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Fisco e imprese massacrate

Fino a quando non accadrà qualche shock di sistema, conviene quasi non lavorare in Italia:
visto che se lo fai, e se percepisci un utile netto, fino all'85% va in tasse. Paolo Cardenà


http://www.wallstreetitalia.com/article ... crate.aspx

ROMA (WSI) - In questi giorni, visto l'approssimarsi delle scadenze fiscali, sono molto impegnato con le dichiarazioni fiscali per il periodo di imposta 2012. Questo periodo, oltre ad essere sempre intenso di lavoro, ispira numerose riflessioni e altrettanti spunti sullo stato di salute delle nostre imprese, sulla pretesa tributaria che patiscono, e sul futuro che ci attende.

In una di queste, sono giunto alla conclusione che, in Italia, conviene non lavorare, non imprendere. Starsene beatamente a casa curando i propri interessi, i propri hobby, e magari darsi a qualche buona lettura, ripagherebbe molto di più che fare impresa.

Sarebbe molto più utile, almeno nello spirito. Perlomeno, fino a quando non accadrà qualche shock di sistema, tale da riformare strutturalmente i meccanismi fiscali al limite dell'incredibile, dell'immaginario e della sopraffazione. Mi riferisco alla sopraffazione che il fisco pratica nei confronti dei contribuenti e, nel caso specifico, di chi fa impresa.

Qualche giorno fa, mi è passata di mano una dichiarazione di un piccola società di capitali: una srl, con due soci che svolgono entrambi la propria opera all'interno della società.


Immagine

La crisi, chiaramente, anche in questo caso, non ha risparmiato l'impresa: i ricavi si sono contratti significativamente, e anche l'utile è stato spinto al ribasso. Tant'è che il bilancio al 31/12/2012, presenta un utile prima delle imposte di appena 32000. Una miseria insomma, che non ripaga affatto il sacrificio sopportato dai due imprenditori, che si dedicano alla loro attività quasi 12 ore al giorno, immersi con impegno totale e dedizione in questo lavoro, trascurando i propri interessi, i propri affetti e le proprie passioni. Una storia di imprenditori onesti e laboriosi. Una storia come tante altre, in Italia.

In questo caso, nella determinazione delle imposte da pagare a carico della società in esame, nonostante l'esiguità dell'utile - certamente non sufficiente a garantire la sussistenza degli imprenditori e delle rispettive famiglie-, la tassazione pretesa dal fisco in capo alla società è di oltre 15.000 euro. 15.593 euro, per l'esattezza. Di cui, 12.024 a titolo Ires, e 3569 per Irap. Quindi, la società subisce un carico tributario di oltre il 48%.

Vi chiederete come sia possibile, immagino. E' possibile perché il legislatore fiscale, sempre in cerca di nuova materia imponibile da colpire, e quindi di nuovo gettito tributario, nel corso degli anni, ha reso indeducibili una serie di costi, sia ai fini Ires che Irap.

Solo per enunciarvi qualche esempio, le società, ai fini Ires, nonostante abbiano patito un incremento dei costi finanziari per via dell'inasprimento delle condizioni bancarie, nella determinazione del reddito, non possono portare in deduzione tutti gli interessi passivi che pagano, ma possono farlo solo nei limiti del 30% del ROL (Reddito Operativo Lordo).

Essendo il ROL una variabile che dipende, tra l'altro, dai ricavi conseguiti, diminuendo questi ultimi, ne deriva che si contrae anche il ROL, divenendo meno capiente ai fini della deduzione degli interessi passivi, che comunque aumentano. Invece, ai fini Irap, gli interessi passivi sono, in buona sostanza, indeducibili nella sua interezza. Quindi, aumentano gli interessi (costi), diminuiscono i ricavi, il reddito, ma si pagano più imposte.

Altro esempio emblematico riguarda le autovetture. Si pensi ai costi di acquisto, gestione e manutenzione del parco autovetture. Questi, possono essere dedotti solo per il 40% (deduzione ridotta al 20% dal primo gennaio 2013).

