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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 12/03/2015, 16:26 
Deutsche Bank: euro/dollaro a 0,85 entro il 2017, parità nel 2015. L’analisi shock della banca tedesca

Deutsche Bank prevede l'euro in parità sul dollaro entro il 2015 e addirittura un crollo a 0,85 entro 2 anni. L'analisi shock della banca tedesca e le previsioni dei maggiori istituti internazionali

La prima a parlare di parità era stata Goldman Sachs, che lo scorso settembre aveva previsto un sostanziale equilibrio tra euro e dollaro entro il 2017. La causa? Il rafforzamento del biglietto verde e il parallelo indebolimento della moneta unica continentale.

A gennaio, a confermare la previsione era stata la banca olandese ING Groep NV che aveva stimato una parità sul cambio euro/dollaro entro due anni.

Oggi Deutsche Bank si spinge ancora più in là. La banca non solo prevede che l’euro si indebolirà talmente tanto da arrivare allo stesso livello del dollaro, non solo sostiene che si verificherà entro la fine del 2015 e non entro la fine del 2017, ma va ancora più avanti, prevedendo una discesa addirittura 0,85 dollari.

Lo studio di Deutsche Bank

Secondo Alan Ruskin, capo del settore cambi del G-10 per Deutsche Bank a New York, l’euro/dollaro arriverà alla parità entro la fine dell’anno in corso, per poi scendere progressivamente fino a quota 0,85% entro i prossimi 2 anni.

Se le previsioni della banca tedesca si rivelassero esatte, rispetto al 2008 la moneta unica avrebbe dimezzato il suo valore contro la valuta americana. Allora infatti il cambio era a 1,60. E rispetto al 2014? A maggio 2014 il cambio euro/dollaro era parti a 1,39. Il crollo, in questo caso sarebbe del 39%.

Le previsioni delle altre banche

Deutsche Bank non è l’unica banca ad aver cercato di prevedere il comportamento dell’euro/dollaro nel 2015. Tutti gli altri grandi istituti europei hanno infatti tagliato le stime sull’euro:

Barclays: da 1,07 a 1 entro il 2015,
Nomura: 1,05 entro il 2015,
TD Securities: 0,96 entro il 2015,
Goldman Sachs: 1,08 entro il 2015.

Quest’ultima previsione però appare già superata dato che stamattina l’euro è scivolato a 1,069 contro il dollaro, toccando il livello più basso degli ultimi 12 anni.

Il crollo dell’euro: tutte le cause

Il crollo dell’Euro, secondo gli istituti sopra riportati, sarebbe la conseguenza della differente politica economica portata avanti da Federal Reserve e BCE nei prossimi due anni.

Se da un lato infatti la Fed dovrà alzare i tassi d’interesse (l’innalzamento arriverà entro quest’estate) dopo più di sette anni di tassi a zero e di liquidità esorbitante sui mercati, dall’altro la BCE ha praticamente appena iniziato. La fase accomodante è partita lo scorso giugno col il taglio dei tassi (0,05% per quello di riferimento, -0,2% per quello sui depositi overnight). Due giorni fa ha invece avuto finalmente inizio il quantitative easing, il programma di acquisto di titoli di Stato da 60 miliardi a mese che proseguirà almeno fino a settembre 2016.

Se dunque nel prossimo anno e mezzo Francoforte non toccherà i tassi, nello stesso arco di tempo la Federal Reserve dovrebbe alzarli a circa il 2,5% (livello attuale 0-0,25%).

Due politiche praticamente opposte che stanno creando un riassetto del cambio euro/dollaro, nonostante i fondamentali (surplus della bilancia commerciale e afflusso di capitali in Europa) dicano il contrario.

La reazione della Fed

C’è però un altro aspetto che alcuni non tengono in considerazione, sarebbe a dire la contromossa della Federal Reserve. La colomba Janet Yellen teme infatti che un rafforzamento del dollaro sulle valute concorrenti abbia un effetto negativo sui prezzi, allontanando nuovamente il target di inflazione al 2%. Ma non solo: perché il timore riguarda anche un rallentamento della crescita dell’economia e una riduzione delle esportazioni.

Per questo motivo, il Governatore della FED potrebbe decidere di aspettare ancora qualche mese prima di cominciare la stretta sulla moneta.

http://www.forexinfo.it/Deutsche-Bank-e ... aro-a-0-85


Occhio... perché ho sempre collegato questo fenomeno come una delle principali cause della fine.

Ovvero, si è sempre saputo che l'euro forte era una delle principali cause della crisi della nostra economia, sostenuto proprio dalle politiche di austerity a tutela degli investitori e del capitale.

Un suo ridimensionamento sui tassi di cambio con l'apprezzamento del dollaro potrebbe essere un vantaggio invece per l'economia continentale se vista da un mero punto di vista di economia valutaria.

Ma se il dollaro si apprezza troppo sull'euro (e su altre monete come yuan cinese) offrirebbe il fianco a una massiccia capitalizzazione del debito in dollari detenuto dalla Cina che potrebbe tentare il colpo gobbo avendo in portafoglio dollari acquistati a media ponderata a un valore e potendoli immettere sul mercato a un valore più alto speculandoci sopra, ma facendo crollare di fatto il valore della moneta statunitense.

Sembra davvero che le lancette dell'orologio stiano per segnare l'ora X... teniamo sotto controllo i tassi di cambio dollaro-yuan, euro-yuan ed euro-dollaro... e soprattutto il prezzo di acquisto e vendita dell'oro!



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 13/03/2015, 00:18 
usciamo dall'euro, se il pericolo è la svalutazione della nuova lira allora direi che ne vale la pena. SDe la svalutaizone dell'€ sul dollaro è vista positivamente nonostante sia cos' massiccia allora una svalutazione simile della nuova lira rispetto all'€ stesso dovrebbe essere altrettanto positiva?

Magari accordandoci preventivamente con Cinesi e Russi per permettere lo swaap (magari poggiandoci alla nuova banca BRICS che potrebbe diventare BRICSI) e farci sostenere contro le speculazioni nel primo periodo... Fantascienza?

Cita:
e soprattutto il prezzo di acquisto e vendita dell'oro!


Sembra essere un indicatore abbastanza efficace, mi chiedo perchè... Un pò come i generatori di numeri casuali dell'esperimento sulal coscienza collettiva. Il mercato dell'oro, come la coscienza collettiva, sembra avere capacità di prevedere il futuro ^_^



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 13/03/2015, 09:19 
MaxpoweR ha scritto:

Magari accordandoci preventivamente con Cinesi e Russi per permettere lo swaap (magari poggiandoci alla nuova banca BRICS che potrebbe diventare BRICSI) e farci sostenere contro le speculazioni nel primo periodo... Fantascienza?



Finché i nostri politici tuteleranno il loro sedere portando avanti gli interessi dell'oligarchia finanziaria e dei potentati economici sovranazionali la vedo dura.

D'altronde è pur vero che coloro che si sono esposti in senso opposto sono stati eliminati...

TORNARE ALLA MONETA DI STATO ECCO LA SOLUZIONE CHE COSTÒ LA VITA AD ALDO MORO
di Marco Saba

Se recuperassimo l’idea di Aldo Moro di emettere biglietti di stato a corso legale senza bisogno di chiedere banconote in prestito via Bankitalia-Bce, potremmo non soltanto assolvere i vari bisogni del popolo italiano, ma anche varare un bel corso gratuito di criminologia monetaria e bancaria.
Fu infatti così che i governi Moro finanziarono le spese statali, per circa 500 miliardi di lire degli anni ‘60 e ‘70, attraverso l’emissione di cartamoneta da 500 lire “biglietto di stato a corso legale” (emissioni “Aretusa” e “Mercurio”).

La prima emissione fu normata con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat per le 500 lire cartacee biglietto di Stato serie Aretusa, (Legge 31-05-1966). La seconda emissione fu regolata con il DPR 14-02-1974, del Presidente Giovanni Leone per le 500 lire cartacee biglietto di stato serie Mercurio, DM 2 aprile 1979.

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Questa moneta di stato tra l’altro aveva l’importante funzione di immettere denaro senza debito che rendeva solvibile – almeno in parte – il sistema usuraio poiché serviva per pagare gli interessi per i quali il sistema bancario NON emetteva moneta e strozzava il paese (come invece ora fa). L’idea era stata copiata dal periodo fascista in cui tante opere pubbliche vennero finanziate a questo modo.

