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MessaggioInviato: 29/04/2013, 00:01 
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L'ANTICA CIVILTA' GRECA E' STATA DISTRUTTA DA UN TERREMOTO ?

I grandi Micenei hanno ispirato i primi greci, la leggenda della guerra di Troia, L' Iliade e l' Odissea. La loro cultura però si interroppe bruscamente intorno al 1200 ac. e lo stesso periodo segna l'inizio di un'era simile al medioevo in Grecia.

La scomparsa della civiltà micenea è ancora un mistero irrisolto, anche se vi sono diverse ipotesi tra cui l'esplosione dell'isola di Thera e conseguente tsunami.

Ma uno Tsunami avrebbe distrutto le zone costiere e non certo le roccaforti che erano in alta collina.

Una di queste roccaforti era Tirinto che era anche una delle città piu' grandi micenee.

In cima ad una collina calcarea, la città stato era costruita con una delle pareti più spesse della storia.

Le mura erano così massicce che per molti secoli diedero origine alla leggenda che fossero state portate lì dai ciclopi. Solo quel tipo di mitici giganti avrebbero infatti potuto sollevare quei blocchi. Alcuni arrivano a pesare oltre le 13 tonnellate. I muri erano alti 10 metri e spessi anche 8 metri.

Hinzen, un sismologo presso l'Università di Colonia, in Germania è responsabile del progetto che ha studiato i resti delle mura ciclopiche. Ha presentato i risultati preliminari della sua squadra 19 aprile presso la Società sismologa nella riunione annuale Americana a Salt Lake City.

Hinzen e i suoi colleghi hanno creato un modello 3D di Tirinto basato su scansioni laser delle strutture rimanenti. Il loro obiettivo è quello di determinare se il crollo dei muri non poteva che essere stato causato da un terremoto. Scansione geofisica dei sedimenti e strati di roccia sotto la superficie fornirà informazioni per gli studi di ingegneria su come la terra si sarebbe potuta comportare in caso di un forte terremoto.

Il lavoro è complesso, perché molti blocchi sono stati mossi dal dilettante archeologo Heinrich Schliemann nel 1884 e dopo i restauri del 20 ° secolo.

Attraverso foto storiche, la squadra ha trovato sezioni di muro inalterati per testare. Sperano anche di utilizzare una tecnica chiamata luminescenza ottica incontri su terreno sotto i blocchi, che possano rivelare se le pareti rovesciato tutti allo stesso tempo, come durante un terremoto.

Il risultato confermerebbe che Tirinto sia stata distrutta da un terremoto di inaudita violenza proprio intorno al 1200 ac.


http://www.antikitera.net/news.asp?id=12443&T=5


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MessaggioInviato: 09/05/2013, 11:48 
I geologi hanno trovato il 'L'Atlantide Brasiliana', che scomparve sott'acqua 100 milioni di anni fa, circa a 900 km da Rio de Janeiro.

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I geologi hanno trovato del granito sotto l'oceano,
il che suggerisce che la superficie poteva essere emersa (CPRM)


Gli scienziati credono di aver trovato la superficie del continente che è stato sommerso sotto l'Oceano Atlantico, e che si era formato dopo che l'Africa e il Sud America si separarono.

Continua qui in Inglese


Ultima modifica di zakmck il 05/01/2015, 00:53, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 10/05/2013, 18:34 
beh non potrebbe essere anche l'Atlantide platonica?



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MessaggioInviato: 10/05/2013, 19:36 
Troppo antica per essere l'Atlantide platonica... in questo caso parliamo di 100 milioni di anni fa.

La civiltà di Atlantide, per come la intendo io, va da 100.000 a 12.000 anni fa.



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MessaggioInviato: 11/05/2013, 17:03 
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Atlanticus81 ha scritto:

Troppo antica per essere l'Atlantide platonica... in questo caso parliamo di 100 milioni di anni fa.

La civiltà di Atlantide, per come la intendo io, va da 100.000 a 12.000 anni fa.



Chissa' caro Atlanticus, forse potrebbe anche essere molto piu' vecchia. Poi bisognerebbe anche analizzare i dati di questa "scoperta". Fidarsi di quanto riportato da un articolo di giornale mi sembra piuttosto avventato.

Quindi sui 100 milioni ci andrei cauto. Ad esempio nell'articolo e' riportato:

Cita:
"From an analysis, we began to see that the area could be a piece of the continent that disappeared into the sea millions of years ago," Ventura said.


Detta cosi mi sembra solo una supposizione dato che non vi sono certezze a riguardo.

Cita:
He did not say how old the granite they found was, but said it was older than other rocks found on the ocean floor.


Quindi gli elementi temporali forniti sembrano essere relativi alla formazione del continente piuttosto che alla sua scomparsa.

A mio avviso l'elemento significativo e' che vi sia traccia di un continente (??) sprofondato nel bel mezzo dell'Altlantico. Poi, ragionamenti ulteriori solo con dati scientifici piu' precisi.



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MessaggioInviato: 03/06/2013, 00:23 
Cita:
TROVATA UNA MISTERIOSA STRUTTURA DI PIETRA SOTTO IL MAR DI GALILEA

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Una enorme struttura in pietra scoperta sotto le acque del mare di Galilea, in Israele, lascia perplessi ancora oggi gli archeologi riguardo il suo scopo e la sua datazione.

La misteriosa struttura a forma di cono è fatta con massi di basalto grezzi e pesa circa 60.000 tonnellate, dicono i ricercatori. Alta 10 metri, ha un diametro di circa 70 metri, cioè il doppio del cerchio di pietre di Stonehenge.

"Le ispezioni subacquee hanno rivelato che la struttura è fatta di massi di basalto grandi fino a 1 metro, apparentemente senza uno schema", scrivono i ricercatori sull'International Journal of Nautical Archaeology. "I massi hanno facce naturali senza segni di taglio o di cesellatura. Allo stesso modo, non abbiamo trovato alcun segno di disposizione delle pietre o muri che deliniino questa struttura."

Dicono che è sicuramente dell'uomo e, probabilmente, venne costruito sulla terra, solo per essere sommerso più tardi dal Mar di Galilea. "La forma e la composizione della struttura sommersa non assomigliano ad alcuna caratteristica naturale. Abbiamo quindi concluso che è artificiale e che si può definire un cairn, " scrivono i ricercatori.

L'archeologo Yitzhak Paz, dell'Autorità Israeliana per le Antichità, ritiene che possa risalire più di 4.000 anni fa. "La possibilità più logica è che appartenga al terzo millennio a.C., perché ci sono altri fenomeni megalitici di quell'epoca che si trovano nelle vicinanze, ", ha detto Paz, notando che quei siti sono associati a insediamenti fortificati.