Oppure, ancora, all'indeducibilità dei costi del personale ai fini Irap, per i quali, il legislatore riconosce comunque alcune deduzioni. Per queste componenti di costo, enunciate solo a titolo esemplificativo, il legislatore ha previsto l'indeducibilità ai fini della determinazione del reddito tassabile, ancorché siano costi sostenuti nell'ambito del normale svolgimento dell'attività di impresa, pertinenti e indispensabili al conseguimento del fine imprenditoriale.

Per via della parziale deducibilità o dell'indeducibilità totale di questi costi, accade che, paradossalmente, l'erario può fondare la pretesa tributaria su un reddito non prodotto e su un utile realizzato.

Ritornando all'esempio che ci occupa, la tassazione della società e dei due soci non si esaurisce con i 15.593 euro di tasse in capo alla società. Ma anche i soci sono colpiti dal imposizioni tributarie e contributive.

Già, per l'anno 2012, i due soci hanno corrisposto i contributi Inps sul reddito minimale individuato a circa 15000 euro. E quindi altri 3200 euro ciascuno di contributi Inps facendo salire il conto a 21993.

Oltre ai contributi pagati sul reddito minimale, la legge prevede che, ciascun socio che lavora nell'azienda debba versare anche i contributi Inps a percentuale sulla parte di reddito eccedente il minimale. In questo caso, essendo il reddito fiscale di euro 43722 per via della ripresa a tassazione delle componenti di costo pocanzi enunciate, ne consegue che ciascun socio debba corrispondere all'Inps altri 1482 euro ciascuno, ancorché il reddito prodotto non sia stato prelevato in forma di utili distribuiti.

E l'imposizione fiscale complessiva, con un utile di appena 32000, è già arrivata a quasi 25000 euro, ossia il 78% dell'utile prodotto nel 2012.

Ma c'è dell'altro. I due soci, nel corso del 2013, volendo prelevare l'utile netto realizzato nel 2012, o meglio quel che rimane (16.407=32.000-15.939) anche per far fronte alle proprie spese e al pagamento dei contributi Inps in scadenza nell'anno, saranno sottoposti a un'ulteriore tassazione.

Prima di tutto dovranno registrare la delibera di distribuzione dell'utile, pagando 168 euro. Poi, nel 2014, nella propria dichiarazione dei redditi dovranno riportare l'utile imputato a ciascuno di loro (8.203) che andrà a formare la base imponibile in misura del 49.72% dell'utile prelevato, in quanto, in parte, già tassato in capo alla società.

Quindi, ipotizzando che lo scaglione di reddito da applicare sia il più basso (23%), ciascuno di loro, al netto degli oneri deducibili pagati nel corso del 2013, dovrà corrispondere all'erario ulteriori 900 euro tra Irpef e addizionali varie.

Quindi, il conto delle imposte pagate sia dalla società che dai soci, per un misero utile di 32000 euro, sale fino ad arrivare a 27000 euro, euro più euro meno. Ossia l'85% dell'utile prodotto dalla società nel 2012. Oltre alle tasse di cui abbiamo dato nota, c'è da dire che l'impresa, durante l'esercizio, subisce altre forme di imposizione.

Si pensi, ad esempio, al diritto annuale della camera di commercio, alla tassa sulla vidimazione dei libri sociali, all'eventuale IMU (indeducibile) e ad altre contribuzioni obbligatorie per legge, che, tuttavia, sono già considerate nella determinazione del risultato d'esercizio originario(32.000 euro).

C'è da dire che la pretesa del fisco non si esaurisce con questa pretesa assurda e distruttiva, che oltrepassa di molto ogni limite di sostenibilità e ragionevolezza. Invero, per i 5 anni successivi, il fisco potrà esperire eventuali controlli sulla fedeltà fiscale dell'azienda, e magari accertare ricavi superiori a quelli dichiarati, determinati in ragione agli indicatori previsti dagli studi di settori a cui la società è sottoposta.

