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MessaggioInviato: 25/02/2014, 23:32 
Gli europei derivano da tre gruppi di antenati

Il genoma di una dozzina di europei preistorici suggerisce che il continente sia stato un melting pot in cui i contadini dagli occhi marroni incontrarono i cacciatori-raccoglitori dagli occhi azzurri.

Gli europei di oggi, dimostra l’ultima ricerca, possiedono antenati di tre gruppi in varie combinazioni: i cacciatori-raccoglitori (alcuni con gli occhi azzuri) arrivati dall’Africa più di 40.000 anni fa; i contadini dal Medio Oriente che giunsero molto dopo; e una nuova, più misteriosa popolazione che si estendeva probabilmente dall’Europa del nord alla Siberia.

Immagine
(De Agostini Picture Library/Getty Images)

La conclusione arriva dai genomi di otto cacciatori-raccoglitori di 8.000 anni fa – uno dal Lussemburgo e sette dalla Svezia – e al genoma di una contadina di 7.500 anni dalla Germania. L’analisi, condotta da Johannes Krause dell’Università di Tubinga, e David Reich della Harvard Medical School di Boston, è apparsa su bioRxiv.org ma non ancora su una pubblicazione scientifica.

Un secondo team, coordinato da Carles Lalueza-Fox dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, pubblicherà presto il genoma di un cacciatore-raccoglitore di 7.000 anni del nord-ovest della Spagna. Nel 2012, il suo team aveva rilasciato dei dati preliminari dallo stesso campione, suggerendo che l’uomo avesse poca relazione con gli odierni spagnoli.

I due studi descrivono quelli che sarebbero i più antichi genomi umani europei finora studiati.

Latte o grano

I nuovi studi descrivono i primi europei basandosi su variazioni del DNA che sono collegate a certe caratteristiche negli uomini moderni.

Il sequenziamento dei geni suggerisce che gli individui di Lussemburgo e Spagna, sebbene scuri di carnagione, probabilmente avevano occhi azzurri e appartenevano a gruppi noti per essere cacciatori-raccoglitori. La donna in Germania, invece, aveva occhi marroni e una pelle più chiara, ed era legata ai gruppi mediorientali conosciuti per aver sviluppato l’agricoltura. Tuttavia, sia il cacciatore del Lussemburgo sia la contadina della Germania avevano copie multiple di un gene che rompe amidi nella saliva, una caratteristica delle diete a base di grano tipiche della vita agricola. Dall’altro lato, nessuno di loro aveva l’abilità di digerire lo zucchero del latte, il lattosio, un tratto che è emerso nel Medio Oriente dopo la domesticazione del bestiame e che più tardi si diffuse in Europa.

Il lavoro aggiunge inoltre due sviluppi alla preistoria dell’Europa. I precedenti studi archeologici e genetici indicano che la maggior parte degli europei di oggi discende dai contadini del Medio Oriente, i quali si incrociarono coi locali cacciatori-raccoglitori in alcune regioni, e allontanarono questi primi abitanti in altre. La squadra di Krause conclude però che una terza popolazione contribuì al pool genetico degli odierni europei.

Questo terzo gruppo, che gli autori chiamano antichi eurasiatici del nord, potrebbe aver vissuto ad alte latitudini tra Europa e Siberia fino a poche migliaia di anni fa. Tracce di questa popolazione sono state individuate nel genoma di un bambino siberiano di 24.000 anni. Pubblicate lo scorso mese, il genoma del ragazzo suggerisce che gli eurasiatici del nord si incrociarono con gli antenati dei nativi americani e con gli europei.

Immagine
I resti del ragazzo siberiano – qui in una ricostruzione della sepoltura (Kelly Graf)

Differenti migrazioni

Un confronto tra i geni antichi e moderni dimostra che gli europei di oggi derivano da questi tre gruppi. Gli scozzesi e gli estoni, per esempio, hanno più antenati eurasiatici del nord di qualunque altra popolazione europea moderna studiata, mentre i sardi sono più vicini ai contadini orientali rispetto agli altri europei.

I nuovi antichi genomi europei indicano anche le prime volte che gli uomini lasciarono l’Africa. Il team di Krause ha scoperto che gli agricoltori del Medio Oriente si divisero dagli antenati africani prima dei gruppi europei e asiatici. Una spiegazione possibile è che i contadini siano discesi dagli uomini che abitavano insediamenti di 100.000 – 120.000 anni fa in Israele e nella penisola arabica. Molti ricercatori ritengono tuttavia che questi siti rappresentino delle migrazioni fallite fuori dall’Africa, poiché altre prove suggeriscono che gli esseri umani lasciarono l’Africa meno di 100.000 anni fa.

“Non penso che qualcuno l’abbia vista arrivare”, dice Eske Willerslev, paleogenetista all’Università di Copenhagen. Willerslev ritiene che l’esistenza della popolazione nel Medio Oriente sarà difficile da provare in via definitiva: “È molto interessante – se corretto”.

“Sarebbe molto bello trovare qualche individuo che fosse una diretta osservazione di questa popolazione”, dice Pontus Skogland, genetista evolutivo all’Università di Uppsala in Svezia. Il DNA antico non dura tanto nei climi caldi, e perciò trovare il DNA da questa popolazione potrebbe richiedere delle tecnologie avanzate, oltre a un po’ di fortuna.

Lalueza-Fox non ha voluto discutere il lavoro del suo team, ma mette in guardia dal fare troppe affermazioni riguardo il popolamento dell’Europa usando solo una manciata di genomi antichi di un singolo periodo. “Si troveranno molteplici migrazioni e movimenti”, dice. “Ci sarà molto spazio per la ricerca nei prossimi anni”.

http://ilfattostorico.com/2014/01/10/gl ... -antenati/



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MessaggioInviato: 26/02/2014, 21:46 
Davvero molto interessanti questi aggiornamenti! [;)]

Vorrei porre una domanda riguardo l' ultimo articolo:

questa misteriosa terza popolazione ancestrale, proveniente dall' Eurasia settentrionale, è ancora misteriosa, ma si sa almeno qualcosa delle loro caratteristiche [?]


Sarebbe interessante scoprire quali tratti abbiamo ereditato da loro e sono curioso. [:p]



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MessaggioInviato: 26/02/2014, 22:26 
Caro Aztlan, sto appunto cercando di approfondire la questione poiché ritengo che scoprire e capirne di più in merito possa offrire alcune risposte al riguardo sia delle nostre origini sia delle civiltà prediluviane la cui esistenza ormai credo sia un fatto innegabile.

Nel frattempo spero possa piacerti leggere il seguente articolo a ulteriore supporto del fatto che la teoria antropologica dell'Out of Africa II sia superata.

Homo di Denisova: una nuova specie che avrebbe convissuto con l’Homo di Neanderthal

Sembrava che la storia dell’essere umano e della sua evoluzione fossero già state definite, e con esse anche le motivazioni che lo hanno portato, da scimmia, ad ergersi a uomo. Ma una notizia di pochi giorni fa, farebbe vacillare le nostre conoscenze.

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Alcuni paleontologi russi, nel 2008, avevano rinvenuto sulle montagne dell’Altaj, in Siberia, più precisamente nelle caverne di Denisova, delle tracce di una razza di uomo primitivo che non corrisponderebbe a nessuna di quelle già conosciute.

Dopo laboriosi esami del Dna mitocondriale, pare che ora gli scienziati siano pronti a pronunciarsi e, allo stesso tempo, a sconvolgere e mettere in discussione tutta la teoria evoluzionistica precedente. La scoperta che determinerebbe la svolta, vedrebbe un ominide “terzo incomodo” tra Neanderthal e Homo Sapiens, un incrocio tra esseri umani arcaici e moderni. Un ominide precedentemente sconosciuto, l’Homo di Denisova, come viene chiamato, che avrebbe abitato l’Asia per migliaia di anni, probabilmente incrociandosi occasionalmente con uomini moderni (Homo Sapiens).

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Non solo. Le nuove analisi del Dna condotte sull’osso della falange di un mignolo di una “ragazza” di 40.000 anni fa trovato nella grotta siberiana di Denisova, rivelerebbero che gli abitanti di alcune isole pacifiche di Papua Nuova Guinea potrebbero essere lontani discendenti. La ricerca ruota tutta attorno ad un osso fossile della falange del mignolo scoperto nel 2008 a Denisova che si ritiene appartenere ad un giovane individuo di sesso femminile morto, si ipotizza, fra i 5 e 7 anni di età.