I ricercatori elencano diversi esempi di strutture megalitiche che hanno più di 4.000 anni presenti in prossimità del Mar di Galilea. Un esempio è il sito monumentale di Khirbet Beteiha, che si trova a circa 30 chilometri dalla struttura di pietra sommersa. "Comprende tre cerchi di pietre concentrici, il più grande dei quali misura 56 metri di diametro".

Paz spera di scavare presto la struttura per cercare eventuali manufatti e provare a determinare la sua data con certezza. "Cercheremo di farlo in un prossimo futuro, spero, ma dipende da un sacco di fattori.


http://www.antikitera.net/news.asp?id=12492&T=5


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MessaggioInviato: 03/06/2013, 06:44 
Ma è possibile che ogni ritrovamento Archeologico si ipotizza di essere Atlantide?.[:D]


Ultima modifica di bleffort il 03/06/2013, 06:45, modificato 1 volta in totale.

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penso serva per dare clamore alla notizia, o molto più probabilmente, per screditarne la credibilità e farla passare in secondo piano :)



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MessaggioInviato: 10/06/2013, 22:10 
se non lo avete ancora fatto, consiglio a tutti la lettura del libro "Civiltà sommerse", di Graham Hancock


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MessaggioInviato: 17/06/2013, 20:30 
Sapete come la penso su Atlantide... ma ciò non toglie che l'antico continente antartico riveste un ruolo importante nella geografia atlantidea pre-diluviana.

http://www.nationalgeographic.it/specia ... i-1696255/

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Grazie a questa applicazione possiamo giocare a togliere il ghiaccio dalla superficie terrestre del polo sud e immaginare così di dare uno sguardo all'antico continente atlantideo.



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MessaggioInviato: 21/06/2013, 22:12 
una baia con quella così facilmente proteggibile sarà stata al centro di tantissime contese quando il polo sud era in ben altra posizione, chissà quanto ci sarebbe da scoprire sotto quei ghiacci!



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MessaggioInviato: 08/07/2013, 01:23 
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SVELATI I SEGRETI DELL' ANTICA CITTA' SOMMERSA DI PAVLOPETRI

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Una volta, tanto tempo fa, esisteva un luogo unico al mondo abitato da una civiltà avanzata. Poi successe qualcosa di drammatico e la città scomparve tra le acque del mare Atlantide? No, Pavlopetri, una città sommersa al largo della costa sud della Laconia, nel Peloponneso, Grecia.

Secondo gli studiosi, con i suoi 5000 anni di età, è una delle città sommerse più antiche del pianeta. Si tratta di un sito archeologico unico nel suo genere: le profondità del mare ospitano un'intera cittadella composta da edifici, strade, cortili e tombe.

Gli archeologi hanno contato almeno 15 edifici ben conservati, con le loro pareti realizzate in 'aeolianite', una roccia composta dalla litificazione dei sedimenti prodotti dall'azione erosiva del vento, ma anche di roccia arenaria e blocchi di calcare, tutte assemblate rigorosamente senza malta.

Tutta la città copre un area pari a otto campi da calcio. A vederla, sembra che sia stata congelata nel tempo: abbiamo davanti ai nostri occhi un'intera città dell'età del bronzo, un legame tra il nostro passato e l'epoca contemporanea, con numerosi misteri che aspettano solo di essere svelati.

La città sommersa di Pavlopetri fu scoperta casualmente nel 1967 dall'oceanografo Nicholas Flemming, durante la ricerca di prove sul cambiamento del livello del mare nella zona. L'anno dopo, nel 1968, un team di archeologi dell'Università di Cambridge eseguì una mappatura dettagliata del sito.

Nonostante il grandissimo interesse archeologico della scoperta, nessun'altra esplorazione fu eseguita negli anni successivi. Almeno fino al 2011, quando Jon Henderson, ricercatore presso l'Università di Nottingham, ha fatto del suo meglio per portare in vita l'interesse su quella che lui stesso ha definito la 'Pompei subacquea'.

Grazie alla collaborazione offerta del Ministero della Cultura Ellenico, Henderson ha guidato un team della British School at Athens per registrare e ricostruire digitalmente l'aspetto dell'antica città.

Come spiega lo stesso Henderson sull'Huffington Post, Pavlopetri non era una città di semplici agricoltori, ma una città portuale che ospitava una società sofisticata, con abitazioni su due piani e una rete stradale ben pianificata.

Gli edifici più grandi sembrano essere quelli pubblici, mentre altri indizi fanno ipotizzare che la città fosse addirittura in possesso di sistemi per la gestione dell'acqua. Le case private erano fornite di giardini, cortili e mura di confine ben definite. Secondo il ricercatore, la città di Pavlopetri, antica di 5000 anni, era molto simile alle nostre zone residenziali suburbane.

Pavlopetri è stata una vera novità sullo scenario d'Europa: non una città basata sulla centralità di una divinità o di un re, ma piuttosto basata sul commercio e l'economia. Come città portuale, doveva essere crocevia di un inebriante mix culturale.

Come le moderne città costiere, la sua ricchezza era stata costruita grazie al commercio, con operatori in contatto con le ultime innovazioni e all'avanguardia sulle mode e le tendenze dell'epoca.

Nonostante parliamo di una cittadina di 5000 anni fa, le scoperte di Henderson hanno permesso di comparare Pavlopetri alle moderne città portuali, quali Liverpool, Shangai, Londra, New York, San Francisco e Tokyo.

La società era molto complessa: c'era la classe dirigente, i funzionari, gli scrittori, i mercanti, i commercianti, gli artisti e gli artigiani, maestri nell'arte delle ceramica e nella lavorazione del bronzo. Ma c'erano anche soldati, marinai, contadini e pastori.

Sembra incredibile, ma un insediamento dell'età del bronzo mostra un'organizzazione gerarchica ben organizzata, dove ognuno aveva un ruolo chiaro e ben definito, in maniera molto simile alle nostre società moderne.

Sparsi su tutto il fondale di Pevlopetri, gli archeologi hanno trovato centinaia di grandi serbatoi di stoccaggio che probabilmente venivano facilmente caricati sulle navi per trasportare olio, vino, coloranti, profumi e piccoli oggetti come statuette e ceramiche da tavola.

Il grande numero di ritrovamenti suggerisce che la città fosse in possesso di un complesso sistema centralizzato di archiviazione, dato che tutte le operazioni di carico e scarico richiedevano un livello avanzato di gestione amministrativa e contabile, al fine di tenere traccia delle importazioni e delle esportazioni.

E' molto probabile che queste operazioni fossero registrate per iscritto, quindi Pavlopetri potrebbe fornire la prima forma di scrittura in Europa, anche se nessuna prova definitiva è stata ancora trovata.

Gli archeologi ritengono che la città sia sprofondata nelle acque del mare intorno al 1000 a.C., a seguito di tre terremoti che colpirono la zona. La città fu ovviamente abbandonata e, sebbene l'erosione causata dal passare dei millenni, la città è rimasta praticamente uguale a come era 5000 anni fa, fotografata in un immagine che apre una straordinaria finestra sul nostro passato, a quanto pare, ancora tutto da ricostruire.

