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MessaggioInviato: 03/01/2015, 14:04 
Gli assenteisti sabotatori salvati dal Jobs Act di Renzi

A Roma e Napoli epidemia di massa. Ma la colpa è del governo che ha salvato gli statali dal Jobs Act, piegandosi ai ricatti di sindacati e sinistra

La buona notizia è che gli 835 vigili urbani di Roma sono fuori pericolo: assenti per malattia nella notte di Capodanno, allettati il primo, il 2 gennaio sono già guariti.



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Quella cattiva è che, nonostante la furia del premier, del sindaco, del ministro Madia e dell'Autorità di garanzia sugli scioperi, sarà molto difficile licenziare o più semplicemente punire i pizzardoni latitanti e gli scopini napoletani che alla raccolta differenziata notturna hanno preferito lenticchie e petardi.

Il Jobs Act infatti non si applica ai dipendenti pubblici.

Quanto meno, non si applica ancora. Matteo Renzi è avvelenato. «Leggo di 83 vigili su cento a Roma che non lavorano per malattia - scrive su Twitter il presidente del Consiglio - . Ecco perché nel 2015 cambiamo le regole del pubblico impiego». La legge però poteva già essere stata portata a casa se, per evitare strappi eccessivi con la sinistra del Pd e i sindacati, il governo non avesse deciso di limitare le nuove regole al settore privato, rimandando il resto alla riforma della Pa, parcheggiata sui binari lenti previsti per i disegni di legge. Ma ora a Palazzo Chigi stanno pensando di trasformarla in un decreto.

Dopo le molte polemiche dei giorni scorsi, anche adesso Renzi viene criticato sul web perché le nuove norme «sono state depennate con uno strano zapping legislativo». Pronto il cinguettio di replica del premier: «Prego? Le abbiamo inserite in un disegno di legge che è all'attenzione del Parlamento. Si chiama democrazia». A Renzi la malattia fulminate dei vigili urbani romani e degli operatori ecologici napoletani, e la successiva epidemia che ha bloccato i tre quarti dei conduttori di metro chiamati in servizio nella Capitale, dev'essere andata proprio di traverso. E ancora peggio deve aver preso la reazione a freddo dei sindacati dopo le proteste e le rinnovate minacce di sciopero.

Difatti passano poche ore e torna sull'argomento. Stavolta su Facebook, strumento che gli consente di esprimere lo stesso concetto aumentando il numero delle parole: «Il 2015 sarà l'anno della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale. Ci occuperemo di cultura, scuola, Rai, green-act, lavoro. Di pubblico impiego, di modo che non accadano più vicende come quella di Roma dove la notte del 31 dicembre l'83% dei vigili urbani è rimasto a casa per malattia o donazione sangue». E, già che c'è: «Il 2015 sarà l'anno in cui i cittadini per la prima volta pagheranno 18 miliardi in meno di tasse (80 euro, contributo bebè, Irap e sgravi previdenziali per nuovi assunti). Un'altra buona notizia: da oggi Alitalia e Etihad volano insieme, dopo anni di fallimenti inizia una nuova storia per un settore strategico della nostra economia. Buon 2015 a tutti».

Se non verrà scelta la strada, politicamente difficile, del decreto, si prevedono tempi lunghi per il riordino della pubblica amministrazione: essendo un disegno di legge, deve affrontare le tante curve parlamentari. Intanto però qualcosa va fatta. «L'Ispettorato del ministero è stato subito attivato per accertamenti violazioni e sollecito azioni disciplinari», annuncia su Twitter, hastag vigiliassenti, Marianna Madia. E ancora: «Avanti con la riforma della Pa per premiare le eccellenze e punire gli irresponsabili».

Si muove pure l'Autorità di garanzia, che «aprirà un procedimento di valutazione» sulle febbriciattole di Capodanno. Il garante farà le sue verifiche «sulla base dei dati che verranno forniti dall'amministrazione comunale». Se troverà «un nesso causale tra la mobilitazione del sindacato e le assenze» per malattia, «non esiterà ad adottare le sanzioni che la legge prevede».

E mentre persino la Cgil prende le distanze dai cagionevoli pizzardoni parlando di «autogol», Ignazio Marino è tornato nella bufera: i cittadini lo accusano di non saper governare e i sindacati dei vigili minacciano di scioperare. «Non sono riusciti a guastare la festa della città - dice il sindaco -.
In 600mila abbiamo passato il Capodanno in piazza. Ma chi ha finto di essere malato, chi ha inventato scuse ne dovrà rendere atto nei modi previsti dalla legge e assumersi le proprie responsabilità». Chiude ringraziando Renzi e la Madia «per il sostegno», sperando che alla sia il governo a risolvere il problema. Ma come?

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 79927.html



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MessaggioInviato: 03/01/2015, 14:22 
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Ufologo 555 ha scritto:

Ce ne ha messo per capirlo ... (era un comunista sfegatato) [^]


Guarda che quelli che tu etichetti come "comunisti" sono SEMPRE stati contro questo Sistema.

Poi ci sono i falsi comunisti... ma, a parte i burocrat vendutisi al soldo del potere finanziario sovranazionale, solitamente sono ex-democristiani

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MessaggioInviato: 03/01/2015, 14:45 
Lo dici tu, Atlanticus! Li ho sentiti parlare a suo tempo: lui, la Mannoia, Villaggio, Verdone, tutti gli artisti! Solo Buzzanca ebbe il coraggio di dire che era per la "Fiamma Tricolore" ... non lo faecero lavorare più! prima di tutto in televisione ....
Dai, Atlanticus; la DC faceva ribrezzo (per certi suoi affiliati) ma questi facevano proprio schifo! O tessera o .......[;)]



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MessaggioInviato: 03/01/2015, 17:52 
3 gennaio 2015

La crisi economica voluta e pilotata,sentite Romano Prodi...

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Questa dichiarazione non la leggerete mai su nessun un giornale italiano. Fu rilasciata da Romano Prodi nel 2001 al Financial Times. Oggi è stata pubblicata sul Wall Street Journal a sostegno della tesi di Richard Jeffrey,
capo della Cazenove Capital Management. Secondo Jeffrey, i politici che hanno voluto l'Euro sapevano che per raggiungere l'obiettivo della moneta unica sarebbe stata necessaria una crisi economica.

Jeffrey, per dimostrare questa sua teoria, riporta le parole di Romano Prodi. Leggete con attenzione:

"I am sure the euro will oblige us to introduce a new set of economic policy instruments. It is politically impossible to propose that now. But some day there will be a crisis and new instruments will be created."

Traduzione:

"Sono sicuro che l'euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica. È politicamente impossibile per ora proporli. Ma un giorno ci sarà una crisi e questi nuovi strumenti saranno creati."


Il deputato 5 Stelle Giuseppe L'Abbate, spiega così su Facebook:

Adesso capite a cosa è servita la moneta unica? L'euro è servito a distruggere tutti i nostri diritti acquisiti in anni di battaglie. Pensateci bene, solo in un momento di così forte crisi potevano aumentare l'età pensionistica o distruggere i diritti dei lavoratori senza scatenare sommosse popolari. Quando si è in crisi, infatti, i cittadini per amor di patria tendono a digerire tutte le scelte. Se poi si aggiunge un'informazione pilotata dal potere allora il mix diventa perfetto. Nessuno saprà la verità per cui nessuno potrà ribellarsi. Quindi il fine di tutta questa distruzione qual è? Semplice, fare gli interessi di una ristretta cerchia di capitalisti (in gran parte tedeschi), che si compreranno tutte le nostre aziende, ormai sul lastrico, e trovare nel nostro paese delle condizioni lavorative a loro favorevoli (ecco perché Renzi ha promesso il Jobs Act alla Merkel in cambio dell'approvazione di una legge stabilità in deficit).

