LE QUATTRO PROFEZIE DI HAWKING
La scienza è una religione illuminante, un po’ testarda, solitaria e sicura di sé. Almeno su un tema, però, concorda con i fragili drammi intestinali della filosofia: la vita è ciò che trasforma l’avversità in un vantaggio. Se questo è vero, Stephen Hawking di Oxford, costretto dalla Sla su una sedia a rotelle per 54 anni, ha vissuto davvero. Morto settantaseienne il 14 marzo 2018, il cosmologo, fisico e matematico si è speso su temi filosofici cruciali a cui troppi umanisti (per cecità e snobismo, per comodità e impotenza) hanno rinunciato da tempo. Hawking, invece, è diventato una celebrata icona pop: protagonista dei Simpson, comparso in Star Trek, collaboratore degli One Direction e dei Pink Floyd. Apocalittico e insieme scientifico, Stephen verrà ricordato dai detrattori e dai fan come un essere con la testa di Einstein (collega di Q.I., tra 160 e 170) e il calamaio di Nostradamus. Il grande pubblico conosce la sua voce synth metallica, i suoi occhi vispi, i suoi arti rachitici, e in essi riconosce l’audacia di chi ha guardato oltre il perimetro tracciato dalla sedia a rotelle, oltre l’atmosfera terrestre, e soprattutto oltre i falsi problemi in cui è impaludato il senso comune. Di fatto, Hawking ha dedicato la vita a stanare il movente dell’Universo. Basta elencare i campi dei suoi principali contributi scientifici: la teoria dei buchi neri, la gravità quantistica, il multiverso (cioè l’esistenza di universi paralleli generati da altri Big Bang, in stile Matrix o Giordano Bruno), le radiazioni, l’evoluzione delle galassie, l’inflazione cosmica. Chi scrive ha competenze umaniste, e pertanto non può misurare le equazioni di Hawking, né assaporarne pregi e difetti. Mi è però possibile commentare piccole parti della sua attività di divulgatore scientifico, di profeta (la stessa che gli è valsa haters e fan) perché questa attività appartiene a quel campo verbale colpevolmente disertato da filosofi e intellettuali. L’opera di Hawking non sarà solo oro colato, ma è un prontuario di profezie. E le profezie, si sa, sono lezioni sul presente. Dove rotolerà il mondo secondo questo messaggero amorfo e arguto? Apro un suo video su Youtube. Lo fisso negli occhi chiari. Lo scienziato di Oxford mi sembra l’angelo della storia di Paul Klee e Walter Benjamin, uno che ha ricevuto i superpoteri dalla sfortuna e dalla malattia. Così ha scritto di lui Thomas Hertog, fisico e coautore dell’ultimo articolo di Hawking sugli universi paralleli: «Questo era Stephen: spingersi audacemente dove Star Trek non osa». Lo scienziato profeta, appunto, capitano di un’astronave libera dai limiti della scienza.
Profezia 1: sulla natura umana
«Se entro mille anni l’essere umano non avrà imparato a domare la propria aggressività, potrebbe autodistruggersi. Moriremo tutti e sarà colpa nostra. La tecnologia avanza a un ritmo tale che potremmo distruggerci con una guerra nucleare o batterica. […]. Abbiamo bisogno di essere più veloci nell’identificare queste minacce e agire prima di perdere il controllo. Ciò potrebbe significare che dovremmo affidarci a una forma di Governo Mondiale che potrebbe anche diventare una tirannia. Può sembrare un discorso un po’ catastrofico, ma sono ottimista. Credo che la razza umana saprà rispondere a queste sfide». Così parlò Stephen Hawking in un’intervista alla BBC. Era il 4 marzo del 2017. Pochi mesi dopo, all’inizio di luglio, sempre per la BBC, il fisico di Oxford tornò sugli stessi argonostri figli». La questione del clima, il rispetto per la Terra sono temi cruciali nell’interpretazione del pensiero di Hawking. Ma il nodo reale delle sue parole, il vero passo evolutivo da compiere per il trionfo della sopravvivenza, è un altro. E ricorda abbastanza da vicino quella che nei Minima Moralia il grande filosofo ebreo tedesco T. W. Adorno considerò l’unica missione della filosofia: cioè la lotta alla violenza. Altrimenti sarà tutto inutile. Se non sconfiggeremo la violenza, la violenza ci ucciderà tutti. Violenza: per Adorno come per Hawking è questo il Totem da abbattere. E di certo, stando alle recentissime minacce missilistiche sulla Siria, alle spy stories assassine tra Londra e Mosca, gli uomini sembrano ben lontani dall’imboccarla. Paiono piuttosto imbambolati a guardarsi l’ombelico nei loro pezzi di terra. E stanno fermi a proteggerli, al bivio tra sopravvivenza e autodistruzione, a fissare la clessidra che gli scorre davanti anziché cercare di rovesciarla. Certo, la sconfitta della violenza è tanto facile sulla carta quanto ingarbugliata nei fatti. E per comprenderlo bisogna rispondere a due domande. Cosa si intende per violenza? E chi desidera il male fine a se stesso? Se è facile rispondere “nessuno, o quasi” alla seconda domanda, è più complessa la soluzione alla prima. Non a caso, per vincere la partita contro l’aggressività, Hawking immagina un mondo guidato da “una tirannia”. Perché il potere della violenza sta nell’efficacia dei suoi alleati nascosti: la libertà (nel senso capitalista della libertà individuale alla proprietà privata) e la differenza tra gli uomini (sempre più larga e scardinata), su cui si fonda da tre secoli almeno l’esistenza stessa del soggetto (‘Io sono diverso da te, dunque sono’). Insomma, per sconfiggere la violenza vanno riformati libertà e Io, vanno rimodulati proprietà privata e singolarità dell’individuo, distrutte le religioni del denaro e della leadership. Facile a dirsi, appunto.