Mentre l’analoga operazione di emettere Am-Lire da parte degli occupanti alleati fu una vera e propria opera di falsari che imposero la loro moneta a suon di bombardamenti addebitandola per lo più a debito pubblico (una perdita di circa 300 miliardi di lire dell’epoca 1943-1952, oltre a tutti i beni di cui si erano appropriati con questo denaro falso). Fu Giovanni Leone a firmare l’ultimo DPR con cui si emettevano le 500 lire.

Sia Moro che Leone non ebbero gran fortuna e sappiamo come vennero ringraziati da Bankenstein… Ma ora c’è internet, ora sarebbe molto più facile impedire la reazione della bancocrazia totalitaria diffondendo la conoscenza della materia. Infatti, col senno di poi, non è difficile capire a cosa doveva portare il disegno del terrorismo nel nostro paese: gli anni di piombo si chiusero con due stragi nell’anno del Trattato di Maastricht, il 1992…

Questo trattato è un papello tra “Stati” e banchieri mannari, il cui risultato oggi è sotto gli occhi di tutti. Ci ha portato al golpe morbido del governo Monti…

Comunque, in seguito all’assassinio di Moro e alle dimissioni anticipate di Leone, l’Italia smise di emettere cartamoneta di Stato. La bancocrazia ci aveva anche provato prima a ricattare lo Stato, emettendo i famosi miniassegni per erodere il signoraggio che lo stato guadagnava con la propria moneta, ma poi, non essendo la “misura” sufficiente, ricorsero ai mitra e bombe. Ricordatevi che il terrorismo in Italia inizia con due attentati dinamitardi negli anni ‘60 contro due banche di Stato (all’epoca): Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano e BNL a Roma…

Oggi lo Stato guadagna decisamente spiccioli con il conio delle monetine, dove i margini e la quantità di signoraggio sono niente rispetto all’emissione di cartamoneta e denaro virtuale, proprio una mancia per salvare le apparenze. Dobbiamo proporre di introdurre con vigore una cartamoneta complementare nazionale chiamata Biglietto di stato, con cui soddisfare i bisogni interni del paese.

Questa cartamoneta non influirebbe sui parametri di Francoforte, non creerebbe debito e darebbe la libertà al paese di soddisfare tutte le esigenze di base della cittadinanza. La Moro-nomics è un’alternativa degna di essere seriamente presa in considerazione.

Guarda su youtube.com


http://www.sapereeundovere.it/tornare-a ... aldo-moro/


A maggior ragione bisognerebbe pensare alla realizzazione di un sistema finanziario "orizzontale" (non piramidale) che tuteli gli interessi di tutti... ma forse questo è ancora più FANTASCIENTIFICO dell'idea di MaxpoweR...



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 13/03/2015, 14:39 
direi che è proprio al di fuori della natura umana :)



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 18/03/2015, 22:25 
La vera storia della finanza che ha ucciso l'economia
di V.Malvezzi

Supponi di chiamarti Mario o Maria Rossi, e alla fine di questo articolo capirai perche'.

Trovo spesso ragazzi in Universita', persone per la strada, imprenditori di giorno in azienda, amici la sera in birreria, che si guardano intorno, tra le macerie del cosiddetto capitalismo, e scuotendo la testa mi chiedono: ma perche' e' successo tutto questo?

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Cio' che voglio raccontare, da uomo di finanza aziendale, e' la storia della finanza che ha distrutto l'economia, perche' ritengo giusto che la gente sappia perche', oggi, si trova in una situazione tragica, ha perso potere d'acquisto, ha perso il reddito e sta per perdere perfino la speranza nel futuro.

La tragedia, spesso, nasce da una commedia. Sul palcoscenico, siamo nell'America a partire dagli anni '90, si susseguono attori politici di diversa estrazione, da Bill Clinton a George W.Bush, tutti a decidere una politica sociale in teoria giusta: la casa e' un bene primario per tutti, quindi diamola a tutti (ma lo stesso avevano fatto con il prestito al consumo, le carte di debito, e via discorrendo). In Italia, in Europa e in altri paesi occidentali invece i governi sono cattivi, e non intervengono quando le banche dicono che per dare il mutuo per comprare casa uno deve avere due cose: un reddito e un patrimonio. Detto brutale, se vuoi una casa, ci vuole qualcuno proprietario di casa che garantisca per te. Cosi' e' stato da sempre.

Ma in America no, pare brutto. Sin dal 1938, gli Stati Uniti avevano inventato delle agenzie per agevolare l'acquisto della casa per tutti, poiche' si riteneva che cosi', con il debito, si sarebbe rilanciata l'economia (si era nel New Deal, e si usciva dalla crisi del 1929, forse non piu' grave di quella di oggi).

Cosi', negli anni '90 si inventano due nuove manovre. La prima sono agenzie pubbliche, nate per agevolare quel sogno americano, la seconda sono regole finanziarie nuove, che di fatto creano un sistema finanziario ombra, al riparo dalle regole. In estrema sintesi, poiche' l'economia era in crescita, e poiche' i prezzi delle case erano in aumento, il ragionamento era: se il signor Brown non sara' in grado di ripagare il mutuo, noi banche ci riprendiamo la casa, che nel frattempo avra' aumentato di valore. Esiste un problemino, pero'.

Il signor Brown non ha reddito, e non ha garanzia. Nessun problema, pensano gli esperti: chi ha detto che il mutuo debba essere a rata fissa? Ci inventiamo un bel "mutuo sotto primario" (subprime lending) a rate variabili, partiamo da una piccolina, e poi la facciamo crescere. Si', ma cosi' facendo, prima o poi non sara' in grado di pagare. Qui sta il bello – risponde il consulente finanziario – perche' a quel punto, dovra' tornare in banca a rifinanziare, e noi ci guadagniamo due volte. Non solo: gia' che ci siamo, fanno una seconda brillante pensata. Visto che il valore della casa, nel frattempo, e' cresciuto, il signor Brown potra' rifinanziare il maggior valore. Guardate la pensata finanziaria:

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Ma prima o poi, il signor Brown non riuscira' a pagare il mutuo! – obiettava qualcuno. Il rischio sarebbe stato corso dalla banca, il che agli esperti di finanza pareva poco saggio. La banca non sara' in grado di moltiplicare pani e pesci – pensa qualcuno – ma di certo ha una capacita' straordinaria: moltiplicare il denaro.

Quando un qualsiasi signor Brown va in banca a chiedere denaro (per una casa, ma per qualsiasi altro bisogno umano, per esempio una impresa) la banca presta soldi che qualcuno avra' depositato, ma saranno molti piu' i soldi prestati di quelli depositati. Tutto il gioco si basa su una parolina magica: fiducia. Penserai mica che i soldi che tu hai depositato in questo istante sul tuo conto corrente siano fisicamente contro garantiti da monete d'oro, belle ammucchiate nei forzieri della tua banca, in dobloni? Infatti, se nello stesso istante tutti i risparmiatori della tua stessa banca corressero agli sportelli a chiedere di avere indietro i propri soldi, succederebbe una cosa sicura e matematica: la tua banca fallirebbe.

Tecnicamente, questa cosa si chiama bankrun (corsa alla banca) e in Italiano la dovremmo chiamare "assalto alla diligenza". Se salta una banca, si diffonde il panico, e allora si verificherebbe l'assalto a tante diligenze, tutti a urlare: rivoglio indietro i miei soldi!

Ecco perche', di notte solitamente, le banche centrali (come Banca d'Italia) qualche volta hanno pompato liquidita', un po' come l'acqua per spegnere un incendio. Non pensare che stia raccontando una favola, e' successa diverse volte nel mondo, e anche in Italia siamo stati a un soffio dal fallire (ma questa e' una altra storia, e la si dovra' raccontare un'altra volta). Poiche' chi lavora in finanza sa benissimo questa cosa, da decenni ci sono regole che invitano alla prudenza, proprio per evitare che il panico nella finanza distrugga l'economia.