Il team è riuscito con successo ad estrarre e sequenziare Dna nucleare dal fossile, cioè le informazioni sul suo corredo genetico. In base a ciò gli studiosi hanno determinato che i Denisoviani differiscono sia dagli umani moderni che dai Neanderthal, pur essendo strettamente collegati ad essi.

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E la differenziazione fra Denisoviani e Neanderthal sarebbe avvenuta 350.000 anni fa. A parlarci di questa sensazionale scoperta è l’archeologo Michail Sun’kov: “Parte di questa popolazione si è spostata nel territorio dell’Altaj dove sono stati rinvenuti i resti dell’Homo di Denisova, e parte è emigrata in direzione sud-est. Il gene dell’Homo di Denisova non è stato rilevato nei resti fossili degli uomini dell’Asia sudorientale e della Cina, cioè nei territori dove si presume che questi siano transitati, ma è stato riscontrato nelle popolazioni che attualmente vivono in tali aree geografiche. Questi dati indicano che l’Homo di Denisova ha contribuito all’evoluzione della specie umana come la conosciamo ora”.

Assieme all’osso del mignolo i ricercatori dell’Accademia Russa delle Scienze che hanno condotto gli scavi, hanno rinvenuto anche un dente che si pensa appartenesse ad un individuo adulto. Si tratta di un molare, più grande di qualsiasi altro dente di Homo Sapiens, ma anche più grande di quello di Neanderthal. I ricercatori sono molto cauti e non definiscono i Denisoviani una nuova specie, bensì li identificano come un “sister group”, cioè una forma strettamente imparentata dei Neanderthal.

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Date le evidenze a sostegno del fatto che l’Homo Sapiens si possa essere incrociato col Neanderthal, ed adesso con i Denisoviani, vi sono persino alcuni biologi dell’evoluzione che hanno suggerito di lasciar cadere la diversa denominazione per uomini moderni e neanderthaliani, e di considerare i due gruppi, Neanderthal e Denisova, come sottospecie di Homo Sapiens.
Stando così le cose, non possiamo che prendere atto e tirare le fila. Non sarà più possibile quindi sostenere la teoria “monocentrica”, un tempo molto popolare e secondo la quale l’essere umano sia comparso in Africa e, da lì, si sia diffuso.

Risulta molto più convincente l’idea del “pluricentrismo”, confermata anche dai dati dei paleontologi ed archeologi russi. L’uomo, carponi o eretto, ha camminato. E molto anche! Ricoprendo distanze sterminate, e dando origine a nuove razze.

http://oubliettemagazine.com/2013/09/26 ... anderthal/



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MessaggioInviato: 26/02/2014, 23:53 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Caro Aztlan, sto appunto cercando di approfondire la questione poiché ritengo che scoprire e capirne di più in merito possa offrire alcune risposte al riguardo sia delle nostre origini sia delle civiltà prediluviane la cui esistenza ormai credo sia un fatto innegabile.



Mi trovi ovviamente perfettamente d' accordo. [;)]


Cita:
Nel frattempo spero possa piacerti leggere il seguente articolo a ulteriore supporto del fatto che la teoria antropologica dell'Out of Africa II sia superata.

Cita:
Homo di Denisova: una nuova specie che avrebbe convissuto con l’Homo di Neanderthal

Sembrava che la storia dell’essere umano e della sua evoluzione fossero già state definite, e con esse anche le motivazioni che lo hanno portato, da scimmia, ad ergersi a uomo. Ma una notizia di pochi giorni fa, farebbe vacillare le nostre conoscenze.

[cut]

Date le evidenze a sostegno del fatto che l’Homo Sapiens si possa essere incrociato col Neanderthal, ed adesso con i Denisoviani,
vi sono persino alcuni biologi dell’evoluzione che hanno suggerito di lasciar cadere la diversa denominazione per uomini moderni e neanderthaliani,
e di considerare i due gruppi, Neanderthal e Denisova, come sottospecie di Homo Sapiens.

Stando così le cose, non possiamo che prendere atto e tirare le fila.

Non sarà più possibile quindi sostenere la teoria “monocentrica”,
un tempo molto popolare e secondo la quale l’essere umano sia comparso in Africa e, da lì, si sia diffuso.

Risulta molto più convincente l’idea del “pluricentrismo”,
confermata anche dai dati dei paleontologi ed archeologi russi.

http://oubliettemagazine.com/2013/09/26/homo-di-denisova-una-nuova-specie-che-avrebbe-convissuto-con-lhomo-di-neanderthal/




E mi dici poco...

Se questa "presa d' atto" avverrà, accantonando l' attuale teoria ancora insegnata dalle elementari fino alle Università, sarà una rivoluzione scientifica.


Ultima modifica di Aztlan il 26/02/2014, 23:56, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 01/03/2014, 01:08 
L’origine dell'uomo americano: la teoria poligenetica
di Yuri Leveratto

Negli ultimi anni si sta sviluppando, in ambito scientifico, la teoria che l’uomo americano abbia avuto origini multiple.

L’ipotesi iniziale, ovvero l’idea che gruppi di Homines Sapientes attraversarono le praterie di Beringia (l’attuale stretto di Bering), circa 14 millenni fa, non è stata accantonata, ma deve essere completata da altre tesi. Fino a pochi anni fa, anche per puro spirito nazionalistico, molti studiosi statunitensi indicavano il sito di Clovis del Nuovo Messico come il luogo dove ebbe origine la cultura madre di tutte le Americhe (13,5 millenni or sono).

Negli ultimi anni però, in seguito ai sorprendenti ritrovamenti effettuati in Sud America (Pedra Furada, Brasile, Monte Verde, Cile e caverna di Pedra Pintada, Brasile), per citarne solo alcuni, si è giunti alla conclusione che l’Homo Sapiens sia arrivato inizialmente in Sud America e solo dopo vari millenni, nel Nord America.

La seconda teoria, detta africana, è supportata dai ritrovamenti di Pedra Furada, luogo nel Piauì (stato del Brasile), studiato dall’archeologa Niede Guidon. Vi sono state rinvenute ossa umane datate 12.000 anni fa, che provano la presenza dell’uomo nell’odierno Brasile contemporaneamente alla cultura Clovis del Nord America. Inoltre alcuni resti di focolari (datati con il metodo del carbonio 14 e della luminescenza), hanno provato che il sito fu abitato 60 millenni or sono. Chi erano gli antichi abitanti del Piauì, e da dove venivano? Secondo Niede Guidon erano dei Sapiens arcaici, non più di qualche migliaio, la cui origine era l’Africa settentrionale, dalla quale per caso erano giunti, su rustiche imbarcazioni, presso le coste del Nuovo Mondo.

Queste considerazioni sono state supportate dai ricercatori Walter Neves e Danilo Bernardo (del Dipartimento di Genetica e Biologia Evolutiva, Università di San Paolo, Brasile), che hanno individuato, nei crani trovati nel Piauì il tipo umano Sapiens arcaico (presente in Africa fin da 130 millenni or sono).

La terza teoria, che indica l’origine dell’uomo americano nella Melanesia e Polinesia, è supportata da prove antropologiche, etnografiche e linguistiche.

Le prime si basano sulla notevole somiglianza di vari gruppi indigeni americani attuali al tipo umano melanesiano e polinesiano. A titolo d’esempio si possono citare i Tunebo della Colombia, che secondo eminenti studiosi hanno straordinarie somiglianze con autoctoni della Nuova Guinea, o i Sirionò della Bolivia, che hanno caratteristiche morfologiche melanesiane. Vi sono poi alcune prove morfologiche indirette, come le famose teste Olmeche, del Messico, o le statue di San Agustin della Colombia meridionale, che presentano spiccate caratteristiche negroidi, quindi melanesiane (o africane).

Vi sono poi alcune prove etnografiche. A tale riguardo l’eminente studioso Erland Nordenskiold ha individuato numerosi strumenti, usi e costumi propri delle varie culture autoctone americane, stranamente simili ad altri, tipici d’etnie della Nuova Guinea, Melanesia e Polinesia. Ad esempio: cerbottane, mazze, archi, frecce, lance, fionde, ponti di liane, remi, zattere, capanne, ceramiche, mortai, amache, zanzariere, pettini, procedimenti tessili, ponchos, astucci fallici, ornamenti nasali, placche pettorali, sistemi arcaici di numerazione come il quipu, tamburi di legno e di pelle, maschere di legno, tatuaggi, utilizzo di pietre di giada incastonate nei denti, deformazione del cranio e delle ginocchia per mezzo di strette bende e infine l’utilizzo delle conchiglie come mezzo di scambio.

