ARTISALLsottovento ha scritto:
Ma io conoscendoli sono ben felice che non ci siano stati accordi con Salvini perché se un governo-alleanze 5 Stelle/Lega avesse fatto cilecca dopo il Pd sarebbe ritornato più forte che mai e non ce li saremmo più tolti di torno. Invece adesso i 5 Stelle dovranno sudare 7 camicie per metter su uno straccio di governo senza la certezza che duri mentre nel contempo Salvini tesserà la tela di un governissimo di Centrodestra che avrà la sua rivincita su tutti e darà certezze all'Italia.
Un'alleanza Movimento 5 Stelle/Lega non sarebbe mai potuta esistere per diversi motivi.
Comunque,
Post inviato in questo thread il 31/03/2017, 14:39
sottovento ha scritto:
Non sano più che inventarsi per dargli contro: Cia, Russi, prima la Raggi e prima ancora la storia di Quarto e per finire Pizzarotti. Non hanno capito che la gente li vota perché si è stufata di quella politica che ci ha ridotti come stiamo cioè in maniche di mutande. E non è un caso che tutte le volte che provano a montare uno scandalo sui 5 Stelle nei sondaggi essi anzicchè calare aumentano, segno che la gente ha capito l'andazzo. Oramai hanno il vento in poppa e rappresentano l'unico vero voto antisistema, anticasta chiamatelo come preferite ma soprattutto sono gli unici che non scendono a compromessi e non fanno alleanze altrimenti sarebbero come tutti gli altri.
Io penso che la storia si ripeterà, avete presente il successo di Berlusconi dopo Mani Pulite? ecco secondo me i 5 Stelle avranno un plebiscito analogo sperando che la maggior parte degli italiani abbiano aperto gli occhi su come gli altri hanno ridotto questo paese.
Esempio di come sono tutti gl'altri:
Il Senato con il salvataggio di Minzolini viola il principio di legalitàAlcuni giorni fa in Senato,
PD, NCD, FI e Lega Nord hanno salvato dalla decadenza il Sen. Minzolini, nonostante su di lui penda sin dal 2015 una sentenza di condanna definitiva per peculato e l'interdizione dai pubblici uffici. Avrebbero dovuto solo applicare la Legge Severino ed invece l'hanno palesemente violata. Così come è stato violato il principio costituzionale dell'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Abbiamo chiesto, dunque, al Prof. Valerio Onida (giurista italiano, Giudice della Corte Costituzionale dal 1996 al 2005, Presidente della Corte Costituzionale dal 2004 al 2005 e professore di Diritto Costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano) quali fossero le sue osservazioni in merito alla decisione del Senato. Ecco la sua risposta che pubblichiamo integralmente. Ringraziamo il Prof. Onida per la sua disponibilità.
di Valerio Onida
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Il voto del Senato sulla decadenza del sen Minzolini è ovviamente legittimo sul piano formale (a ciò era chiamata l’aula, dopo l’istruttoria e la proposta della Giunta delle elezioni, come sempre accade quando si tratta di dirimere una questione di ineleggibilità: art. 66 Cost.): ma nella sostanza si è trattato di una delibera contraria alla legge (al decreto legislativo emanato in base alla legge “Severino”), e che contraddice perciò questa legge pur approvata a suo tempo dal Parlamento.
Infatti la legge dice che “non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore”, fra l’altro, “coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione” per delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Si tratta dunque di una causa sopravvenuta di ineleggibilità prevista dalla legge, e al Senato spettava solo accertarla e trarne le conseguenze dichiarando la decadenza del senatore condannato.
La legge dice ancora che quando la causa di “incandidabilità” sopravvenga “nel corso del mandato elettivo”, la Camera di appartenenza “delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”: quello in base al quale ciascuna Camera giudica, fra l’altro, “delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Si dice: ma se è il Senato a giudicare, allora esso poteva decidere come voleva. No: “giudicare”, secondo la precisa terminologia dell’art. 66 della Costituzione, non vuole dire decidere discrezionalmente, ma dirimere una controversia concreta applicando la legge. Come fa ogni giudice, che è appunto “soggetto alla legge” (art. 101 della Costituzione). Cosa direste di un giudice che decidesse le cause di propria testa, secondo il proprio arbitrio, senza aver riguardo a ciò che prevede la legge?
Nel caso, la legge è chiarissima nello stabilire come presupposto della incandidabilità (ineleggibilità) sopravvenuta una cosa sola: l’esistenza di una sentenza definitiva, cioè non più impugnabile, del giudice penale che condanni l’interessato a una certa pena, per un certo tipo di reato. Questo il Senato era chiamato ad accertare, traendone obbligatoriamente, in caso di accertamento positivo, la conseguenza della dichiarazione di decadenza. Il Senato invece non ha negato che vi fosse il presupposto legale della decadenza: ha semplicemente rifiutato di dichiararla.