Prudenza vuol dire che una banca non dovrebbe dare i soldi a chi non offre garanzie reddituali e patrimoniali di restituirli. La gente ragiona sempre dal lato di chi li prende, ma prova, per un istante, a pensare al fatto che sia qualcun altro che prende i tuoi risparmi per farne cio' che vuole, e forse comincerai a intuire una diversa verita'. A quel punto forse urlerai alla banca: ehi, ferma il mondo, per prestare il mio denaro a qualcuno devi essere molto prudente, perche' quelli sono soldi miei!

Ma la prudenza non va a braccetto con il fare un pacco di soldi, ed allora negli Stati Uniti di qualche anno fa, dopo la pensata del mutuo a rate crescenti, qualcuno comincia a dire: ferma il mondo, ma se il giochino salta, se Brown non paga il mutuo, rimaniamo noi col cerino in mano, e chi lo spiega ai nostri clienti?

Schema iniziale:

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Non ci piace.

Ecco che allora dalla pensata finanziaria si passa alla magia finanziaria.

Magia finanziaria numero 1

Allora, sai che facciamo? – si chiedono gli avvocati a Wall Street - ci inventiamo una bella scatola, e la chiamiamo "veicolo speciale di investimento" (SIV, Special o Structured Investment Vehicle). Quella scatola e' una banca di una banca. Poi, pensano i furbi, i mutui della banca li ficchiamo in pancia a questa societa', e di fatto trasferiamo l'onere del signor Brown dalla banca alla societa' speciale.

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Peccato che, se Brown non pagasse il mutuo, il rischio ricadrebbe sulla banca, che di fatto detiene la proprieta' di queste speciali societa' veicolo. Ecco allora che si inventano un secondo trucco finanziario.

Magia finanziaria numero 2

Vendono due cose: le obbligazioni, cioe' i titoli di debito, e le azioni, cioe' i titoli di proprieta' delle loro stesse societa' veicolo. In ingegneria finanziaria (cosi' chiamano questa magia) tecnicamente questi titoli si chiamano "obbligazioni coperte da un collaterale", cioe' sono debiti coperti da una garanzia (CDOs, collateralized debt obligations). Ma per vendere una cosa, ci vuole qualcuno che acquisti, e allora si rivolgono al mercato finanziario, da loro stessi controllato (o quanto meno fortemente condizionato), promettendo alto rendimento.

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Ora, come ho scritto in altri articoli, alto rendimento significa, in finanza, alto rischio. Di fatto, stanno trasferendo il rischio dalla pancia propria, alla pancia degli acquirenti. Esiste un problema, pero': la quotazione di un rischio troppo eccessivo, e ci sono organismi di controllo che dovrebbero certificarlo. Ci vuole una terza magia.

Magia finanziaria numero 3

Il termine inglese e' agenzie di rating, e visto che tale termine e' noto al grande pubblico non traduco. Di fatto, convincono le agenzie di rating, da loro indirettamente controllate e loro controllori (avete letto bene) a erogare generosi giudizi, basati su un ragionamento statistico: visto che i mutui diventeranno un casino – si pensa – mica sara' possibile che saltino tutti insieme.

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Avendo insegnato statistica per anni, non vi tediero' dicendo che tale evento e' improbabile per una legge nota come legge dei grandi numeri. Tuttavia, gli statistici non hanno considerato che la sfortuna sara' anche cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. Soprattutto, aggiungo, se l'uomo fa di tutto per metterle gli occhiali. Tecnicamente, siamo al passaggio folle numero quattro.

Magia finanziaria numero 4

Se tu prendi un titolo coperto da attivi e lo consideri poco rischioso (perche' le agenzie di rating hanno detto cosi'), allora – pensa qualche genio – tiriamo la statistica per la giacchetta, e facciamo pacchetti di mutui incorporati nei titoli, facciamo titoli dei titoli, moltiplichiamoli, e cosi' – diversificando il rischio – le agenzie di rating daranno un voto ottimo, e fondi pensione e risparmiatori si butteranno all'amo.

La lenza e' calata in acqua, e anche questa volta i voti sono ottimi, e i risparmiatori, i fondi e gli investitori comperano non piu' la porcheria, ma la porcheria della porcheria, in dosi non sommate, ma moltiplicate di veleno. Ma gia' che ci siamo, inventiamo un altro prodotto di ingegneria finanziaria (la chiamano ancora cosi'), che in italiano traduciamo con "derivati" (CDS, Credit Default Swap) che in sostanza sono una sorta di complesso prodotto finanziario assicurativo, per cui si paga un premio, ma se succede un evento negativo (giudicato improbabile) si viene indennizzati.

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Cosi', leghiamo tutti i debiti coperti da un collaterale, che abbiamo fatto in tanti bei pacchetti, e li leghiamo a un prodotto assicurativo, e poi li facciamo valutare dalle agenzie di rating, prima di ficcarli sul mercato di borsa. Ma che grande idea! – e' la valutazione entusiastica di queste ultime - e quindi tutti in borsa a comperare, perche' tanto, se dovesse fallire qualche societa' speciale veicolo, si sarebbe rimborsati.

Ripetiamo i quattro passaggi, perche' qualche persona non avvezza alle alchimie, ai riti magici e ai giochi di prestigio potrebbe essersi persa per la strada. I crediti, che erano delle banche, sono stati ceduti a societa' veicolo, che non sono piu' delle banche, ma anzi sono stati venduti sul mercato, ma non singolarmente, ma in pacchetti, a loro volta non venduti singolarmente, ma in pacchetti contenenti pacchetti, con un rischio moltiplicato ma diversificato, e ai quali viene legata una assicurazione al rischio, in modo tale che se il signor Brown non paghera' il mutuo, il debito non sara' piu' della banca, ma del mercato. Tutto il gioco si basa su un presupposto: il prezzo delle case salira' sempre, e quindi la garanzia reale sottostante ci sara'.

Se non che, poiche' l'appetito vien mangiando, qualcuno emette enormi quantita' di questi pezzi di carta, senza mettere da parte abbastanza riserve nel caso (non solo possibile, ma alla lunga probabile) che il mercato prima o poi non salga, ma scenda. Perfino il piu' stupido dei giocatori d'azzardo sa, infatti, che il rosso non puo' uscire per sempre.

E infatti, un bel giorno, pochi anni or sono, usci' il nero, e il prezzo delle case scese.

Se non che i maghi della finanza avevano avuto un colpo di genio.

Magia finanziaria numero 5

Quel polpettone dei debiti coperti da attivi, da soli, erano piuttosto indigesti per il mercato finanziario, cosi' ne avevano fatto tre fette, una buona, una stantia e una andata proprio a male.

Quella buona venne comperata al volo dal mercato (con il voto ottimo delle agenzie di rating). Su quella un po' stantia, ci ficcano sopra la copertura assicurativa, cosi' la fanno inghiottire (con il voto buono delle stesse agenzie) agli investitori istituzionali, agli enti territoriali, ai fondi pensione.

Si' – direte voi – ma da qualche parte la fetta proprio marcia dovra' essere mangiata. Ah, beh ma in finanza c'e' una invenzione per tutto, e si chiama titolo ad alto rendimento (tacendo il fatto che abbia quindi un alto rischio). Un titolo ad alto rendimento lo chiamano High Yeld Bond (debito ad alto rendimento).

Lo stesso pezzo di carta, se lo giri e lo guardi da dietro, si chiama invece Junk Bond (debito spazzatura). Pero', quella schifezza, poiche' rende tantissimo (essendo esplosiva) chi se la cucca? Se la tengono loro, le societa' veicolo, che di fatto sono emanazione delle banche, ma per non sporcare i bilanci, la ficcano in fondi di investimento, con sede non in America, per carita', ma in qualche remoto paradiso fiscale. Cosi', i voti delle societa' di rating sui loro bilanci saranno ancora buoni.

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Quando scoppia la bolla, tutti rimangono con le braghe calate, perche' in questo casino succedono tre cose. Primo, l'economia e' ormai tecnologica e interconnessa, e quindi la bolla ha una deflagrazione planetaria. Secondo, i prodotti finanziari sono stati resi cosi' complessi che dare un valore reale diventa pressoche' impossibile, e nel dubbio il valore diventa zero. Terzo, le scatole cinesi inventate sono cosi' tante, che non si capisce nemmeno piu' dove siano iniziate le responsabilita', e dove siano finite.