LE PAROLE DI GRILLO - "L'Italia è in coma. E' l'esplosione del debito privato, in prevalenza delle nostre banche verso la Bce, originatosi nel regime a cambi fissi dell'euro, a rendere insostenibile il nostro debito pubblico. Bisogna guardare alla bilancia commerciale oltre che al debito pubblico. Solo se si riconosce che l'ingresso nell'euro ha tarpato le ali alla già scarsa competitività italiana si potrà iniziare un vero dibattito. L'euro ha agito da acceleratore della crisi". (18 settembre 2013, ADNKRONOS)

tramite Nicola Evoli

Pubblicato da terrarealtime a 16:22

[align=right]Source: TERRA REAL TIME: La crisi econ...lotata,sentite Romano Prodi... [/align]


Ultima modifica di Wolframio il 03/01/2015, 17:53, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 04/01/2015, 11:18 
Miliardi a coop e mafie

Gli sbarchi non si fermeranno




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E "l'emergenza perenne" da noi rende ai centri d'accoglienza due milioni al giorno.


Abbiamo appena brindato alla fine dell'anno record dell'emergenza immigrazione, ma non sarà un brindisi di addio. Con qualche variante, gli sbarchi proseguiranno anche nel 2015.

Lo «catena del valore» dell'immigrazione è troppo succulenta. I profughi sono protagonisti di un dramma umano che è un costo per i contribuenti ma è anche un guadagno.

Per un'economia in parte malavitosa e in parte clientelare: dai trafficanti alle coop. L'Ue ci addita il virtuoso esempio di Germania e Svezia, primi paesi per numero di domande di asilo. Ma, a parte il fatto che l'Italia nel 2014 ha avuto il maggior aumento delle domande di asilo (+144%, mentre la media europea si ferma al di sotto del +20%), in Germania e Svezia i profughi non arrivano su barche scassate, stremati e bisognosi di aiuto pubblico, restando il tempo necessario a rimettersi in sesto, arrivano per sistemarsi e diventare produttivi al servizio di economie cui la manodopera fa comodo. Eppure questa marea umana mette in modo un sacco di soldi anche da noi. Siamo un punto di passaggio obbligato.

Eccoli, i numeri del fenomeno. Dal primo gennaio a metà ottobre 2014 abbiamo fatto fronte a 918 sbarchi di 146.922 migranti, l'11% donne e il 21,2% minori. Per il Censis è un'emergenza «senza precedenti». Nel 2011, pur con le primavere arabe, gli arrivi erano stati 63mila, 13mila nel 2012 e 43mila in tutto il 2013. E le rotte provano che c'è dietro un traffico organizzato: il grosso dei profughi parte da Paesi lontani tra loro, Eritrea e Siria, ma passano sempre per il Sudan e l'Italia. Viaggi rischiosissimi, pagati fino a 5.000 euro a testa, che possono fruttare anche 1,3 milioni di euro a tratta. Prima attraverso il deserto su pick up stracolmi e poi via mare, su barche malridotte. Gli eritrei pagano meno e viaggiano nella stiva, con poca aria, cibo, acqua, e il maggior rischio di lasciarci la pelle in caso di difficoltà di navigazione. Che non sono un'optional ma, da quando c'era Mare Nostrum, una costante prevista dai trafficanti. Non appena ci si allontana dalle coste e il mare si fa grosso, gli scafisti hanno istruzione di telefonare alle autorità italiane per farsi venire a prendere.

C'è anche chi finisce male ancora prima di partire. Alcuni vengono venduti dai trafficanti a bande di beduini che li tengono prigionieri sottoterra nel Sinai. Potranno proseguire il viaggio solo se le famiglie mettono insieme i riscatti, fino a 30.000 dollari. Altrimenti verranno loro espiantati i reni, per venderli.

Sta cambiando il modus operandi delle organizzazioni, lo dimostrano i casi dei carghi approdati in questi giorni tra il Salento e la Calabria. Spuntano al nostro orizzonte sempre più navi «fantasma», comprate a prezzi irrisori e abbandonate dagli scafisti in vista delle coste. La Guardia Costiera parla di «mercantili al termine della loro vita operativa, carrette del mare acquistate a 100-150mila dollari» e poi stipate di centinaia di migranti. Perciò i traghettatori «non hanno alcuna remora ad abbandonare la nave alla deriva, considerando il margine di guadagno». Il 2014 ha mandato in soffitta, in parte, l'operazione Mare Nostrum, che ci è costata in un anno 114 milioni di euro, 9,5 milioni al mese. Il prezzo pagato in vite umane è stato di almeno 3.500 vittime. Ora tocca a Triton, che ogni mese pesa «solo» 3 milioni di euro.

Anche l'ultimo anello della catena, quello dell'accoglienza sul suolo italico, è oleato da forti interessi economici. Stuzzica gli appetiti della criminalità nostrana, come dimostra l'inchiesta su «Mafia capitale». «Tu hai idea di quanto ci guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno...», si vanta in un'intercettazione Salvatore Buzzi, dominus delle cooperative rosse. E a scorrere le voci di spesa del ministero dell'Interno si capisce perché. Nel 2011 stanziati in media - la cifra varia da città a città - 42,50 euro al giorno per gli adulti e 75 euro per i minori (Iva esclusa). Per il 2013-2014 le diarie sono state ridotte a 30 euro al giorno (sempre più Iva) per gli adulti e 40 euro per i minori. Secondo un report di lavoce.info al 30 novembre 2014 gli immigrati presenti in tutti i centri della Penisola erano 65mila (un terzo nelle 350 strutture della Sicilia). Vuol dire un giro d'affari di due milioni di euro ogni 24 ore. Non c'è da stupirsi se in Italia quando si discute di immigrazione brillano gli occhi a tanti.
#65279;
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 80131.html


(Quasi quasi mi faccio anch'io un bel gommone, li vado a prendere e mi faccio un mucchio di soldi!) [:246]

Bleffort ! DATTE DA FA' [:257]



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Ufologo 555 ha scritto:

Miliardi a coop e mafie

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E "l'emergenza perenne" da noi rende ai centri d'accoglienza due milioni al giorno.


Abbiamo appena brindato alla fine dell'anno record dell'emergenza immigrazione, ma non sarà un brindisi di addio. Con qualche variante, gli sbarchi proseguiranno anche nel 2015.

Lo «catena del valore» dell'immigrazione è troppo succulenta. I profughi sono protagonisti di un dramma umano che è un costo per i contribuenti ma è anche un guadagno.

Per un'economia in parte malavitosa e in parte clientelare: dai trafficanti alle coop. L'Ue ci addita il virtuoso esempio di Germania e Svezia, primi paesi per numero di domande di asilo. Ma, a parte il fatto che l'Italia nel 2014 ha avuto il maggior aumento delle domande di asilo (+144%, mentre la media europea si ferma al di sotto del +20%), in Germania e Svezia i profughi non arrivano su barche scassate, stremati e bisognosi di aiuto pubblico, restando il tempo necessario a rimettersi in sesto, arrivano per sistemarsi e diventare produttivi al servizio di economie cui la manodopera fa comodo. Eppure questa marea umana mette in modo un sacco di soldi anche da noi. Siamo un punto di passaggio obbligato.