[BBvideo]<iframe width="640" height="360" src="http://www.youtube.com/embed/f6vvBzAvN0w?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe>[/BBvideo]





http://www.antikitera.net/news.asp?id=12586&T=5


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MessaggioInviato: 16/09/2013, 00:51 
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L'America antidiluviana in un dipinto del 1451

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Un dipinto di Piero della Francesca del 1451 che si trova nel Tempio Malatestiano di Rimini rappresenta senza ombra di dubbio le coste del continente nordamericano.

A cura di Riccardo Magnani

Il Tempio Malatestiano di Rimini è la chiesa maggiore della città e, per questo motivo, è usualmente indicato dai cittadini come il Duomo; rinnovato completamente a partire dal 1447 con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleta, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale. Sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, venne da subito deciso di sistemarvi una cappella dedicata a San Sigismondo, santo omonimo nonché patrono del committente, affidando il progetto inizialmente al veronese Matteo de' Pasti, salvo poi affidare il restante restauro al più quotato Leon Battista Alberti.

Non è qui mia intenzione fare una analisi del Tempio; voglio invece portare l’attenzione su qualcosa di molto significativo, in ordine a definire, o meglio dovremmo dire ri-definire, gran parte della nostra storia e degli accadimenti che l’hanno caratterizzata; mi riferisco a un dipinto di Piero della Francesca presente nell’ultima parte del Tempio, quella appunto caratterizzata dagli interventi di Pandolfo Sigismondo Malatesta. Qui si colloca l'affresco di Piero della Francesca del 1451 che, secondo il parere di biografi e gli accademici ritrae Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo; in questo dipinto “la glorificazione del committente ha il culmine, il tema religioso si intreccia con aspetti politici e dinastici, come nelle fattezze di san Sigismondo che celano quelle dell'imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che nel 1433 investì il Malatesta come cavaliere e ne legittimò la successione dinastica, ratificandone la presa di potere” (De Vecchi-Cerchiari)...

Nel corso dei miei studi in relazione al Rinascimento italiano, innescato dal tentativo esperito da Cosimo de’ Medici di riunificare la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente attraverso il concilio tenutosi nel 1438-1439 a Firenze, documentato da Benozzo Gozzoli nei dipinti di Palazzo Medici-Ricciardi a Firenze, ho potuto riscontrare diverse anomalie rispetto alle ricostruzioni ufficialmente riconosciute ad oggi, al punto da cambiare completamente la mappatura delle opere e di alcuni accadimenti che, storicamente e politicamente, avranno poi assunto un ruolo di rilevanza assoluta, come ad esempio la scoperta dell’America; ufficialmente la si fa risalire, come tutti sanno, al 12 ottobre 1492, data che casualmente coincide con la data in cui l’autore di questo dipinto, Piero della Francesca, muore a Borgo San Sepolcro.

Per quanto attiene a tutte le anomalie da me riscontrate, di cui all’accenno precedente, rimando alle tre pubblicazioni che sto finendo di editare. Nel caso puntuale di questo mio articolo, invece, voglio porre l’attenzione su ciò che questo dipinto di Piero della Francesca stia a rappresentare, ovvero una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale del nuovo continente attribuita a Cristoforo Colombo (sulla cui identità ho già avuto modo pubblicamente di dibattere a lungo, motivo per il quale non ritengo opportuno soffermarmi oltre, anche per la totale ininfluenza della circostanza dopo quanto andrò a motivare in questa sede). L’affermazione di poc’anzi, ovvero che questo dipinto “stia a rappresentare una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale attribuita a Cristoforo Colombo” è facilmente riscontrabile dall’osservazione e dal raffronto con quanto oggi sono le terre emerse sul nostro pianeta in corrispondenza del territorio nordamericano, come mostrato in figura:

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E’ inutile tediarvi con una narrazione puntuale delle singole località ravvisabili nel dipinto riminese; mi limiterò a sottolineare come esista un solo territorio circoscritto alle coste del Golfo del Messico a sud e alle isole dell’Arcipelago Artico canadese a Nord, e si chiama America del Nord. Ufficialmente scoperta il 12 ottobre 1492 da Cristoforo Colombo, così almeno recitano i testi di storia, come si dimostra in questa circostanza l’America era conosciuta già sin dai tempi in cui, nel 1451, Piero della Francesca viene chiamato a decorare le pareti del Tempio Malatestiano di Rimini.

Analizzando il dipinto, alla sinistra di un deferente Pandolfo Sigismondo Malatesta, non troviamo Sigismondo d’Ungheria bensì Gemisto Pletone, ovvero colui il quale, nel 1438, guidò il seguito di filosofi, matematici e astronomi che accompagnarono Giovanni VII il Paleologo al Concilio di Firenze, portando con sé, a questo punto con certezza pressoché incontrovertibile, mappe astronomiche e geografiche di assoluto rilievo, rimandanti a quel mondo pre-cristiano bizantino di cui la Biblioteca Alessandrina era la massima testimonianza, più volte ferocemente e gravemente minacciata e definitivamente distrutta nei primi secoli dopo Cristo, grazie anche agli editti di costantino conseguenti al Concilio di Nicea del 325 d. C.

Non tratterò in questa sede il ruolo di Gemisto Pletone e il suo venir spesso confuso nelle interpretazioni degli studiosi con altri personaggi, a volte immaginari, come nel caso di quell’Ermete Trismegisto raffigurato in Duomo a Siena e talvolta con personaggi reali, quale addirittura Leonardo da Vinci (la mia peculiarità di studio preminente) nel dipinto di Raffaello nei Musei Vaticani, La Scuola di Atene; quello che universalmente viene ritenuto essere Leonardo da Vinci, rappresentato da Raffaello nei panni di Platone con il Timeo sottobraccio, in realtà è nuovamente Gemisto Pletone che discute Basilio Bessarione, anch’egli al seguito di Giovanni VII il Paleologo durante il Concilio fiorentino. Nel 1439, infatti, Pletone scrisse sulla differenza tra la filosofia platonica e quella aristotelica, da cui nacque una forte polemica tra i platonici, sostenuti anche da Basilio Bessarione, e gli aristotelici. Il contrasto verteva sull'idea che fosse possibile, seguendo la concezione platonica, una possibile unificazione delle diverse religioni.