Ora, questo articolo affronta una materia molto complessa, perche' hanno volutamente cercato di renderla tale, con alchimie e magie finanziarie, proprio al fine di non farci capire piu' niente. Allora, io provo a renderti piu' chiaro quello che e' successo. Per farlo, supponiamo che tu sia il signore o la signora Rossi, tu viva in Italia, tu non conosca minimamente la banca statunitense Dollaroni, e non abbia la piu' pallida idea di chi sia il signor Brown.

Possiamo dire, per ipotesi, che il signor Rossi sia magari un pensionato che ha riscattato il suo famigerato TFR, e ha investito i risparmi di una vita di fatiche dando quei quattro soldi a un gestore della propria banca sotto casa. Oppure la signora Rossi sia una madre di famiglia che, dopo tanti anni di fatiche da lavoratrice dipendente, ha messo da parte un gruzzoletto e ha deciso di investirlo, poiche' i figli stanno diventando grandi e vorrebbe che potessero studiare all'Universita', cosa che lei non ha potuto fare. A entrambi, il gestore della banca sotto casa in Italia ha fatto comperare diversi fondi di investimento "perche' cosi' diversifichiamo il rischio", ha detto, mostrando loro Il Sole 24 Ore di alcuni anni fa.

Bene, ora mettiamo insieme i pezzi del puzzle e vediamo quale era il vero scopo di tutto questo.

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Ecco, dove volevano arrivare e perche' e' stato fatto, scientificamente e consapevolmente, tutto questo: si chiama gestione del rischio. Lo scopo era uno solo: spostare il rischio della insolvenza di Brown dalla banca Dollaroni al signor Rossi. Solo che Dollaroni aveva gli strumenti per misurare il rischio che stava correndo: il signore o la signora Rossi, no. Al mondo, c'erano milioni di signor Brown e milioni di signori e signore Rossi.

Sta di fatto che, da tutta questa storia, se ne debba trarre un insegnamento.

Gli alchimisti della finanza americana hanno inventato un'alchimia chiamata "Cartolarization" e creato oro dal piombo con i "titoli coperti da attivi", (ABS, asset backed securities). Parolone, per confondere le cose alla gente. Tecnicamente, in italiano la traduciamo in cartolarizzazione, e significa trasformare un debito reale in pezzi di carta. Non solo, ma il dramma e' che questi pezzi di carta sono fatti girare per il mondo, ogni giorno, insieme alla spazzatura che si portano dietro, non singolarmente, ma in pacchetti che ne aumentano esponenzialmente il rischio.

L'insegnamento e' che, da tempo immemorabile, da quando e' stata inventata la moneta, e' sempre stata l'economia a dominare la finanza, e non viceversa. Quando qualcuno ha pensato (e molti lo pensano ancora oggi) che investire in pezzi di carta, servizi e bit virtuali sia il modo per farci vivere tutti piu' ricchi, ha creato le premesse del disastro. Se ne esce, a mio parere, solo tornando alla cultura delle monete antiche. Su di esse – andate a controllare su internet le fotografie - da una parte vi era un valore, ma dall'altra quel valore era rappresentato da una mucca, un cavallo, una pecora.

Simbolicamente, era l'agricoltura, la produzione, il lavoro dell'uomo che crea, con il sudore, il valore di una economia, e non i pezzi di carta. Il mondo e' stato per secoli agricolo, artigianale e poi industriale. Anche il nostro paese, al tempo dei nostri padri, era un paese agricolo, e avevamo ancora delle industrie. Eppure, ancora questa mattina, io leggo sul giornale, sbattute in prima pagina, notizie che nascondono alla gente le cose, spacciando per ripresa economica questioni di politica monetaria, e di natura meramente finanziaria. Quelle cose spostano il problema, lo rinviano, creano debito dal debito, cioe' io vedo ripetere ancora gli stessi errori.

Vi ho raccontato allora questa storia complicatissima - sperando di averla resa almeno un po' piu' chiara - per due ragioni. La prima e' perche' io credo che la gente debba sapere perche' oggi sta male, e qualcuno dovrebbe dirlo in modo chiaro. La seconda, ancora piu' importante, e' perche' io credo che si debba avere memoria del passato, e non ripetere gli stessi errori, traendone quanto meno un insegnamento. I nostri governanti devono sapere che la gente sa, e ha tratto un insegnamento dalla storia. All'epoca dei nostri padri, il nostro era ancora un Paese industriale. All'epoca dei nostri nonni era un Paese agricolo, e da bambino io vedevo ancora animali nei campi.

L'insegnamento e' che non ci sono scorciatoie, non ci sono sogni americani, non ci sono alchimie finanziarie.
Io credo che si debba tornare a vedere tante merde di animali nei nostri campi in piu', e tanta ********** di carta in meno sui mercati finanziari.

http://www.massimobolla.it/Pagine/News/ ... onomia.asp



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 19/03/2015, 09:32 
Atlanticus81 ha scritto:
La vera storia della finanza che ha ucciso l'economia
di V.Malvezzi

Ecco, dove volevano arrivare e perche' e' stato fatto, scientificamente e consapevolmente, tutto questo: si chiama gestione del rischio. Lo scopo era uno solo: spostare il rischio della insolvenza di Brown dalla banca Dollaroni al signor Rossi. Solo che Dollaroni aveva gli strumenti per misurare il rischio che stava correndo: il signore o la signora Rossi, no. Al mondo, c'erano milioni di signor Brown e milioni di signori e signore Rossi.

Sta di fatto che, da tutta questa storia, se ne debba trarre un insegnamento.

Gli alchimisti della finanza americana hanno inventato un'alchimia chiamata "Cartolarization" e creato oro dal piombo con i "titoli coperti da attivi", (ABS, asset backed securities). Parolone, per confondere le cose alla gente. Tecnicamente, in italiano la traduciamo in cartolarizzazione, e significa trasformare un debito reale in pezzi di carta. Non solo, ma il dramma e' che questi pezzi di carta sono fatti girare per il mondo, ogni giorno, insieme alla spazzatura che si portano dietro, non singolarmente, ma in pacchetti che ne aumentano esponenzialmente il rischio.

L'insegnamento e' che, da tempo immemorabile, da quando e' stata inventata la moneta, e' sempre stata l'economia a dominare la finanza, e non viceversa. Quando qualcuno ha pensato (e molti lo pensano ancora oggi) che investire in pezzi di carta, servizi e bit virtuali sia il modo per farci vivere tutti piu' ricchi, ha creato le premesse del disastro. Se ne esce, a mio parere, solo tornando alla cultura delle monete antiche. Su di esse – andate a controllare su internet le fotografie - da una parte vi era un valore, ma dall'altra quel valore era rappresentato da una mucca, un cavallo, una pecora.

Niente male davvero...... [:304]

Non si poteva spiegare meglio......
Un ottimo articolo.

Ma a quando la presa di coscienza collettiva su questo preciso tema?
Generazioni? O anni?



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 19/03/2015, 12:25 
..intanto un mio conoscente torna dalla thailandia dopo tre anni di gestione di un ristorante che all'epoca aveva aperto con alcuni soci,e si ritira dall'attività perchè allo stato attuale con l'utile che se ne ricava è semplicemente arduo il solo sfamarsi(all'inizio andava decisamente meglio),un'altro invece è tornato anche lui in questi giorni dopo due mesi di vacanza abituale da anni e anni,ma adesso diceva anche lui che nn tornerà più da quelle parti perchè (a parte il degrado ambientale dilagante), il viverci è diventato carissimo e maggiormante ora col crollo dell'euro contro bath..nn possiamo nemmeno più fuggire via!!!


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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 04/04/2015, 15:52 
KAWALEC: LA MANIPOLAZIONE EUROPEA DELLA VALUTA

Su Project Syndicate Stefan Kawalec, uno dei firmatari del Manifesto di Solidarietà Europea, chiarisce come l’eurozona sia diventata la più grande manipolatrice mondiale di valuta. Questo mette in pericolo i rapporti con i partner – in particolare gli USA – ma è la logica conseguenza di una moneta che rimane troppo debole per la Germania e troppo forte per i paesi periferici. La logica soluzione sarebbe il ritorno a valute nazionali che potessero fluttuare tra di loro.

