greenwarrior ha scritto:
Spero non capiti mai, ma se dovessero entrarmi in casa durante la notte, solo all' idea di avere i figli a letto.....
non so come reagirei. il paradosso è che potresti essere denunciato anche se ti limiti a immobilizzare un eventuale ladro e per sbaglio gli sbucci un ginocchio. Gli eccessi non sono mai auspicabili, ma non è possibile che i delinquenti siano così tutelati.
Se viene messa in pericolo la mia famiglia, vado in galera, ma li faccio fuori.
Sono sempre piu' convinto che non vi sia una corretta informazione.....e che si sia vittime di strumentalizzazioni a fini di propaganda politica.
La legislazione attuale consente perfettamente di potersi difendere e quindi variazioni in tal senso non sono per nulla necessarie.
L'autotutela e' possibile, ma deve essere fatta in maniera consapevole. E' quindi indispensabile essere adeguatamente preparati, sia da un punto di vista di conoscenza giuridica che, soprattutto, da un punto di vista pratico. Come armarsi, come comportarsi, cosa fare e cosa non fare. Seguire insomma un percorso di formazione specifico, come quelli proposti da seri professionisti del settore, che contempli anche delle lezioni con prove pratiche e che consenta di dimostrare che ci si e' preparati diligentemente alla gestione della propria autotutela.
Comunque, per completezza, riporto qui un pezzo che credo chiarisca in modo piu' che esauriente l'argomento e che sfata senza ombra di dubbio numerose leggende metropolitane.
Il sottile confine che separa l’uso legittimo delle armi (sia esso propriamente inteso oppure vada compreso nell’ampia accezione della legittima difesa), dall'eccesso nel loro impiego, come disciplinato dall’articolo 55 del Codice Penale, è argomento delicato ma di estremo interesse per i giuristi e necessariamente per quanti detengono armi per difesa personale. Ci limiteremo allora a esporre in estrema sintesi le basi istituzionali in materia, dando poi spazio all’argomento che più sta a cuore ai visitatori del web, ossia quello attinente ai limiti che nella pratica il cittadino deve porsi, laddove sia chiamato a fare uso delle armi che detiene.
In primo luogo è opportuno evidenziare che l’articolo 53 del nostro Codice Penale, che disciplina l’uso legittimo delle armi in senso stretto, è essenzialmente diretto a coloro che hanno in dotazione armi per le funzioni pubbliche che rivestono e per le quali spesso sono a difendersi e anche a colpire per compiere il proprio dovere. Modificate o abrogate diverse norme dell’ordinamento non più avvertite al passo con i tempi, la Giurisprudenza si è attestata sul fronte del riconoscimento della legittimità e adeguatezza dell’uso delle armi soltanto a fronte di situazioni palesemente incontrollabili in maniere meno cruente: per ridurre l’azione armata avversaria oppure per arginare azioni comunque estremamente violente e pericolose (Cassazione 16/5/1978 n. 1330). Peraltro, ove possibile, gli spari dovranno in prima battuta essere rivolti in aria, a fini intimidativi (Cass. 14/5/1962 n. 988) e mai, pertanto, si potrà usare l’arma per arrestare la fuga di un soggetto che si sottragga a una intimidazione, perché il ricorso all’esplosione di colpi può essere giustificato soltanto nelle ipotesi in cui sia posta in essere una resistenza attiva (Cass. 13/3/1986 n. 309). Parimenti, l’arma non potrà essere usata laddove si possa mettere a repentaglio la vita di persone estranee al contesto oppure sottoposte all’azione delittuosa dei malviventi (per esempio gli ostaggi). In tali casi, infatti, è preminente l’interesse alla salvaguardia dell’incolumità degli innocenti rispetto al dovere di repressione dell’illecito (Cass. 5/5/1991).