Profezia 2: benedette, diaboliche I.A
“L’intelligenza artificiale è la cosa più bella o più brutta accaduta all’umanità. Potrebbe significare la fine della razza umana. […]. Se le macchine finiranno per produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come le cose verranno distribuite. Tutti potranno godere di una vita serena nel tempo libero, se la ricchezza prodotta dalla macchina verrà condivisa, o la maggior parte delle persone si ritroveranno miseramente in povertà, se le lobby dei proprietari delle macchine si batteranno contro la redistribuzione della ricchezza. Finora, la tendenza sembra essere verso la seconda opzione, con la tecnologia che sta creando crescente disuguaglianza». Geniali robottini domestici, uomini cyborg con antenne al posto del ciuffo, lavatrici wireless, missili intelligenti e intelligenze artificiali operaie che diventeranno (anzi stanno già diventando) i produttori materiali dei nostri oggetti e le mani con cui si realizzano i nostri obiettivi. A sentire Hawking, il mondo somiglierà a quello auspicato dai raeliani (con la loro filosofia del Paradismo, in cui la carne si diverte e la macchina lavora) o dai transumanisti più o meno radicalizzati (le vite, secondo il fisico, potrebbero essere vissute solo in uno stato di “simulazione”, con i neuroni connessi a realtà virtuali in grado di riprodurre i sistemi sensoriali). Schiavizzeremo i robottini, non daremo loro l’opportunità di creare alcun sindacato delle I.A. Forse: «Non possiamo prevedere cosa riusciremo a raggiungere quando le nostre menti verranno amplificate dalle AI – dice Hawking – Probabilmente, con questi nuovi strumenti riusciremo a rimediare ai danni che stiamo infliggendo alla natura e forse potremmo essere in grado di sradicare povertà e malattie. Ogni aspetto della nostra vita verrà trasformato. Ma è anche possibile che con la distruzione di milioni di posti di lavoro venga distrutta la nostra economia e la nostra società ». Chissà, magari gli schiavi vinceranno anche stavolta (la schiavitù alla lunga ha vinto spesso nella storia). Ma siamo ancora una volta davanti a un bivio: l’I.A. è «la cosa più bella o la cosa più brutta». E in questa “o”, in questa indifferenza così profonda da meritarsi il nome della metafora per eccellenza (Dio), è racchiuso il destino dell’umanità. Bisognerà scegliere tra la vita e l’individualità, tra la libertà di esercitare potere e la prosecuzione della specie. Tutto dipenderà «da come le cose verranno distribuite», avverte ancora Hawking. Il processo non è ancora iniziato. Anzi. Bisognerebbe però affrettarsi, perché non c’è salvezza per tutti, e per ogni secondo di ritardo nella “distribuzione delle cose” si conterà un sopravvissuto in meno.
Profezia 3: alieni Vs UFO
«Per il mio cervello matematico i numeri da soli fanno pensare che è perfettamente razionale l’esistenza di alieni. […]. Il contatto con la vita aliena potrebbe essere disastroso per la razza umana. […]. Quando Colombo sbarcò in America, le cose non sono più andate così bene per gli indigeni. Questi esseri potrebbero sottomettere e colonizzare i pianeti a bordo di navi giganti. Basta guardare a noi stessi per vedere come potrebbe svilupparsi la vita intelligente in qualcosa che non vorremmo incontrare. […]. Se mai vi dovesse capitare di incontrare un alieno, state attenti: potreste essere contagiati da un virus contro il quale non possedete alcun anticorpo». Alieni o UFO? Non è la stessa cosa, e Hawking lo ha espresso chiaramente. Lungi dal credere agli avvistamenti terrestri, che reputava appunto “terrestri”, nel 2015 ha aderito al progetto del Seti alla ricerca di civiltà aliene. C’era anche Stephen di Oxford alla conferenza stampa londinese, successiva alla donazione record del miliardario Yuri Milner (uno dei magnati di Twitter, Spotify e Facebook, che nella fattispecie donò 100 milioni di dollari per il Seti). Lo scopo del progetto era intensificare le attività di osservazione di tre telescopi: il Parkes in Australia, il Lick Observatory in California e il Green Bank Telescope della West Virginia. Nel 2017 quest’ultimo riuscì a captare 15 segnali radio da una galassia nana lontana 3 miliardi di anni luce. Fenomeno suggestivo e ancora in fase di analisi, ma niente a che vedere con gli avvistamenti nostrani, che secondo Hawking «hanno una spiegazione più convenzionale, ed è quindi ragionevole affermare che UFO non identificabili abbiano un’origine altrettanto convenzionale» (strategie militari top-secret o fenomeni naturali). Il matematico non perde però la convinzione che un Universo intero abitato solo dall’uomo sarebbe uno spreco “catastale” infinito. Un alienista laico, insomma, che immagina un eventuale sbarco alieno in modo non troppo distante da come lo descrive Dick nel Sognatore d’Armi. Quindi Hawking torna sulla Terra: «Non vi è alcun segno della volontà di ridurre i conflitti, e lo sviluppo di tecnologie militari e di armi di distruzione di massa potrebbe causare un disastro. La speranza per la sopravvivenza della specie umana potrebbe essere instaurare colonie indipendenti nello spazio».
