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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 02/08/2015, 23:05 
I DERIVATI NEL MONDO: UNA BOMBA AD OROLOGERIA DA 1.5 QUADRILIONI DI DOLLARI

http://www.altrainformazione.it/wp/2015 ... i-dollari/

Quando investire diventa gioco d’azzardo, c’è sempre una brutta fine. Il prossimo crollo del debito potrebbe far sembrare quello del 2008-2009 una bazzecola. I dati della Bank of International Settlements (BIS) mostrano 700 trilioni di dollari in derivati nel mondo.

Insieme ai credit default swaps e altri strumenti esotici, il valore totale dei derivati è di circa 1.5 quadrilioni di dollari – circa il 20% in più che nel 2008, oltre ogni immaginazione, impossibile da controllare se ci fosse un problema imprevisto.

Il vecchio Bob Chapman l’aveva previsto. Allo stesso modo Paul Craig Roberts. Potrebbe facilmente “distruggere la civiltà occidentale”, secondo quest’ultimo. La deregolamentazione della finanza ha trasformato Wall Street in un casinò senza regole tranne quella di far soldi. Siamo in attesa di un fallimento catastrofico. È solo questione di tempo.

Ellen Brown definisce “il casinò dei derivati un ultimo estremo tentativo di creare uno schema piramidale privato” – che piano piano resta schiacciato dal suo stesso peso.

Per anni, Warren Buffet ha definito i derivati “bombe ad orologeria finanziarie” – per le economie e per la gente comune.


Nonostante i collaterali garantiti, il loro valore dipende dalla solvibilità delle controparti. I guadagni sui derivati sono “selvaggiamente sopravvalutati”, spiega Buffett – perché “sono basati su stime, la cui imprecisione potrebbe non rivelarsi per anni”.

Quando i boss chiedono ai loro dirigenti finanziari i profitti di ogni trimestre, loro, in risposta, chiedono quanto vogliono che siano, poi se è necessario modificano i numeri.

Dal 2008, le banche troppo grandi per fallire, si sono consolidate come non mai. Sono centri di potere politico-finanziari che controllano le economie del mondo a loro tornaconto.

L’unica speranza della civiltà è di spazzarli via – smantellarle in piccoli, impotenti pezzi, o idealmente rimettendo i soldi nelle tasche pubbliche a cui appartengono.

È troppo importante essere controllate privatamente. I predatori finanziari intrappolano le nazioni piccole o deboli in schiavi indebitati insolventi come la Grecia, li dissanguano, e fanno regredire le nazioni sviluppate in paludi distopiche – mentre loro diventano sempre più ricchi e più potenti di fronte ad un sistema corrotto che si sta distruggendo, decimando miliardi di persone in una miseria peggiore di quella in cui già stanno.

Gli editori del Washington Post sostengono ciò che va deprecato. Non preoccupatevi, siate felici, dicono. Il 23 luglio, hanno titolato “La posizione della Fed su banche e capitali è sensata”.

Uno studente medio di economia ne capisce di più. La Fed, controllata, posseduta e mossa da Wall Street, è il problema, non la soluzione. Gli interessi del denaro comprano i politici facilmente. Fanno leggi che aiutano gli affari, convincendo il Congresso a passarle in cambio di generosi contributi elettorali e altri favori speciali.

Il sistema economico-finanziario statunitense è un castello di carte pronto a crollare. Ma non secondo gli editori del Washington Post.

“Il sistema finanziario statunitense ha fatto significativi passi avanti verso l’essere meno influenzato dal bailout” la polvere che si appoggia sulla crisi del 2008-2009, dicono.

“Le grandi banche sono molto meglio capitalizzate che dieci anni fa” – abbastanza da “sopportare (un’altra) Grande Recessione”.

L’origine: l’ultimo “stress test” eseguito dalla Fed (a libro paga di Wall Street), reso pubblico in Marzo – ignorando la mostruosa bomba ad orologeria di derivati che li schiaccia tutti a fondo insieme all’intero sistema finanziario.

Gli editori del Washington Post sostengono i troppo grandi per fallire. Loro promuovono le cosiddette “economie di scala e il maggior soft power della politica estera statunitense.”