Secondo Pletone nella filosofia platonica, erede di quella zoroastriana, era tratteggiato il modello di una società ideale teocentrica fondata sul culto del dio Sole, e chiaramente Raffaello pone l’accento su questo episodio. Mi tocca fare una precisazione, necessaria per meglio comprendere la sintesi di cui si compone questo scritto: gran parte degli artisti rinascimentali, oltre ad essere stati ottimi pittori, erano a loro volta dei cronisti del tempo che vivevano; attraverso le proprie opere, dunque, testimoniavano la vita di tutti i giorni, a maggior ragione laddove vi erano conflitti di natura politica e ideologica come quelli fortemente caratterizzanti questo periodo storico di importanza assoluta, non fosse altro che per il fatto che è in questo periodo che è stato gettato coltivato il seme che ha filiato l’attuale situazione economico-politica attuale (naturalmente inserisco il potere spirituale rappresentato dalle religioni tutte nella caratterizzazione politica, per ovvie ragioni). Per questo motivo, e proprio in virtù di altre rappresentazioni di Gemisto Pletone da parte di artisti terzi rispetto a quelli citati, mi permetto di fare una simile affermazione.

Proprio in virtù di ciò, è Sandro Botticelli, attraverso il suo dipinto più famoso, ovvero la nascita di Venere, a darci nuovamente una rappresentazione dell’America anteriore allo sbarco di Cristoforo Colombo del 1492. Anzi, a differenza di quanto fa Piero della Francesca, e decisamente con minor accuratezza e precisione, attraverso l’uso dei personaggi raffigurati e delle loro vesti Botticelli inserisce nell’opera l’intera rappresentazione del globo terrestre, in una sorta di planisfero molto semplificato, ma inequivocabile nel soggetto raffigurato, come si può notare dai particolari portati alla vostra attenzione qui di seguito, in raffronto alla prima rappresentazione dell’America unanimemente riconosciuta, ovvero quel planisfero di Waldseemuller del 1507, a sua volta anacronistico relativamente alle date delle scoperte ufficiali delle scoperte geografiche del nuovo continente, con le coste occidentali dell’America del Sud troppo preciserispetto alla circumnavigazione di magellano del 1522.

Nel dipinto di Botticelli richiamato, il velo rosso della donna a destra raffigura l’America del Nord nella parte verso la Venere, mentre raffigura l’Asia nella parte a destra del dipinto; a sua volta la Venere raffigura l’America del Sud, e la Sigizie a sinistra, l’androgino, il Rebis che insuffla lo Spirito Vitale rappresenta, capovolto, la Terra Australis, presente in tutte le carte dei primi anni dopo la scoperta del nuovo continente. Lo spirito insufflato assume così la giusta direzione con cui gli Alisei soffiarono risultando fondamentali ad acconsentire ai primi navigatori di raggiungere le coste dell’Oceano Atlantico opposte alle coste spagnole e portoghesi.

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Non sarà complicato, dopo quanto appena prospettatovi, comprendere come lo stesso Leonardo da Vinci fosse a conoscenza di questi aspetti cartografici, essendo egli stato cresciuto sotto l’ala protettrice di Gemisto Pletone, Marsilio Ficino e l’Accademia neoplatonica tutta, sin da ragazzino; né sarà azzardato pensare a delle conoscenze geografiche in materia di cartografia laddove lo stesso espressamente lamenta al padre di Ginevra Benci, ritratta tra il 1474 e il 1480, la restituzione di un suo mappamondo. Dopotutto, lo stesso Bramante, in un famoso dipinto del 1477 (Eraclito e Democrito), si ritrae con Leonardo da Vinci e un mappamondo che li separa.

Per questo motivo, e in conseguenza delle risultanze dei miei studi che per ovvii motivi qui tralascerò, ma che riconducono all’identificazione di una intera sala dipinta da Leonardo tra il 1459 e il 1469, voglio rimandarvi all’osservazione del planisfero descritto da Botticelli nella sua opera in raffronto con il planisfero di Leonardo da Vinci, conservato a Palazzo Besta in Teglio, Valtellina, qui di seguito riproposto, in cui poter apprezzare anche l’accostamento con la Terra Australis, disegnata in calce al planisfero e recante la scritta incisa “Terra Australis anno 1459 sed nondum plena cognita”.

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Una ulteriore curiosità in merito a queste vicende, deriva dal fatto che il padre di Ginevra Benci si chiamasse Giovanni di Amerigo, e il fratello Amerigo; divenuto rapidamente direttore della filiale ginevrina del Banco Mediceo, divenendone socio in sostituzione del padre, Amerigo ebbe l’opportunità qui di lavorare a stretto contatto con Francesco Sassetti, colui il quale, unitamente a Poggio Bracciolini, accompagnò nel 1459 a Milano (e presumibilmente poi a Teglio in Valtellina) un giovanissimo Leonardo da Vinci. Questa circostanza è confermata da tre dipinti: il primo è un dipinto in cui un giovane Leonardo è raffigurato nell’unico affresco restante della sede del palazzo del Banco Mediceo di Milano mentre legge Cicerone, mentre nei restanti due, entrambi del Ghirlandaio, il giovane Leonardo è ritratto una volta a fianco di Francesco Sassetti e l’altra al fianco di Poggio Bracciolini, e sempre con la città di Lecco alle spalle.

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Non andrò ulteriormente in profondità alle vicende ricostruite, sebbene il materiale in tal senso non mi difetti ma anzi abbondi; questa circostanza, unita alla passione sfrenata che mi ha letteralmente rapito, mi spingerebbe ogni volta a scriverne dei poemi, motivo per cui ho deciso di affidare il compito a delle pubblicazioni esaustive in tal senso; voglio però aggiungere a chiosa di questo breve articolo un ulteriore elemento in cui si palesa in forma del tutto non incidentale il fatto che a metà del XV° secolo, in capo agli esponenti che parteciparono al Concilio che si tenne a Firenze nel 1438, erano disponibili informazioni molto dettagliate sull’esistenza e la dislocazione del continente americano al centro dell’Oceano Pacifico.

Non bastasse ciò a costituire una notizia straordinaria, che da sola scardinerebbe la fragilità dell’impalcatura su cui si è costruita la mendace ricostruzione della scoperta dell’America da parte dell’inesistente Cristoforo Colombo, si aggiunga la meticolosità rappresentativa con cui Piero della Francesca ritrae le coste nordamericane, quasi avesse avuto a disposizione mappe estremamente precise da consultare e riprodurre, al punto tale da ipotizzare delle vedute addirittura satellitari, tanta è la precisione del tratto espresso.

Quando nel 2010 per la prima volta, attraverso una mia pubblicazione dal titolo Anamorphosis, ipotizzai la paternità leonardesca in capo al planisfero di Palazzo Besta a Teglio riportatovi in visione precedentemente, ebbi a sottolineare la sua precisione affermando una cosa che ai più poteva sembrare totalmente fuori luogo: “Questa è una rappresentazione fotografica satellitare della terra come emerse dopo il diluvio universale”. Mi ha colpito non poco tempo fa trovare un disegno di Athanasius Kircher che ritraeva un planisfero, sul quale capeggiava una scritta: “GEOGRAPHIA CONJECTURALIS DE ORBIS TERRESTRIS POST DILUVIUM”, in cui sembra che il Gesuita volesse mettere in confronto grafico le terre emerse dopo il diluvio e quelle che invece lo erano prima del diluvio.