Eccoli, i numeri del fenomeno. Dal primo gennaio a metà ottobre 2014 abbiamo fatto fronte a 918 sbarchi di 146.922 migranti, l'11% donne e il 21,2% minori. Per il Censis è un'emergenza «senza precedenti». Nel 2011, pur con le primavere arabe, gli arrivi erano stati 63mila, 13mila nel 2012 e 43mila in tutto il 2013. E le rotte provano che c'è dietro un traffico organizzato: il grosso dei profughi parte da Paesi lontani tra loro, Eritrea e Siria, ma passano sempre per il Sudan e l'Italia. Viaggi rischiosissimi, pagati fino a 5.000 euro a testa, che possono fruttare anche 1,3 milioni di euro a tratta. Prima attraverso il deserto su pick up stracolmi e poi via mare, su barche malridotte. Gli eritrei pagano meno e viaggiano nella stiva, con poca aria, cibo, acqua, e il maggior rischio di lasciarci la pelle in caso di difficoltà di navigazione. Che non sono un'optional ma, da quando c'era Mare Nostrum, una costante prevista dai trafficanti. Non appena ci si allontana dalle coste e il mare si fa grosso, gli scafisti hanno istruzione di telefonare alle autorità italiane per farsi venire a prendere.

C'è anche chi finisce male ancora prima di partire. Alcuni vengono venduti dai trafficanti a bande di beduini che li tengono prigionieri sottoterra nel Sinai. Potranno proseguire il viaggio solo se le famiglie mettono insieme i riscatti, fino a 30.000 dollari. Altrimenti verranno loro espiantati i reni, per venderli.

Sta cambiando il modus operandi delle organizzazioni, lo dimostrano i casi dei carghi approdati in questi giorni tra il Salento e la Calabria. Spuntano al nostro orizzonte sempre più navi «fantasma», comprate a prezzi irrisori e abbandonate dagli scafisti in vista delle coste. La Guardia Costiera parla di «mercantili al termine della loro vita operativa, carrette del mare acquistate a 100-150mila dollari» e poi stipate di centinaia di migranti. Perciò i traghettatori «non hanno alcuna remora ad abbandonare la nave alla deriva, considerando il margine di guadagno». Il 2014 ha mandato in soffitta, in parte, l'operazione Mare Nostrum, che ci è costata in un anno 114 milioni di euro, 9,5 milioni al mese. Il prezzo pagato in vite umane è stato di almeno 3.500 vittime. Ora tocca a Triton, che ogni mese pesa «solo» 3 milioni di euro.

Anche l'ultimo anello della catena, quello dell'accoglienza sul suolo italico, è oleato da forti interessi economici. Stuzzica gli appetiti della criminalità nostrana, come dimostra l'inchiesta su «Mafia capitale». «Tu hai idea di quanto ci guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno...», si vanta in un'intercettazione Salvatore Buzzi, dominus delle cooperative rosse. E a scorrere le voci di spesa del ministero dell'Interno si capisce perché. Nel 2011 stanziati in media - la cifra varia da città a città - 42,50 euro al giorno per gli adulti e 75 euro per i minori (Iva esclusa). Per il 2013-2014 le diarie sono state ridotte a 30 euro al giorno (sempre più Iva) per gli adulti e 40 euro per i minori. Secondo un report di lavoce.info al 30 novembre 2014 gli immigrati presenti in tutti i centri della Penisola erano 65mila (un terzo nelle 350 strutture della Sicilia). Vuol dire un giro d'affari di due milioni di euro ogni 24 ore. Non c'è da stupirsi se in Italia quando si discute di immigrazione brillano gli occhi a tanti.
#65279;
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 80131.html


(Quasi quasi mi faccio anch'io un bel gommone, li vado a prendere e mi faccio un mucchio di soldi!) [:246]

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Ah!.... ora per far soldi li vuoi accogliere? è finito il tuo amor di patria Ufò.... [:D]


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MessaggioInviato: 04/01/2015, 16:24 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

Ce ne ha messo per capirlo ... (era un comunista sfegatato) [^]


Guarda che quelli che tu etichetti come "comunisti" sono SEMPRE stati contro questo Sistema.

Poi ci sono i falsi comunisti... ma, a parte i burocrat vendutisi al soldo del potere finanziario sovranazionale, solitamente sono ex-democristiani

[:p]


Non è proprio esatto. Se parli del popolo comunista ti do ragione, ma anche allora l' elite del PCI era collusa con il pentapartito e si spartiva quello che era possibile.



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MessaggioInviato: 04/01/2015, 17:22 
Infatti ...

Bleffort, se non mi sono spiegato bene o non hai compreso il mio umorismo .... perdonami.[:D]



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MessaggioInviato: 04/01/2015, 17:24 
Cita:
Wolframio ha scritto:


"Sono sicuro che l'euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica. È politicamente impossibile per ora proporli. Ma un giorno ci sarà una crisi e questi nuovi strumenti saranno creati."[/purple]




Ogni epoca ha i suoi profeti :)

Cita:
Il termine profeta deriva dal tardo latino prophèta (pronuncia profèta), ricalcato sul greco antico #960;#961;#959;#966;#942;#964;#951;#962; (pronuncia: profétes), che è parola composta dal prefisso #960;#961;#959;- (pro, "davanti, prima", ma anche "per", "al posto di")


Il Profeta prodi per conto di chi parla?



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.. di sé stesso! [:246]



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IL DECLINO (INEVITABILE?) DELLA COLONIA ITALIA

Non fu certo nell’incontro tra membri della classe dirigente italiana ed esponenti della finanza anglosassone a bordo del panfilo Britannia, il 2 giugno 1992, che si decisero le sorti del nostro Paese, benché non si debba sottovalutare il significato politico di quel gentlemen’s agreement, che è diventato simbolo della politica antinazionale che da allora avrebbe caratterizzato la storia del nostro Paese.

Peraltro, fu proprio nel 1992 che si sarebbero create le condizioni per dare l’Italia in pasto ai pescecani della finanza internazionale, sacrificando, per così dire, l’interesse nazionale sull’altare della “geopolitica occidentale”. Nonostante ciò, la gioiosa macchina da guerra che avrebbe fatto a pezzi l’Italia si era già messa in moto perlomeno dal 1981, ossia allorquando c’era stato il divorzio tra il Tesoro e Bankitalia.

Un divorzio che costrinse lo Stato italiano a finanziarsi sul mercato a tassi d’interesse salatissimi, tanto che il debito pubblico, che nel 1982 era il 64% del Pil, nel 1992 era diventato il 105,2% del Pil (1).

Scrive Domenico Moro: «Nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano?

Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%» (2).

Ma gli anni Ottanta del secolo scorso furono pure gli anni che videro i vertici del Pci condurre il “popolo comunista” verso l’altra sponda dell’Atlantico. Una traversata lunga e difficile, anche perché vi era il rischio per i “vertici rossi” di arrivare con un numero esiguo di passeggeri, anziché con un esercito pronto a combattere “al soldo” della Casa Bianca.

A tale proposito, è interessante ricordare quanto ebbe a dichiarare nel 2008 al “Corsera” il generale Jean riguardo alla presa di posizione del Pci contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso, avvenuta nel 1985, anche se i lavori nella base siciliana erano cominciati due anni prima (lavori di cui il generale Jean era ben informato dato che all’epoca dirigeva il reparto del ministero della Difesa che controllava le infrastrutture della Nato in Italia).