L’etnologo e linguista francese Paul Rivet (1876-1958), ha provato inoltre, con approfonditi studi filologici, che gli idiomi americani hanno stupefacenti analogie con quelli indonesiani, melanesiani e polinesiani. Rivet ha studiato il gruppo linguistico Hoka, che comprende l’ormai estinta lingua Shasta dell’Oregon, la Chantal dell’istmo di Tehuantepec, la Subtiaba del Nicaragua e la Yurumangui della Colombia. Comparando l’Hoka con le lingue malesi-polinesiane, Rivet ha trovato più di 280 somiglianze nei vocaboli e nelle forme grammaticali.

Molto difficile è, una volta ammessa la veridicità di tali prove, individuare come i popoli melanesiani e polinesiani giunsero in America, seguendo quali rotte, e soprattutto dove e quando sbarcarono.
Vari studiosi hanno proposto che, a differenza della teoria africana, le emigrazioni dei popoli oceanici si siano svolte in più riprese e non occasionalmente. I polinesiani infatti, sono sempre stati degli eccellenti navigatori e non sembra affatto strano ammettere che abbiano navigato d’isola in isola probabilmente partendo dalla Nuova Guinea. Dallo studio delle lingue indigene americane, analizzando quelle che mostrano più analogie con quelle melanesiane, si giunge alla conclusione che vi furono numerosi sbarchi, in molti luoghi: Oregon, Messico, Colombia meridionale, Ecuador. Probabilmente questi sbarchi coprirono un arco temporale che va dal 12.000 fino al 1000 a.C.

La quarta teoria che intende spiegare il popolamento delle Americhe, è basata sul fatto che alcuni gruppi di Sapiens Australoidi giunsero in America dall’Australia circa 6 millenni or sono.

Le prove filologiche di questa antica emigrazione risalgono al 1907, quando lo studioso italiano Trombetti segnalò che gli idiomi della Terra del Fuoco, appartenenti al gruppo linguistico Chon, propri delle etnie Patagones e Onas avevano sorprendenti affinità con le lingue australiane. Trombetti individuò 93 affinità di vocaboli e regole grammaticali.

Vi sono poi alcune prove etnografiche che legano gli Australoidi arcaici agli indigeni americani, per esempio la cultura Fueguinos della Terra del Fuoco, simile a quella degli aborigeni australiani. Entrambi i popoli ignoravano la ceramica e l’amaca, e usavano il boomerang e coperte di pelli per ripararsi dal freddo.

Difficile è individuare la rotta oceanica che fu intrapresa da questi antichi abitanti Australoidi per giungere nel cono sud del continente americano. In effetti, a differenza dei Melanesiani e Polinesiani, gli antichi australiani non furono mai esperti naviganti e questo fatto complica le cose.

Se analizziamo però le correnti oceaniche del Pacifico, ci rendiamo conto che, mentre nell’emisfero nord hanno una circolazione come le lancette dell’orologio, nell’emisfero sud avviene il contrario. Ciò spiega il fatto che i Melanesiani e Polinesiani, insieme agli antichi giapponesi, come vedremo più avanti, siano giunti nelle coste del Nord America, fino all’Ecuador, mentre gli Australoidi, ammettendo la loro ipotetica perizia nel navigare, siano sbarcati nella zona di Sud America che va dal cono sud fino al Perù meridionale.

L’antropologo portoghese Mendes Correa ha immaginato una strana teoria.

Secondo lui gli australiani arcaici sarebbero giunti nel cono sud dell’America meridionale seguendo la via Australia-Tasmania-Isole Maquarie-Continente Antartico-Terra del Fuoco.

Secondo questa supposizione gli antichi australiani si trovarono di fronte a bracci di mare non molto estesi, al massimo di 200 chilometri, considerando che durante l’ultima era glaciale (che durò da 130 a 11,5 millenni or sono), il livello dei mari era molto più basso dell’attuale (di circa 120 metri). E’ verosimile che abbiano seguito questo itinerario? Secondo Correa il clima dell’Antartide (i cui ghiacci iniziarono a sciogliersi 17 millenni fa), non è sempre stato uguale a quello di oggi. Secondo eminenti climatologi, durante la glaciazione di Wisconsin-Wurm, la maggioranza dei ghiacci del pianeta sarebbe stata imprigionata nella calotta polare artica e nell’emisfero boreale, ma non nell’Antartico. Sempre in base alle sue supposizioni alcuni australiani arcaici avrebbero potuto vivervi, adattandosi al clima rigido in un modo simile agli esquimesi dell’Artico. Quando poi il clima dell’Antartide si fece più freddo, cercarono nuove terre da colonizzare e attraverso la penisola antartica giunsero navigando alla Terra del Fuoco.

La quinta teoria sul popolamento delle Americhe si basa sul fatto che giapponesi arcaici della cultura Jomon, siano giunti in America, intorno al 3000 a.C., costeggiando le coste del Pacifico settentrionale, giungendo presso le coste dell’odierno Ecuador. Questa tesi fu sostenuta dagli archeologi Evans, Meggers e Estrada, verso il 1950.

La cultura Jomon, che si evolse a partire dal decimo millennio a.C. si distinse per essere la prima al mondo a utilizzare la ceramica, ma adottò l’agricoltura intensiva solo in epoca tardia.
Le sorprendenti similitudini con la ceramica della cultura Valdivia dell’Ecuador, hanno spinto alcuni studiosi a considerare come possibile questa emigrazione. Le somiglianze non sono solo nelle decorazioni, ma anche nella forma dei vasi. Anche le date collimano: la cultura Jomon ebbe il suo periodo centrale dal 4835 al 1860 a.C., mentre il periodo classico della cultura Valdivia vi fu dal 3600 al 1500 A.C.

Vi sono però alcuni punti oscuri. Perché i giapponesi della cultura Jomon, dopo aver navigato circa 13.000 Km, costeggiando le coste di: Alaska, Oregon, California, Messico, America centrale e Colombia, si fermarono proprio in Ecuador? E’ possibile, per un popolo che non domina ancora l’agricoltura, quindi non può approvvigionare le sue navi di cereali, intraprendere viaggi così lunghi?
Non è facile immaginare le condizioni ambientali di questi viaggi transpacifici, né i motivi che spinsero i navigatori preistorici a cominciarli, con destinazione ignota.

Bisogna considerare comunque, che, più che migrazioni, queste esplorazioni antiche furono intraprese da limitati gruppi di persone. La popolazione dell’America preistorica era talmente limitata che l’arrivo anche di una decina di uomini con poche donne, in una sola imbarcazione, potrebbe essere stato sufficiente per lasciare significativi cambiamenti nella storia genetica di intere regioni.
Perché se fu così semplice per popoli preistorici africani, melanesiani, polinesiani, australiani e giapponesi attraversare il più grande degli oceani senza aver raggiunto le conquiste tipiche della civiltà occidentale, come l’agricoltura e l’uso del ferro, non fu altrettanto facile per gli europei valicare l’Atlantico, cosa che fecero solo a partire dall’anno 1000 d.C. con il viaggio di Leif Erikson (il figlio di Erik il rosso) e nel 1492 d.C. con la spedizione di Cristoforo Colombo?

Bisogna considerare che la civiltà occidentale, con le culture dei Sumeri, degli Egizi e poi dei Greci e Romani era incentrata soprattutto nel Mediterraneo, un enorme mare quasi chiuso e connesso all’Oceano Atlantico solo attraverso lo stretto di Gibilterra. Fu proprio la conformazione geografica del Mediterraneo che contribuì a non divulgare più di tanto le tecniche di navigazione oceanica, con l’eccezione dei Fenici, che secondo Erodoto circumnavigarono l’Africa nel VII secolo A.C.

Non vi sono prove certe però di contatti tra i Fenici e i popoli del Nuovo Mondo, anche se alcuni ricercatori affermano che l’antica città di Tartessos, nell’attuale Andalusia (Spagna), fu il porto base nell’antichità per le navigazioni transatlantiche.

Come si vede, la chiave per comprendere le multiple origini degli autoctoni americani sta nello studio dell’antropologia, etnografia, linguistica e ora anche della genetica, per mezzo della quale in futuro si potrà mappare l’intero genoma di molti indigeni del Nuovo Mondo, comprendendo ancora di più le loro origini e svelando finalmente uno dei più grandi misteri dell’archeologia.
Purtroppo la scomparsa di decine di gruppi di nativi americani, soprattutto a partire dal XX secolo, ha cancellato per sempre la possibilità di conoscere più a fondo la loro storia ancestrale e le loro origini. Preservando gli ultimi indigeni, che per fortuna in Sud America sono ancora numerosi, potremo far luce su uno dei più avvincenti enigmi dell’avventura dell’uomo sul pianeta Terra.

http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=46


Ultima modifica di Atlanticus81 il 01/03/2014, 01:16, modificato 1 volta in totale.