Se pensate che il caso appena descritto costituisca un caso limite, vi state sbagliando di grosso. Benché il caso proposto offra dei piccoli margini di ottimizzazione del livello di pressione fiscale, esistono casi in cui le aziende, nonostante conseguano delle perdite anche significative, sono esposte ugualmente al pagamento di un carico fiscale eccessivo ed insostenibile. Tanto più in momenti di crisi profonda come quello attuale. Ciò è possibile per effetto della ripresa a tassazione dei costi che il fisco considera indeducibili, nonostante siano indispensabili e strumentali al raggiungimento degli scopi imprenditoriali.

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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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Thethirdeye ha scritto:

Fisco e imprese massacrate

Fino a quando non accadrà qualche shock di sistema, conviene quasi non lavorare in Italia:
visto che se lo fai, e se percepisci un utile netto, fino all'85% va in tasse. Paolo Cardenà


http://www.wallstreetitalia.com/article ... crate.aspx

ROMA (WSI) - In questi giorni, visto l'approssimarsi delle scadenze fiscali, sono molto impegnato con le dichiarazioni fiscali per il periodo di imposta 2012. Questo periodo, oltre ad essere sempre intenso di lavoro, ispira numerose riflessioni e altrettanti spunti sullo stato di salute delle nostre imprese, sulla pretesa tributaria che patiscono, e sul futuro che ci attende.

In una di queste, sono giunto alla conclusione che, in Italia, conviene non lavorare, non imprendere. Starsene beatamente a casa curando i propri interessi, i propri hobby, e magari darsi a qualche buona lettura, ripagherebbe molto di più che fare impresa.

Sarebbe molto più utile, almeno nello spirito. Perlomeno, fino a quando non accadrà qualche shock di sistema, tale da riformare strutturalmente i meccanismi fiscali al limite dell'incredibile, dell'immaginario e della sopraffazione. Mi riferisco alla sopraffazione che il fisco pratica nei confronti dei contribuenti e, nel caso specifico, di chi fa impresa.

Qualche giorno fa, mi è passata di mano una dichiarazione di un piccola società di capitali: una srl, con due soci che svolgono entrambi la propria opera all'interno della società.


Immagine

La crisi, chiaramente, anche in questo caso, non ha risparmiato l'impresa: i ricavi si sono contratti significativamente, e anche l'utile è stato spinto al ribasso. Tant'è che il bilancio al 31/12/2012, presenta un utile prima delle imposte di appena 32000. Una miseria insomma, che non ripaga affatto il sacrificio sopportato dai due imprenditori, che si dedicano alla loro attività quasi 12 ore al giorno, immersi con impegno totale e dedizione in questo lavoro, trascurando i propri interessi, i propri affetti e le proprie passioni. Una storia di imprenditori onesti e laboriosi. Una storia come tante altre, in Italia.

In questo caso, nella determinazione delle imposte da pagare a carico della società in esame, nonostante l'esiguità dell'utile - certamente non sufficiente a garantire la sussistenza degli imprenditori e delle rispettive famiglie-, la tassazione pretesa dal fisco in capo alla società è di oltre 15.000 euro. 15.593 euro, per l'esattezza. Di cui, 12.024 a titolo Ires, e 3569 per Irap. Quindi, la società subisce un carico tributario di oltre il 48%.

Vi chiederete come sia possibile, immagino. E' possibile perché il legislatore fiscale, sempre in cerca di nuova materia imponibile da colpire, e quindi di nuovo gettito tributario, nel corso degli anni, ha reso indeducibili una serie di costi, sia ai fini Ires che Irap.

Solo per enunciarvi qualche esempio, le società, ai fini Ires, nonostante abbiano patito un incremento dei costi finanziari per via dell'inasprimento delle condizioni bancarie, nella determinazione del reddito, non possono portare in deduzione tutti gli interessi passivi che pagano, ma possono farlo solo nei limiti del 30% del ROL (Reddito Operativo Lordo).

Essendo il ROL una variabile che dipende, tra l'altro, dai ricavi conseguiti, diminuendo questi ultimi, ne deriva che si contrae anche il ROL, divenendo meno capiente ai fini della deduzione degli interessi passivi, che comunque aumentano. Invece, ai fini Irap, gli interessi passivi sono, in buona sostanza, indeducibili nella sua interezza. Quindi, aumentano gli interessi (costi), diminuiscono i ricavi, il reddito, ma si pagano più imposte.