Jean ricordò ai lettori del “Corsera” che il Pci sui missili Cruise non aveva fatto “marcia indietro” rispetto alla celebre affermazione di Enrico Berlinguer, secondo cui si era più sicuri sotto l’ombrello della Nato anziché sotto quello del Patto di Varsavia, dato che, come precisò Jean, «il Pci fu sostanzialmente d’accordo, non poteva dichiararlo apertamente, la sua base non avrebbe capito, ma non creò problemi eccessivi» (3).

Nondimeno, non si deve neppure trascurare che il Psi di Craxi intralciò non poco i piani del Pci, di modo che, quando cadde il Muro di Berlino, i “vertici rossi” erano ancora alla prese con la questione del nome da dare alla “nuova cosa” che avevano in mente da parecchi anni. Un ritardo che avrebbe potuto costare assai caro ai dirigenti di quello che si definiva ancora il più forte partito comunista occidentale.

Una volta crollato il Muro, il 9 novembre del 1989, però di tempo il Pci non ne perse più e solo tre giorni dopo ci fu la famosa “svolta della Bolognina”, che nel febbraio del 1991 portò allo scioglimento del “vecchio e glorioso” partito comunista italiano e alla nascita del Partito democratico della sinistra.

Qualche pezzo gli ex compagni lo persero, ma fu “roba” di poco conto. Sotto questo aspetto, fu davvero decisivo il lavoro di “MicroMega”, “L’Espresso “e “la Repubblica”, di fatto «i principali strumenti della rieducazione “liberalprogressista” e “antinazionalpopolare” del popolo comunista» (4).

D’altra parte, il Pci già negli anni Ottanta, più che il partito delle tute blu, era diventato il partito del ceto medio semicolto, formato in buona misura da colletti bianchi “nullafacenti”, da insegnanti senza nulla da insegnare e da “parassiti” vari, decisi a risolvere una volta per tutte la “questione morale” che affligge l’Italia da tempo immemorabile, benché in verità anch’essi “nati e cresciuti” nel ventre marcio della partitocrazia e indubbiamente non meno abili nell’appropriarsi del denaro pubblico dei tanto da loro detestati “ladri” socialisti e democristiani.

Non fu però ovviamente la “svolta della Bolognina” ad inaugurare il “nuovo corso storico” dell’Italia, bensì l’“intreccio” fra le vicende nazionali e i mutamenti degli equilibri internazionali successivi al crollo dell’Unione Sovietica. Gli eventi del 1992 non lasciano molti dubbi al riguardo. Nel mese di febbraio si firmarono gli accordi di Maastricht (entrati in vigore l’anno successivo).

Dei tre negoziatori italiani (Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, Gianni De Michelis, ministro degli Esteri, e Guido Carli, ministro del Tesoro) forse solo Carli si rese conto appieno delle conseguenze di questo trattato per la nostra economia, cogliendo pure i potenziali aspetti antiamericani della moneta unica europea, che allora sembrava destinata a porsi come alternativa al dollaro.

Non a caso, Carli scrisse: «Gli Stati Uniti hanno esercitato lungamente un diritto di “signoraggio” monetario sul resto del mondo [ragion per cui] negli Stati Uniti […] gli economisti sono scesi in campo per difendere gli interesse della comunità finanziaria americana nel tentativo di delegittimare il progetto di Unione Europea dal punto di vista teorico. La realizzazione del trattato di Maastricht significherebbe la sottrazione agli Stati Uniti di quasi metà del potere di signoraggio di cui dispongono» (5).

Lo stesso Mario Monti allora mise in evidenza che gli accordi di Maastricht comportavano non solo il risanamento della finanza pubblica, ma pure che “rivoltavano come un guanto” il modello di governo dell’economia italiana (6). Comunque, le conseguenze del trattato di Maastricht si capirono soltanto negli anni seguenti, quando sarebbe stato troppo tardi per porvi rimedio e non furono certo quelle previste da Carli.

Infatti, non furono solo gli economisti americani a scendere in campo per difendere gli interessi degli Usa. E i “circoli atlantisti” seppero lavorare così bene che l’euro si sarebbe rivelato ben altro che una moneta in grado di competere con il dollaro (7).

Ma, se i politici italiani non afferrarono immediatamente le possibili implicazioni del trattato di Maastricht né capirono quali “contromisure” i “circoli atlantisti” avrebbero preso, lo si deve pure al fatto che proprio nello stesso mese di febbraio di quell’anno ormai lontano veniva arrestato a Milano un “mariuolo”, ossia Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente del Psi milanese. Era cominciata l’operazione “Mani Pulite”.

Il pool di “Mani Pulite”, come si sa, concentrò tutta la sua “potenza di fuoco” solo contro una parte della “vecchia classe politica”, tanto che si sarebbe “sbarazzato” di Tiziana Parenti, che voleva invece “andare a fondo” pure sulla questione delle “tangenti rosse” al Pci/Pds e alla quale non era nemmeno sfuggito che l’input dell’inchiesta su “Tangentopoli” aveva “radici americane” (8).

D’altronde, i giornali italiani – volgari portavoce degli interessi di quella che Gianfranco La Grassa definisce la Id&Gf (cioè “Industria decotta e Grande finanza), subalterna agli interessi d’oltreoceano fin da quando (nel 1942) Enrico Cuccia si era recato a Lisbona per trattare la resa del grande capitale privato italiano agli angloamericani, e garantire così alla famiglia Agnelli e ai suoi “compagni di merende” un “buon posto a tavola” una volta finita la guerra – facevano credere ai “semplici” che fosse in corso addirittura una sorta di “moto rivoluzionario”.

Sicché, quando la politica cercò (con il “decreto Conso” del marzo 1993) di porre un freno ad una operazione giudiziaria che stava “liquidando” le uniche forze politiche che (pur corrotte quanto si vuole) erano contrarie a mettere il nostro Paese nelle mani dei “mercati”, i gazzettieri gridarono allo scandalo, il pool di “Mani Pulite” si ribellò e Luigi Scalfaro cestinò il “decreto Conso” ritenendolo incostituzionale. Ma l’Italia allora era già stata messa in ginocchio dalla finanza internazionale.

Com’è noto, poco dopo l’incontro a bordo del Britannia, ossia nella notte tra il 9 eil 10 luglio del 1992, Giuliano Amato penetrò come Diabolik nei forzieri delle banche italiane e prelevò il 6 per 1.000 da ogni deposito.

La manovra di luglio e una finanziaria “lacrime e sangue” di oltre 90.000 miliardi si giustificarono con la gravissima situazione del Paese, che rischiava di non riuscire a piazzare sul mercato i titoli di Stato, adesso che Bankitalia non era più obbligata ad acquistarli. Tanto è vero che il breve governo Amato va ricordato anche per le vicende che videro come protagonista la “vecchia lira”, dacché la nostra moneta, dall’estate all’autunno del 1992, fu oggetto di un durissimo attacco da parte di Soros, il famoso “filantropo” e sostenitore di rivoluzioni colorate in varie parti del mondo” (Ucraina compresa).

Azeglio Ciampi, allora governatore di Bankitalia, decise di difendere la lira bruciando circa 48 miliardi di dollari, ovverosia dissipando le nostre riserve valutarie senza ottenere alcun risultato. Tale ostinata e inutile difesa della lira fu motivata affermando che, se si svalutava, il Paese sarebbe andato in rovina. A settembre però Amato dovette gettare la spugna e annunciò la svalutazione della lira. Un anno dopo avrebbe dichiarato: «La svalutazione ci ha fatto bene» (9). Le esportazioni tiravano e il peggio pareva passato. Tutto bene allora? Certamente no.