Per il resto, questa causa giustificativa e discriminante specifica è regolata e trova applicazione al pari delle altre: anche per essa, perciò, potranno essere invocati i concetti di errore ed eccesso colposo sui quali vale la pena spendere qualche parola, con particolare riferimento al tema della legittima difesa, l’istituto giuridico volto a esimere da pena quelle condotte che, seppure si concretano astrattamente in reati, non sono avvertite come antisociali dalla collettività in quanto dirette a tutelare l’individuo da ingiuste aggressioni esterne.
Si deve partire da una considerazione fondamentale: per il nostro ordinamento positivo è indispensabile che, a guidare un’azione armata così come in generale una reazione violenta, deve essere sempre la prudenza.
Per fermare infatti una condotta in sé illecita di un soggetto, dovrà sussistere piena adeguatezza della condotta che egli assume in relazione a quella tenuta da altri e contro la quale sì indirizza. Senza dubbio, nella scala dei valori costituzionalmente garantiti, la vita e l’incolumità si trovano al primo posto e, quindi, per rendere legittima la loro offesa è necessario che si sia in presenza di fatti indubbiamente avvertiti come gravi e meritevoli di proporzionata reazione.
Così, di norma, sarà giustificato colui che spara in direzione di malviventi entrati nella sua casa nel corso della notte, constatata la gravità del fatto e la sua pericolosità criminale. Tuttavia il quadro potrebbe cambiare di molto se l’episodio avvenisse alla luce del giorno e il proprietario potesse rendersi conto per tempo che ad aver violato il suo domicilio erano stati due ragazzini palesemente disarmati. Analogamente, potrà farsi fuoco contro l’aggressore armato o senza dubbio maggiormente prestante fisicamente laddove questi ponga in essere un’azione decisamente violenta dalla quale non ci si possa sottrarre altrimenti (poco importando, peraltro, a chi debba essere fatta risalire la genesi dell’alterco).
Viceversa, laddove sia possibile evitare il problema allontanandosi (Cass. 25/5/1993, Barraca; 21/4/1994, De Giovanni) oppure sia stata sufficiente una prima reazione per arrestare il malintenzionato, non potrà più essere ritenuta proporzionata e necessaria una reazione drastica e inutilmente determinata all'uso di un'arma (Cass. 11/11/1992 Tallarico). Anzi, in questi casi si dovrà verificare se l’eccesso di reazione si ascrive a un comportamento imprudente del soggetto oppure a sua scelta deliberata, nel qual caso si tratterà non di eccesso colposo bensì di eccesso doloso ( Cass. 4/12/1991, 5/7/1991, Angelucci; 5/8/1992, Maggironi).
Affine a questo tema c’è quello dell’errore colposo, ipotesi che si verifica quando il soggetto ritiene erroneamente di trovarsi in una situazione che di fatto legittimerebbe il ricorso a un’azione violenta di autotutela. Se l’erronea percezione della realtà appare giustificabile, il soggetto sarà assolto integralmente, mentre se dovesse verificarsi che tale valutazione dipende da leggerezza, essa comporterà la punizione a titolo di colpa del reato che si è commesso credendo di doversi difendere.
Detto questo, consideriamo quali possano essere le conseguenze di tali impostazioni di principio rispetto al tema dell’uso per difesa delle armi.
In primo luogo assume rilievo la capacità offensiva dell’arma usata, con particolare riguardo alle tipologie di armi o sistemi di difesa la cui detenzione è vietata dalla legge e costituisce di per sé reato. Pare chiaro che, nell’ottica di determinare quale sia l’equilibrio fra offesa ricevuta e difesa posta in essere, un ruolo importante possa essere assunto dalla circostanza del ricorso a mezzi in sé consentiti oppure a strumenti che, proprio in ragione della loro elevata ed eccessiva capacità d’offesa, sono interdetti nell’uso a opera dei cittadini. Infatti, come detto, si verserebbe in ipotesi di eccesso colposo anziché di legittima difesa, quando risultasse che i mezzi usati potevano essere evitati o sostituiti da altri più comuni e proporzionati al pericolo (Cass. Pen. sez. V, 2/10/19911; sez. I 11/11/1992 e sez. I 27/2/1993, Timpani). Ogni qualvolta l’arma o le munizioni utilizzate dovessero presentare caratteristiche tali da renderle non detenibili, facilmente si potrà ritenere eccessiva e ingiustificata, almeno colposamente, la condotta del soggetto.