Altro esempio emblematico riguarda le autovetture. Si pensi ai costi di acquisto, gestione e manutenzione del parco autovetture. Questi, possono essere dedotti solo per il 40% (deduzione ridotta al 20% dal primo gennaio 2013).

Oppure, ancora, all'indeducibilità dei costi del personale ai fini Irap, per i quali, il legislatore riconosce comunque alcune deduzioni. Per queste componenti di costo, enunciate solo a titolo esemplificativo, il legislatore ha previsto l'indeducibilità ai fini della determinazione del reddito tassabile, ancorché siano costi sostenuti nell'ambito del normale svolgimento dell'attività di impresa, pertinenti e indispensabili al conseguimento del fine imprenditoriale.

Per via della parziale deducibilità o dell'indeducibilità totale di questi costi, accade che, paradossalmente, l'erario può fondare la pretesa tributaria su un reddito non prodotto e su un utile realizzato.

Ritornando all'esempio che ci occupa, la tassazione della società e dei due soci non si esaurisce con i 15.593 euro di tasse in capo alla società. Ma anche i soci sono colpiti dal imposizioni tributarie e contributive.

Già, per l'anno 2012, i due soci hanno corrisposto i contributi Inps sul reddito minimale individuato a circa 15000 euro. E quindi altri 3200 euro ciascuno di contributi Inps facendo salire il conto a 21993.

Oltre ai contributi pagati sul reddito minimale, la legge prevede che, ciascun socio che lavora nell'azienda debba versare anche i contributi Inps a percentuale sulla parte di reddito eccedente il minimale. In questo caso, essendo il reddito fiscale di euro 43722 per via della ripresa a tassazione delle componenti di costo pocanzi enunciate, ne consegue che ciascun socio debba corrispondere all'Inps altri 1482 euro ciascuno, ancorché il reddito prodotto non sia stato prelevato in forma di utili distribuiti.

E l'imposizione fiscale complessiva, con un utile di appena 32000, è già arrivata a quasi 25000 euro, ossia il 78% dell'utile prodotto nel 2012.

Ma c'è dell'altro. I due soci, nel corso del 2013, volendo prelevare l'utile netto realizzato nel 2012, o meglio quel che rimane (16.407=32.000-15.939) anche per far fronte alle proprie spese e al pagamento dei contributi Inps in scadenza nell'anno, saranno sottoposti a un'ulteriore tassazione.

Prima di tutto dovranno registrare la delibera di distribuzione dell'utile, pagando 168 euro. Poi, nel 2014, nella propria dichiarazione dei redditi dovranno riportare l'utile imputato a ciascuno di loro (8.203) che andrà a formare la base imponibile in misura del 49.72% dell'utile prelevato, in quanto, in parte, già tassato in capo alla società.

Quindi, ipotizzando che lo scaglione di reddito da applicare sia il più basso (23%), ciascuno di loro, al netto degli oneri deducibili pagati nel corso del 2013, dovrà corrispondere all'erario ulteriori 900 euro tra Irpef e addizionali varie.

Quindi, il conto delle imposte pagate sia dalla società che dai soci, per un misero utile di 32000 euro, sale fino ad arrivare a 27000 euro, euro più euro meno. Ossia l'85% dell'utile prodotto dalla società nel 2012. Oltre alle tasse di cui abbiamo dato nota, c'è da dire che l'impresa, durante l'esercizio, subisce altre forme di imposizione.

Si pensi, ad esempio, al diritto annuale della camera di commercio, alla tassa sulla vidimazione dei libri sociali, all'eventuale IMU (indeducibile) e ad altre contribuzioni obbligatorie per legge, che, tuttavia, sono già considerate nella determinazione del risultato d'esercizio originario(32.000 euro).

C'è da dire che la pretesa del fisco non si esaurisce con questa pretesa assurda e distruttiva, che oltrepassa di molto ogni limite di sostenibilità e ragionevolezza. Invero, per i 5 anni successivi, il fisco potrà esperire eventuali controlli sulla fedeltà fiscale dell'azienda, e magari accertare ricavi superiori a quelli dichiarati, determinati in ragione agli indicatori previsti dagli studi di settori a cui la società è sottoposta.