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La preistoria d’Europa e il mito di Atlantide

15000 anni fa il suolo europeo era un’immensa lastra di ghiaccio. Ma sulle coste atlantiche una civiltà complessa, una magica forma d’arte fiorivano, lasciando inequivocabili tracce di sé nelle grotte di località disseminate tra la Francia e la Spagna. A Lascoux, a Combarelles, in Dordogna ancora oggi si ammirano gli affreschi risalenti alla cosiddetta cultura “magdaleniana”; e lasciano stupiti per le intuizioni di prospettiva, per la essenzialità del tratto con la quale le figure animali furono fissate per l’eternità. Mandrie di bisonti, sulle pareti di quelle grotte, ancora corrono, ancora fissano con uno sguardo arcano. Tra di loro ogni tanto appare la silhouette di un cervo o di un cavallo. Dovevano essere cacciatori, uomini inossidabili, gli artisti che diedero colore a quelle forme. Alla cultura magdaleniana corrisponde antropologicamente l’Uomo di Cro-Magnon: alto, muscoloso. Cacciatore primordiale, abituato a combattere tra i ghiacci della preistoria europea. Infatti, quando il clima divenne più mite paradossalmente anche la sua cultura si estinse. La civiltà dell’uomo dei ghiacci, apparsa sulle coste atlantiche nord-occidentali, sembrò sciogliersi insieme alla glaciazione. Ma forse furono i suoi eredi, quelli che a distanza di cinquemila anni, innalzarono sempre nell’Europa Nord-Occidentale poderosi blocchi megalitici. Imprimendo adesso il proprio genio nella pietra squadrata, così come gli antenati l’avevano impressa nel colore e nelle forme tratteggiate.

Paolo Marini, ricercatore dell’Istituto di Fisica Nucleare di Frascati, ed anche appassionato cultore dell’alta antichità ricostruisce questo affascinante scenario, in un libro edito da Mursia e intitolato Atlantide. Ma perché mescolare i fantasmi della classica isola-che-non-c’è, con le ricerche di una disciplina che necessariamente deve aggrapparsi a prove tangibili, resti materiali analizzabili?

Marini anticipa l’obiezione, seguendo nel suo libro un doppio percorso. Uno è quello strettamente legato ai dati archeologici. L’altro vola invece nel regno astrale della immaginazione dei popoli, della leggenda imperitura. L’autore mostra come i due sentieri, così diversi, procedano in parallelo, talora con una “sincronia” sconcertante. Resta al lettore concludere – in base alla propria forma mentis e agli altri dati di cui è a conoscenza – se le due rette alla fine si intreccino in un nodo stringente.

Tilak Bâl Gangadhar, La dimora artica nei Veda Ma partiamo dai dati positivi: sul finire della preistoria sulle sponde occidentali dell’Europa si manifesta una cultura che conosce l’agricoltura, la pulitura della pietra, le tecniche della ceramica. Una cultura che è capace di smuovere enormi blocchi e di organizzarli in complessi sistemi megalitici. L’area geografica della civiltà megalitica va dall’Irlanda alla Britannia, dalla Francia alla penisola iberica, lambisce anche la Sardegna e Malta. Geograficamente questa civiltà Europea-Occidentale è anteriore a quella degli egizi e a quella dei sumeri. L’ipotesi dell’Ex Oriente Lux, della trasmissione degli elementi fondamentali della civiltà da Oriente verso Occidente perde pregnanza alla luce delle applicazioni del metodo del carbonio-14. Nel 4500, quando le civiltà del Nilo e dell’Eufrate albeggiano, la civiltà megalitica dell’area intorno a Dresda è in piena fioritura. Tipiche di questa civiltà sono i Dolmen – celle sepolcrali, talora orientate in direzione della luce sorgente al solstizio d’inverno – e i Menhir, grandi blocchi verticali, che col passare del tempo tendono ad assumere elementi antropomorfi. Mentre queste forme architettoniche appaiono il livello del mare continua a salire e le terre costiere continuano ad inabissarsi per effetto dell’aumento della temperatura: per questo oggi troviamo menhir conficcati sotto il fondale oceanico e file di menhir che malinconicamente “si tuffano” nell’oceano.

Gli effetti fondamentali della fine della glaciazione sono infatti tre: i ghiacci si ritirano verso Nord, a Sud il Sahara da luogo verdeggiante diventa arido e desertico, e sulla costa atlantica le terre gradualmente, inesorabilmente sprofondano sotto il livello del mare. È un destino questo che caratterizza anche la storia geologica del continente americano: le coste orientali dell’America arretrano dopo la glaciazione di oltre un centinaio di kilometri.

Terre sommerse agli albori della storia mondiale. Popoli civilizzati che dalla regione atlantica si spostano più a Est. Qui davvero il passato archeologico sfiora il passato leggendario. Platone parlò di un’isola sacra a Poseidon posta al centro dell’oceano che fu sommersa dai mari, la cui capitale aveva sei cerchi concentrici (è lo stesso modello del complesso megalitico di Stonehenge). La leggenda di Atlantide è condivisa dai Celti, dai Vikinghi, dai Berberi del Nord Africa, che ricordavano il bellicoso regno oceanico di “Attala”. Ed enigmaticamente si ritrova tra gli Aztechi, che ricordavano di provenire dall’Aztlan, posto al centro dell’oceano atlantico. Di questa Atlantide non si è mai trovata traccia tangibile, al di fuori dei ricordi del Mito. Ma l’archeologia ci restituisce oggi un destino preistorico di terre sommerse e di migrazioni di popoli.

http://www.centrostudilaruna.it/preisto ... ntide.html

Proviamo allora a localizzare geograficamente alcuni punti di origine del "fattore X" collegati alla teoria dell'Out of Atlantis con l'aiuto della paleogenetica.

Doggerland

Durante la glaciazione
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Tra 15.000 e 13.000 anni fa (ovvero ai tempi del "Diluvio")
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Tra 12.000 e 8.000 anni fa (ovvero ai tempi della "Rinascita" e delle società gilaniche)
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Un quadro di insieme
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Ora osserviamo la distribuzione dell'aplogruppo R1b
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e le correlazioni con il fenomeno del rutilismo (capelli rossi) e del biondismo che, come abbiamo detto associamo alla figura dei Nephilim o comunque dei primi civilizzatori delle popolazioni umane post-diluviane.
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e dell'aplogruppo R1a
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correlato al fenotipo dei capelli biondi anch'esso caratteristica 'divina' per i nostri remoti antenati
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E infine facciamo notare come secondo i genetisti la mutazione degli occhi chiari si è manifestata tra i 10.000 e i 6.000 anni fa, a partire da una zona intorno al Mar Nero. Le teorie “revisioniste" segnalano invece una forte coincidenza dell’attuale diffusione con le aree dell’ex Doggerland e dintorni. Questa è la situazione in Europa:
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Possibili migrazioni proto-storiche
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Contrapposte alle teorie di diversi autori tra cui la Gimbutas
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A cui mi collego al seguente articolo di Felice Vinci:

L’optimum climatico, il paradiso indoeuropeo e il giardino dell’Eden

Nel volume Omero nel Baltico (1) abbiamo cercato di dimostrare che il reale scenario delle vicende dell’Iliade e dell’Odissea fu il mondo baltico-scandinavo, sede primitiva dei biondi navigatori achei: costoro successivamente discesero nel Mediterraneo, dove, attorno all’inizio del XVI secolo a.C., fondarono la civiltà micenea (2), trasponendovi, oltre ai nomi geografici, anche epos e mitologia, portati con sé dalla perduta patria nordica. Questo tra l’altro ci ha permesso di collegare in un quadro unitario la discesa degli Achei nel mar Egeo con la diaspora di altri popoli indoeuropei, che, all’incirca nello stesso periodo (ossia nella prima metà del II millennio a.C.), si stanziarono nelle rispettive sedi storiche: pensiamo agli Hittiti in Anatolia, ai Cassiti in Mesopotamia, ai Tocari in Turkestan, agli Arii in India (3). Riguardo a questi ultimi, “cugini” degli Achei nonché parlanti una lingua affine (di cui una traccia nel mondo nordico è rimasta nell’attuale lingua lituana), è significativa la tesi del Tilak, un dotto bramino indiano, il quale nel mondo vedico ha ritrovato cospicue tracce di una probabile origine nordica, anzi, addirittura artica (4).