Invero, la tempesta giudiziaria e quella finanziaria spazzarono via ogni ostacolo alla (s)vendita del nostro patrimonio pubblico (comprare “merce” italiana, adesso che le lirette erano svalutate, non era un problema per il grande capitale straniero).

In ogni caso, anche Berlusconi, “sceso in campo” per difendere le proprie aziende dall’attacco da parte del Pds (che volle “strafare” offrendo la testa del “cavaliere nero” alla Id&Gf e così si “giocò” la vittoria nelle elezioni politiche del 1994), si guardò bene dal cercare di cambiare questo “stato delle cose”, quando tornò al potere nel giugno del 2001, dopo la sua prima “non esaltante” esperienza di governo (dal maggio 1994 al gennaio del 1995).

Le cifre parlano chiaro: dal 1992 al 1995 le privatizzazioni fruttarono allo Stato italiano poco meno di 17.000 miliardi di lire; dal 1996 al 2000 si raggiunse la cifra di 79.209,95 miliardi di lire, mentre dal 2000 al 2005 lo Stato incassò dalla vendita delle nostre aziende pubbliche circa 50.000 miliardi di lire (10). Ma gran parte di questo “tesoretto” andò ad arricchire quella rendita finanziaria per la quale da diversi lustri non pochi italiani lavorano, senza che ancora se ne siano pienamente resi conto. D’altra parte, lo spettacolo offerto dal “teatrino della politica” non poteva non “distrarre” il Paese, al punto che tutto il resto pareva non contasse più nulla.

Non solo passarono così “in secondo piano” il gigantesco terremoto geopolitico causato dalla scomparsa dell’Unione Sovietica e le conseguenze del cosiddetto Anschluss, ossia l’annessione della Germania Est da parte della Germania federale (annessione che avrebbe portato alla quasi completa deindustrializzazione dell’ex Germania Est e alla perdita di milioni di posti lavoro – non certo un buon segno per la futura “unione” europea) (11), ma non venne preso nemmeno in considerazione il fatto che si stava mettendo “in liquidazione” quel modello di economia mista che dopo la Seconda guerra mondiale aveva consentito ad un Paese a sovranità limitata come l’Italia di diventare un Paese industriale avanzato, garantendo “bene o male” benessere e sviluppo ad alcune generazioni di italiani.

In pratica, ci si limitò a privatizzare, senza varare alcun “piano industriale”, senza preoccuparsi di ridefinire gli obiettivi strategici della nazione, stravolgendo addirittura il sistema educativo per adeguarlo ai “modelli internazionali” (una scelta i cui effetti nefasti, in verità non solo per l’Italia, si cominciano a vedere solo adesso). In questo contesto, venne pure “internazionalizzato” il debito pubblico.

E ciò, si badi, proprio quando gli Usa, ormai unica superpotenza, si lanciavano alla conquista dell’intero pianeta, rimuovendo ogni ostacolo al “libero” movimento dei capitali, lasciandosi definitivamente alle spalle gli accordi di Bretton Woods e autorizzando qualunque crimine finanziario, purché funzionale al successo della nuova strategia statunitense.

Inutile dire che anche l’introduzione dell’euro non venne affrontata con la necessaria maturità politica e il senso di responsabilità che un tale passo richiedeva. Sotto questo profilo, si distinsero in particolare gli intellettuali per i quali contava solo “entrare in Europa”, quasi che l’Italia fosse un Paese africano. Non si tenne nemmeno conto che il Paese si teneva il proprio debito ma al tempo stesso cedeva la propria sovranità monetaria, non all’Europa, che politicamente non esisteva, ma ai tecnocrati di Bruxelles e agli “gnomi” della Bce.

Eppure quando i francesi e gli olandesi, nel 2005, bocciarono la costituzione europea, vi sarebbe stata la possibilità di rimettere in discussione l’intero progetto europeo, avendo presenti i gravi rischi che derivavano dalla “inconsistenza geopolitica” dell’Unione Europea e dalla dipendenza del vecchio continente da pericolose e perfino anacronistiche “logiche atlantiste”. Ma anche allora in Italia si prestò poca attenzione ai reali problemi posti da Eurolandia e dalla nuova architettura politica della Ue, anche perché i liberal-progressisti, secondo il solito schema concettuale assai caro alla nostra intellighenzia anglofila, addebitavano tutti i “guai” del nostro Paese al fatto che gli italiani anziché anglosassoni fossero latini (ossia fossero “brutti, sporchi e cattivi”), nonché al fatto che adesso in Italia oltre al papa ci fosse pure “Sua Emittenza”.

Ciò malgrado, anche per i liberal-progressisti era fuori discussione che la società italiana dovesse diventare una società di mercato sotto ogni punto di vista, ma a guidare questo processo di trasformazione avrebbero dovuto essere loro stessi (cioè i “ceti medi riflessivi”, come loro medesimi si autodefinivano), anziché i “cafoni della destra”, il cui americanismo era superficiale e non serio, ponderato e maturo come il loro.

I “destri”, autoproclamatisi difensori del “popolo delle partite Iva” (perlopiù commercianti, liberi professionisti e piccoli imprenditori) replicavano accusando i “sinistri” di essere ancora comunisti (una accusa che ancora spesso fanno, dimostrando di avere una capacità di comprendere la politica minore di quella degli avventori del “leggendario” bar dello sport). Entrambi gli schieramenti quindi si accusavano reciprocamente di non avere le competenze necessarie per modernizzare (leggi: “americanizzare”) il Paese: se per i “sinistri” i berlusconiani non erano altro che una massa di corrotti ed evasori fiscali, per i “destri” gli antiberlusconiani erano solo una massa di ipergarantiti e “mangiapane a tradimento”.

Inoltre, gli italiani si dividevano anche sulla questione del conflitto di interessi, che per i “sinistri”, finché non fosse stata risolta, non avrebbe dovuto consentire al “cavaliere nero” (accusato perfino di essere colluso con la mafia) di governare l’Italia (una questione che “stranamente” i governi di sinistra, che pure ci sono stati nell’era del berlusconismo, non hanno mai risolto). Berlusconismo e antiberlusconismo diventavano così la foglia di fico dietro la quale maturavano le condizioni perché l’Italia si facesse trovare nella peggiore situazione possibile allorché, nel 2007/8, si verificò la crisi finanziaria. Ma anche di questo ben pochi politici e analisti se ne accorsero in tempo, tanto che nel 2009 secondo l’Ocse la ripresa dell’economia italiana era già in atto e lo stesso Berlusconi ebbe a dichiarare al “Corsera” che l’Italia andava a gonfie vele (12).

In effetti, nonostante l’introduzione dell’euro (che di punto in bianco privò l’Italia della leva fiscale, della leva monetaria e della leva valutaria) l’economia italiana nei primi anni del terzo millennio pareva “cavarsela”, se perfino la quota italiana della manifattura mondiale dal 4,2% nel 2000 era passata al 4,5% nel 2007 (13).