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Ed ecco allora quanto può apparire ancora più strano osservando la rappresentazione dell’America offertaci da Piero della Francesca rispetto al fatto già di per sé straordinario che egli rappresenti il continente nordamericano nel 1451. Se osserviamo bene l’immagine dell’affresco, notiamo che la Florida è raffigurata decisamente più rigonfia rispetto alla stessa così come la si può osservare utilizzando le immagini di Google Earth; addirittura, nella rappresentazione offerta da Piero della Francesca, nel versante orientale della Florida, quello che si affaccia sul Mar dei Caraibi per intenderci, appaiono due speroni che non corrispondono a quanto si può osservare dalla visione reale della Florida ad oggi.

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Ecco allora che ci troviamo dinanzi all’ennesima risultante inattesa: l’America dipinta da Piero dellaFrancesca nel 1451 si riferisce ad una rappresentazione della stessa anteriore al Diluvio Universale, che coincide con quanto da Google Earth attiene alle terre sommerse; allora ricompare non solo lo sperone della Florida, ma anche quella sorta di “lago” che è nella versione di Piero della Francesca e che invece nella visione odierna è una piccola fossa oceanica tra la Florida e Cuba. Osservando di nuovo il planisfero di Kircher, dunque, sembrerebbe che egli intenda rappresentare sia le terre emerse e sia quelle sommerse dopo il diluvio. Questo particolare non è di poco conto, in quanto ci dice con ogni probabilità che in certi ambienti dell’epoca, e forse anche oggi, ci sono ancora in circolazione le matrici delle carte che poterono osservare Piero della Francesca, Leonardo da Vinci e tutti coloro i quali, prima della fumosa vicenda della scoperta dell’America per mano di Cristoforo Colombo, ebbero modo di consultarle.

A questo punto, com’è nel mio stile (ovvero proprio di colui che vuole stimolare un approfondimento attraverso una provocazione seppur documentale e per nulla fantasiosa), vorrei anticipare allora qualcos’altro in merito a queste vicende, in attesa di svilupparlo compiutamente in un lavoro letterario; nel dipinto di Piero della Francesca, Pandolfo Sigismondo Malatesta è accompagnato da due levrieri, uno bianco e uno nero; non mi è dato, al momento, di appurare se fossero i suoi cani o alludessero ad altro tipo di rimando simbologico. C’è però una cosa curiosa e interessante che lega nuovamente l’America, Piero della Francesca e Botticelli: Nastagio degli Onesti.

Nastagio degli Onesti è il protagonista di una novella della Quinta giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, dedicata agli amori dapprima contrastati e poi conclusi felicemente. La storia di Nastagio degli Onesti è stata illustrata da Sandro Botticelli nel 1483 su commissione di Lorenzo il Magnifico per fare un dono nuziale a Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini: le quattro tavolette sono oggi disperse tra Madrid e Firenze.

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A questo punto abbiamo una serie infinita di curiosità che forse vale la pena di elencare:

- La Venere è la stessa della rappresentazione della nascita della Venere di Botticelli, ovvero Simonetta Cattaneo, figlia di banchieri genovesi, sposata con Marco Vespucci.
- La Venere viene inseguita da un cavaliere (Giuliano de’ Medici) mentre viene addentata e quindi acciuffata da due cani, levrieri, uno bianco e uno nero, proprio come quelli di Pandolfo Sigismondo Malatesta;
- La Venere viene Accoltellata alle spalle, mentre Giuliano de’ Medici le sfila il coltello dalla schiena e Lorenzo de’ Medici sfugge; sembrerebbe tanto la rappresentazione di una cosa tanto anelata, sottratta con l’inganno, in conseguenza della quale l’immagine di Giuliano richiama un accoltellamento alle spalle e Lorenzo si salva scappando: sembrerebbe la Congiura de’ Pazzi, curioso davvero, come conseguenza di un viaggio con tre caravelle, le stesse che si vedono alle spalle della prima e della terza rappresentazione.

Ma non abbiamo finito qui con le curiosità: provate a indovinare come si chiamava il padre di Amerigo Vespucci?
Nastagio! E sapete come si chiamavano le tre sorelle di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico? Nannina, detta Nina; Bianca, semplicemente detta Pinta, per via del privilegio di un paio di dipinti in cui Botticelli la ritrasse e Maria, madre di Luigi de’ Rossi, cardinale fedelissimo di Papa Leone X (e per questo detta la Santa).

Non pensiate sia finita qui.

Dicevamo di Bianca, detta la Pinta; sapete chi sposò? Guglielmo de’ Pazzi, nel 1459, che in virtù della sua parentela coi Medici permise al resto della famiglia di avvicinare Giuliano e Lorenzo de’ Medici e colpirli a tradimento. Un’ultima indicazione, derivante dall’osservazione di questi quattro dipinti, è relativa al porto da dove vengono fatte partire le caravelle nel primo dipinto, che precede l’attentato a Giuliano, e dunque descrive un viaggio anteriore al 1476: Portovenere. Ricordo che Simonetta Cattaneo, sposata con Marco Vespucci per volere del padre Piero, ma corteggiata profondamente da Giuliano de’ Medici per la sua avvenenza assoluta, era originaria

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Penso quindi di poter definitivamente affermare, dopo quanto scritto e mostrato, che Piero della Francesca dipinge nel 1451 la prima rappresentazione moderna del continente americano, seppur in riferimento a un periodo molto antico, anteriore al Diluvio Universale mitologico (che a questo punto tanto mitologico non può più essere, anche in virtù della puntualità rappresentativa del dipinto in questione).

Del planisfero di Leonardo da Vinci ho già ampiamente trattato in altre sedi, e vi tornerò prestissimo.

Per quanto invece attiene a Botticelli, posso affermare che non solo ci consegna, attraverso la nascita di Venere, una mappa del mondo anteriore alla sua presunta scoperta da parte di Cristoforo Colombo, ma attraverso la rappresentazione pittorica di una novella del Decameron di Boccaccio ci svela anche i retroscena alla base del tradimento nei confronti della famiglia de’ Medici, con buona probabilità da parte delle famiglie Vespucci, Cattaneo e de’ Pazzi. E questa, è solo una piccolissima anticipazione di tutto quanto sono riuscito a ricostruire e che, si badi bene, non attiene solo a delle curiosità della storia passata, ma hanno rappresentto momenti fondamentali nella costruzione di quell’assetto politico-economico-religioso che oggi governa, o meglio dovrei dire sta mandando a rotoli, il mondo intero.

Si dice che il buon storico non può cambiare il corso della storia, e questo è verissimo, ma solo conoscendo il nostro passato possiamo interpretare il presente.

“Vi prenderà per pazzo chi, non udendo alcuna musica, vi vedrà danzare”.


