La Catalogna potrebbe invece aprire un varco molto
ampio relativamente ad altre possibili richieste di indipendenza
da parte di "Comunità" che con questa
EUROPA non vogliono più avere a che fare.Quindi alla domanda: "perchè dovrebbero impedirlo ai catalani?" risponderei perchè se passa l'indipendenza
catalana, potrebbe passare anche l'indipendenza, chessò, della Sardegna. E poichè l'Europa tutto è meno
che DEMOCRATICA, viene da sè che farà di tutto per SABOTARE questo referendum.
Staremo a vedere.
Se ci riescono, io mi trasferisco in Catalogna...
A tal proposito un punto di vista alternativo ed in parte condivisibile.
Referendum lombardo-veneto sull’autonomia: i poteri del 1992-1993 tornano all’attaccoDI FEDERICO DEZZANI
federicodezzani.altervista.org
Si respira una pessima aria in Spagna, dove la determinazione di Madrid di impedire il referendum sull’indipendenza della Catalogna si contrappone alla volontà dei secessionisti di svolgere comunque la consultazione. Benché Bruxelles sostenga formalmente il governo centrale iberico, sono molte le pressioni perché l’Unione Europea si proponga come “intermediario” tra le due parti, legittimando così i secessionisti: lo smembramento della Spagna e dell’Europa meridionale coincide, infatti, con l’ultimo stadio dell’eurocrisi. Collegati al voto catalano, sono i due referendum per l’autonomia che si terranno il 22 ottobre in Lombardia e Veneto: gli stessi poteri che sferrarono l’assalto del 1992-1993, hanno oggi condotto l’Italia al default e mirano a smembrare il Paese.
Perché l’Italia deve osservare da vicino quanto accade in Spagna e prepararsi al peggio
Nell’autunno del 2017 è ufficialmente subentrata la penultima fase dell’eurocrisi: sovraccaricata l’Europa meridionale di tensioni economiche /sociali e portato il livello di indebitamento pubblico a livello critico grazie alla moneta unica, si fomentano le spinte secessionistiche in seno ai membri più deboli, in vista di un default più o meno ordinato e lo smembramento dei medesimi. Su questo piano, Spagna ed Italia si trovano appaiate: maggiori le spinte secessionistiche e minore il debito pubblico nella prima, situazione inversa nella seconda. È questa la ragione per cui noi italiani dobbiamo osservare attentamente quanto sta avvenendo in Spagna, capire le dinamiche, le forze coinvolte, gli interessi dei diversi attori: ne va, dopotutto, del futuro del nostro Paese.
Sul referendum secessionista e sul suo inquadramento in un contesto geopolitico, abbiamo scritto di recente: la consultazione per l’indipendenza della Catalogna si inserisce nel più ampio disegno di un superamento degli Stati nazionali, svuotati in alto da un’Europa federale e in basso dalle “macroregioni” e/o dai particolarismi etnico-linguistici.
Si tratta, ovviamente, di un processo che richiede molta delicatezza nella realizzazione, in quanto la posta in gioco è l’integrità territoriale degli Stati membri dell’Unione Europea stessa: la condotta adottata è quindi quella di sdoganare, passo dopo passo, giorno dopo giorno, la secessione di alcune aree, evitando chiare prese di posizioni e pericolosi sbilanciamenti. La Corte Costituzionale iberica vieta lo svolgimento del referendum iberico? Non tutte le Costituzioni hanno lo stesso peso, a leggere i giornali. Il governo centrale chiede il rispetto della legge? Il referendum è sempre un esercizio di democrazia e poi, non è neppure vincolante! Madrid difende legittimamente l’inviolabilità dei suoi confini? La Catalogna non è mai stata davvero Spagna, a essere precisi. Un abile trucco, già utilizzato in Libia per sugellare lo spaccamento del Paese in due entità, è quello che la comunità internazionale offra la propria “intermediazione” nel braccio di ferro, sancendo così l’esistenza di due legittimi contendenti, quando la fazione secessionista è, in realtà, illegale.