D’altronde, è pure noto che la Germania nel 2003, muovendo da livelli di Welfare e di reddito molto alti, decise di comprimere i salari e di sfruttare l’“euro-marco” per diventare una grande potenza commerciale (14), infischiandosene degli squilibri che tale scelta avrebbe inevitabilmente generato, dacché la maggior parte degli altri Paesi di Eurolandia (Italia compresa) non potevano seguire i tedeschi su questa strada, sempre che non volessero far morire di fame un terzo della popolazione.

Ma con la crisi finanziaria, peraltro costata all’Italia ben 5 punti del Pil nel 2009, si avviava pure un processo di deindustrializzazione del Paese, che nel 2013 vedeva quasi dimezzata la propria quota della manifattura mondiale (2,6%), mentre i “mercati” potevano usare il debito pubblico italiano, ora pressoché totalmente fuori controllo, per imporre la politica più favorevole per i loro interessi.

Naturalmente, i gazzettieri sostenevano che ai “mercati” interessava solo la testa del “clown tricolore”. Una sciocchezza colossale, come questi ultimi drammatici anni hanno dimostrato, al di là delle colpe della destra italiana, certo gravi e numerose ma non più gravi e numerose di quelle della sinistra.

Comunque sia, la situazione del Paese non la si può spiegare solo elencando i noti difetti del “sistema Italia”, quali la corruzione, l’inefficienza della pubblica amministrazione, la spesa pubblica “improduttiva” e l’evasione fiscale. (Non si dovrebbe però nemmeno “generalizzare”, dato che se da un lato vi sono non pochi impiegati pubblici onesti e capaci, dall’altro si sa che il “nero”, per una serie di ragioni dipendenti da “logiche partitocratiche” della cosiddetta “prima repubblica”, è ancora incorporato nel “ciclo economico”, ragion per cui è logico che con i metodi di Equitalia la “gallina dalle uova d’oro” non la si cura ma la si uccide).

Ma, proprio come negli anni Novanta non si trattava di mettere in questione la lotta contro la corruzione e le “logiche partitocratiche” (che indubbiamente erano un problema da risolvere), bensì la terapia adottata (giacché avrebbe ancor più indebolito un organismo che aveva bisogno di ben altre cure), così oggi l’accento deve essere messo sul fatto che dei “centri egemonici” stranieri, contando sulla presenza di numerose “quinte colonne”, possono sfruttare la debolezza del nostro Paese, non solo per evidenti scopi economici ma anche per scopi geopolitici (forse meno evidenti, ma non meno importanti). Al riguardo, la subalternità alla politica di potenza statunitense da parte del ceto politico italiano non è una novità e non ha bisogno di spiegazioni.

Ma oggi una tale condizione di “vassallaggio” rischia di essere disastrosa per un Paese la cui base produttiva è ormai “lesionata”, e che, oltre ad essere privo di materie prime, si trova a dipendere da altri Stati per il suo fabbisogno energetico e dai “mercati” per quanto concerne il finanziamento del debito (si tratta di un passivo di circa 150 miliardi di euro all’anno se ai 90 miliardi di euro per il servizio del debito si aggiunge il passivo della bilancia energetica – una “emorragia” che sottrae non poche risorse estremamente preziose per la ripresa e lo sviluppo della nostra economia). Tutto ciò difatti rafforza ancora di più il controllo del nostro Paese da parte dei “centri egemonici” atlantisti, le cui strategie non possono certo avere come scopo la difesa del nostro interesse nazionale. Non meraviglia allora che il “Belpaese” rischi di tornare ad essere un vaso di coccio tra vasi di ferro, grazie ad una classe dirigente che in gran parte è al servizio di potentati stranieri.

Di fatto, la stessa politica “suicida” dell’Italia prima nei confronti della Libia e ora verso la Russia non ha alcuna spiegazione valida se non quella secondo cui Roma in realtà “lavora” per tutelare gli interessi di Washington o, se si preferisce, quelli dell’Occidente, anche se ciò comporta un danno gravissimo per l’Italia.

Il sostegno di Roma alle guerre d’aggressione degli Usa e alle varie rivoluzioni colorate (dalla Siria all’Ucraina) “sponsorizzate” dai centri di potere atlantisti trova una sua logica spiegazione nella “tradizionale” politica della classe dirigente italiana, che consiste nell’anteporre il proprio “particulare” all’interesse generale, esercitando, al riparo da “brutte sorprese”, il “piccolo potere” che la potenza occidentale predominante concede ad un gruppo politico “subdominante” in una determinata area geopolitica.

L’Italia, che è un’ottima base per la “proiezione” della potenza statunitense nel Mediterraneo e nel continente africano, ha appunto il compito di seguire “ciecamente” le direttive della Nato. Anche la politica italiana nei confronti della Germania deve essere interpretata alla luce di questa “sostanziale” subordinazione del ceto politico italiano alle direttive strategiche dei centri di potere atlantisti. Non è un mistero che un euro politicamente debole, favorendo la speculazione internazionale e frenando l’economia europea nel suo complesso, non può che avvantaggiare l’America, per la quale la disintegrazione di Eurolandia sarebbe un “incubo” (15).

Non “afferrare” questo aspetto della pur complessa situazione europea, significa inibirsi del tutto la possibilità di comprendere i veri motivi che hanno spinto anche i politici italiani “meno sprovveduti” ad accettare una serie di misure che sapevano essere sicuramente nocive per il nostro Paese.

Si è venuta quindi a creare una situazione che potrebbe cambiare solo se vi fossero una “visione geopolitica” del mondo e una cultura politica del tutto diverse, ma di cui purtroppo al momento non si vede traccia. Né a tale mancanza si può rimediare con il qualunquismo e il pressappochismo, dato che con l’“antipolitica” (anche ammesso che si sia in buonafede) non si va da nessuna parte, ma si può solo sprecare un notevole patrimonio di consensi, lasciandosi sfuggire l’opportunità di “far voltare” pagina al Paese (come prova la storia del M5S).

Invero, si dovrebbe tener presente che i “guai” dell’Italia sono sempre derivati, in primo luogo, dalla mancanza di uno Stato forte ed efficiente, in grado di imporre l’interesse della collettività a scapito di interessi settoriali e pronto a premiare i meritevoli anziché i “furbi”, nonché dalla mancanza di una classe dirigente disposta a “pagare in prima persona”.

Sicché, come comprese Gramsci, i ripetuti fallimenti dello Stato italiano derivano proprio dall’incapacità della sua classe dirigente di inserire il popolo italiano nel quadro statale, facendo valere una autentica cultura nazional-popolare (16).

La stessa crisi di Eurolandia, che secondo non pochi analisti è destinata ad aggravarsi con il passare del tempo, dovrebbe essere perciò un’occasione per creare una coscienza nazionale all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo.

Che l’Italia nei mesi che verranno possa far fronte con successo a tali sfide è lecito dubitarne, benché ciò non costituisca un valido motivo per rassegnarsi al peggio. Del resto, gli italiani non sono gli unici europei che cercano di uscire dal vicolo cieco in cui li ha condotti una classe dirigente inetta e corrotta.

Certo, anche questo potrebbe apparire un tentativo donchisciottesco, considerando la frammentazione sociale e il degrado culturale che caratterizzano da tempo non solo l’Italia ma l’intero continente europeo.

Tuttavia, è pur vero che finché tutto non è perduto, nulla è perduto. In quest’ottica, pertanto, dovrebbe avere ancora senso battersi contro l’Europa dei tecnocrati e dei “mercati”, al fine di costruire un polo geopolitico europeo, composto da nazioni libere e sovrane.