Che si trattasse di un vero e proprio giudizio, da condurre secondo la legge, risulta anche dal fatto che il procedimento si è svolto, come doveva, nel contraddittorio con l’interessato (il sen. Minzolini e il suo avvocato hanno infatti partecipato al procedimento davanti alla Giunta delle elezioni incaricata dell’istruttoria, sostenendo le loro tesi) e addirittura anche con colui che, se il sen. Minzolini fosse decaduto, avrebbe avuto diritto di subentrare a lui in Senato come primo dei non eletti nella stessa lista (il quale però ha rinunciato a comparire).
Ma allora perché affidare al Senato, anziché a un giudice “vero” (terzo e imparziale) la soluzione della controversia? Perché l’articolo 66 della Costituzione, in omaggio ad una antica tradizione, ha voluto assicurare al massimo grado l’autonomia delle Camere anche quando si tratta di dirimere controversie giuridiche riguardanti la loro composizione: perché in antico il Parlamento era geloso della propria indipendenza rispetto al Sovrano, da cui non erano del tutto indipendenti invece i giudici. Questa forma di autonomia è oggi un poco anacronistica, e infatti sarebbe auspicabile prevedere, per esempio, che a decidere in ultima istanza su tale tipo di questioni debba essere un organo imparziale, come la Corte costituzionale (riformando l’art. 66 della Costituzione). Ma ciò non significa comunque che oggi le Camere possano decidere (giudicare) su tali questioni secondo il loro arbitrio: anch’esse debbono applicare la legge che prevede i requisiti di eleggibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenute.
Se poi il Parlamento non fosse più d’accordo su ciò che dispone la legge, la dovrebbe cambiare: non disapplicarla in un caso concreto, creando così una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altri casi simili (si pensi al caso Berlusconi).
In realtà almeno alcuni dei senatori che hanno votato contro la decadenza del sen. Minzolini – tra i quali si trovano persone, come il sen. Luigi Manconi, ben noti per il loro meritorio costante atteggiamento a difesa dei diritti fondamentali – devono essere incorsi in un equivoco: scambiando la votazione, a cui erano chiamati a partecipare in vista della applicazione della legge Severino, per un voto nel quale il Senato fosse chiamato a decidere liberamente, in base ad un apprezzamento discrezionale, e quindi anche ad un apprezzamento delle circostanze e dei modi in cui era intervenuta la condanna, se fosse o meno il caso di dichiarare la decadenza del sen. Minzolini.
Qualcuno infatti ha evocato il fumus persecutionis: cioè il sospetto, basato sull’esame degli atti giudiziari, che la condanna penale del sen. Minzolini sia stata il frutto non della corretta applicazione della legge, ma di una “persecuzione giudiziaria” magari collegata alla posizione politica del senatore: quindi una condanna ingiusta, non conseguente ad un equo processo.
Di fumus persecutionis si parla abitualmente quando le Camere sono chiamate ad esercitare la prerogativa, loro riconosciuta dalla Costituzione, di autorizzare o meno il compimento di atti giudiziari nei confronti di un loro componente. Fino al 1993 la Costituzione sottoponeva ogni iniziativa giudiziaria diretta a procedere penalmente nei confronti di un parlamentare alla preventiva autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza: proprio a difesa assoluta dell’autonomia delle Camere e a difesa dei parlamentari da possibili iniziative giudiziarie “persecutorie”. In quel contesto, la Camera era chiamata a decidere discrezionalmente se autorizzare o meno il procedimento penale, in base al riscontrato o meno fumus persecutionis.
Dal 1993 la Costituzione è stata modificata, sull’onda degli scandali di Tangentopoli, eliminando la necessità dell’autorizzazione a procedere (ora quindi anche i parlamentari possono essere processati e condannati senza lo “scudo” prima apprestato dalla Costituzione). E’ rimasto però (art. 68 della Costituzione) il divieto per la giustizia di disporre l’arresto di un parlamentare, o una intercettazione a suo carico, senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza: anche in questo caso si tratta di una determinazione discrezionale dell’assemblea, che è libera di concedere o di negare l’autorizzazione, valutando gli atti e ogni circostanza. Ma c’è una eccezione: non è richiesta l’autorizzazione per procedere all’arresto del parlamentare in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna (o quando sia colto in flagranza nell’atto di commettere un delitto per il quale è prescritto l’arresto obbligatorio).