Scrive a proposito l’Istituto Affari Internazionali, fondato nel 1965 da Altiero Spinelli e pienamente ascrivibile all’establishment euro-atlantico1:
Nella crisi politica spagnola, l’Unione europea è un attore che può e deve quindi giocare un ruolo importante. Da un lato, essendosi fatta garante dei localismi e del rispetto delle diverse culture e religioni, in un melting pot che da sempre la caratterizza, l’Ue si trova ora chiamata in causa per difendere i diritti dei catalani, che fanno leva sul concetto di cosmopolitismo europeo per rilanciare la legittimità della propria richiesta di indipendenza. Dall’altro, non è compito delle istituzioni europee di intervenire in Spagna.”
Bruxelles non deve rispettare tout court le scelte di Madrid, ma deve difendere i diritti dei catalani (disconosciuti dalla Corte Costituzionale iberica) ed il loro “cosmopolitismo europeo” (musica per le orecchie dello IAI). Non è certo un caso se il sindaco di Barcellona, Ada Colau, abbia proprio seguito il copione suddetto, chiedendo la mediazione dell’Unione Europea, perché Bruxelles “non può non reagire alle minacce ai diritti e alle libertà fondamentali che l’offensiva di Madrid provoca in Catalogna2”.
Chiarita la dinamica di fondo (il tentativo di Bruxelles e dell’establihsment liberal di smembrare gli Stati nazionali), è facile individuare chi sia contrario a questo disegno. Si oppone, ovviamente, il “populista” Donald Trump, messo sotto assedio in patria da quegli stessi poteri che fomentano la secessione della Catalogna: ricevuto il premier Rajoy alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha ribadito la necessità che “la Spagna rimanga unita, perché è un grande Paese”3. Dello stesso parere è la Russia di Vladimir Putin: gigantesco Stato multi-etnico e multi-religioso, già vittima di un tentativo di smembramento da parte dell’establishment liberal appena dopo il default del 1998 (si veda la guerra in Cecenia), la Federazione russa non ha alcun interesse ad alimentare le spinte centrifughe in un Paese storicamente amico come la Spagna (idem per l’Italia). Le accuse mosse da El Pais4 alla Russia di lavorare segretamente per la secessione di Barcellona, sono classica “disinformazione”, cui abboccano, in primis, i micro-nazionalismi à la Lega Nord. Non ha alcun interesse a smembrare la Spagna, infine, la Repubblica Popolare Cinese, che scruta con attenzione ogni mossa atlantica tesa a separarla da Tibet e Formosa. È probabile che anche Tel Aviv sia contraria alla secessione della Catalogna: forte sono i parallelismi con il rapporto Stato d’Israele/Palestina.
Elencati gli attori in scena e gli interessi divergenti, non rimane che augurarsi che il fronte “sovranista-nazionalista” abbia la meglio su quello “globalista-secessionista”: e che abbia la meglio ad ogni costo, compreso il (legittimo) ricorso alla forza da parte di Madrid. La situazione peggiora, infatti, giorno dopo giorno e non è escludibile che il governo centrale debba ricorrere al massiccio dispiegamento della Guardia Civil (la nostra Arma dei Carabinieri) di fronte alla ostinazione degli indipendentisti (supportati da Bruxelles & co.) di svolgere comunque il referendum: domenica 1 ottobre, si rischia quindi di assistere ad un’esplosione della tensione dove, constato il sostanziale ammutinamento della polizia locale catalana5, emergerà con chiarezza il ruolo della polizia militare come garante dell’unità nazionale (e ciò, continuando il parallelismo con l’Italia, spiega le manovre messe in campo ultimamente per indebolire l’Arma dei Carabinieri6).
L’interesse italiano è che, il primo ottobre, il governo iberico stronchi a qualsiasi costo le pulsioni separatiste ed ristabilisca un ordine duraturo: il prossimo Paese nella lista, come dicevamo, è infatti il nostro. Il referendum catalano avrebbe dovuto (e dovrebbe tuttora) fungere da apripista per due iniziative analoghe: i referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto del 22 ottobre. Qualcuno potrebbe obbiettare che si tratta di “autonomia” e non di “secessione”, ma conta soprattutto il messaggio politico che, con questa consultazione, la Lega Nord vuole lanciare al resto del Paese: la “macroregione del Nord” lavora per svincolarsi dal resto dell’Italia.