Tilak Bâl Gangadhar, La dimora artica nei Veda In effetti, nella nostra ricognizione del mondo omerico abbiamo riscontrato diversi indizi di una collocazione precedente a quella baltica, ancora più settentrionale, che sembrano localizzare nell’area lappone e sulle coste del mare Artico la sede di una civiltà primordiale, connessa col mondo degli dèi. In particolare, i misteriosi Etiopi, “estremi degli uomini”, menzionati ripetutamente da Omero, hanno una collocazione assolutamente incongruente con la ben nota Etiopia africana: essi invece sembrano collocabili tra Capo Nord e la penisola Nordkinn, all’estremità settentrionale della Scandinavia (5). Al riguardo, ci sembra assai significativo che i miti indiani menzionino una terra, posta “agli estremi confini del mondo”, corrispondente all’Etiopia omerica: il Mahabharata la chiama “Uttarakuru“, ossia la “terra estrema” o “regione estrema”, denominata in sanscrito “Paradesha“, in iranico “Pairidaeza“, in greco “Paràdeisos“, in ebraico “Pardes” (6). Inoltre, “nella tradizione vedica compare, in luogo di Airyana Vaêjo, l’Uttarakuru come il luogo primigenio degli Arii vedici” (7). Ora, “le fonti Indo-iraniche testimoniano la presenza di un culto solare nella terra dell’Airyana Vaêjo prima che sopraggiungessero i climi glaciali: il culto apollineo, che viene non a caso dalla terra degli Iperborei e che secondo la tradizione si insedia in Grecia, crea in proposito un parallelismo impressionante.

Gli Iperborei, che vivono ai confini dell’Oceano (…) trovano un parallelo con quegli Arii che vivono in un territorio che, secondo le fonti avestiche e vediche, è assolato per sei mesi (o per dieci mesi, secondo la variante delle fonti) con il clima mite, la cui divinità preponderante è quella solare, e con una notte di altrettanti sei mesi (o due mesi, nella precedente variante)” (8). E nell’Inno omerico a Hermes, ambientato nella Pieria (regione contigua all’Olimpo, sede degli dèi), un’apparentemente incomprensibile anomalia astronomica, legata alle fasi della luna, ci riconduce anch’essa ad un ambiente artico, situato al di sopra del circolo polare e, più precisamente, in una regione, identificabile con la Lapponia settentrionale, dove la notte solstiziale si protrae per quasi due mesi (9).

Felice Vinci, Omero nel Baltico D’altronde l’ipotesi della localizzazione artica di una civiltà, impensabile nella situazione climatica attuale, non è affatto in contrasto con quelle che sono le odierne conoscenze scientifiche sull’evoluzione del clima dopo la fine dell’ultima era glaciale: infatti per un lungo periodo, compreso tra il 5500 ed il 2000 a.C., il mondo nordico, fino alle latitudini più settentrionali, godette di un clima eccezionalmente mite, al punto che durante tale epoca – definita dai climatologi “optimum climatico post-glaciale” (corrispondente alla cosiddetta “fase atlantica” dell’Olocene) (10) – la tundra scomparve pressoché interamente dal territorio europeo e l’area della vite si estese fino alla Norvegia (11). Tale situazione si protrasse fin verso il 2000 a.C., allorché l’optimum climatico svanì e subentrò la “fase sub-boreale”, caratterizzata da un clima alquanto più rigido, che rese inabitabili le regioni situate a nord del circolo polare. Ora, il ricordo di un antichissimo disastro climatico è attestato nella memoria di molti popoli: pensiamo ad esempio al Ragnarok dei miti nordici, il “crepuscolo degli dèi” annunciato da una serie di inverni terribili, di cui l’Edda di Snorri ci dà un resoconto drammatico: “Verrà l’inverno chiamato Fimbulvetr (‘inverno spaventoso’): la neve cadrà vorticando da tutte le parti; vi sarà un gran gelo e venti pungenti; non ci sarà più il sole. Verranno tre inverni insieme, senza estati di mezzo” (12).

Snorri Sturluson, Edda Ciò a sua volta trova un preciso parallelo nella distruzione, sempre ad opera della neve e del gelo, del paradiso primordiale degli Iranici, l’Airyana Vaêjo: secondo il racconto dell’Avesta, il dio Ahura Mazda avvertì Yima, primo re degli uomini, che una serie di rigidissimi inverni avrebbe distrutto il suo paese; dopo di allora, vi sarebbero stati dieci mesi d’inverno e due d’estate. Ora, questo è effettivamente il clima delle regioni artiche. In sintesi, da tutte le considerazioni sviluppate in Omero nel Baltico e che qui abbiamo sommariamente riassunto (pensiamo anche alle “isole al nord del mondo” della mitologia celtica, da cui sarebbero discesi i Tuatha Dé Danann, gli antichi abitatori dell’Irlanda), emerge che la Urheimat, ossia la sede primordiale degli Indoeuropei, era con ogni probabilità una terra artica, la quale può essere collocata con precisione sulla carta geografica: si tratta dell’estremità settentrionale della Scandinavia, ovvero di quella sorta di “cappello” del continente europeo, affacciato sul Mar Glaciale, che si estende dalla Lapponia settentrionale alle isole Vesterålen e alla penisola di Kola. Fu qui che, a partire da cinque o seimila anni fa, allorché la costellazione di Orione segnava l’equinozio di primavera (13) e il Dragone indicava il Polo Nord (14), si sviluppò l’originaria civiltà indoeuropea, nel periodo climaticamente più favorevole che si sia mai verificato in tale area. Successivamente però il tracollo del clima, attestato da varie tradizioni, la rese inabitabile, costringendo le popolazioni ivi stanziate a cercarsi nuove sedi a latitudini più meridionali.

Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins, Introduzione alla lingua e alla cultura degli Indoeuropei Osserviamo a questo punto che Yima, il mitico re del paradiso iranico, è chiamato “Yama” nella mitologia indiana, dove è il signore dei morti. Egli ha pertanto un preciso corrispondente nell’Odissea: ci riferiamo ad Ade, il signore dei morti omerico. Il suo lugubre regno, caratterizzato da quattro fiumi (15), è localizzabile nell’area lappone (16). D’altro canto Yima – che si potrebbe anche accostare a Ymir, un gigante primordiale dei miti nordici – fu il primo uomo a conoscere la morte. Questo lo riconduce ad Adamo, il progenitore dell’umanità secondo la Bibbia. Dunque il mitico regno di Yima-Yama si può accostare al paradiso biblico, ossia al giardino dell’Eden, dove il Signore pose Adamo, il primo uomo. Al riguardo, il libro della Genesi caratterizza geograficamente la regione dell’Eden in modo molto puntuale, menzionando i quattro fiumi che da lì si dipartono: “Il nome del primo fiume è Pison; esso circonda tutta la regione di Avila, dove si trova l’oro; l’oro di quel paese è puro; là si trova pure la resina profumata e la pietra onice. Il nome del secondo fiume è Gihon: esso circonda tutto il paese di Etiopia. Il terzo si chiama Tigri e scorre ad oriente di Assiria. Il quarto fiume è l’Eufrate” (17). Però, al riguardo, nell’area mesopotamica si ritrovano soltanto il Tigri e l’Eufrate, mentre gli altri due fiumi sono inesistenti. Non solo: questi fiumi che, secondo la Bibbia, nascono nella zona di Eden vanno ad interessare due regioni, l’Etiopia e l’Assiria, dislocate addirittura in continenti diversi! Si tratta di assurdità – per non parlare di quella misteriosa “regione di Avila”, con il suo oro fino, mai localizzata da nessuna parte – che sembrano rendere il racconto biblico geograficamente inverosimile.

A questo punto un nostro lettore, il dott. Luigi Cesetti di Falerone, ci ha segnalato che, ove questo problematico “paese di Etiopia” fosse l’Etiopia omerica, che abbiamo ritrovato all’estremità settentrionale dell’Europa, tutto sembrerebbe andare a posto. Esaminiamo infatti il fiume che la bagna, il Tana (che pertanto corrisponderebbe al Gihon biblico): esso nasce in una zona della Lapponia finlandese, nell’area di Enontekiö (nome che significa “che fa grandi fiumi”) (18), da cui effettivamente si dipartono vari altri fiumi. Uno è l’Ivalo, che i Lapponi (o Sami) chiamano “Avvil”. L’assonanza con “Avila”, la regione biblica dell’oro, da sola potrebbe essere casuale, ma proprio questo territorio è ricco d’oro, come attesta il museo dell’oro di Tankavaara (19), a pochi chilometri dal fiume Ivalo. Per di più si tratta di un oro eccezionalmente puro, come afferma il passo biblico: esso arriva a 23 carati (20), il che lo distingue dall’oro estratto dai giacimenti di altre parti del mondo. La resina è secreta da pini e abeti e, per quanto riguarda l’onice, questa zona della Lapponia è ricca di pietre, tra cui il calcedonio e il diaspro, simili all’onice per la composizione dei cristalli.