Lago di Lecco, 10 settembre 2013




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MessaggioInviato: 21/09/2013, 14:44 
Ottima discussione su Atlantide nel Canale di Sicilia:
http://xmx.forumcommunity.net/?t=4881572
In pratica simile a quella che avevo postato su questo Tred.[;)]


Ultima modifica di bleffort il 21/09/2013, 14:47, modificato 1 volta in totale.

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vimana131 ha scritto:

Cita:
L'America antidiluviana in un dipinto del 1451

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Un dipinto di Piero della Francesca del 1451 che si trova nel Tempio Malatestiano di Rimini rappresenta senza ombra di dubbio le coste del continente nordamericano.

A cura di Riccardo Magnani

Il Tempio Malatestiano di Rimini è la chiesa maggiore della città e, per questo motivo, è usualmente indicato dai cittadini come il Duomo; rinnovato completamente a partire dal 1447 con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleta, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale. Sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, venne da subito deciso di sistemarvi una cappella dedicata a San Sigismondo, santo omonimo nonché patrono del committente, affidando il progetto inizialmente al veronese Matteo de' Pasti, salvo poi affidare il restante restauro al più quotato Leon Battista Alberti.

Non è qui mia intenzione fare una analisi del Tempio; voglio invece portare l’attenzione su qualcosa di molto significativo, in ordine a definire, o meglio dovremmo dire ri-definire, gran parte della nostra storia e degli accadimenti che l’hanno caratterizzata; mi riferisco a un dipinto di Piero della Francesca presente nell’ultima parte del Tempio, quella appunto caratterizzata dagli interventi di Pandolfo Sigismondo Malatesta. Qui si colloca l'affresco di Piero della Francesca del 1451 che, secondo il parere di biografi e gli accademici ritrae Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo; in questo dipinto “la glorificazione del committente ha il culmine, il tema religioso si intreccia con aspetti politici e dinastici, come nelle fattezze di san Sigismondo che celano quelle dell'imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che nel 1433 investì il Malatesta come cavaliere e ne legittimò la successione dinastica, ratificandone la presa di potere” (De Vecchi-Cerchiari)...

Nel corso dei miei studi in relazione al Rinascimento italiano, innescato dal tentativo esperito da Cosimo de’ Medici di riunificare la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente attraverso il concilio tenutosi nel 1438-1439 a Firenze, documentato da Benozzo Gozzoli nei dipinti di Palazzo Medici-Ricciardi a Firenze, ho potuto riscontrare diverse anomalie rispetto alle ricostruzioni ufficialmente riconosciute ad oggi, al punto da cambiare completamente la mappatura delle opere e di alcuni accadimenti che, storicamente e politicamente, avranno poi assunto un ruolo di rilevanza assoluta, come ad esempio la scoperta dell’America; ufficialmente la si fa risalire, come tutti sanno, al 12 ottobre 1492, data che casualmente coincide con la data in cui l’autore di questo dipinto, Piero della Francesca, muore a Borgo San Sepolcro.

Per quanto attiene a tutte le anomalie da me riscontrate, di cui all’accenno precedente, rimando alle tre pubblicazioni che sto finendo di editare. Nel caso puntuale di questo mio articolo, invece, voglio porre l’attenzione su ciò che questo dipinto di Piero della Francesca stia a rappresentare, ovvero una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale del nuovo continente attribuita a Cristoforo Colombo (sulla cui identità ho già avuto modo pubblicamente di dibattere a lungo, motivo per il quale non ritengo opportuno soffermarmi oltre, anche per la totale ininfluenza della circostanza dopo quanto andrò a motivare in questa sede). L’affermazione di poc’anzi, ovvero che questo dipinto “stia a rappresentare una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale attribuita a Cristoforo Colombo” è facilmente riscontrabile dall’osservazione e dal raffronto con quanto oggi sono le terre emerse sul nostro pianeta in corrispondenza del territorio nordamericano, come mostrato in figura:

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E’ inutile tediarvi con una narrazione puntuale delle singole località ravvisabili nel dipinto riminese; mi limiterò a sottolineare come esista un solo territorio circoscritto alle coste del Golfo del Messico a sud e alle isole dell’Arcipelago Artico canadese a Nord, e si chiama America del Nord. Ufficialmente scoperta il 12 ottobre 1492 da Cristoforo Colombo, così almeno recitano i testi di storia, come si dimostra in questa circostanza l’America era conosciuta già sin dai tempi in cui, nel 1451, Piero della Francesca viene chiamato a decorare le pareti del Tempio Malatestiano di Rimini.

Analizzando il dipinto, alla sinistra di un deferente Pandolfo Sigismondo Malatesta, non troviamo Sigismondo d’Ungheria bensì Gemisto Pletone, ovvero colui il quale, nel 1438, guidò il seguito di filosofi, matematici e astronomi che accompagnarono Giovanni VII il Paleologo al Concilio di Firenze, portando con sé, a questo punto con certezza pressoché incontrovertibile, mappe astronomiche e geografiche di assoluto rilievo, rimandanti a quel mondo pre-cristiano bizantino di cui la Biblioteca Alessandrina era la massima testimonianza, più volte ferocemente e gravemente minacciata e definitivamente distrutta nei primi secoli dopo Cristo, grazie anche agli editti di costantino conseguenti al Concilio di Nicea del 325 d. C.

Non tratterò in questa sede il ruolo di Gemisto Pletone e il suo venir spesso confuso nelle interpretazioni degli studiosi con altri personaggi, a volte immaginari, come nel caso di quell’Ermete Trismegisto raffigurato in Duomo a Siena e talvolta con personaggi reali, quale addirittura Leonardo da Vinci (la mia peculiarità di studio preminente) nel dipinto di Raffaello nei Musei Vaticani, La Scuola di Atene; quello che universalmente viene ritenuto essere Leonardo da Vinci, rappresentato da Raffaello nei panni di Platone con il Timeo sottobraccio, in realtà è nuovamente Gemisto Pletone che discute Basilio Bessarione, anch’egli al seguito di Giovanni VII il Paleologo durante il Concilio fiorentino. Nel 1439, infatti, Pletone scrisse sulla differenza tra la filosofia platonica e quella aristotelica, da cui nacque una forte polemica tra i platonici, sostenuti anche da Basilio Bessarione, e gli aristotelici. Il contrasto verteva sull'idea che fosse possibile, seguendo la concezione platonica, una possibile unificazione delle diverse religioni.