Sulla natura massonico-atlantista della Lega Nord scrivemmo in tempi non sospetti, quando analizzammo il tormentato biennio 1992-1993. Aggiungiamo soltanto che i promotori del referendum sono Roberto Maroni, leghista della prima ora, ex-ministro dell’Interno e storico uomo di fiducia degli Stati Uniti, e Luca Zaia, presidente di una regione dove è ben visibile la presenza NATO: l’iniziativa dei due non è certamente autonoma, ma va piuttosto ricondotta agli stessi ambienti che appoggiarono le manovre secessionistiche del 1992-1993 (c’è sempre il solito George Soros di mezzo, benché invecchiato). Sottoposto il Paese ad una micidiale cura di austerità, esasperate le tensioni sociali ed economiche, portato scientemente il debito pubblico a livelli record, l’Italia è oggi più fragile che mai. Un “sì” all’autonomia di Lombardia e Veneto, seguito da un governo vacante dopo le elezioni del 2018 ed un default controllato o caotico, sarebbe il prodromo della balcanizzazione del Paese: le regioni del Nord-Italia sarebbero staccate dal resto del Paese per annetterle al nocciolo franco-tedesco federale o, più probabilmente, alla “Grande Germania”.
“Sì all’Europa delle regioni”, “Alto Adige ai tedeschi”, “Non comprate i titoli di Stato italiano” gridava nel 1993 la coppia Umberto Bossi-Gianfranco Miglio7, mentre i Btp affondavano, la lira precipitava, le bombe dei servizi seminavano lo sconcerto ed i pescecani dell’alta finanza facevano a brandelli l’IRI. “Sì all’Europa delle regioni”, “Sì alla macroregione alpina”, “Sì alla permanenza nell’euro” grideranno probabilmente Roberto Maroni e Luca Zaia quando, in un futuro non troppo lontano, l’Italia sarà spinta al default. Si completerebbe così l’opera avviata dopo il crollo della Prima Repubblica: saccheggio delle imprese pubbliche, taglieggiamento dei risparmi residui, smembramento del Paese.
Si eliminerebbe così dalla carta geografica un Paese che, seppur soltanto durante la breve parentesi del periodo fascista, ha dimostrato grandi potenzialità geopolitiche, grazie alla sua doppia natura di Stato continentale e marittimo: protetto al Nord dalle Alpi, che lo incastonano allo stesso tempo nell’Europa Continentale, l’Italia domina naturalmente il Mar Mediterraneo grazie alla sua posizione. Una spina nel fianco per la massa terrestre e una base ideale per qualsiasi operazione nel Mediterraneo. La divisione dell’Italia riporterebbe la penisola al XIX secolo, dove gli austriaci (ora tedeschi) controllavano il Nord-Est, francesi ed inglesi si contendevano il controllo del Meridione e nessuna potenza significativa occupava il quadrante mediterraneo.
Che fare, quindi? Come evitare la balcanizzazione del Paese?
Come in Spagna, bisogna essere pronti a soffocare a qualsiasi costo le pulsioni secessionistiche, tenendo ben presente che i particolarismi locali (micro-nazionalismo veneto, lombardo, sardo e siciliano) sono semplici pedine dell’establishment euro-atlantico. Dall’altro lato bisogna traghettare l’Italia fuori dalla gabbia dell’eurozona, una gabbia che ha ormai portato l’Italia ad un passo del default e ha reso possibile il suo smembramento. Come nel caso iberico, amici e nemici del nostro Paese sono chiari. Russia, Cina e, forse, Trump, tra i primi. La UE/NATO, Soros ed i masso-secessionisti tra i secondi.
La partita, arrivati all’ottobre del 2017, si avvicina alla fine: è il tempo delle scelte.
Federico Dezzani
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org