Varsavia – Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), attualmente in corso di negoziazione tra Unione Europea e Stati Uniti, potrebbe, secondo alcuni studi, migliorare lo stato sociale e ridurre la disoccupazione in entrambe le economie coinvolte, così come in altri paesi. Allo stesso tempo, il TTIP potrebbe ripristinare la fiducia nell’Europa e nella comunità transatlantica. Ma esiste un grande ostacolo perché questi benefici si concretizzino: l’euro. (NdVdE: in ogni caso, nutriamo seri e fondati dubbi sui potenziali benefici del TTIP, ma il problema illustrato da Kawalec ha comunque un suo peso a prescindere).

Il problema deriva dalla manipolazione della valuta. Negli ultimi tre decenni, gli Stati Uniti hanno di fatto tollerato la manipolazione di valuta da parte dei loro principali partner commerciali asiatici, che hanno accumulato grandi avanzi commerciali e di partite correnti comprimendo il valore delle loro valute.

Ma è improbabile che gli USA accettino un comportamento del genere all’interno di una zona di libero scambio. Infatti, esiste una maggioranza mista democraticao-repubblicana nel congresso USA che sta già chiedendo che il Trans-Pacific Partnership (TPP) – un mega-trattato regionale di libero scambio che coinvolge 12 paesi che si affacciano sul Pacifico – dovrebbe includere clausole che impediscano la manipolazione della valuta.

Le discussioni sulle manipolazioni di valuta si sono a lungo concentrate sulla Cina, che non fa parte del TPP, ma potrebbe entrarci, o far parte di un simile accordo, in futuro. Ma l’economia con il più grande avanzo di partite correnti oggi non è la Cina; è l’eurozona. Infatti, con una cifra superiore ai 300 miliardi di dollari, il surplus di partite correnti dell’eurozona nel 2014 è stato di circa il 50% superiore a quello della Cina.

Il motivo di questa situazione è semplice: l’espansione monetaria, che porta ad un deprezzamento della valuta, è il solo strumento macroeconomico disponibile della Banca Centrale Europea per aumentare la competitività delle economie in difficoltà come Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Francia. Di conseguenza, i deficit di partite correnti nei paesi del sud sono diminuiti o scomparsi, mentre le eccedenze in paesi come la Germania sono aumentate, causando un ulteriore aumento dell’avanzo complessivo dell’Eurozona.

Un problema irrisolvibile per la BCE è che l’euro è troppo forte per i paesi depressi del sud e troppo debole per la Germania. Anche se la BCE potrebbe ridurre l’avanzo commerciale lasciando che l’euro si apprezzi, ciò aggraverebbe le difficoltà economiche nei paesi depressi del sud. Questo, a sua volta, rafforzerebbe ulteriormente i movimenti politici populisti e anti-europei che guadagnano consensi a causa del disagio sociale.

Alcuni osservatori ritengono che gli squilibri interni dell’eurozona potrebbero ridursi se la Germania aumentasse la spesa in infrastrutture e permettesse ai salari di salire più velocemente. Ma per molti tedeschi, che hanno affrontato difficili riforme previdenziali e del mercato del lavoro nel 2003-2005, unosforzo deliberato per diminuire i guadagni di competitività conquistati non è un’opzione. Il fatto che il 63% delle esportazioni tedesche vanno in paesi al di fuori dell’eurozona – il che significa che le aziende tedesche deve essere in grado di competere con le loro controparti in tutto il mondo, non solo nell’unione monetaria – rende la questione ancora più sensibile.

Altri osservatori sostengono che un’ulteriore integrazione, soprattutto il progresso verso l’unione politica e fiscale, fornirebbe all’Eurozona strumenti alternativi – vale a dire, trasferimenti di ricchezza – per migliorare la competitività dei paesi depressi. Ma, come Italia e Germania hanno imparato nei loro sforzi in gran parte falliti (e costosissimi) di stimolare le regioni non competitive, tali aspettative sono ingiustificate. Infatti, nonostante siano state spese enormi quantità di denaro dei contribuenti –pari al 16% del PIL regionale annuale nel sud Italia e al 25% del PIL regionale in Germania orientale – le economie italiane e tedesche hanno ottenuto poco.

Dato che probabilmente l’Eurozona non sarebbe in grado di fornire ai suoi membri non competitivi tali enormi trasferimenti annuali, questa strategia avrebbe ancor meno probabilità di successo. Allo stesso modo, le politiche strutturali volte a migliorare la competitività delle regioni sottosviluppate di una zona a moneta unica si sono ripetutamente dimostrate inefficaci e costose.

In breve, gli squilibri interni dell’eurozona probabilmente continueranno – e, con loro, rimarrà la sua valuta sottovalutata e il suo enorme avanzo di partite correnti. Certo, si potrebbe sostenere che fintanto che la BCE non interviene direttamente con l’acquisto di asset in valuta estera, l’eurozona non si qualifica come un manipolatore di valuta. Ma data la natura intenzionale dell’ azione della BCE – per non parlare della posizione di leader dell’eurozona nell’economia globale – questo argomento probabilmente non reggerà a lungo.

In sostanza, la manipolazione della valuta è un qualsiasi intervento intenzionale che si traduca in una valuta sottovalutata e in un notevole avanzo di partite correnti – esattamente quello che sta facendo la BCE. Se la BCE sostiene questa politica per un periodo prolungato, le tensioni con gli Stati Uniti sono pressoché inevitabili – tensioni che possono ostacolare l’approvazione del TTIP da parte del Congresso o l’effettivo funzionamento del trattato, con un suo conseguente deterioramento o accantonamento.

Questo contrasta con la credenza popolare, che ha guidato la creazione dell’eurozona, che l’Europa ha bisogno di una moneta unica per competere con le grandi economie come USA, Cina e India. Infatti, se i membri della zona euro avessero mantenuto (o reintrodotto) le loro valute nazionali, legate da accordi di cambio manovrabili, avrebbero potuto risolvere i loro squilibri abbastanza facilmente, senza generare un grande avanzo complessivo delle partite correnti. Invece, rischiano di innescare una guerra valutaria con i più importanti attori economici globali – perdendo nel frattempo indispensabili partner commerciali e alleati.

http://vocidallestero.it/2015/04/03/kaw ... la-valuta/



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 12/04/2015, 10:57 
Dal ducato... all'euro: riflessioni sul sistema monetario delle Due Sicilie

Immagine

Il sistema monetario del Regno delle Due Sicilie. A seguito della unificazione dei Regni di Napoli e di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando I di Borbone, con la legge del 20 aprile 1818 nr. 1176, emanò alcune direttive che uniformarono il sistema monetario nei territori continentale ed insulare dello Stato. La normativa in questione apportò le necessarie modifiche per ottenere una monetazione decimale e, nel contempo, soppresse il rapporto legale di cambio fra le monete coniate nei tre metalli (oro, argento e rame), imperniando l’intero sistema su di un monometallismo argenteo puro. Tale riforma fu definita da Lorenzo Bianchini, nella sua «Storia delle Finanze del regno di Napoli», come «la prima migliore legge che su tale obbietto si facesse in Europa, talché venne ovunque lodata ed in vari Stati imitata».

Puntualizziamo subito un aspetto importantissimo.

Nel Regno delle Due Sicilie non circolavano banconote, cioè quella carta-moneta stampata ed emessa da una Banca Centrale privata (come all’epoca già avveniva nell’indebitato e fallimentare Regno di Piemonte e come avviene oggi in Italia – e non solo in Italia – con la conseguente illecita cessione della Sovranità Monetaria popolare, da parte degli Stati, a dei soggetti privati), bensì solo monete metalliche aventi un proprio valore intrinseco, il cui conio e la cui emissione venivano curate esclusivamente dalla Reale Zecca dello Stato borbonico.

L’unica eccezione era costituita dalle cc.dd. Fedi (o Polizzini) di Credito, documenti cartacei utilizzati in particolare per le grosse transazioni. La «Fede di Credito» era un titolo nominativo, rilasciato dai Banchi «pubblici» delle Due Sicilie (Banco di Napoli e Banco di Sicilia), pagabile a vista presso qualunque filiale del Banco, emesso a madre e figlia. Aveva la struttura del vaglia cambiario ordinario ed attestava l’avvenuto deposito di numerario da parte di enti o di privati.