Dunque, in base alla Costituzione, quando interviene una sentenza definitiva della magistratura, che condanna un parlamentare a pena detentiva, la Camera di appartenenza non può impedirne l’arresto, nemmeno se ritenesse la sentenza di condanna “ingiusta”. Il che mostra come, di fronte alla pronuncia irrevocabile del giudice, nemmeno la prerogativa parlamentare possa consentire al componente di una Camera di sfuggire alle conseguenze che da essa derivano per legge. Paradossalmente, il sen Minzolini potrebbe essere arrestato, se la sua condanna comportasse l’esecuzione di una pena detentiva; senza che il Senato possa impedirlo: ma la sua decadenza dal seggio parlamentare è stata negata, nonostante che, in base alla legge, essa costituisca una conseguenza necessaria della stessa condanna.
In questo caso dunque non vi è luogo a parlare di fumus persecutionis, che potesse in ipotesi giustificare la delibera del Senato. C’è già la sentenza, ed essa è definitiva: non vi era da autorizzare niente, ma si trattava solo di trarre le conseguenze della applicazione rigorosa della legge, che comportava la decadenza.
Che dire allora dei dubbi che in Senato sono stati sollevati sulla correttezza del procedimento penale subìto dal sen. Minzolini e dunque sulla correttezza della condanna che ne è conseguita, dubbi che, a quanto è emerso, hanno persuaso alcuni senatori a negare la decadenza?
I dubbi si incentravano essenzialmente su due aspetti. Il primo era dato dal fatto che il sen. Minzolini, che era stato prosciolto in primo grado, è stato poi invece condannato in appello (con la conferma poi da parte della Corte di cassazione) senza però che la Corte d’appello ritenesse necessario riaprire l’istruttoria dibattimentale sentendo nuovamente i testimoni. Oggi la nostra legge processuale lo consente, quando il giudice d’appello ritenga che le risultanze di fatto siano interamente accertate e si tratti solo di valutarne la portata probatoria sulla base degli atti. C’è chi, forse con qualche ragione, contesta tale regola in nome della massima garanzia di un equo processo, e in Parlamento si è proposta sul punto una modifica. Ma è evidente che, allo stato, ciò non inficia in nulla gli effetti della sentenza definitiva, avallata dalla Cassazione.
Ancora, si è osservato che del collegio della Corte di appello che ha pronunciato la condanna del sen. Minzolini (poi avallata dalla Cassazione) faceva parte un magistrato che in passato era stato (ovviamente quando era collocato in aspettativa) sottosegretario in un Governo Prodi, manifestando così la sua posizione politica, si suppone, contraria a quella del gruppo in cui milita il sen. Minzolini. Non era stato però “ricusato” (l’imputato può ricusare il giudice che non appaia imparziale in base a precisi elementi definiti dalla legge) né aveva chiesto di potersi astenere dal giudizio per “gravi ragioni di convenienza”. Forse sarebbe stato meglio che il giudizio si fosse svolto senza la sua partecipazione. Ma, ancora una volta, tutto ciò non inficia in nulla, sul piano giuridico, la sentenza definitiva di condanna, che non è “sindacabile” da alcuna altra istanza, salvo l’eventuale ricorso dell’interessato alla Corte di Strasburgo.
In definitiva, non esisteva nessun motivo legalmente plausibile perché il Senato potesse rifiutarsi di applicare la legge. E invece questo è ciò che il Senato ha fatto, decidendo contro la decadenza del sen. Minzolini.
Non c’è rimedio? La decisione del Senato non è sindacabile davanti a nessun giudice comune. Peraltro, a questo punto logica vorrebbe che il Parlamento abrogasse la norma di legge che prevede la causa sopraggiunta di incandidabilità e dunque la decadenza nelle ipotesi in questione.
In astratto si potrebbe immaginare un conflitto di attribuzioni nei confronti del Senato che ha esorbitato dalle sue funzioni. Ma non si è realizzata la compromissione delle attribuzioni costituzionali di un altro potere dello Stato, che è il presupposto per poter sollevare il conflitto davanti alla Corte costituzionale. Infatti l’applicazione della legge sulla incandidabilità sopravvenuta non concerne le attribuzioni dell’autorità giudiziaria, né l’applicazione delle statuizioni di questa. Queste comportano di per sé solo l’esecuzione della pena, mentre la conseguenza ulteriore della condanna, che riguarda la perdita dell’eleggibilità e quindi la decadenza, non è una sanzione penale ma riguarda il diverso tema del venir meno delle condizioni alle quali la legge ha collegato il diritto di ricoprire e mantenere la carica elettiva.