Isaac Taylor, The Origin of the Aryans. An Account of the Prehistoric Ethnology And Civilization of Europe E gli altri due fiumi, ossia i “prototipi” del Tigri e dell’Eufrate? Sempre nell’area di Enontekiö nascono un affluente del Mounio-Tornionjoki e lo Ounas-Kemijoki, che scorrono in parallelo verso sud per poi sfociare vicini all’estremità settentrionale del Golfo di Botnia. Il complesso di questi fiumi, con il territorio da essi racchiuso, delinea una sorta di “Mesopotamia” finnica, straordinariamente rassomigliante a quella asiatica (v. tavola annessa). Potrebbe essere dunque questa la regione di “Ur dei Caldei” da cui partì Abramo, diretto verso la Terra Promessa, e da dove discesero i Sumeri (21), che l’avrebbero poi trasposta nella Mesopotamia a noi ben nota. Il cambiamento del clima la avrebbe poi resa inospitale, come ci ricorda il profeta Isaia: “Ecco che il Signore spopola la terra, la devasta, ne altera l’aspetto, ne disperde gli abitanti” (22). Potrebbe essere la “Terre Gaste” dei miti arturiani! Questo concetto a sua volta trova un preciso riscontro nella “dimora in rovina (d?µ?? e???e?ta) di Ade”, menzionata nell’Odissea23, a cui pure sono associati vari fiumi e che è anch’essa localizzabile nell’area lappone (24).

Avila-Avvil ricorda poi la leggendaria “Avalon” del mondo arturiano, che probabilmente fa riferimento alla sede primordiale celtica: ciò sembra far sospettare un rapporto tra caldei e celti, che trova riscontro in certe analogie tra il mondo celtico e quello ebraico (per inciso, nella letteratura celtica si ritrova la locuzione “Terra della Promessa”: “Tìr Tairngiri“) (25). Notiamo anche che, calando la descrizione biblica nel contesto lappone, il mitico giardino, posto “in Eden a oriente” (26), sembrerebbe essere al centro di una sorta di quadrifoglio costituito da quattro regioni (Eden, Etiopia, Avila e Assiria): ciò delinea un quadro singolarmente simile a quello della mitica suddivisione dell’Irlanda, terra celtica per eccellenza, in cui un centro politico-religioso, Tara, era circondato da quattro regioni periferiche. Per inciso, il nome di un fiume edenico, il Pison (o Fison) ricorda Pisa, un toponimo sia finnico che lappone menzionato anche nel Kalevala (27).

Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa Tra le osservazioni del Cesetti, di particolare interesse è poi il riferimento ad un altro versetto della Bibbia: “Caino si allontanò dalla presenza del Signore e abitò nel paese di Nod, a oriente di Eden” (28). Ora, ad est di Enontekiö, ossia “a oriente di Eden”, nella Lapponia russa si trovano il fiume Nota ed il lago Nota (Notozero). Inoltre, scendendo a sud del bacino del Nota, s’incontra la regione di Kainuu (29), in territorio finlandese, situata ad est del golfo di Botnia. Essa corrisponde al territorio dei Lapiti omerici (30), tra i quali l’Iliade ricorda Caineo, avo di un eroe lapita che partecipò alla guerra di Troia (31). Ciò potrebbe indicare che i discendenti di Caino, allorché il clima iniziò a tracollare e la tundra prese il sopravvento rendendo inabitabili le regioni situate al di sopra del circolo polare, si spostarono dal bacino del Nota verso un territorio più vivibile, situato ad una latitudine leggermente più bassa.

A questo punto si potrebbe altresì congetturare che il diluvio di Noè sia il ricordo (poi trasposto nel mondo caucasico, importante crocevia di migrazioni dal nord al sud) di una disastrosa inondazione che avrebbe interessato una vasta area della Lapponia settentrionale, il cui territorio è spesso caratterizzato da fitti intrichi di laghi, fiumi e acquitrini (32). In ogni caso, lo stretto rapporto tra il mondo originario semitico e quello a href=”indoeuropei.html”>indoeuropeo è attestato, a parte la comune ascendenza di Sem e di Jafet, anche dal passo biblico che proclama l’affinità tra gli Ebrei e gli Spartani: “Ario, re degli Spartani, a Onia, Sommo Sacerdote, salute! In uno scritto riguardante gli Spartani e i Giudei, si è trovato che sono fratelli, perché della stessa stirpe di Abramo (…) I nostri bestiami e i nostri beni sono vostri, e ciò che è vostro è nostro” (33). Sempre riguardo a Sem, colpisce la rassomiglianza del suo nome con quello dei Sami, gli attuali abitanti della Lapponia. Costoro inoltre hanno un monte sacro, il Saana, che ricorda il Sinai, il monte sacro degli Ebrei (alle pendici del Saana giace il lago Kilpis, da cui scaturisce una ramificazione del Mounio-Tornionjoki, il fiume corrispondente all’Eufrate mesopotamico).

Georges Dumézil, Miti e leggende del mondo egeo. Il crimine delle donne di Lemno E Cam, l’altro figlio di Noè? Ritorniamo al Kemijoki, il “fiume Kemi”, che scende dalla Lapponia verso l’estremità settentrionale del Golfo di Botnia: alle sue spalle nasce il fiume Tana, il quale poi si dirige verso quell’Etiopia artica che ritroviamo sia in Omero che nel racconto biblico dell’Eden. Tale configurazione rappresenta quasi uno specchio dell’Egitto africano, la “terra di Kem”, abitata dai discendenti di Cam e situata lungo il grande fiume che proviene dall’Etiopia e dal lago Tana (da cui trae origine il Nilo Azzurro). Dunque i primitivi Egizi, come ci conferma una serie di indizi riguardo ad una loro possibile origine nordica (in primis il culto spiccatamente solare) (34) forse provenivano anch’essi dall’area lappone: essi poi, in analogia a quanto accaduto in Mesopotamia, una volta arrivati nella valle del Nilo (passando probabilmente per la Caucasia, dove lasciarono significative tracce toponomastiche riscontrate dal Flinders Petrie (35)) ricostruirono a modo loro il remoto mondo artico da cui erano discesi. D’altronde anche i loro documenti, proprio come la Bibbia e gli stessi poemi omerici – pensiamo alla terra dove i Feaci vivevano accanto agli dèi, alla Pieria dell’Inno a Hermes, alle sedi dell’Olimpo, degli Etiopi e dell’Ade, tutte collocabili nell’area lappone – ricordano la loro patria originaria come la “terra degli dèi”.Insomma, se già la Lapponia ci ha dato non pochi indizi per localizzarvi la sede della sede primordiale indoeuropea, ora queste convergenze con l’Eden biblico da un lato ne rappresentano una conferma, dall’altro allargano il quadro a prospettive ancora più stupefacenti, dando una sostanza sia storica, sia geografica alla concezione tradizionale dell’origine “iperborea” della nostra civiltà, e saldandola nel contempo al concetto biblico della comune origine dei semiti, dei camiti e degli indoeuropei.

Jean Mabire, Thulé: Le Soleil retrouvé des hyperboréens Tutto ciò invece va irrimediabilmente a cozzare con la vecchia idea dell’origine orientale della civiltà europea (“Ex Oriente Lux“) (36). Peraltro va notato che tale concetto è stato ormai da tempo messo in crisi dall’introduzione della datazione col radiocarbonio, corretta con la dendrocronologia (cioè la calibrazione con gli anelli annuali degli alberi). Al riguardo, un autorevolissimo studioso come il prof. Colin Renfrew afferma che “si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell’Europa occidentale diventano ora più antiche delle piramidi o delle tombe circolari di Creta, ritenute loro antecedenti; (…) in Inghilterra, la struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell’inizio della civiltà micenea” (37). Insomma, lo spostamento delle origini della nostra civiltà dall’oriente al settentrione risulta perfettamente in linea con le più recenti acquisizioni della scienza. È altresì evidente che le precedenti considerazioni richiedono ulteriori verifiche ed approfondimenti da parte degli specialisti nei vari ambiti da esse toccati: noi preferiamo dunque considerarle un punto di partenza, più che di arrivo, nella ricerca delle origini della civiltà umana.

