellare. A sostenere questa tesi allucinante e allucinogena non è uno squilibrato, un ubriaco o un tossico, ma nientepopodimenoché l’Avvocatura dello Stato: un’istituzione pagata da noi cittadini che rappresenta il governo e la Regione Sicilia come parti civili nel processo dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo sulla trattativa Stato-mafia.

L’altro ieri la Procura di Palermo ha ribadito la necessità di sentire come teste Giorgio Napolitano a proposito di quel che gli scrisse il 18 giugno 2012 il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, in una lettera fatta pubblicare dallo stesso capo dello Stato: “Lei sa di ciò che ho scritto anche di recente… episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi di cui ho detto anche ad altri – quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi…”.
Siccome D’Ambrosio è morto d’infarto un mese dopo, l’unico depositario vivente (“lei sa”) e sicuro (“ho detto anche ad altri”, ma non si sa chi siano) di quelle terribili confidenze sugli “indicibili accordi” fra Stato e mafia mentre D’Ambrosio nel 1989- ‘93 lavorava all’Alto commissariato Antimafia e poi al ministero della Giustizia, è Napolitano. Il quale avrebbe dovuto precipitarsi dai pm per dire tutto ciò che sa ancor prima di esserne convocato. Ma, siccome non l’ha fatto, avrebbe dovuto pregare il governo di incaricare l’Avvocatura dello Stato (che rappresenta gli italiani, non lui) di dire subito sì alla sua audizione. Invece il suo vice al Csm, l’ineffabile Vietti, continua a lanciare messaggi obliqui contro chi vuole ascoltarlo.

E l’avvocato dello Stato (cioè nostro) Giuseppe Dell’Aira tenta di sostenere che il capo dello Stato, in virtù dei suoi presunti “compiti di coordinamento politico e operativo” non di sa di cosa (né dove stia scritto in Costituzione), godrebbe di “assoluta riservatezza sia per le attività pubbliche che per quelle informali” (ma la Costituzione lo copre solo nell’esercizio delle sue funzioni). Fin qui l’avvocato pubblico riprende l’incredibile sentenza della Consulta che ordinò la distruzione delle telefonate Napolitano-Mancino. Poi però, con un bel salto logico, arriva a sostenere che il Presidente non deve testimoniare sulla lettera di D’Ambrosio (totalmente estranea ai colloqui), e non devono farlo neppure i Pg di Cassazione Esposito e Ciani, né l’ex procuratore antimafia Grasso, né il segretario del Quirinale Marra, in quanto testi “riferiti alla funzione presidenziale”. Eppure i pm non vogliono sentirli sulle telefonate Napolitano-Mancino, ma su quelle Mancino-D’Ambrosio e sulla lettera che Marra inviò al Pg per raccomandare la richiesta di Mancino di convocare Grasso per deviare altrove l’indagine di Palermo. Il quale Grasso – con buona pace del disinformatore Massimo Bordin – fu convocato da Ciani per ordine del Colle, ma respinse quella proposta indecente perché non aveva né potere né motivo per accoglierla. Secondo l’avvocato dello Stato però è vietato financo trascrivere le telefonate D’Ambrosio-Mancino, peraltro già trascritte, perché pure D’Ambrosio sarebbe circonfuso per irradiazione dall’immunità napolitana.

Nenti sacciu, nenti vitti, nenti dissi. Massima solidarietà all’Avvocatura della Mafia che, a questo punto, sarà a corto di argomenti.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... ia/726909/
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