La Fede di Credito circolava mediante «girata» e la particolarità di questo titolo risiedeva nel fatto che il girante poteva anche indicare la «causale» del pagamento (ad es. una fornitura di merci) e le «condizioni» alle quali il pagamento era subordinato. In tal caso, la condizione sospendeva il pagamento da parte del Banco, finché non fosse stato dimostrato il suo adempimento. Nessun interesse veniva pagato sulle somme depositate, né alcuna imposta di bollo era dovuta allo Stato (come, purtroppo, avviene oggigiorno in Italia) per l’emissione dello stesso titolo.

All’atto della riscossione di una Fede di Credito veniva seguita una rigorosa procedura che poneva il debitore, il creditore e l’istituto bancario al riparo da frodi di sorta, garantendo in toto la legittimità, la correttezza e la regolarità contabile dell’operazione. A tal fine, il cliente doveva presentarsi all'ufficio ruota con la fede sottoscritta. L'ufficiale addetto alla pandetta (grande rubrica che conteneva i nomi di tutti i clienti, con il numero dei fogli del libro maggiore ove erano accesi i conti) cercava il numero del conto del cliente in questo libro (la c.d. pandetta) e lo trascriveva sulla fede, che passava al pandettario, un impiegato, con funzioni notarili che, dopo aver verificato l'autenticità del titolo e l'adempimento delle eventuali condizioni, apponeva sulla Fede un «visto» e la inviava al libro maggiore. Qui, l’impiegato addetto verificava se sul conto del cliente c'era capienza (ossia credito) e addebitava il conto, scrivendo la parola «bona» sulla Fede, che tornava al pandettario. Qualora, nel corso dell’intera procedura, non fosse stata riscontrata alcuna irregolarità, il pandettario vi riportava la dizione: «pagate ducati ________», la datava e la consegnava al portiere della ruota che la portava al cassiere. Infine, quest’ultimo pagava, tracciava sulla fede due freghi, vi annotava la somma pagata ed infilzava il documento in uno spago con punteruolo.

Grazie a questa rigorosa procedura, fu smascherata la falsità della Fede di Credito (il cui importo originario di 14 ducati era stato alterato nella cifra e modificato in 14.000 ducati) esibita, per la riscossione presso il Banco di Napoli, dal generale Francesco Landi e che lo stesso ufficiale borbonico aveva ricevuto da Giuseppe Garibaldi quale prezzo del suo tradimento nella battaglia di Calatafimi.

A parte la descritta eccezione delle Fedi di Credito, per i nostri antenati, tanto l’uso della moneta cartacea, quanto il fatto che le banconote potessero venire stampate ed emesse da una banca privata, nonché da questa prestate allo Stato (peraltro gravate da interessi annui), sarebbero stati un qualcosa di assolutamente inconcepibile. Infatti, fra il denaro che circolava nel Regno delle Due Sicilie e le banconote attualmente circolanti in Italia (e nell’eurozona), la differenza non è solo formale (metallo da un lato e carta filigranata dall’altro), bensì principalmente sostanziale. Innanzitutto perché, mentre una moneta in lega pregiata (ad es. in oro con titolo 996 millesimi) possedeva un «valore intrinseco» pressoché corrispondente al «valore nominale» della divisa medesima, un biglietto cartaceo, a fronte di un costo di produzione veramente irrisorio (una qualsiasi banconota costa, alla Banca di emissione, appena 30 centesimi di euro), reca stampigliato un truffaldino valore facciale!

Si consideri inoltre che, mentre nel Regno delle Due Sicilie il possessore, ad esempio, di una moneta da 30 ducati ne era al tempo stesso «proprietario» e, pertanto, era esente dal dover pagare un qualsivoglia «interesse per l’uso» (da qui deriva etimologicamente il vocabolo «usura») della medesima moneta, oggi chi possiede una banconota, ad esempio, da 500 euro è, ipso facto, «debitore» della stessa verso la Banca di emissione (B.C.E.), nonché destinatario di tutte le conseguenze che un debito comporta.

Sono questi i motivi per cui i nostri bisnonni avrebbero considerato la c.d. «moneta-debito» una vera e propria assurdità, una colossale truffa, una cosa per gli imbecilli!

A quei tempi, la moneta più solida d’Italia era quella borbonica. Essa veniva coniata, prima che intervenisse la menzionata riforma ferdinandea, nei pezzi aurei da 3 - 4 - 6 - 15 e 30 ducati; in seguito, come si vedrà, furono emesse solo le divise da 3 - 15 e 30 ducati.

Il ducato era suddiviso in 10 carlini ed, a sua volta, il carlino equivaleva a 10 grani.

Il carlino, che deve il suo nome al re Carlo I d'Angiò, era una moneta che veniva coniata a Napoli, sia in argento che in oro, fin dal 1278. In epoca borbonica era d’argento e costituiva la decima parte di un ducato napoletano, ovverosia il decuplo del grano.
Il grano (detto anche soldo) era una moneta d'argento nata in epoca aragonese e, fino al 1814, si divideva in 12 cavalli o in 2 tornesi. Nel 1814 fu introdotta la divisione in10 cavalli.

Il cavallo (o callo) era una moneta coniata in rame dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese); essa era la dodicesima parte di un grano napoletano, ma come già detto, dal 1814 essa passò, invece, a rappresentarne la decima parte. Il tornese, quindi, assunse il valore di 5 cavalli.

Oltre al grano, venivano coniati in rame il ½ grano, detto anche tornese, il 2 grani e ½, detto cinquina, nonché il 5 grani, coniato sia in rame che in argento. Sotto il profilo lessicale, come plurale di grano era indifferentemente usato anche il termine grana.

Lo Statuto monetario di Ferdinando I, in particolare, decretò quanto segue: «Premettendo che la moneta costituisce la misura dei prezzi relativi ad ogni contrattazione, si stabilisce che un solo metallo debba costituire materia per il conio delle monete e si determina che la moneta unitaria, a cui i prezzi ed ogni valutazione debbono riportarsi in numerario, sia il “Ducato”, un pezzo in argento di 515 acini napoletani, cioè pari a grammi 22 e 943 millesimi, coniato con una lega di 833 e ½ di millesimo di argento puro e 166 e 2/5 di millesimo di lega. Quindi, il Ducato ha 5/6 di argento puro ed 1/6 di lega.

Il Ducato verrà diviso in cento centesimi o grani per i Napoletani e baiocchi per i Siciliani. Il centesimo, a sua volta, verrà diviso in decimi, chiamati a Napoli calli o cavalli e piccioli in Sicilia. Ciascun grano sarà coniato in rame del peso di 140 acini, vale a dire grammi 6,237, stabilendosi che tali monete in rame saranno adoperate, come moneta di scambio, nelle piccole contrattazioni e che, comunque, il valore del suo numerario verrà garantito dallo Stato. In oro saranno coniate le oncette del peso di grammi 3,786, alle quali sarà assegnato un valore corrente di tre Ducati; le doppie, pari a grammi 18,933, per un valore corrente di quindici Ducati; le decuple, del peso di grammi 37,867, valevoli trenta Ducati».

La nuova monetazione venne, quindi, così articolata:

1 ducato = 10 carlini = 100 grani (a Napoli) o baiocchi (in Sicilia).
1 grano = 2 tornesi = 10 cavalli (a Napoli) o piccioli (in Sicilia)

In Sicilia, oltre al grano di Napoli, anche la moneta estera in genere era chiamata baiocco e, quindi, il ducato napoletano era pari a 100 baiocchi. Sempre nell’Isola, erano poi necessari 3 ducati napoletani per fare un’onza siciliana (1 onza = 30 tarì di Sicilia), che era quindi la moneta avente il più alto valore unitario nell’intero Regno.

Tuttavia, al fine di evitare errori contabili nella Pubblica Amministrazione, con decreto nr. 1908 del 6 marzo 1820, entrato in vigore il 1° gennaio 1821, il sistema monetario venne definitivamente unificato in tutti i territori del Regno delle Due Sicilie, con l’abolizione della monetazione siciliana in onze e tarì.

Le monete venivano coniate in oro, argento e rame presso la Regia Zecca a S. Agostino Maggiore (Napoli).