Secondo Pletone nella filosofia platonica, erede di quella zoroastriana, era tratteggiato il modello di una società ideale teocentrica fondata sul culto del dio Sole, e chiaramente Raffaello pone l’accento su questo episodio. Mi tocca fare una precisazione, necessaria per meglio comprendere la sintesi di cui si compone questo scritto: gran parte degli artisti rinascimentali, oltre ad essere stati ottimi pittori, erano a loro volta dei cronisti del tempo che vivevano; attraverso le proprie opere, dunque, testimoniavano la vita di tutti i giorni, a maggior ragione laddove vi erano conflitti di natura politica e ideologica come quelli fortemente caratterizzanti questo periodo storico di importanza assoluta, non fosse altro che per il fatto che è in questo periodo che è stato gettato coltivato il seme che ha filiato l’attuale situazione economico-politica attuale (naturalmente inserisco il potere spirituale rappresentato dalle religioni tutte nella caratterizzazione politica, per ovvie ragioni). Per questo motivo, e proprio in virtù di altre rappresentazioni di Gemisto Pletone da parte di artisti terzi rispetto a quelli citati, mi permetto di fare una simile affermazione.

Proprio in virtù di ciò, è Sandro Botticelli, attraverso il suo dipinto più famoso, ovvero la nascita di Venere, a darci nuovamente una rappresentazione dell’America anteriore allo sbarco di Cristoforo Colombo del 1492. Anzi, a differenza di quanto fa Piero della Francesca, e decisamente con minor accuratezza e precisione, attraverso l’uso dei personaggi raffigurati e delle loro vesti Botticelli inserisce nell’opera l’intera rappresentazione del globo terrestre, in una sorta di planisfero molto semplificato, ma inequivocabile nel soggetto raffigurato, come si può notare dai particolari portati alla vostra attenzione qui di seguito, in raffronto alla prima rappresentazione dell’America unanimemente riconosciuta, ovvero quel planisfero di Waldseemuller del 1507, a sua volta anacronistico relativamente alle date delle scoperte ufficiali delle scoperte geografiche del nuovo continente, con le coste occidentali dell’America del Sud troppo preciserispetto alla circumnavigazione di magellano del 1522.

Nel dipinto di Botticelli richiamato, il velo rosso della donna a destra raffigura l’America del Nord nella parte verso la Venere, mentre raffigura l’Asia nella parte a destra del dipinto; a sua volta la Venere raffigura l’America del Sud, e la Sigizie a sinistra, l’androgino, il Rebis che insuffla lo Spirito Vitale rappresenta, capovolto, la Terra Australis, presente in tutte le carte dei primi anni dopo la scoperta del nuovo continente. Lo spirito insufflato assume così la giusta direzione con cui gli Alisei soffiarono risultando fondamentali ad acconsentire ai primi navigatori di raggiungere le coste dell’Oceano Atlantico opposte alle coste spagnole e portoghesi.

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Non sarà complicato, dopo quanto appena prospettatovi, comprendere come lo stesso Leonardo da Vinci fosse a conoscenza di questi aspetti cartografici, essendo egli stato cresciuto sotto l’ala protettrice di Gemisto Pletone, Marsilio Ficino e l’Accademia neoplatonica tutta, sin da ragazzino; né sarà azzardato pensare a delle conoscenze geografiche in materia di cartografia laddove lo stesso espressamente lamenta al padre di Ginevra Benci, ritratta tra il 1474 e il 1480, la restituzione di un suo mappamondo. Dopotutto, lo stesso Bramante, in un famoso dipinto del 1477 (Eraclito e Democrito), si ritrae con Leonardo da Vinci e un mappamondo che li separa.

Per questo motivo, e in conseguenza delle risultanze dei miei studi che per ovvii motivi qui tralascerò, ma che riconducono all’identificazione di una intera sala dipinta da Leonardo tra il 1459 e il 1469, voglio rimandarvi all’osservazione del planisfero descritto da Botticelli nella sua opera in raffronto con il planisfero di Leonardo da Vinci, conservato a Palazzo Besta in Teglio, Valtellina, qui di seguito riproposto, in cui poter apprezzare anche l’accostamento con la Terra Australis, disegnata in calce al planisfero e recante la scritta incisa “Terra Australis anno 1459 sed nondum plena cognita”.

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Una ulteriore curiosità in merito a queste vicende, deriva dal fatto che il padre di Ginevra Benci si chiamasse Giovanni di Amerigo, e il fratello Amerigo; divenuto rapidamente direttore della filiale ginevrina del Banco Mediceo, divenendone socio in sostituzione del padre, Amerigo ebbe l’opportunità qui di lavorare a stretto contatto con Francesco Sassetti, colui il quale, unitamente a Poggio Bracciolini, accompagnò nel 1459 a Milano (e presumibilmente poi a Teglio in Valtellina) un giovanissimo Leonardo da Vinci. Questa circostanza è confermata da tre dipinti: il primo è un dipinto in cui un giovane Leonardo è raffigurato nell’unico affresco restante della sede del palazzo del Banco Mediceo di Milano mentre legge Cicerone, mentre nei restanti due, entrambi del Ghirlandaio, il giovane Leonardo è ritratto una volta a fianco di Francesco Sassetti e l’altra al fianco di Poggio Bracciolini, e sempre con la città di Lecco alle spalle.

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Non andrò ulteriormente in profondità alle vicende ricostruite, sebbene il materiale in tal senso non mi difetti ma anzi abbondi; questa circostanza, unita alla passione sfrenata che mi ha letteralmente rapito, mi spingerebbe ogni volta a scriverne dei poemi, motivo per cui ho deciso di affidare il compito a delle pubblicazioni esaustive in tal senso; voglio però aggiungere a chiosa di questo breve articolo un ulteriore elemento in cui si palesa in forma del tutto non incidentale il fatto che a metà del XV° secolo, in capo agli esponenti che parteciparono al Concilio che si tenne a Firenze nel 1438, erano disponibili informazioni molto dettagliate sull’esistenza e la dislocazione del continente americano al centro dell’Oceano Pacifico.

Non bastasse ciò a costituire una notizia straordinaria, che da sola scardinerebbe la fragilità dell’impalcatura su cui si è costruita la mendace ricostruzione della scoperta dell’America da parte dell’inesistente Cristoforo Colombo, si aggiunga la meticolosità rappresentativa con cui Piero della Francesca ritrae le coste nordamericane, quasi avesse avuto a disposizione mappe estremamente precise da consultare e riprodurre, al punto tale da ipotizzare delle vedute addirittura satellitari, tanta è la precisione del tratto espresso.

Quando nel 2010 per la prima volta, attraverso una mia pubblicazione dal titolo Anamorphosis, ipotizzai la paternità leonardesca in capo al planisfero di Palazzo Besta a Teglio riportatovi in visione precedentemente, ebbi a sottolineare la sua precisione affermando una cosa che ai più poteva sembrare totalmente fuori luogo: “Questa è una rappresentazione fotografica satellitare della terra come emerse dopo il diluvio universale”. Mi ha colpito non poco tempo fa trovare un disegno di Athanasius Kircher che ritraeva un planisfero, sul quale capeggiava una scritta: “GEOGRAPHIA CONJECTURALIS DE ORBIS TERRESTRIS POST DILUVIUM”, in cui sembra che il Gesuita volesse mettere in confronto grafico le terre emerse dopo il diluvio e quelle che invece lo erano prima del diluvio.