Verso la fine del suo secondo mandato Bill Clinton ha firmato una legge che abrogava la Glass-Steagall (Il Gremm-Leach-Bliley Act del 1999 – che ha permesso di fondere le banche assicurative, d’investimento e commerciali) e il Commodity Future Modernization Act (che permetteva uno scambio non controllato di qualsiasi bene e derivati).

Si protrae una cultura da casinò del “comunque vada”. Quando le controparti non hanno fondi per ripagare se richiesto, le bolle iniziano a sgonfiarsi. È solo una questione di tempo prima che l’attuale mania del mercato finisca.

Stephen Lendman vive a Chicago. Può essere contattato a endmanstephen@sbcglobal.net. Il suo ultimo libro si intitola “Flashpoint in Ukarine: US Drive for Hegemony Risks WWIII”n http://www.claritypress.com/LendmanIII.html. Il suo blog è sjlendman.blogspot.com

Fonte: http://www.globalresearch.ca/
- See more at: http://www.altrainformazione.it/wp/2015 ... aobbe.dpuf



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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 20/08/2015, 19:27 
Cita:
a bari
Bridgestone: “Tagliatevi lo stipendio”
No degli operai, 2 giorni di sciopero
I dipendenti rispondono con l’astensione dal lavoro oggi e domani alla lettera dell’ad
«Rinunciate agli scatti per salvare lo stabilimento come vogliono le vostre famiglie»

Hanno avuto l’intera pausa estiva per pensarci. E ieri, alla riapertura della fabbrica, gli operai della Bridgestone di Bari hanno deciso di confermare lo sciopero di 4 ore, oggi e domani, per protestare contro la richiesta di rinunciare alle maggiorazioni individuali in busta paga. Un appello arrivato in maniera inusuale: direttamente dall’amministratore delegato Italia Roberto Mauro con una lettera inviata a ognuno dei 750 dipendenti a ridosso della chiusura estiva dello stabilimento dello scorso 2 agosto: «Cara collega, caro collega» l’incipit della missiva con cui il numero uno dell’azienda ha avvertito i dipendenti che «senza la firma di ciascuno di voi sul documento allegato non sarà possibile proseguire il dialogo sindacale con l’obiettivo di scongiurare la chiusura dello stabilimento in una prospettiva di continuità nel gruppo Bridgestone come auspicato da te e dalla tua famiglia». Ecco perché per i 750 dipendenti dello stabilimento barese — unico sito produttivo in Italia del colosso giapponese degli pneumatici, presente anche a Roma con il centro ricerche e a Milano con il ramo commerciale — non è stata una pausa estiva come le altre.

La scrittura privata

L’allegato da firmare, infatti, è una scrittura privata che contiene la rinuncia a scatti di anzianità, compenso sostitutivo del cottimo, indennità turno, contingenza e altre indennità varie, compresa quella per la doccia. Un taglio a cui la maggior parte dei dipendenti aveva già detto no a fine luglio con una consultazione interna — una sorta di referendum in forma anonima — alla quale hanno partecipato circa 550 operai, il 60% dei quali si è dichiarato contrario alle richieste dell’azienda. Circostanza che ha indotto l’amministratore delegato a scrivere a ognuno dei dipendenti, suscitando l’irritazione dei sindacati: «Abbiamo ritenuto giusto — spiega Giuseppe Altamura, segretario generale Filctem Cgil della provincia di Bari — dare un segnale di risposta forte alla lettera dell’amministratore delegato». La conferma dello sciopero è arrivata dopo la ricognizione fatta ieri dai sindacati: circa 250 dipendenti — un terzo, quindi — ha aderito alla richiesta aziendale e quindi la maggioranza è ancora contraria al taglio della retribuzione individuale. In caso contrario lo sciopero non avrebbe avuto senso. Per Bridgestone, invece, non ha senso opporsi alle richieste: «L’azienda — è la posizione ufficiale — non sta chiedendo ai dipendenti e alle organizzazioni sindacali nulla che non sia incluso nell’accordo firmato da tutte le parti il 30 settembre 2013». E l’amministratore delegato lo ha sottolineato anche nella lettera: del percorso iniziato nel 2013 «manca l’ultimo miglio» e l’auspicio è che possa essere completato «prima dell’incontro decisivo già convocato al ministero dello Sviluppo economico il 2 settembre».