NOTE
1) L’autunno nero del ’92 tra tasse e svalutazioni, “Il Sole 24 Ore”, 23/4/2010. Vedi anche
2) Vedi http://keynesblog.com/2012/08/31/le-ver ... -italiano/.
3) M. Nese, Quando la crisi dei missili coinvolse l’ Italia. «Così il Pci decise di non creare problemi», “Corsera”, 18/8/2008.
4) V. Ilari, Guerra civile, Ideazione Editrice, Roma, 2001, p. 77.
5) G. Carli, Cinquant’anni di vita politica italiana, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 412-413.
6) M. Monti, Il governo dell’economia e della moneta, Longanesi, Milano, 1992.
7) Su questo tema mi permetto di rimandare ad un mio recente articolo: L’Europa nella morsa dell’euro (http://www.cese-m.eu/cesem/2014/12/leur ... -delleuro/).
8) G. Marrazzo, Tiziana Parenti (ex Pm di Mani Pulite): Di Pietro riferiva dell’inchiesta all’America, “Avanti!”, 30/8/2012.
9) E. Polidori, La svalutazione ci ha fatto bene, “Repubblica”, 23/9/1993.
10) Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche, Corte dei Conti.
11) Vedi V. Giacché, Anschluss, Imprimatur, Milano, 2013.
12) Ocse c’è ripresa, Italia al top. «Noi il sesto Paese più ricco», “Corsera”, 6/11/2009.
13) Vedi “Scenari Industriali”, Confindustria centro studi, giugno 2014, n. 5, p. 15.
14) Nondimeno, buona parte dei lavoratori tedeschi non se la passano affatto bene. Vedi, ad esempio, L. Gallino, I debiti della Germania e l’austerità della Merkel, “Repubblica”, 26/8/2013, e Idem, Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra, “Micromega”
15) Su tale importante questione vedi J. Sapir, Bisogna uscire dall’euro?, Ombre Corte, Verona, 2012.
16) A. Gramsci , Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 1975, p. 2054.

http://www.eurasia-rivista.org/il-decli ... lia/22044/



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MessaggioInviato: 13/01/2015, 20:51 
Custodia cautelare, meno carcere per i colletti bianchi: “Dentro solo i ladruncoli”

Il Senato si prepara all'ok definitivo sulla riforma che limita il ricorso alle manette. Il giudice dovrà motivare in modo più preciso la "attualità del pericolo" prima di escludere misure alternative. Pignatone: "Molto difficile per i reati economici". Il giudice Morosini: "Giustizia di classe. E nessun beneficio su sovraffollamento"

Dentro i miserabili, i recidivi e i pregiudicati, fuori gli insospettabili, anche se fanno accordi con la mafia. Mentre il Senato si prepara ad approvare una riforma sulla misure cautelari personali che limita drasticamente il carcere per chi è in attesa di giudizio, le polemiche sul testo non accennano a finire. Nata come ennesima svuota-carceri, la riforma rende infatti più complesso il lavoro dei giudici e non risolve il problema del sovraffollamento carcerario. Concepita per evitare l’eccesso di carcerazioni preventive, che oggi riguardano 23mila persone su un totale di 63mila detenuti, la nuova legge continuerà a mandare in galera ladruncoli e spacciatori e lascerà – ancora una volta – a piede libero i “colletti bianchi”. Il ddl, a firma della deputata Pd Donatella Ferranti, è arrivata oggi in commissione giustizia a Palazzo Madama, con relatore Nico D’Ascola dell’Ncd. E’ la quarta lettura del provvediemnto, che quindi potrebbe essere approvato a breve.

Dopo l’Anm, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, anche Piergiorgio Morosini, presidente della Commissione riforme del Csm, sentito da ilfattoquotidiano.it punta il dito contro il disegno di legge pronto per l’approvazione definitiva. Per il magistrato, già giudice a Palermo nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia, la riforma ha il merito di muoversi “in direzione ostinata e contraria” rispetto ai “pacchetti sicurezza” approvati negli ultimi 15 anni, che “hanno potenziato il ricorso al carcere, anche in attesa di giudizio, ogni volta che un delitto impressionava l’opinione pubblica”, ma lascia immutato “un sistema da giustizia di classe che manda in carcere gli emarginati per reati di microcriminalità e non colpisce quasi mai chi è gravemente sospettato di manovre illegali nella pubblica amministrazione”. Una prova? La “rilevante modifica” subita dal testo nel passaggio dal Senato alla Camera, che ha cancellato dai casi di custodia cautelare obbligatoria, nell’ambito dei reati di mafia e terrorismo, il reato di scambio politico-mafioso.

Morosini: “Giustizia di classe che manda in carcere gli emarginati e non colpisce quasi mai chi è gravemente sospettato di illegalità nella pubblica amministrazione”


Il succo della riforma, approvata in seconda lettura alla Camera con il voto contrario di Lega e FdI e l’astensione del Movimento 5 Stelle, è la riduzione della custodia in carcere a extrema ratio da applicare solo in caso di pericoli concreti e “attuali”, quando non è possibile ricorrere a misure coercitive e interdittive sostitutive. Gli arresti domiciliari prima di tutto, e nei casi meno gravi il ritiro del passaporto, l’obbligo di firma, l’obbligo o il divieto di risiedere in una determinata località. Un punto, il riferimento all’“attualità del pericolo”, che ha suscitato l’allarme del Procuratore di Roma, Pignatone, che sentito dalla commissione Giustizia della Camera ha dichiarato: “Se dobbiamo dare alla parola ‘attuale’, calata nel testo di legge, il significato che ha nel vocabolario italiano… noi rischiamo di non poter mai più ricorrere alle misure cautelari al di fuori dei casi di flagranza o dell’immediata minima distanza temporale dei fatti”. Una difficoltà che secondo Pignatone “si esalta per i reati dei colletti bianchi, della pubblica amministrazione e via elencando”.

Con la riforma anche la semplice richiesta della custodia cautelare in carcere diventa più complessa poiché il giudice è costretto a un maggiore sforzo motivazionale: la sua richiesta dovrà contenere una “autonoma valutazione” dell’esigenza di ricorrere al carcere e non si potrà “appiattire” sulle motivazioni del pubblico ministero. “Per andare in carcere non basteranno più alcuni automatismi, come l’essere gravemente sospettato di omicidio” spiega Morosini. “Anche in quel caso, infatti, se il soggetto è incensurato e non si dispone di chiari elementi per temere la reiterazione del reato o il pericolo di fuga ‘attuale’, sarà più difficile applicare la misura di custodia cautelare in carcere”. Anche i Tribunali della libertà, che convalidano o annullano la custodia, avranno tempi più stringenti per decidere e depositare le motivazioni. La custodia in carcere, in ogni caso e salvo eccezionali esigenze, non potrà essere rinnovata e sarà annullata se il giudice non saprà adeguatamente motivare il provvedimento cautelare.

Pignatone: “Rischiamo di non poter mai più ricorrere alle misure cautelari al di fuori dei casi di flagranza o minima distanza temporale”

Uno degli aspetti più critici della riforma, per Morosini, resta comunque la mancata soluzione al problema delle carceri stracolme. “Il sovraffollamento è legato soprattutto a delitti da microcriminalità urbana e a soggetti pregiudicati o recidivi” spiega il magistrato “Si tratta spesso di spacciatori o ladruncoli, sovente extracomunitari, che non dispongono di un domicilio e il più delle volte finiscono in carcere perché il giudice non sa dove altro mandarli”. Quasi la metà dei detenuti in custodia cautelare in Italia, circa 9 mila, sono stranieri. “Già oggi, in alcuni casi, si potrebbe applicare una soluzione alternativa, come i domiciliari. Ma non lo si fa perché mancano adeguate strutture pubbliche in grado di accogliere questi soggetti”.