Se pensate che il caso appena descritto costituisca un caso limite, vi state sbagliando di grosso. Benché il caso proposto offra dei piccoli margini di ottimizzazione del livello di pressione fiscale, esistono casi in cui le aziende, nonostante conseguano delle perdite anche significative, sono esposte ugualmente al pagamento di un carico fiscale eccessivo ed insostenibile. Tanto più in momenti di crisi profonda come quello attuale. Ciò è possibile per effetto della ripresa a tassazione dei costi che il fisco considera indeducibili, nonostante siano indispensabili e strumentali al raggiungimento degli scopi imprenditoriali.

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,,,ma tte x tutto cio' ci sara' pure da ringraziare qualkuno,che ci ha portati a tutti i costi nell'area euro,sapendo gia' a cosa si andava incontro......[:(!]


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MessaggioInviato: 27/05/2013, 12:33 
ecco cosa affermmava il pacificatore del mali in un intervista

"Romano Prodi, 4 dicembre 2001, Financial Times (citato qui), sui futuri problemi che l’Euro avrebbe causato:

«Sono sicuro che l’Euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile. MA UN BEL GIORNO CI SARÀ UNA CRISI e si creeranno i nuovi strumenti»."


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MessaggioInviato: 07/06/2013, 14:54 
Vantava crediti verso altre aziende per decine di migliaia di euro, che non riusciva a riscuotere, un artigiano edile di 62 anni che si e' suicidato a Mareno di Piave (Treviso), sparandosi un colpo di pistola alla testa. In base ai primi accertamenti dei carabinieri, l'impossibilita' di poter pagare i propri fornitori avrebbe ridotto l'uomo in uno stato di angoscia che l'ha portato ad uccidersi. L'artigiano ha lasciato una lettera ai familiari chiedendo loro di perdonarlo.

Non riusciva a riscuotere i 100mila euro di crediti, spiega il Gazzettino, così i debiti crescevano e il pressing dei fornitori è diventato insostenibile. L'uomo è uscito dalla sua abitazione di Soffratta, in via San Felice, dove viveva con la moglie e due figli, e si è recato nel deposito dove teneva gli attrezzi da lavoro, a pochi metri dalla casa. Ha tirato fuori una pistola di fabbricazione tedesca, una Luger risalente al periodo della seconda guerra mondiale. Un residuato bellico detenuto illegalmente. Se l'è puntata alla testa e ha premuto il grilletto, ponendo fine ai suoi tormenti. Non a quelli della sua famiglia che adesso, oltre alle difficoltà economiche, dovranno affrontare il dolore ancora più grande della perdita del marito e padre.

http://www.affaritaliani.it/veneto/la-b ... 70613.html

......ma e'mai possibile che nessuno debba risponderne dei tanti suicidi,....indotti........[:(!]


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MessaggioInviato: 07/06/2013, 16:35 
Non hanno la faccia per vergognarsi! Una volta, il cyborg, disse che tanto non eravamo ancora come quelli della Grecia ..! [:(!]
Ecco chi ci comanda ....



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MessaggioInviato: 08/06/2013, 12:18 
Cita:
ubatuba ha scritto:

Non riusciva a riscuotere i 100mila euro di crediti, spiega il Gazzettino, così i debiti crescevano e il pressing dei fornitori è diventato insostenibile. L'uomo è uscito dalla sua abitazione di Soffratta, in via San Felice, dove viveva con la moglie e due figli, e si è recato nel deposito dove teneva gli attrezzi da lavoro, a pochi metri dalla casa. Ha tirato fuori una pistola di fabbricazione tedesca, una Luger risalente al periodo della seconda guerra mondiale. Un residuato bellico detenuto illegalmente. Se l'è puntata alla testa e ha premuto il grilletto, ponendo fine ai suoi tormenti. Non a quelli della sua famiglia che adesso, oltre alle difficoltà economiche, dovranno affrontare il dolore ancora più grande della perdita del marito e padre.

http://www.affaritaliani.it/veneto/la-b ... 70613.html

......ma e'mai possibile che nessuno debba risponderne dei tanti suicidi,....indotti........[:(!]