L’incubo del 2013

All’indomani del quale gli operai della Bridgestone rischiano di ritrovarsi nella situazione del 4 marzo 2013, quando l’azienda annunciò la chiusura dello stabilimento di Bari. Poi evitata grazie all’accordo ricordato dall’amministratore delegato che prevedeva 377 operai in meno, su 950, entro fine 2015 (restano ancora circa 180 esuberi) e la riduzione del costo del lavoro per complessivi 4,2 milioni. Che per i dipendenti si è già realizzata con il taglio medio di 400 euro in busta paga (da 1.700 a 1.300 contro i 1.100 richiesti inizialmente dall’azienda) e che per Bridgestone è da completare con «l’ultimo miglio»: all’incirca altri 200 euro.


http://www.corriere.it/economia/15_agos ... a46c.shtml


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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 20/08/2015, 19:37 
e tutto va a...


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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 21/08/2015, 12:55 
Thethirdeye ha scritto:
I DERIVATI NEL MONDO: UNA BOMBA AD OROLOGERIA DA 1.5 QUADRILIONI DI DOLLARI


O si fa un condono epocale dove si compensano tutti l'un l'altro (rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori) o quello che ci aspetta è un inverno nucleare... non ora, non tra un anno, ma prima o poi e non c'è alternativa...

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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 07:44 
Mi sbaglierò ma comincio a pensare che il collasso del sistema sarà causato proprio della Cina
Ho sempre visto il sistema cinese come la fase estrema del sistema concorrenziale basato sul libero mercato, l'ultimo atto.
Un modello di crescita che ha posto lo sviluppo davanti alle persone, all'ambiente ... la forma più estrema di concorrenza, un modello che ha contagiato altri paesi in via di sviluppo e lo stesso mondo occidentale.


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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 10:42 
Guerra delle valute: chi vince (Cina e Russia) e chi perde (Arabia Saudita)
Aggiunto da Francesco Meneguzzo il 24 agosto 2015.


Riyad, 24 ago – Il deprezzamento dello yuan cinese a metà agosto, in pratica l’abbandono dell’aggancio al dollaro statunitense, ha innescato un’ondata di mosse simili da parte di altri paesi, nel tentativo di tenere il passo con l’aumento della competitività cinese nelle esportazioni, e conseguentemente la caduta dei valori di numerose valute nazionali.

In tre giorni consecutivi la scorsa settimana, la banca centrale cinese ha svalutato la moneta nazionale, in totale del 4,4%. Questo passo, intenso appunto a rivitalizzare l’export, ha causato un effetto domino portando al panico e alle fluttuazioni nei mercati azionari in tutto il mondo, interpretati anche come alcuni dei segnali dell’inizio di una nuova fase recessiva globale.
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La raffica di svalutazioni monetarie, oltre che contribuire alla contrazione degli scambi commerciali a causa dell’aumento dei costi delle importazioni, si è sommata per i paesi produttori di materie prime, sia energetiche che minerali, ai problemi connessi alla caduta dei prezzi delle commodity più importanti, a partire dal petrolio, nonché – per i paesi più piccoli – alla pressione commerciale delle nazioni vicine più grandi.

È notizia di queste ore che l’indice Bloomberg delle commodity (BCOM) è sceso al livello più basso dal 1999, mentre le tariffe di noleggio dei container per il trasporto di merci dall’Asia all’Europa è crollato del 60% in tre settimane, fino a livelli difficilmente redditizi anche per le grandi compagnie di trasporto marittimo via container come la Maersk.
kazak-tenge

Il caso peggiore è quello del Kazakhstan, il più grande esportatore di petrolio dell’Asia centrale, alle prese sia con il crollo del prezzo del petrolio sia con la debolezza economica dei suoi maggiori partner commerciali, Cina e Russia. La valuta di Astana, il tenge, ha perso il 23% giovedì scorso dopo che il presidente a vita Nursultan Nazarbayev ha deciso di consentire la libera oscillazione del cambio.

In generale, nubi minacciose si addensano sulle finanze dei paesi asiatici più esposti alla dipendenza dalle economie maggiori, cioè quelle cinese, russa e kazaka. Tra questi, spiccano il Kyrgyzstan, il Tajikistan, il Turkmenistan e l’Armenia, con quest’ultima che ha visto già un deprezzamento della propria moneta del 15%. Anche la Bielorussia non si trova in migliori condizioni, la sua divisa avendo perso il 27% in un anno.