Note

1 F. Vinci, Omero nel Baltico, terza edizione, Palombi Editori, Roma 2002 (una sintesi è apparsa su Episteme n. 2 – 21 dicembre 2000).
2 L’origine nordica della civiltà micenea è stata proposta da vari autorevoli studiosi, tra cui lo storico delle religioni Martin P. Nilsson ed il filosofo Bertrand Russell.
3 In questo quadro si può inserire il fatto che l’età del bronzo in Cina è iniziata nello stesso periodo, cioè tra il XVIII ed il XVI secolo a.C.
4 B.G. Tilak, La dimora artica nei Veda, Genova 1994.
5 Omero nel Baltico, p. 366 sgg.
6 B.G. Tilak, Orione: a proposito dell’antichità dei Veda, Genova 1991, p. 15 (premessa di G. Acerbi).
7 Antichi popoli europei, a cura di O. Bucci, Roma 1993, p. 56.
8 Ibid., p. 59.
9 Omero nel Baltico, p. 360 sgg. Anche l’articolazione del primitivo calendario romano su dieci mesi (l’ultimo dei quali era infatti chiamato December) potrebbe essere indizio di una provenienza artica.
Bernard Sergent, Les trois fonctions indo-européennes en Grèce ancienne. Tome 1: De Mycènes aux Tragiques 10 Per i dettagli sull’evoluzione del clima nel periodo olocenico (così viene definita l’età post-glaciale), v. ad esempio: M. Pinna, Climatologia, Torino 1977; F. Ortolani, Le variazioni climatiche storiche, in Integralismo ambientale e informazione scientifica, Atti della giornata di Studio AIN 2001, Roma 2001, p. 97 sgg.; Enciclopedia Treccani, voce “Olocenico, periodo“.
11 Un altro periodo climaticamente favorevole, però assai più breve dell’”optimum” preistorico e con temperature meno elevate, si verificò per circa tre-quattro secoli a cavallo dell’anno 1000 della nostra èra, allorché i Vichinghi colonizzarono l’Islanda e la Groenlandia (la “terra verde”) e, proprio in virtù di tali condizioni favorevoli, riuscirono a raggiungere le coste settentrionali del continente americano. Addirittura, nel XII secolo è attestata una diocesi cattolica, con un vescovo vichingo, sulla costa groenlandese antistante il Labrador.
12 Gylfaginning, 51.
13 Nel suo Orione il Tilak dimostra che la primitiva civiltà vedica si sviluppò nel “periodo orionico”, allorché l’equinozio di primavera approssimativamente corrispondeva alla costellazione di Orione (4000-2500 a.C.). Adesso noi sappiamo quello che il Tilak ignorava, cioè che quel periodo coincise proprio con la fase culminante dell’optimum climatico. Ve ne rimane un ricordo anche nella mitologia greca: infatti esso probabilmente s’identifica con la felice età di Crono, il re dell’età dell’oro (poi soppiantato da Zeus, che ha tutte le caratteristiche del “dio della tempesta” indoeuropeo).
14 La posizione polare assunta dal Dragone a quell’epoca – nel 2830 a.C. la stella Alpha Draconis, o Thuban, si trovava ad appena 10#8242; dal polo celeste (a titolo di confronto, attualmente la Stella Polare ne dista 50#8242;) – lo fece assurgere ad emblema nonché signore del cielo stellato notturno: ecco perché l’Apollo iperboreo, ossia il principio solare (alias Ra, Thor, Michele, San Giorgio, Maui, ecc.) al suo ritorno dalle tenebre solstiziali lo “uccideva” a colpi di frecce (ossia con i suoi raggi). Riguardo all’Apollo iperboreo, v. M. Duichin, Apollo, il dio sciamano venuto dal Nord, in Abstracta n. 39, Luglio-Agosto 1989.
15 Od. X, 512-514. Notiamo che nel mondo di Ade Omero menziona un particolare sacrificio (Odissea, XI, 131), presumibilmente antichissimo, analogo al sautramani indù ed al suovetaurilia romano. D’altronde tutto l’episodio è caratterizzato da aspetti che denotano un’estrema arcaicità nonché, probabilmente, un sottofondo di tipo “sciamanico” (v. Omero nel Baltico, p. 374 sgg.).
16 Omero nel Baltico, p. 370.
17 Genesi 2, 11-14.
18 Le informazioni sulla Lapponia sono per la maggior parte tratte dal libro Iter Lapponicum di Ada Grilli Bonini, Bergamo 2000.
19 v. sito http://www.urova.fi/home/kulta/eindex.htm
20 A. Grilli Bonini, Iter Lapponicum, p. 277.
M. Monier-Williams, A Sanskrit-English Dictionary. Etymologically and Philologically Arranged with Special Reference to Cognate Indo-European Languages 21 Il dott. Giuliano Bruni ci segnala che in sanscrito “Sumeru” indica il polo artico (Monier-Williams, Sanskrit-English Dictionary). Al riguardo, potrebbe essere significativo il fatto che il Kojiki, testo sacro shintoista, chiami “Sumera” i primi imperatori del Giappone (inoltre riporta diversi miti assimilabili a quelli classici non solo per le vicende, ma anche per i nomi: ad esempio, il “giapponese” Inaihi ha una serie di vicissitudini del tutto simili a quelle del “greco” Inaco; per di più Inaihi ed Inaco hanno due congiunti anch’essi pressoché omonimi: Mikenu e Micene, rispettivamente fratello dell’uno e figlia dell’altro).
22 Isaia 24, 1.
23 Od. X, 512.
24 Omero nel Baltico, p. 370 sgg. Notiamo altresì che il nome di Ade, il signore dei morti omerico, sembra ricordare il biblico Adamo e lo stesso Eden. D’altronde Ade, chiamato anche “Aidoneo” da Omero, ha vari tratti in comune con Adone, che a sua volta è legato al mondo sotterraneo nonché a un albero (in tale quadro, ci sembrano meritevoli di attenzione anche i cosiddetti “giardini di Adone” del mondo classico).
25 MacCulloch, La religione degli antichi Celti, Vicenza 1998, p. 352.
26 Genesi 2, 8.
27 La stessa radice si ritrova in vocaboli omerici quali p?s?? (pisos, “luogo irrigato”) e p?da? (pidax, “sorgente”). Notiamo che nomi dell’area “ligure” (i Liguri erano un’antica popolazione probabilmente indoeuropea) quali Pisa, Savona e Levanto si ritrovano pressoché inalterati nel mondo finnico: Pisa, Savonlinna, Levanto.
28 Genesi 4, 16.
29 Treccani, app. 2000, voce “Finlandia“, tab. 2 (v. anche sito http://www.kainuu.com/eng/).
30 Omero nel Baltico, p. 262 sgg.
31 Il. II, 745-746.
32 Se si ammette che il racconto del diluvio, diffuso fra tanti popoli, possa avere un fondamento storico, il ritenere che il monte della salvezza sia collocabile nella regione caucasica, tra cime alte più di cinquemila metri, appare francamente assurdo! È invece ragionevole supporre che esso abbia avuto un prototipo altrove, ossia in un territorio pianeggiante, caratterizzato qua e là da rilievi isolati e soggetto ad alluvioni, proprio come il territorio della Lapponia.
33 I Maccabei 12, 20-23. Il concetto della comune origine di Ebrei e Spartani è ribadito in II Maccabei 5,9. Sui non pochi punti di contatto tra il mondo omerico e quello biblico ci soffermiamo nel cap. XVIII di Omero nel Baltico. Qui aggiungiamo l’analogia del sacrificio di Abramo descritto in Genesi 15, 9 con i presumibilmente antichissimi riti che si ritrovano pressoché identici in Omero, nella cultura indù e nel mondo romano arcaico (v. nota 15).
34 v. capp. XIII e XVIII di Omero nel Baltico. Sottolineiamo in particolare la straordinaria rassomiglianza tra il mito di Osiride, fatto a pezzi, sparito, ritrovato, ricomposto e resuscitato, ed una pressoché identica disavventura capitata all’eroe finnico Lemminkäinen (runi XIV e XV del Kalevala): entrambi agevolmente spiegabili in termini di metafora del ciclo annuo del sole nelle regioni artiche (v. Omero nel Baltico, p. 279).
35 The Origin of the Book of the Dead, in Ancient Egypt, June 1926, citato dal de Rachewiltz ne Il libro dei morti degli antichi egiziani, Milano 1958, pag. 8.
36 A tale concezione hanno probabilmente contribuito sia l’antichità delle civiltà mesopotamiche, sia l’indicazione (fraintesa) della Genesi riguardo alla localizzazione del giardino dell’Eden “a oriente”, nei pressi delle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate 37 C. Renfrew, L’Europa della preistoria, Bari 1996, p. 63.