Oltre al conio delle tre monete auree da 3 - 15 e 30 ducati, ricordiamo anche quello delle monete d’argento da 10 (chiamata anche carlino) - 20 (chiamata anche tarì di Napoli) - 60 (chiamata anche ½ piastra) e 120 (chiamata anche piastra) grani, nonché quello delle monete di rame da ½ - 1 - 1 e ½ - 2 - 3 - 5 e 10 tornesi. Per la Sicilia venivano coniate anche le monete di rame da ½ - 1 - 2 - 5 e 10 grani.

Rapportato alla valuta odierna, si stima che 1 ducato napoletano avesse il potere di acquisto di circa 50 euro (in base alle quotazioni mantenute dall’oro negli ultimi tempi: es. nel maggio 2012 l’oro nuovo costava circa 40 euro al grammo, la moneta aurea da 30 ducati - 37,867 grammi di oro con titolo millesimi 996 - aveva un valore intrinseco di circa 1.500 euro; pertanto, possiamo ritenere che 1 ducato del Regno delle Due Sicilie avesse il potere d’acquisto di circa 50 euro attuali), mentre il corrispondente valore approssimativo in euro delle altre monete borboniche lo si può evincere dalla seguente tabella sinottica.

1 Ducato = 50,00 €
1 Carlino = 5,00 €
1 Grano = 0,50 €
1 Tornese = 0,25 €
1 Cavallo = 0,05 €

I valori in tabella (riferiti all’anno 2012) sono da ritenersi abbastanza congrui rispetto a quelli delle attuali monete metalliche, anche in considerazione del fatto che, oramai, il pezzo di minor valore attualmente in circolazione è rimasto quello da 5 centesimi di euro, essendo quasi del tutto inutilizzati i pezzi da 1 e da 2 centesimi; peraltro, queste ultime due monetine non vengono nemmeno più coniate, poiché i relativi costi di produzione ed emissione sono superiori, fino a quattro volte, al valore facciale delle stesse, determinando il c.d. «signoraggio negativo» per lo Stato.

In epoca borbonica, era previsto che la Zecca di Napoli potesse coniare monete sia per conto di privati che di Stati esteri, previa fornitura da parte di questi di verghe d’argento puro, convertite poi in monete aventi la caratteristica prevista dalla legge monetaria. Nel 1851 affluì presso la Zecca di Napoli una enorme quantità di verghe d’argento per la coniazione di monete estere, i cui Stati si servivano dei torchi napoletani, data la loro pregevolissima fattura. I nostri maestri incisori erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle realizzazioni, che i saggi di conio (prototipi di nuove monete) dell’istituto d’emissione inglese venivano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico.

La moneta napoletana divenne richiestissima su tutti i mercati d’Europa, essendo ritenuta molto pregiata negli scambi internazionali, per cui fu necessario accelerarne la produzione della divisa. Se fino al 1851 la produzione monetaria annuale della Zecca napoletana si era aggirata intorno al milione di ducati, nel 1852 essa salì alla cifra iperbolica di 32.380.775 ducati, concretando un notevole guadagno per la Zecca che, naturalmente, aveva dovuto provvedere anche all’incremento dei posti di lavoro. Grazie a ciò, aumentò la circolazione monetaria, i prezzi di mercato subirono un rialzo e calarono gli interessi; aumentò la proprietà privata (il danaro fu investito in immobili, poiché era diventato più semplice ottenere prestiti bancari a bassissimo interesse) ed accrebbero le attività industriali, col conseguente aumento dei posti di lavoro anche in quest’ultimo settore.

Inoltre, grazie agli altri numerosissimi suoi primati (cfr. Gennaro De Crescenzo, «Le Industrie del Regno di Napoli», Grimaldi & C. Editori, Napoli, 2012 - v. elenco di 50 primati in appendice; nonché:

http://www.realcasadiborbone.it/ita/arc ... ati_01.htm), il Regno delle Due Sicilie si collocò fra le più grandi Potenze europee dell’Ottocento.

Nel Regno delle Due Sicilie il costo della vita era più basso rispetto a quello degli altri Stati preunitari e lo si può dimostrare paragonando i salari, che pure non erano certo elevati, con il costo dei generi di prima necessità. La giornata lavorativa di un contadino era pagata 15 ÷ 20 grani (7,50 ÷ 10 €), quella degli operai generici dai 20 ai 40 grani (10,00 ÷ 20,00 €), 55 grani (27,50 €) per quelli specializzati; 80 grani (40,00 €) spettavano ai maestri d’opera; a tali retribuzioni veniva aggiunto un soprassoldo giornaliero di 10 ÷ 15 grani (5,00 ÷ 7,50) per il vitto; un impiegato statale percepiva 15 ducati (750 €) al mese, un tenente di fanteria 23 ducati (1.150 €), un colonnello di fanteria 105 ducati (5.250). È bene sapere che si trattava di retribuzioni nette, poiché nel Regno non esisteva alcuna imposta sul reddito delle persone fisiche. Di contro, un rotolo di pane (890 grammi) costava 6 grani (3,00 €), un equivalente di maccheroni 8 (4,00 €) grani, di carne bovina 16 grani (8,00 €); un litro di vino 3 grani (1,50 €), tre pizze 2 grani (1,00 €).

Presso le Seterie di San Leucio, una famiglia (in seno alla quale, oltre ai genitori, lavorasse anche qualche figlio adulto che fosse un buon artiere) poteva giungere a percepire un reddito netto fra i 10 ed i 12 carlini al giorno (50 ÷ 60 € giornalieri), garantendo alla famiglia stessa un potere di acquisto fino agli attuali 1.250 ÷ 1.500 € mensili.

Al momento dell’unità d’Italia, la ricchezza dello Stato meridionale, costituita dai depositi aurei esistenti presso le banche delle Due Sicilie, era di poco inferiore al mezzo miliardo di lire-oro ed in quantità doppia rispetto a quella di tutti gli altri Stati italiani messi assieme (cfr. Francesco Saverio Nitti, uomo politico ed economista liberale, nonché Presidente del Consiglio del Regno d’Italia dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920, Scienze delle Finanze”, Pierro Editore, 1903, pag. 292). A questo si aggiungeva la solidità della stessa moneta circolante, tutta in metallo pregiato (niente carta) che, per il suo valore intrinseco, non si era mai svalutata (quindi, l’inflazione era un fenomeno sconosciuto!) nei 126 anni in cui regnò la dinastia borbonica.

Dopo l’unificazione italiana, precisamente nel 1863, un testimone insospettabile, il capitano italo-piemontese conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz scriverà che: «...iI 1860 trovò questo popolo [delle Due Sicilie, n.d.r.] del 1859 vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comperava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale».

Questa è un’eloquente risposta ai tanti denigratori di professione e non, che per oltre 150 anni hanno descritto il Regno delle Due Sicilie come un paese retrogrado e chiuso ad ogni forma di progresso; costoro dovrebbero studiare per bene le leggi, i decreti ed i vari provvedimenti dei re Borbone, per capirne la ratio moderna e liberale e che, a parere di chi scrive, sono un valido esempio di buona amministrazione da imitare. La medesima cosa dovrebbero fare i nostri economisti, politici ed amministratori, locali e nazionali.

Al patrimonio dello Stato napoletano si aggiungeva poi il patrimonio privato, in denaro, ori e preziosi, della famiglia reale borbonica, fra le più ricche d’Europa, unica ad avere ben quattro Regge (Napoli, Capodimonte, Portici e Caserta); ed a queste ricchezze i re molto spesso attingevano per la realizzazione di opere pubbliche. Alla morte di Ferdinando II nel 1859, il patrimonio dei Borbone fu quantificato in 6.000.795 ducati, pari a circa 300 milioni di euro. Dopo l’arrivo degli invasori del nord, di tale denaro non si è saputo più nulla!

Bastarono, infatti, appena sessanta giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Paese; nel giro di due mesi, infatti, le casse dello Stato napoletano vennero vuotate. Mai nel corso della sua millenaria storia, l’Italia aveva «veduto ladrocini simili a quelli che si ebbero a Napoli durante il periodo garibaldino... Nella capitale del Sud l’eroe dei due mondi, o dei due milioni, trovò denaro in abbondanza, e lo usò in modo sconsiderato, mentre i suoi seguaci si appropriarono indebitamente delle consistenti ricchezze personali di Francesco II e della dote di Maria Sofia. [...] Furono rubati tutti denari depositati nelle banche, tutti i preziosi custoditi nei musei, le opere d’arte nei palazzi reali e nobiliari, le armi negli arsenali e finanche beni personali nelle private residenze di molti cittadini».