Una tigre asiatica emergente, il Vietnam, vero paradiso comunista del lavoro sottopagato, ha svalutato il suo dong per la terza volta quest’anno dell’1% sul dollaro mercoledì scorso, annunciando ulteriori deprezzamenti fino almeno ai primi mesi del 2016.

Il ringgit della Malesia è caduto al minimo da 17 anni giovedì scorso, e le riserve valutarie in divise straniere sono calate sotto i 100 miliardi di dollari per la prima volta in cinque anni.

Più vicino a noi, la Lira turca ha subito una delle peggiori performance nel mondo, perdendo oltre il 5% in seguito alla svalutazione cinese, ma il 9% in un mese e oltre il 25% in un anno, anche a causa delle instabilità politiche.
Ksa

La banca centrale dell’Arabia Saudita ha già speso 65 miliardi di dollari dalle sue riserve per preservare il valore del riyal sotto la pressione del calo del prezzo del petrolio e nonostante questo Bloomberg prevede una diminuzione di circa l’1% della divisa di Riyad entro il prossimo anno.

L’accelerazione dello sganciamento dal dollaro americano, tutt’altro che indolore come si vede, potrebbe in realtà essere stata favorita proprio dalla nota mossa saudita di sostenere a tutti i costi l’estrazione di greggio, finalizzata a mantenere le proprie quote di mercato, un’operazione che prevedeva per prima cosa l’annientamento dell’industria del petrolio di scisto statunitense.

L’obiettivo appare solo parzialmente raggiunto – in effetti le attività dell’industria estrattiva Usa si sono pesantemente ridimensionate, a metà marzo la produzione è divenuta stagnante e successivamente ha iniziato un declino abbastanza sostenuto – ma l’accesso al credito a bassissimo prezzo ha per il momento evitato il bagno di sangue.

A che prezzo, però? La situazione è ben diversa da quella del 1998, quando a fronte di prezzi del petrolio particolarmente bassi i costi di estrazione dai mega-giacimenti sauditi erano ancora molto contenuti (l’aumento è stato costante e sostenuto da allora), la popolazione contava 20 milioni di persone – oggi sono 30 milioni – e le spese pubbliche erano cinque volte inferiori rispetto a oggi. Ma la dipendenza delle entrate fiscali dal petrolio non è mutata, pari a circa l’80% del totale, non esistendo in pratica una tassazione sulle persone fisiche.

Secondo Bloomberg, gli economisti prevedono un deficit di bilancio pari al 20% del prodotto interno lordo e il Fondo monetario internazionale un il primo deficit commerciale in più di un decennio. Le riserve della banca centrale sono diminuite del 10% da un anno fa, cioè oltre 70 miliardi di dollari.

L’indice azionario della borsa saudita ha perso il 18% negli scorsi tre mesi, trascinando con se’ le altre borse della regione del Golfo.

La combinazione di tutti questi fattori potrebbe essere tale da costringere la monarchia saudita a invertire per la prima volta il trend del benessere estremo dei propri sudditi, rinunciando a garantire l’occupazione pubblica per tutti gli esclusi dalle occupazioni private, a fornire la benzina a 16 centesimi al litro e a evitare qualsiasi tassa personale (finora esistendo solo un contributo a fini religiosi).

“Il governo saudita non può continuare a essere il datore di lavoro di ultima istanza, né a pilotare la crescita economica per mezzo di giganteschi progetti infrastrutturali, così come non può ulteriormente sperperare risorse in sussidi e spesa sociale”, sostiene Farouk Soussa, capo economista per il medio Oriente della londinese Citigroup Inc.
ChinaRussiaOilImports

Una tale inversione di tendenza, che potrebbe apparire ovvia a opinioni pubbliche abituate da anni a raffiche di misure di austerità, dalle parti di Riyad minaccia invece di saldarsi con le mai sopite tensioni etniche e religiose e gli intrighi in seno alla famiglia regnante, fino a mettere a serio rischio la stabilità della stessa monarchia: “Queste sono cose assolutamente esplosive sul piano politico. La gente lì [in Arabia Saudita] è abituata a un certo stile di vita di super-lusso che è molto superiore a quello vigente nel 1998”, chiosa Soussa.