Quindi mentre pregiudicati, recidivi e stranieri continueranno ad andare in carcere, con la riforma (e le norme svuota carceri precedenti) scomparirà invece, definitivamente, l’ipotesi detenzione per la stragrande maggioranza dei reati dei “colletti bianchi”. Sarà così anche per chi è gravemente indiziato di reato di voto di scambio politico-mafioso, depennato da quelli di mafia e terrorismo per i quali la legge mantiene l’obbligo del carcere. Nell’ultima versione del testo il riferimento al reato non compare neppure tra quelli più gravi, come l’omicidio o i reati a sfondo sessuale, per i quali vigerà l’obbligo di ricorso al carcere se le esigenze cautelari non potranno essere soddisfatte con altre misure. Solo le misure interdittive, che rappresentano un’alternativa alla custodia cautelare in carcere, verranno estese dalla legge da due mesi fino ad un anno. E questo varrà anche per i reati dei “colletti bianchi”.

“È vero che alzando l’asticella per il ricorso alla custodia cautelare in carcere vengono esclusi da questa possibilità molti reati dei colletti bianchi” conclude il giudice Morosini “ma la mia preoccupazione sta piuttosto nella mancanza degli strumenti investigativi idonei a scoprire questi reati”. Il riferimento è all’estensione della legge per i collaboratori di giustizia ai reati contro la pubblica amministrazione e l’introduzione di “agenti provocatori” per scoprire i reati di corruzione. Strumenti previsti dalle convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito, ma che non compaiono neppure nelle nuove norme anticorruzione annunciate recentemente dal Governo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... i/1320672/


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MessaggioInviato: 19/01/2015, 15:18 
Lidia Undiemi: "Draghi annuncerà questo giovedì il commissariamento italiano della Troika"

Il destino dell'Italia non verrà deciso dal servile Renzi o dal prossimo presidente della Repubblica. Il futuro del nostro paese è solo un tassello di una partita più ampia in corsa tra la Bce di Mario Draghi,
la Troika e la Bundesbank sull'utilizzo del cosiddetto OMT (Outright Monetary Transactions), che la BCE vuole mettere in campo per sostenere l’acquisto dei titoli di debito pubblico nel mercato secondario (Quantitative Easing). Lo scrive Lidia Undiemi nel suo ultimo articolo sul Fatto Quotidiano ricordando un punto che nella stampa si tende troppo spesso a dimenticare: l’utilizzo dell’OMT è subordinato all’accettazione da parte dello Stato in difficoltà di un programma di finanziamento del MES – cioè della Troika –, ossia il famoso commissariamento che prevede l’obbligo di rispettare “rigorose condizionalità” (l’agenda politica imposta da tale ente finanziario).

La partita decisiva ruota intorno al ricorso della Corte costituzionale tedesca alla Corte di Giustizia europea sull'asserita ilegittimità dellOMT rispetto al diritto europeo. La sentenza dela CGE potrebbe essere secondo Lidia Undiemi il pretesto politico della Germania per sganciarsi dall'euro; mentre nel prossimo board della Bce di giovedì, Draghi, annunciando misure di QE, potrebbe sancire il commisariamento definitivo dell'Italia. Il futuro del nostro paese, insomma, è a un bivio e purtroppo non saremo padroni del nostro destino.


Dall'articolo di Lidia Undiemi sul Fatto Quotidiano: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... e/1346883/

Ad un primo livello di analisi politica sembrerebbe che la decisione della CGE potrebbe rappresentare il pretesto per la Germania di tirarsi fuori dall’Eurozona. I tedeschi hanno già dichiarato che qualora i giudici di Bruxelles diano ragione alla BCE salvando il QE (OMT), potrebbero, in nome della propria sovranità nazionale e della manifesta violazione del diritto europeo, ritirare la propria partecipazione. Se così fosse, dal punto di vista politico, si sarebbe di fronte ad una pesante delegittimazione delle istituzioni europee da parte di uno Stato sovrano. E visto che il potere dell’UE non si regge di certo sulla cessione di sovranità degli Stati membri (che non c’è mai stata, nel senso che è possibile ritirare la propria adesione dai trattati proprio in ragione del fatto che lo Stato è sovrano nel suo territorio), quanto piuttosto sul riconoscimento politico di un certo ruolo, la scelta tedesca potrebbe non soltanto aprire la strada alla deflagrazione immediata dell’Eurozona ma all’uscita di scena dell’UE.

Tuttavia, leggendo con attenzione sia il parere della Corte costituzionale tedesca sia quello dell’avvocato generale della CGE, sembrerebbe che più che in termini di diritto la partita si stia giocando sui commissariamenti dei paesi in difficoltà che ancora resistono ad una simile deriva antidemocratica. Da un lato la Corte tedesca sostiene che l’OMT non violerebbe il diritto dell’Ue soltanto se il supporto della Bce non comprometta le condizionalità imposte dal MES/Troika. A tal fine, proseguono i giudici tedeschi, deve essere escluso il taglio del debito, gli acquisti dei titoli non devono essere illimitati e altre condizioni. Per contro, la Bce ha fatto sapere che l’OMT potrebbe avere queste caratteristiche.

In termini più semplici, la paura dei tedeschi è che il quantitative easing potrebbe consentire agli Stati beneficiari una maggiore autonomia politica, e quindi essere nelle condizioni di rifiutare o non rispettare il commissariamento, o più in generale il “ricatto dei mercati”. D’altra parte la BCE tende ad assicurare che ciò non avverrà, ed in effetti l’OMT è subordinato al rispetto del programma imposto dalla Troika. E’ di questo che si discuterà probabilmente il 22 gennaio al board della BCE: come riuscire ad ottenere questo compromesso.

Cruz, infatti, dal punto di vista teorico salva l’OMT sostenendo che in linea di principio non viola il diritto primario europeo (non credo sia proprio così, ne parleremo), ma sostanzialmente rimanda ad una successiva valutazione che tenga conto del suo concreto utilizzo da parte della BCE.
Se in questo gioco di forze fra stati membri, istituzioni della Ue, mercati/Troika non si riesce a trovare un punto di equilibrio, allora la sentenza della CGE – che esprimerà un parere definitivo sull’OMT –, potrebbe rappresentare, come già detto più volte, il pretesto per la disintegrazione dell’attuale sistema comunitario.
I tempi e l’ordine delle mosse degli attori in campo sembrano confermare una simile ipotesi: prima il parere positivo sull’utilizzo dell’OMT da parte dell’avvocato generale della Corte Europea, poi la riunione della BCE del 22 gennaio in cui si deciderà come e in base a quali regole avviare il QE, ed infine, una volta avviato il programma e verificato il rispetto di tutte le condizioni necessarie per il compromesso, la decisione della CGE, attesa fra qualche mese.


http://www.lantidiplomatico.it/dettnews ... 2&pg=10134


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MessaggioInviato: 22/01/2015, 09:38 
http://milano.corriere.it/notizie/crona ... aee3.shtml


Gli hanno confermato i "soli" 20 anni e suoi avvocati avevano addirittura chiesto l'assoluzione......è proprio vero che gli avvocati sono la peggiore delle razze....e in Italia ne abbiamo a migliaia!!!


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