Anche a prescindere dalle caratteristiche dell’arma, dovrà comunque valutarsi il suo utilizzo in concreto, più deleteria potendo rivelarsi un’arma bianca impropria utilizzata con inutile reiterazione sul corpo di un uomo, piuttosto che una sofisticata arma da fuoco dalla quale viene fatto partire un solo colpo in direzione delle gambe dell’aggressore.
Questo tema è particolarmente importante in rapporto al nostro Codice di Procedura Penale, per il quale è consentito all’imputato di tentare di scagionarsi anche soltanto rendendo nota l’esistenza dei presupposti per invocare la legittimità del proprio operato, salvo essere smentito dalle circostanze di fatto. È chiaro infatti che, in questo contesto, dover riferire di aver fatto impiego di un’arma dotata per esempio di proiettili perforanti, esplosivi o a frantumazione, mal deporrebbe per colui che rivendica la liceità e adeguatezza del proprio operato, specie se l’impiego dell’arma dovesse valutarsi in relazione alla tutela di beni diversi da quelli della vita e dell’incolumità personale. È evidente che il fatto stesso di versare già in una situazione prevista dalla legge come reato (l’utilizzo di arma da guerra, per esempio, oppure con munizionamento vietato), quasi inevitabilmente porta a rendere configurabile in sé e per sé la figura dell’eccesso colposo di cui all’articolo 55 Codice Penale, se non addirittura, considerate talune delle circostanze prima elencate, la commissione di un fatto doloso e/o preordinato (Cass. sent. 5/7/1991 sez. I e sent. 5/8/1992 sez. I).
In ogni caso, tale elemento svela con una certa chiarezza se l’approccio, anche in linea astratta, della persona con i mezzi diretti ad arrecare documento di cui si prepara a fare eventuale uso, sia di prudenza o, piuttosto, di intransigente efficacia.
Analogamente, la scarsa padronanza dell’arma potrebbe dimostrare una scarsa sensibilità del soggetto rispetto al problema delle conseguenze derivanti dal ricorso a essa, spesso incontrollato e, quindi, potenzialmente molto pericoloso.
Dobbiamo allora concludere che potenzialità dell’arma e modalità del suo impiego costituiscono i parametri-guida essenziali per la valutazione della liceità in astratto di una condotta che abbia comportato l’uso di tali strumenti. Entrambi, dunque, risalgono alla volontà del soggetto e svelano, fungendo da spia, le reali intenzioni dell’agente, così come la prudenza e coscienziosità del suo operato, consentendo l’inquadramento della vicenda nell'ambito di una legittima difesa, di un colposo eccesso oppure di una dolosa e illecita esuberanza. Ove, perciò, si tratti di considerare la condotta armata di chi invoca a propria scusante la presunta legittimità dell’operato per ragioni di difesa, potrà ricorrersi anche a questi dati oggettivi per valutare se davvero sia stata rispettata quella proporzione e adeguatezza che, come si diceva, sono i primi elementi che entrano in scena e assumono rilievo in questi casi.
Pertanto, la conoscenza della materia e la consapevolezza riguardo la natura e i limiti dei mezzi che si impiegano, possono rappresentare, insieme con la preparazione tecnica nell'impiego dell’arma, elementi importanti, poiché possono guidare in termini di legittimità e giusta misura l’operato dì chi debba far ricorso a detti strumenti di autotutela, senza incorrere in alcun eccesso di sorta.
Del resto è assolutamente vero, per chiamare un motto caro alla saggezza e all'equilibrio dei giuristi romani, che colui che si difende da un’offesa non è detto che tenga la bilancia in mano per soppesare la propria reazione nel frangente concitato in cui possa venire a trovarsi. Ma è altrettanto veritiero che quel soggetto potrebbe avere tra le mani una pistola: in tali ipotesi è bene che ne sia padrone e sappia farne adeguato e consapevole impiego.