C’è di più: l’ostinazione saudita nel mantenimento delle più elevate quote di produzione del greggio, avendo probabilmente innescato tutta la serie di conseguenze descritte, ha di fatto indebolito pesantemente il sistema basato sul “petrodollaro”, base fondante di tutte le economie dei paesi esportatori. Lo sganciamento della Cina ne è la prova più eclatante, insieme al crollo degli scambi commerciali.

Ironicamente, poiché comunque l’Arabia Saudita continua a vendere petrolio soltanto in dollari, mentre altri Paesi nel mondo, come la Russia, ma anche Iraq e Angola, hanno deciso di accettare lo yuan come divisa di scambio, la competizione per il maggior mercato di petrolio del mondo, appunto quello cinese, si fa stringente per la monarchia dei Saud. “Con la svalutazione dello yuan, le importazioni cinese di petrolio dalla Russia beneficiano del fatto che questo paese ha iniziato ad accettare pagamenti in yuan fin dall’anno scorso”, sostengono gli analisti di Barclays in una nota. Tanto che Mosca ha soppiantato Riyad quest’anno, per la prima volta, come primo fornitore di petrolio a Pechino.

Francesco Meneguzzo

http://www.ilprimatonazionale.it/econom ... ita-29452/

...e se fosse l'inizio del crollo della globalizzazione????????????????? [:290]


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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 13:08 
Ci vorrebbe una bella analisi dal nostro Atlanticus...

Io non sono un esperto ma credo che lo scopo della svalutazione cinese sia quello di fare guerra economica al dollaro. Quindi la risposta che darei è forse sì.

Più di così non saprei dire... attendo nuove dal nostro esperto di fiducia.



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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 14:27 
Prima di qualsiasi tipo di analisi va ricordato che il tasso di cambio cinese è meno soggetto alle fluttuazioni di altri tassi, perché è controllato dalle autorità di Pechino, che hanno fissato dei valori di riferimento entro i quali la moneta può fluttuare. Ogni giorno, a fine seduta, la Banca centrale cinese interviene per evitare che i valori di riferimento fissati siano violati.

Solo con l'inizio di agosto la banca centrale cinese ha permesso che a stabilire la fluttuazione della sua moneta fosse il mercato e non è intervenuta a correggere l’oscillazione del valore dello yuan decretandone di fatto un deprezzamento.

Questa maggiore liberalizzazione del cambio è in realtà una esplicita richiesta del Fondo Monetario Internazionale come condizione per includere lo yuan tra le valute di riserva di cui fanno parte il dollaro, l’euro, la sterlina e lo yen, le monete di riferimento del mercato valutario mondiale e la Cina vuole che la sua moneta entri nel gruppo delle monete di riserva, anche per allentare la sua dipendenza dalle fluttuazioni del dollaro.

Per anni, la Cina, garantendo un tasso di cambio stabile, si è tenuta alla larga dalla guerra delle valute cosa che potrebbe invece iniziare con tutta la sua violenza se la valutazione dello Yuan dovesse essere di fatto soggetto esclusivamente ai mercati e non più stemperato dall'intervento della Banca Centrale cinese.

Questo deprezzamento non è piaciuto agli Stati Uniti, che chiedono alla Cina da anni di non deprezzare la sua moneta per ovvi motivi di concorrenza sul dollaro. E questo tema sarà sicuramente al centro delle discussioni tra il presidente cinese Xi Jinping e l’amministrazione statunitense nel corso del suo prossimo viaggio negli Stati Uniti, previsto a fine settembre, momento fondamentale per le sorti del mondo. La Federal reserve, la banca centrale statunitense, potrebbe rimandare la decisione di alzare i tassi d’interesse, che era attesa a breve.

A questo punto le conclusioni a cui posso giungere sono molto strane.

Il FMI sta pilotando di fatto la più grande crisi economica valutaria che l'economia capitalista abbia mai visto, sacrificando sull'altare del NWO proprio il dollaro e gli USA i quali necessariamente dovranno passare il timone del predominio sul mondo alla Cina, forse anche attraverso il passaggio di una guerra che resetti l'intero apparato finanziario troppo inquinato da derivati e porcate varie.

Dovremmo domandarci il perché di questo... e la risposta che mi sto dando è oltremodo inquietante e si collega a questo discorso...

viewtopic.php?p=400496#p400496

Come cercherò di spiegarlo in seguito se troverò tempo di redigere un articolo per UfoPlanet



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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 15:53 
Chiaro...