4. Dio, ovvero la gravità
«Einstein sbagliò quando disse: ‘Dio non gioca a dadi’. La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonde gettandoli dove non li si può vedere. […]. Probabilmente noi siamo dovuti al caso. Per una fortunata coincidenza, alcune molecole sbatterono a caso una contro l’altra, fino a quando si formò un insieme che poteva replicare se stesso. Lentamente cominciò un processo evolutivo che portò alle straordinarie forme di vita presenti sula Terra. La vita dunque, sembra essere figlia del caso, di particolari condizioni in un determinato spazio temporale. Penso che la vita sia un fenomeno abbastanza comune nell’Universo, ma questa è tutta un’altra storia». Il rapporto di Hawking con Dio è in minima parte controverso. Dio è una parola a volte nominata, e più volte confutata. In ogni caso, quello che più si avvicina a Dio, nel lucido laicismo di chi cerca le origini dell’Universo, si chiama forza di gravità: «L’intero Universo si è formato atomo dopo atomo come una grande opera di ingegneria cosmica. Questo processo è stato possibile grazie a una forza straordinaria: la forza di gravità. […]. Tutte le cose sono legate dalla forza di gravità. La forza di gravità ha cominciato a operare durante il Big Ben e da allora non ha mai smesso di operare». Così dice Hawking nel suo libro (e docufilm) La Teoria del Tutto. E ancora, in un’intervista radio del 2005: «Lo spazio-tempo euclideo è una superficie chiusa senza limiti, come la superficie della Terra. Si può considerare il tempo ordinario e reale come all’inizio del Polo Sud, che è un punto liscio dello spazio-tempo in cui le normali leggi della fisica reggono. Non c’è nulla a sud del Polo Sud, quindi non c’era nulla prima del Big Bang. […]. Prima del Big Bang l’Universo si trovava in un cosiddetto stato di singolarità, cioè la materia era ripiegata in uno stato denso, una schiuma quantica, all’interno di un guscio delle dimensioni di un atomo. Il tempo, qualsiasi cosa fosse, faceva parte di quella schiuma quantica». Se la forza motrice del tutto è la gravità, i buchi neri (uno dei campi in cui il contributo scientifico di Hawking è stato più intenso) diventano, se possibile, ancora più affascinanti. Detti in origine dark star, i buchi neri sono Corpi Celesti in cui la forza di gravità è così alta da ingoiare al loro interno ogni cosa, perfino la luce. Questo perché la pressione gravitazionale in un buco nero è tanto intensa che lo spazio occupato dal Corpo Celeste si trova in una condizione di continuo collasso. Tende cioè al volume nullo. Intorno a un buco nero si genera dunque una regione suggestivamente chiamata Orizzonte degli Eventi, che è il limite oltre il quale, prima di Hawking, si riteneva che nulla, né fotone, né particella, né onda, potesse uscire dal Buco Nero. Il fisico di Oxford rovescia questa teoria dimostrando che da un buco nero possano essere emesse delle radiazioni termiche, dette appunto, radiazioni di Hawking. Senza scendere nel dettaglio, quella di Hawking è tutt’ora una soluzione controversa e dibattuta dagli scienziati. Eppure, quando mettiamo insieme i frammenti del pensiero di Hawking, risulta chiaro che se Dio è la gravità, questa forza che ci attira inesorabilmente verso il basso, dobbiamo amarla e lottare in eterno contro di essa, per evitare che prenda il sopravvento e ci risucchi nel suo buco nero: «La mia scoperta è che i buchi neri non sono completamente neri », come dice lui stesso cercando di calcolare l’incalcolabile grandezza dell’Universo, la miracolosa assurdità della vita. Sempre più aggrovigliati nelle ragnatele che abbiamo fabbricato per tenerci occupati ed evitare di guardare oltre, abbiamo dimenticato quanto sia miracolosa l’esistenza. Ma Hawking, dalla sua sedia a rotelle, non ha fatto altro che ricordarcelo. Ci ha chiamati, ci chiama, e ci chiamerà a un gesto di sovrumana semplicità: a non sprecare l’occasione della vita. Ma non è facile. Lui stesso ipotizzava che, per evolvere davvero, all’umanità mancasse ancora qualcosa: l’acqua alla gola, la forza della disperazione.
Articolo di Gennaro Di Biase