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Ed ecco allora quanto può apparire ancora più strano osservando la rappresentazione dell’America offertaci da Piero della Francesca rispetto al fatto già di per sé straordinario che egli rappresenti il continente nordamericano nel 1451. Se osserviamo bene l’immagine dell’affresco, notiamo che la Florida è raffigurata decisamente più rigonfia rispetto alla stessa così come la si può osservare utilizzando le immagini di Google Earth; addirittura, nella rappresentazione offerta da Piero della Francesca, nel versante orientale della Florida, quello che si affaccia sul Mar dei Caraibi per intenderci, appaiono due speroni che non corrispondono a quanto si può osservare dalla visione reale della Florida ad oggi.

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Ecco allora che ci troviamo dinanzi all’ennesima risultante inattesa: l’America dipinta da Piero dellaFrancesca nel 1451 si riferisce ad una rappresentazione della stessa anteriore al Diluvio Universale, che coincide con quanto da Google Earth attiene alle terre sommerse; allora ricompare non solo lo sperone della Florida, ma anche quella sorta di “lago” che è nella versione di Piero della Francesca e che invece nella visione odierna è una piccola fossa oceanica tra la Florida e Cuba. Osservando di nuovo il planisfero di Kircher, dunque, sembrerebbe che egli intenda rappresentare sia le terre emerse e sia quelle sommerse dopo il diluvio. Questo particolare non è di poco conto, in quanto ci dice con ogni probabilità che in certi ambienti dell’epoca, e forse anche oggi, ci sono ancora in circolazione le matrici delle carte che poterono osservare Piero della Francesca, Leonardo da Vinci e tutti coloro i quali, prima della fumosa vicenda della scoperta dell’America per mano di Cristoforo Colombo, ebbero modo di consultarle.

A questo punto, com’è nel mio stile (ovvero proprio di colui che vuole stimolare un approfondimento attraverso una provocazione seppur documentale e per nulla fantasiosa), vorrei anticipare allora qualcos’altro in merito a queste vicende, in attesa di svilupparlo compiutamente in un lavoro letterario; nel dipinto di Piero della Francesca, Pandolfo Sigismondo Malatesta è accompagnato da due levrieri, uno bianco e uno nero; non mi è dato, al momento, di appurare se fossero i suoi cani o alludessero ad altro tipo di rimando simbologico. C’è però una cosa curiosa e interessante che lega nuovamente l’America, Piero della Francesca e Botticelli: Nastagio degli Onesti.

Nastagio degli Onesti è il protagonista di una novella della Quinta giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, dedicata agli amori dapprima contrastati e poi conclusi felicemente. La storia di Nastagio degli Onesti è stata illustrata da Sandro Botticelli nel 1483 su commissione di Lorenzo il Magnifico per fare un dono nuziale a Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini: le quattro tavolette sono oggi disperse tra Madrid e Firenze.

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A questo punto abbiamo una serie infinita di curiosità che forse vale la pena di elencare:

- La Venere è la stessa della rappresentazione della nascita della Venere di Botticelli, ovvero Simonetta Cattaneo, figlia di banchieri genovesi, sposata con Marco Vespucci.
- La Venere viene inseguita da un cavaliere (Giuliano de’ Medici) mentre viene addentata e quindi acciuffata da due cani, levrieri, uno bianco e uno nero, proprio come quelli di Pandolfo Sigismondo Malatesta;
- La Venere viene Accoltellata alle spalle, mentre Giuliano de’ Medici le sfila il coltello dalla schiena e Lorenzo de’ Medici sfugge; sembrerebbe tanto la rappresentazione di una cosa tanto anelata, sottratta con l’inganno, in conseguenza della quale l’immagine di Giuliano richiama un accoltellamento alle spalle e Lorenzo si salva scappando: sembrerebbe la Congiura de’ Pazzi, curioso davvero, come conseguenza di un viaggio con tre caravelle, le stesse che si vedono alle spalle della prima e della terza rappresentazione.

Ma non abbiamo finito qui con le curiosità: provate a indovinare come si chiamava il padre di Amerigo Vespucci?
Nastagio! E sapete come si chiamavano le tre sorelle di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico? Nannina, detta Nina; Bianca, semplicemente detta Pinta, per via del privilegio di un paio di dipinti in cui Botticelli la ritrasse e Maria, madre di Luigi de’ Rossi, cardinale fedelissimo di Papa Leone X (e per questo detta la Santa).

Non pensiate sia finita qui.

Dicevamo di Bianca, detta la Pinta; sapete chi sposò? Guglielmo de’ Pazzi, nel 1459, che in virtù della sua parentela coi Medici permise al resto della famiglia di avvicinare Giuliano e Lorenzo de’ Medici e colpirli a tradimento. Un’ultima indicazione, derivante dall’osservazione di questi quattro dipinti, è relativa al porto da dove vengono fatte partire le caravelle nel primo dipinto, che precede l’attentato a Giuliano, e dunque descrive un viaggio anteriore al 1476: Portovenere. Ricordo che Simonetta Cattaneo, sposata con Marco Vespucci per volere del padre Piero, ma corteggiata profondamente da Giuliano de’ Medici per la sua avvenenza assoluta, era originaria

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Penso quindi di poter definitivamente affermare, dopo quanto scritto e mostrato, che Piero della Francesca dipinge nel 1451 la prima rappresentazione moderna del continente americano, seppur in riferimento a un periodo molto antico, anteriore al Diluvio Universale mitologico (che a questo punto tanto mitologico non può più essere, anche in virtù della puntualità rappresentativa del dipinto in questione).

Del planisfero di Leonardo da Vinci ho già ampiamente trattato in altre sedi, e vi tornerò prestissimo.

Per quanto invece attiene a Botticelli, posso affermare che non solo ci consegna, attraverso la nascita di Venere, una mappa del mondo anteriore alla sua presunta scoperta da parte di Cristoforo Colombo, ma attraverso la rappresentazione pittorica di una novella del Decameron di Boccaccio ci svela anche i retroscena alla base del tradimento nei confronti della famiglia de’ Medici, con buona probabilità da parte delle famiglie Vespucci, Cattaneo e de’ Pazzi. E questa, è solo una piccolissima anticipazione di tutto quanto sono riuscito a ricostruire e che, si badi bene, non attiene solo a delle curiosità della storia passata, ma hanno rappresentto momenti fondamentali nella costruzione di quell’assetto politico-economico-religioso che oggi governa, o meglio dovrei dire sta mandando a rotoli, il mondo intero.

Si dice che il buon storico non può cambiare il corso della storia, e questo è verissimo, ma solo conoscendo il nostro passato possiamo interpretare il presente.

“Vi prenderà per pazzo chi, non udendo alcuna musica, vi vedrà danzare”.


Lago di Lecco, 10 settembre 2013




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Più vedo questi dipinti e più si rafforza la mia teoria sui viaggi temporali!


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