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MessaggioInviato: 04/03/2014, 18:27 
Secondo me questi autori di ca...te ne hanno sparate tante.[:D]


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MessaggioInviato: 04/03/2014, 19:53 
Perché dici questo? Cosa non ti torna della loro analisi?

[:)]



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Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Perché dici questo? Cosa non ti torna della loro analisi?

[:)]

Ma... non mi tornano molte cose ,per ora non ho tempo di scriverli,però una cosa semplice la posso dire:Se i ghiacciai arrivavano fino in Italia,non credi che la razza bionda e con gli occhi azzurri sia nata anche nel Mediterraneo? e che gli Etruschi ,gli Achei,gli Iberici e tutti i popoli che abitavano le loro sponde avessero questo aspetto? [;)]
e se i ghiacciai arrivavano fino in Italia secondo te dove si poteva sviluppare una civiltà avanzata?
Gli Ipogei di Malta e le raffigurazioni Rupestri del Sahara,sono stati datati migliaia di anni prima del tempo dei Faraoni!.


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MessaggioInviato: 08/03/2014, 17:30 
Anche l’Uomo di Neanderthal poteva parlare

Noi e loro. Noi siamo i Sapiens sapiens- evoluti, intelligenti, bellocci; loro sono i Neanderthal- trogloditi, poco svegli e decisamente bruttarelli. Da sempre, confrontandoci con questo ramo estinto della specie umana, ci sentiamo superiori: d’altra parte, noi siamo diventati i dominatori del mondo e loro… bè, sono scomparsi. Le ultime scoperte in ambito antropologico, però, stanno dando un po’ di giustizia ai nostri cugini poveri.

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LA CLASSICA RAPPRESENTAZIONE DI UN UOMO DI NEANDERTHAL

Una prerogativa da sempre considerata appannaggio dell’essere umano moderno- dunque, noi- è ad esempio il linguaggio, ovvero la capacità di articolare la voce per esprimere suoni con i quali comunicare con i propri simili. Fino ad oggi, si è ipotizzato che i Neanderthal non potessero parlare sia per una mancanza di capacità cognitiva sia per la diversa conformazione dell’apparato fonatorio.

A quanto pare, però, le cose non starebbero proprio così. Una ricerca condotta dall’Università del New England, in Australia, dimostra che anche i nostri lontani parenti possono aver utilizzato un tipo di linguaggio non dissimile da quello odierno. A sostenerlo, è il professor Stephen Wroe, zoologo e palentologo: con la collaborazione di un’equipe internazionale di scienziati e utilizzando tecniche di immagine ai raggi-X in 3D, ha fatto una scoperta forse rivoluzionaria. Tutto merito di un osso ioide antico di 6o mila anni trovato in Israele nel 1989.

“Molti erano rimasti sorpresi perchè la sua forma era molto diversa da quella che presentano i primati a noi più vicini e ancora esistenti, come gli scimpanzè e i bonobo. Eppure, esso è virtualmente indistinguibile da quello della nostra specie. Ciò ha indotto alcuni ricercatori a pensare che questo esemplare di Neanderthal potesse parlare“, ha scritto il professor Wroe.

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UN CRANIO FOSSILE DI HOMO NEANDERTHALENSIS

Ma avere lo stesso osso ioide dei moderni umani non significa necessariamente che esso veniva utilizzato nello stesso modo- ovvero per articolare parole. È stata questa l’obiezione di vari studiosi, quando 25 anni fa il reperto è stato esaminato: la tecnologia dell’epoca non permetteva di fare verifiche, in un senso o nell’altro. Ma oggi la grafica tridimensionale e i nuovi programmi computerizzati hanno permesso di fare un passo in avanti.

“Analizzando il comportamento meccanico dell’osso fossile con microscopiche immagini ai raggi-X, siamo stati in grado di costruire dei modelli dello ioide che includono anche la complessa struttura interna. Poi li abbiamo comparati ai modelli di esseri umani contemporanei. Il nostro raffronto ha mostrato che in termini di comportamento meccanico, l’osso ioide del Neanderthal è praticamente identico al nostro: ciò suggerisce con forza che questa componente-chiave dell’organo vocale era usata nello stesso modo”, ha concluso il docente australiano.

Dunque, l’origine del linguaggio andrebbe retrodatata: anche questi umani, estinti circa 30 mila anni fa, avevano la capacità di comunicare tra di loro, di esprimersi, magari in forme anche complesse. Un’informazione in più, che aiuta a cambiare l’immagine un po’ stereotipata dell’Homo Neanderthalensis. Tarchiato, dal forte prognatismo e dall’ intelligenza limitata- lo si è sempre dipinto così. Ora studi comparati hanno appurato che invece esisteva una grande varietà, tra individuo e individuo, se non addirittura delle sottospecie.

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UN PICCOLO NEANDERTHAL CON I CAPELLI ROSSI E LENTIGGINI

Alcuni Neanderthal, ad esempio, avevano pelle bianca, occhi chiari e capelli rossi: non c’era un unico fenotipo, proprio come accade per i moderni Sapiens. Le ricostruzioni dei loro volti- basati su ossa fossili- hanno mostrato bambini e ragazzi simili a quelli che oggi camminano per le nostre strade, anche se con un mento più sfuggente e zigomi pronunciati. Sembra molto probabile, poi, che in determinate epoche ed aree si siano anche verificati degli incroci con l’Homo Sapiens- anche se questo è motivo di forte contrapposizione, ancora, tra i genetisti. Noi e loro: certo diversi, ma poi non così tanto…

http://www.extremamente.it/2014/03/07/a ... a-parlare/

Ciò a mio parere conforta quanto suggerito dal Progetto Atlanticus in merito alla possibilità che i Neanderthal insieme ai Cro-Magnon (rossi+biondi con gli occhi azzurri) compartecipassero a una società umana urbana e più avanzata di quanto siamo abituati a credere già più di 15000 anni fa.



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MessaggioInviato: 13/03/2014, 11:42 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

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Guardando queste mappe non ho potuto fare a meno di confrontarle con la mappa tematica che realizzai all'inizio della produzione del Progetto Atlanticus relativa all'Età dell'Oro.

Devo dire che, a parte i nomi "romanzati" utilizzati nella mia mappa concettualmente non c'ero andato troppo lontano nell'identificazione di quelli che potevano essere ipotetici imperi antidiluviani.

http://maps.google.it/maps/ms?msid=2034 ... 158.027344


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MessaggioInviato: 15/04/2014, 23:00 
I resti mummificati di una misteriosa tribù medievale sono stati trovati in Siberia, a 18 miglia dal Circolo polare artico. Si tratta di 34 sepolture e undici corpi mummificati portati alla luce dall'archeologo russo Zeleniy Yar.

Resta ancora da chiarire chi fossero questi misteriosi personaggi e quale sia la storia di questo villaggio che, dagli artefatti trovati nelle tombe, sembrerebbe essere stato un importante snodo commerciale.

http://www.repubblica.it/scienze/2014/0 ... ref=fbpr#1

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Capelli rossi/biondi anche qui?!

[:D]



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MessaggioInviato: 15/04/2014, 23:33 
18 miglia dal circolo polare.... Siamo sicuri che quella terra fosse lì quando sono stati sepolti? Secondo me la teoria della traslazione della crosta dovrebbe essere presa in maggiore considerazione...



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A meno che non fosse il polo ad essere in una posizione diversa per una diversa inclinazione dell'asse terrestre.



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MaxpoweR ha scritto:

18 miglia dal circolo polare.... Siamo sicuri che quella terra fosse lì quando sono stati sepolti?


Dato che la sepoltura risale a circa 800 anni fa credo vi siano davvero pochi dubbi sulla posizione del globo.

Inoltre il circolo polare artico non e' poi cosi strano. Perche' ti meraviglia? Nei fatti parte del territorio Russo e' oltre il circolo polare.

Infine, intorno a quel periodo vi e' stato proprio il periodo caldo medievale e quindi con una minore copertura ghiacciata.

La parte strana invece e' che quel tipo di individui inclusa la loro oggettistica e' decisamente out of place per quella zona.

Anche in questo caso ci tocchera' aspettare le analisi genetiche. [:(]



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