La domanda a questo punto è:

la leadership cinese fa tutto questo per raccogliere il testimone del NWO passato dal FMI
o sta perseguendo un proprio piano di vittoria indipendente dalle logiche del NWO [?]

Perchè la loro mossa è nel pieno interesse dell' espansione dell' influenza cinese...


Il che ci riporta al vecchio dubbio: il blocco dei BRICS è alternativo al NWO o è solo un diverso pretendente alla corona rispetto a quello atlantico [?] [:291]



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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 16:09 
Aztlan ha scritto:
il blocco dei BRICS è alternativo al NWO o è solo un diverso pretendente alla corona rispetto a quello atlantico [?] [:291]


Gran bella domanda amico mio...

Domanda che personalmente mi sto facendo da tempo e più recentemente anche su altri aspetti della ricerca 'alternativa'...

[8]



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 Oggetto del messaggio: Re: Collasso Economico Globale
MessaggioInviato: 25/08/2015, 16:29 
Già... Come dice il proverbio non sappiamo di che morte morire...



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MessaggioInviato: 25/08/2015, 19:21 
...recentementele 2 entita'avevano parlato di collaborazione,ma a volte le parole valgono poco,contano i fatti........... [:291]


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MessaggioInviato: 25/08/2015, 19:26 
Pechino, 25 ago – Secondo Allen Sigman, della London School of Economics, il mercato azionario cinese si è dimostrato fragile e precario come molti analisi avevano da tempo previsto: “Certamente apparivano brillanti dall’esterno, ma chiunque li abbia conosciuti da vicino [i listini azionari cinesi] sapeva che erano qualità talmente bassa da non essere destinati a durare”, aggiungendo di non sorprendersi per il crollo di lunedì “in quanto ignoravano tranquillamente le regole, e le ispezioni erano una barzelletta. La sola sorpresa è stata che non siano crollati prima”.

Dopo i tonfi record di ieri (Shangai a meno 8,5%), e nonostante un’ulteriore iniezione di liquidità di 150 miliardi di yuan (circa 24 miliardi di dollari) da parte della banca centrale di Pechino, la frenesia delle vendite non si è placata oggi a Shanghai, dove l’indice composito è sceso sotto i 3mila punti, tornando ai livelli della fine del 2014, con una perdita del 7,6%. Giornata nera anche per il Nikkei giapponese, che ha ceduto il 3,96% a 17.806 punti. Chiusura positiva invece per la Borsa di Hong Kong e per il Bombay Stock Exchange di Mumbai, in India, dopo le forti perdite di ieri.

A mercato cinese chiuso, poi, il governo della Repubblica popolare per mezzo della sua banca centrale (Pboc) ha deciso di tagliare sia i tassi d’interesse, di 25 punti base, sia la riserva frazionaria obbligatoria delle banche, cioè il livello di garanzia sui depositi, di ben 50 punti base, portando quest’ultima al 18%.

Sono state molto probabilmente queste ultime due misure a innescare il recupero delle borse europee, con Milano oltre il 4% – la migliore performance nel vecchio continente dopo Atene (ma ieri era stata la peggiore, sempre dopo la piazza greca) – e tutti gli altri sopra il 3%. I listini europei erano stati aiutati nel rimbalzo anche da dati migliori rispetto alle attese provenienti dalla Germania, in particolare l’Ifo – indice di fiducia delle imprese.
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Perfino le quotazioni del petrolio riprendono leggermente, con il Wti americano oltre i 39 dollari al barile.

Per tornare al tormento dell’economia cinese, non si può evitare di notare una sovrapposizione di misure innovative rispetto al passato e dell’applicazione di ricette mutuate dall’esperienza del capitalismo finanziario americano.

Se la svalutazione dello yuan, attesa e temuta da tempo ma non per questo meno dirompente, ha portato e porterà ancora di più in futuro a un riassetto globale dei mercati valutari, con vincenti e perdenti come illustrato su queste colonne, nonché a un più corretto dimensionamento della stessa economia cinese, il taglio del tasso d’interesse sui prestiti e i depositi e della riserva bancaria obbligatoria rischiano di inondare nuovamente i listi azionari di liquidità senza riscontro nelle effettive performance delle aziende quotate fino alla generazione di nuove bolle speculative destinate all’inevitabile implosione.

