
Russia e Stati Uniti affilano le armi per il Venezuela. Ieri, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha mandato un messaggio molto chiaro nei confronti del governo di Nicolas Maduro. Su Twitter, il presidente degli Stati Uniti ha detto che la sua amministrazione segue “da vicino” la “terribile” situazione nel Paese sudamericano e ha detto che gli Usa “stanno facendo tutto il possibile” per aiutare la popolazione, mantenendo “aperte molte opzioni”. Il presidente ha evidenziato poi che il suo governo ha “molte opzioni aperte”. E questo elemento delle opzioni aperte è stato poi approfondito durante un’intervista a Fox in cui il presidente americano ha dichiarato: “Noi stiamo facendo tutto quello che possiamo, salvo, sapete, l’azione massima”. E il riferimento è stato, ovviamente, a un’opzione militare. “Ci sono molte persone che vorrebbero che lo facessimo”, ha aggiunto il capo della Casa Bianca, dicendo che fra le opzioni possibili ci sono alcune che “non voglio neanche nominarle perché sono molto severe”.
Le parole di Trump entrano come un martello in una crisi che ormai sembra arrivata a una svolta. E che rischia di deflagrare in un altro scontro internazionale. L’ennesimo di un mondo che vede ormai come una costante le tensioni fra i poli del pianeta, con Russia, Stati Uniti e Cina che guidano “dalla regia” una serie di conflitto a bassa o media intensità in diversi parti del globo. L’America Latina non da eccezione e Caracas è un altro di questi laboratori di Guerra fredda del XXI secolo, con Maduro da un alto e Juan Guaidò sostenuto apertamente da Washington.
La sfida fra Russia e Usa è ormai evidente. Ieri, in una telefonata bollente fra Mike Pompeo e Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo ha accusato Washington di ingerenze nella politica venezuelana, denunciando “l’influenza distruttiva” degli Stati Uniti sul Venezuela. Per il ministro russo, “l’ingerenza di Washington negli affari del Venezuela è una flagrante violazione del diritto internazionale” e “questa influenza distruttrice non ha nulla a che vedere con la democrazia” ribadendo che il futuro del Venezuela lo deciderà solo “il popolo venezuelano”.
Accuse dirette e moto precise cui ha risposto Pompeo, che, come lo stesso Lavrov, non ha usato mezzi termini. Nel colloquio telefonico, il segretario di Stato Usa ha accusato direttamente il Cremlino di ingerenze nella politica di Caracas, chiedendo la fine dell’ingerenza russa e dicendo che è la Federazione russa che “destabilizza” il Venezuela. Il portavoce del dipartimento di Stato, Morgan Ortagus, ha chiesto alla Russia di interrompere il sostegno a Maduro e ha detto che “l’intervento di Russia e Cuba è stato destabilizzante per il Venezuela e per le relazioni bilaterali Usa-Russia”.
Accuse che chiaramente non sono che strumentali. Perché è del tutto evidente che le due superpotenze siano coinvolte pienamente nella crisi che sta sconvolgendo il Venezuela. E se il governo di Vladimir Putin sostiene Maduro, è altrettanto vero che gli Stati Uniti non facciano mistero di appoggiare economicamente, politicamente e, probabilmente anche a livello logistico, la rivolta guidata da Guaidò. Quindi è chiaro che si tratti di uno scontro mondiale in cui tutti hanno interessi da tutelare.
La rivolta militare invocata dal leader dell’Assemblea nazionale venezuelana non è stata certamente un colpo di testa: il sostegno americano ha di sicuro avuto un ruolo decisivo. Così come è decisivo per la permanenza di Maduro al potere il supporto di Cina e Russia. E finché le due (o tre) parti non si metteranno intorno a un tavolo, la guerra intestina al Venezuela non avrà fine. Una guerra che può avere però conseguenze devastanti. Lo sanno tutti, a partire dagli Stati Uniti che, negli ultimi tempi, hanno inviato un messaggio abbastanza chiaro: delle esercitazioni a largo del Golfo del Messico per un eventuale boom di profughi. Il messaggio era rivolto a Caracas?