Questi possono essere definiti come "omicidi di Stato".

Ringraziamo il Governo Berlusconi.... che con la sua inettitudine, ha PERMESSO che i debiti
delle P.A. non venissero pagati per anni. Sai com'è... bisognava tenere i conti in ordine.....

Eh ma il "conto" alla fine qualcuno lo pagherà......



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I giovani imprenditori temono una rivolta sociale

I giovani imprenditori italiani temono che l’attuale situazione di degrado economico e sociale possa sfociare in una vera e propria rivolta, come quella che si è avuta in Grecia, dove i cittadini, esasperati dalle misure di austerità imposte dal Fondo monetario e dall’Unione europea, avevano dato l’assalto ai Palazzi del governo e alle sedi delle principali banche. Per il presidente dei giovani di Confindustria, Jacopo Morelli, la situazione è molto grave. I cittadini hanno perso la speranza, c’è un diffuso sentimento di angoscia e il rischio di una rivolta è concreto. Al governo tocca il compito di vincere la sfida del rilancio dello sviluppo economico. E’ necessario diffondere la cultura della libertà economica. Ed è fondamentale ricreare un minimo di coesione fra i cittadini. Il cittadino medio sente di non avere prospettive.

CONTINUA>>>
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21378



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MessaggioInviato: 08/06/2013, 12:45 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

I giovani imprenditori temono una rivolta sociale

I giovani imprenditori italiani temono che l’attuale situazione di degrado economico e sociale possa sfociare in una vera e propria rivolta, come quella che si è avuta in Grecia, dove i cittadini, esasperati dalle misure di austerità imposte dal Fondo monetario e dall’Unione europea, avevano dato l’assalto ai Palazzi del governo e alle sedi delle principali banche. Per il presidente dei giovani di Confindustria, Jacopo Morelli, la situazione è molto grave. I cittadini hanno perso la speranza, c’è un diffuso sentimento di angoscia e il rischio di una rivolta è concreto. Al governo tocca il compito di vincere la sfida del rilancio dello sviluppo economico. E’ necessario diffondere la cultura della libertà economica. Ed è fondamentale ricreare un minimo di coesione fra i cittadini. Il cittadino medio sente di non avere prospettive.

CONTINUA>>>
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21378



Rischio molto imminente. La gente è veramente esasperata e ho l' impressione che la pazienza sia ai limiti.



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(Vedo ancora troppa gente ai supermercati ...)



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Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

(Vedo ancora troppa gente ai supermercati ...)


Si dovrà pur mangiare !!!!!!! E poi stanno facendo sconti a iosa.[:D]



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Allarme Ance, 446 mila posti in meno nelle costruzioni
Confesercenti, ecatombe negozi


19 giugno, 15:03

I caschetti gialli in piazza a Bari per sensibilizzare istituzioni
e opinione pubblica sulla crisi del settore delle costruzioni

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http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 94479.html



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MessaggioInviato: 08/07/2013, 09:24 

Ogni due ore falliscono tre imprese

L'anno dei record. Trentacinque fallimenti al giorno.
Tessuto imprenditoriale italiano in agonia, oppresso
da debiti e da crediti non riscossi. Milano e il triste primato.


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http://www.wallstreetitalia.com/article ... prese.aspx

ROMA (WSI) - Trentacinque fallimenti al giorno. Ogni due ore in Italia muoiono 3 imprese: 5.334, per la precisione, nei primi cinque mesi dell’anno.
Duecentottantaquattro in più (+5,6%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La fotografia che scatta Unioncamere nel suo ultimo rapporto sulla crisi italiana, che la Stampa è in grado di anticipare, è impietoso.

E’ la rappresentazione esatta di quel baratro di fronte al quale ci troviamo da mesi, o se vogliamo l’ultimo fotogramma del film della caduta senza fine della nostra economia: sono i numeri che fanno disperare le nostre imprese e vivere nell’inquietudine il governo.

Oltre ai fallimenti crescono anche le domande di concordato, addirittura triplicate rispetto al 2012: passate da 539 a 904 casi (+68%). In alcuni casi si tratta di un modo per procrastinare situazioni già molto compromesse, in molti altri è invece la via breve per serrare i cordoni della borsa e liberarsi (per un po’) di tanti creditori.