Quindi nessun possibile conflitto: ma solo la presa d’atto di una violazione da parte del Senato del principio di legalità.
Che poi si possa porre il problema di prevenire e contrastare iniziative o atti di singole autorità giudiziarie suscettibili eventualmente di violare i principi dell’eguaglianza, dell’imparzialità e dell’equo processo, e l’obbligo di non utilizzare il potere giudiziario a fini politici di parte, è vero: e forse oggi il tema meriterebbe maggiore attenzione. Ma i rimedi non stanno nell’esercitare altri poteri violando la legge, né tanto meno nel costruire nuove forme di asservimento del potere giudiziario ai poteri politici: stanno, oltre che nell’impiego degli strumenti interni al sistema processuale, nel miglioramento delle leggi processuali; nella migliore formazione dei magistrati e nella organizzazione dell’apparato giudiziario, specie per quanto riguarda gli uffici delle Procure; nella sensibilità della politica e dell’opinione pubblica al tema delle garanzie e degli eventuali errori giudiziari; oltre che, se del caso, all’attivazione degli strumenti di controllo sovranazionali, come il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea.
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FonteCirca Minzolini, Salvini prova a cavarsela così:
29 marzo 2017Minzolini, Salvini vs Travaglio: “Salvato perché condannato da ex politico”. La replica: “Falso, sentenza confermata da 5 giudici”¯
“Ancora una volta il garantismo è diventato come il populismo, un mantra. Il garantismo non c’entra niente con una condanna in cassazione”.
È il commento del direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio a
DiMartedì su La7, in merito al salvataggio dell’ex direttore del Tg1, Augusto Minzolini, dalla decadenza.
Immediata la replica del leader del Carroccio, Matteo Salvini. “Vi sentireste tranquilli se foste giudicati da qualcuno che ha fatto politica, si rimette la toga e giudica chi sta dal versante opposto?”.
Salvini chiede che un magistrato che ha fatto politica non torni più a indossare la toga .
”Quello che ha raccontato Salvini non è vero – contesta il direttore – Quello che ha giudicato Minzolini è stata una corte d’appello da tre magistrati, sentenza confermata in cassazione da cinque giudici che mai hanno fatto politica. Il giudice si poteva ricusare ma Minzolini non l’ha mai fatto, e non è il Parlamento che giudica le sentenze, altrimenti diventa un quarto grado di giudizio“.
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FonteCLICCARE QUIsottovento ha scritto:
... sperando che la maggior parte degli italiani abbiano aperto gli occhi su come gli altri hanno ridotto questo paese.
Certo, è piuttosto evidente che sottovento abbia ancora gl'occhi chiusi.
Oppure era tutta una pantomima.
In casi di questo tipo, si può dedurre solo una cosa:

Formato file:
swfNon è mia cattivaria (nel caso) ma ti vedo così (come la sequenza qui sopra).
Lo sviluppo economico di cui ha bisogno l'Italia
di Lorenzo Fioramonti
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Un governo del Movimento 5 Stelle non è più utopia, ma una concreta possibilità. Potremo finalmente costruire l’Italia ad alta Qualità della Vita che abbiamo sempre sognato. Per riuscirci occorre avere ben chiare le priorità, che elencherò in pochi punti:
- mettere al centro dell’economia lo Stato Innovatore, che indirizzi lo sviluppo del Paese nei settori strategici attraverso maggiori investimenti, corregga gli squilibri della finanza speculativa ed eroghi direttamente parte del credito alle imprese per mezzo di una Banca pubblica
- trasformare la politica industriale del Paese nella direzione dell’economia circolare, delle fonti rinnovabili e del decentramento energetico (autoproduzione e autoconsumo di energia)
- sostenere la domanda interna e le micro, piccole e medie imprese che investono localmente, abbassando la pressione fiscale (Irpef, Irap) e semplificando il rapporto dei contribuenti con l’Agenzia delle Entrate (abolizione di centinaia di leggi dannose come lo spesometro, il redditometro e gli studi di settore)
- creare, grazie ai tre pilastri precedenti, centinaia di migliaia di posti di lavoro stabili, in settori ad alto valore aggiunto e quindi ad alti salari
- incidere sul debito pubblico grazie alle maggiori entrate derivanti dalla crescita occupazionale e allo spostamento di decine di miliardi di spesa improduttiva su voci di bilancio ad alto rendimento
L'Italia può offrire al resto del mondo una visione pionieristica dello sviluppo, dove a contare sia la Qualità della Vita complessiva e non solo parametri di produzione incompleti come il Pil.
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FonteGRANDISSIMO ARTISALLzio ot
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