A quest’ultimo riguardo, ascoltiamo anche due incontrovertibili testimonianze: quella di Vittorio Emanuele II, il quale, subito dopo l’incontro di Teano, così scrisse a Cavour: «...come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa...»; e quella di Francesco Guglianetti, segretario generale presso il ministero dell’Interno piemontese, il quale, riferendosi ai garibaldini che avevano approfittato della situazione, scrisse a Farini di aver saputo «da persona autorevole che parecchi, partiti miserabili, sono ritornati colla camicia rossa e colle tasche piene di biglietti da mille lire».

Purtroppo, le prove documentali contabili di tutti quegli orrendi sperperi, di tutti i soldi rubati ai Borbone ed al popolo delle Due Sicilie, e poi scialacquati in modo vergognoso ed inetto, finirono nelle profondità del mare delle Bocche di Capri, insieme al piroscafo Ercole ed al povero, ma onesto, poeta ed amministratore dei «Mille», il colonnello garibaldino Ippolito Nievo. Si trattò del primo «delitto di stato» perpetrato nella nuova Italia risorta.

Ma questa è tutta un’altra storia.

Ubaldo Sterlicchio

http://frontediliberazionedaibanchieri. ... cilie.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 18/04/2015, 19:31 
Immagine

Supponiamo io prenda 100 pezzi di carta.
Supponiamo tutti credano si tratti di biglietti da 100 (per una illusione collettiva). Vado da un falegname e chiedo che mi costruisca mobili per la casa.
Il falegname costruisce i mobili, prende i 100 pezzi di carta, con i quali paga in parte il fornitore, in parte i suoi operai ed in parte i suoi negozianti di fiducia.
Il fornitore si mette all’opera per fornire materia prima.
Tutti coloro che hanno ottenuto i vari pezzi di carta (sempre sotto illusione), a loro volta, si recano presso commercianti di fiducia per acquisti e i commercianti si mettono all’opera per procurare i beni richiesti, attivando, a loro volta, i grossisti.
Vi rendete conto che la ricchezza REALE è aumentata? Per il semplice fatto che a pezzi di carta straccia abbiamo dato VALORE di scambio.
Ma quei pezzi di carta che cosa valgono in realtà? Nulla. È solo carta.


Allora questa non è la prova FISICA che il denaro “fasullo” produce gli stessi effetti del denaro “buono”?
E se il denaro fasullo produce gli stessi effetti del denaro buono, ciò significa che il denaro buono, in sé, non vale … nulla.

Nell’esempio che ho fatto che cosa fa crescere la ricchezza? Il nostro LAVORO.
Il denaro ha soltanto la capacità di rendere possibile un lavoro che aumenta la ricchezza. È il nostro lavoro che dà valore alla Moneta. Senza il nostro lavoro la Moneta è carta straccia. Andate con un miliardo di euro in un’isola deserta e non lo usate neppure come carta igienica.

Se è il nostro lavoro che dà valore alla Moneta… perché ce la prestano ad interesse?!? Perché ad una Comunità Nazionale danno carta, mentre noi dobbiamo restituire più LAVORO del valore nominale della carta che ci hanno dato?
Benvenuti nell’Euro.

Fonte: https://www.facebook.com/gennaro.varone.7/posts/10206185209731505?pnref=story



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 19/04/2015, 03:05 
Troppo ovvia per essere notata questa illusione collettiva, una volta che te ne rendi conto ti senti un idiota per di più impotente perchè pur sforzandoti di far aprire gli occhi agli altri non potrai mai spezzare l'incantesimo.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 01/06/2015, 11:37 
Un simpatico racconto relativo all'inganno perpetrato dai banchieri attraverso la moneta...

Un sistema monetario basato sul debito L'isola dei naufraghi

http://frontediliberazionedaibanchieri. ... raghi.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 01/06/2015, 15:11 
bellissima! Interessante l'accreditamento sociale



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 Oggetto del messaggio: Re: Il grande inganno: la moneta e il prestito
MessaggioInviato: 18/06/2015, 09:56 
Fabbricano debito e diventano padroni di tutto, grazie a noi

Il nostro destino? «E’ molto semplice da capire», secondo Marco Della Luna, perché «la struttura socio-economica delmondo contemporaneo è caratterizzata da una classe bancaria globale che esercita il potere di creare dal nulla, e a costo zero, quantità virtualmente illimitate di simboli dotati di potere d’acquisto (mezzi monetari) e di strumenti finanziari convertibili in tali simboli, mediante il reciproco accreditamento contabile dei medesimi in un gioco di sponda tra banche, su scala mondiale».

Per giunta, la “classe finanziaria” esercita anche il potere e privilegio di creare, mediante erogazione dei prestiti a interesse, tutti i mezzi monetari di cui abbisogna il resto della società, divenendo così sua creditrice strutturale. «Per finire, questa classe privilegiata dispone anche delle agenzie che fanno il rating dei debitori nonché di un buon controllo manipolatorio su tutti i mercati».

Con queste premesse, non c’è scampo: «La politica è finita, i partiti si riducano a missionari antisociali della classe finanziaria e la partecipazione popolare alle decisioni rilevanti diviene impossibile, il principio di eguaglianza rimane un ricordo, mentre reddito e ricchezza sono oggetto di una redistribuzione inversa, cioè concentrante».

Per schematizzare al massimo, scrive Della Luna nel suo blog, «immaginatevi che io abbia il potere esclusivo di creare moneta, stampando pezzi di carta, che metto in circolazione prestandoli a interesse, e che la mia moneta sia accettata e domandata da tutti, e in quantità crescenti, per pagare (a me) gli interessi: gradualmente ma automaticamente divento creditore del resto della società per tutta la sua ricchezza reale, senza contribuire minimamente alla produzione di ricchezza reale».

Ovvero: «Non creo nulla per gli altri, ma gli altri mi saranno debitori di tutto il valore che creano». Questa caratteristica della società globale «dovrebbe essere la premessa ad ogni discorso etico, politico e costituzionale», invece è sempre sottaciuta. Quindi, ogni altro discorso risulta monco, irrealistico. Continuiamo a non “vedere” il ruolo decisivo di «una classe che ha la prerogativa di creare soldi dai soldi, producendoli dal nulla come simboli dotati di potere d’acquisto o comunque di potere di scambio sui mercati (cioè del potere di comperare il frutto del lavoro del resto della società), mentre il resto della società, l’economia reale, non lo può fare, e lavora per pagare gliinteressi sui debiti».

Una super-casta come l’élite finanziara, dunque, «accresce il proprio potere d’acquisto sottraendolo al resto del mondo e all’economia reale: quindi tendenzialmente compra tutto, diventa padrona di tutto, creditrice universale, sovrano politico, legislatore e governante globale incontrastato e senza opposizione, dotata com’è di un grandepotere di ricatto e di divide et impera».

E proprio questo è ciò che avviene nel mondo, aggiunge Della Luna, anche grazie al fatto che la popolazione, «nella sua illimitata ignavia collettiva», sostanzialmente sta al gioco, che non capisce, «perché pensa i simboli finanziari e monetari come valori reali, e li compra, investe in essi, li accetta come garanzia, gioisce quando le quotazioni salgono e patisce quando scendono». Così facendo, «assicura la domanda, quindi l’apparenza di realtà, di questi titoli stessi, e la legittima – legittima il potere di chi li genera e smercia.

Così l’uomo comune si fa veramente artefice del proprio destino, fabbro delle proprie catene», visto che non ha il coraggio di rifiutare «la legittimità di ogni ordinamento giuridico internazionale e nazionale che quel meccanismo ha creato», sistema «anti-umano, quindi “eo ipso” criminale». E allora «il destino del mondo è suggellato, finché il sistema non si rompa da sé, assieme ai suoi sigilli di legalità».

http://www.informarexresistere.fr/2015/ ... zie-a-noi/



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