Nessuno paga più

Le imprese muoiono perché i consumi continuano a scendere, perché non riescono o non possono agganciarsi al treno dell’export, perché i costi sono troppo alti. Ma anche perché, spiega Unioncamere, i clienti, spesso altre aziende, non pagano. Insomma si fallisce - e pure tanto - non solo per debiti ma anche per crediti non riscossi. Non solo dallo Stato, che in queste settimane poco alla volta ha iniziato a pagare i suoi primi 20 miliardi di arretrati, ma dai privati.

Manifattura al capolinea

I settori più colpiti sono le attività manifatturiere (1131 fallimenti), le costruzioni (1.138) e il commercio, sia al dettaglio che all’ingrosso (1.203). Ma anche le attività immobiliari non se la passano bene con un aumento del 117,4% delle istanze (salite da 135 a 250). Idem le attività di trasporto e magazzinaggio: +49,5% (da 93 a 281 fallimenti). A fallire sono soprattutto i costruttori edili (680, +67,1%), e le aziende che effettuano lavori di costruzione specialistici (413, +70%).

A ruota seguono le attività immobiliari ed i trasportatori (202, +75,7%), ma soffrono anche i ristoratori (202 fallimenti) e ed i fabbricanti di mobili (113 procedure, +91,5%).

Le difficoltà del settore edili ed immobiliare sono fotografate bene anche dall’impennata delle domande di concordato arrivate da questo comparto: +277,3% per le attività immobiliari, +141,7% per le costruzioni. Boom anche nel settore delle industrie alimentari (+222,2% a quota 29) e nel commercio all’ingrosso, +145,5% a quota 108.

Il Ko da Nord a Sud

E’ Milano la città che conquista il primato in questa per nulla entusiasmante graduatoria con circa il 10% di tutti i fallimenti, 525 nei primi 5 mesi del 2013, uno in più del 2012; seguono Roma (466), Napoli (217), Torino (209) e Brescia (143) come Firenze.

A livello regionale il record spetta pertanto alla Lombardia (1211 fallimenti, +95), seguita da Lazio (595, +11,4%) e Veneto (454, +11,5%). Mentre sono Toscana (+38,2% a quota 441), Calabria (153, +24,4%) ed Emilia Romagna (+15,1% a quota 428) a segnare i rialzi più forti, segno che la crisi sta penetrando in profondità ovunque nel Paese e non risparmia nemmeno le aree (Emilia, Toscana e Veneto) tradizionalmente più dinamiche ed attrezzate per far fronte alle tempeste dei mercati.

È il segno che il male è ormai diffuso in tutto il corpo del Paese, e che la cura deve essere rapida. E soprattutto molto forte.



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 08/07/2013, 11:16 
...tutto cio'mentre i ns governanti si balloccano in previsioni campate in aria, con la politica del rinvio,mentre tutto sta x crollare............[:(!]


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Giornata della collera, Squinzi:

«Troppe vessazioni sull’edilizia» «Invasione gialla» in piazza Affari.
«Possiamo far ripartire l’Italia, ma il nostro deve essere un Paese normale»


http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 9113.shtml

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MessaggioInviato: 12/07/2013, 14:48 
Volevo solo comunicarvi che ho appena chiesto un prestito in banca di 7.000 euro da restituire in 5 anni per pagare l'anticipo INPS di quest'anno.
Essendo un povero programmatore che non ha né arte né parte ricado nella gestione separata dell'INPS, praticamente con aliquota al 28%................
Stiamo parlando di un fatturato di circa 30.000 annui eh badate bene non di miliardi, tolte le spese 25.000 euro circa di "utili".
Conto di quest'anno 8.000 euro di saldo INPS + 7.000 euro di anticipo INPS (più ovviamente tasse, addizionali comunali e regionali etc.)
Quindi 25.000 - 15.000 di INPS (!) = 10.000 con cui dovrei pagare tasse (27%?) e quant'altro.
Il tutto tra l'altro per una pensione che non prenderò mai.



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