Una delle principali funzioni, o comunque delle fondamentali conseguenze, delle bolle azionarie è quella di consentire agli operatori incombenti – le grandi banche d’affari e le oligarchie finanziarie mega-ricche che le governano – di vedere aumentare a dismisura i propri utili, mentre il collasso delle medesime bolle, grazie alle vendite preventive degli stessi operatori a prezzi ancora elevati e del resto del parco buoi di piccoli investitori a prezzi molto più bassi, consente generalmente ai grandi di appropriarsi a buon mercato di ulteriori e preziosi asset industriali e finanziari, in un ciclo che vede pochissimi vincitori e masse sterminate di perdenti.

Di più, la proprietà degli asset reali presenta un sostanziale vantaggio rispetto al possesso di liquidità, in quanto consente di prescindere, almeno fino a un certo punto, dal valore della specifica divisa nazionale, mettendo gli operatori incombenti al riparo dal rischio di svalutazioni più o meno competitive.

Sotto questa luce, le mosse delle banche centrali intese apparentemente a contrastare, non a caso sempre tardivamente, i crolli dei listini azionari con misure intese a stimolare la liquidità e anche a prescindere dai fondamentali economici, dovrebbero essere generalmente guardate con sospetto. Del resto, l’unanime appello degli analisi delle grandi banche d’affari per tali misure non fa che confermare questa che è qualcosa di più di un’impressione.

Sullo sfondo, la questione del dollaro americano che, se in teoria potrebbe essere anche abbandonato dagli operatori incombenti ricchissimi di asset reali a favore di altre valute, costituisce pur sempre la base del potere Usa, a sua volta riflesso nella egemonia militare di quel paese a servizio proprio della grande finanza. Indebolire la propria potentissima polizia privata potrebbe non essere una buona idea da parte dei potentati economici.

Per il momento, allo scopo di sostenere (con un certo successo, per altro) il valore del dollaro e impedire la transizione ad altre valute di riferimento, la Federal Reserve ha dovuto soltanto promettere l’aumento dei tassi d’interesse, oggi compreso tra lo zero e lo 0,25%, rimandandolo ogni volta a un futuro sempre meno definito. Oggi, la caduta dei listini azionari potrebbe, al contrario, indurre la Fed a prospettare, come sta facendo la sua omologa cinese, a riprendere invece una politica monetaria espansiva, così da riavviare il processo di costruzione di una nuova gigantesca bolla azionaria senza aver pagato alcunché in termini di valore della divisa di Washington.

D’altra parte, però, esiste una variabile necessaria al funzionamento di tutto questo circolo vizioso, precisamente la presenza e dimensione di uno sterminato pubblico di piccoli e piccolissimi investitori disposti a sognare, sperare, e per lo più a farsi rapinare. Nessuno sa se e quando un collasso particolarmente doloroso dei listini azionari potrebbe indurre anche lo sperduto contadino cinese con sogni di gloria a comprendere che il mercato azionario non è diventato altro (se mai è stato qualcosa di molto diverso, sebbene con volumi infinitamente ridotti) che una bolla gonfiata artificialmente senza basi reali, e a ritirarsi dalle speculazioni di borsa per preservare almeno i propri risparmi. Una questione, quindi, di natura molto psicologica ma assolutamente determinante, che le banche centrali tentano periodicamente di rimuovere dalla scena. Solo quando questo gioco delle oligarchie finanziarie non dovesse più funzionare, allora le cose potranno farsi davvero interessanti.

http://www.ilprimatonazionale.it/econom ... ese-29550/


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MessaggioInviato: 25/08/2015, 20:58 
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Rallentano le vendite per la prima volta dal 2013 Dove andranno gli smartphone senza la Cina? - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 67656.html


http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 67656.html

Cita:
Crollo delle Borse, il 'paperone' cinese Wang perde 4 mld di dollari in due giorni


http://www.adnkronos.com/soldi/economia ... nsQsK.html

Cita:
Crisi Cina, Vaciago: "Contagio vicino, i leader dormono"

L’economista, presidente di Ref Ricerche, vede nero


http://www.quotidiano.net/crisi-cina-vaciago-1.1244377

Cita:
Crisi Cina: statistiche non veritiere potrebbero nascondere uno scenario ancora peggiore


http://www.radio24.ilsole24ore.com/noti ... gSLA8WONKB


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