Target non identificatiIntervista al professor Auguste Messeen, fisico dell'Università cattolica di Lovanio, lo scienziato che studiò le tracce radar degli avvistamenti sul Belgio.

L'intervista che segue è stata realizzata a San Marino nel 1997. Fu lui a studiare, per conto della Reale Aeronautica Militare del Belgio e della SOBEPS, le tracce radar degli avvistamenti
Maurizio Baiata: Quale è la sua situazione, essendo lei uno scienziato accademico, impegnato nelle ricerche su un fenomeno non convenzionale, quale quello UFO?
Auguste Messeen: «Iniziai ad interessarmene 25 anni fa e scoprii cose straordinarie, che nessuno sembrava capire. Come scienziato, mi sentii in dovere di approfondire gli studi su quanto avevo scoperto. Avevo diversi esempi di cose non ancora capite e degne di essere studiate, incoraggiando scienziati più giovani ad impegnarsi, perché
se c’è qualcosa da capire, allora bisogna lavorarci sopra».
M.B.: Lei ritiene che gli scienziati più giovani debbano avere un diverso approccio di coscienza, o di conoscenze alternative a quelle tradizionali, per affrontare l’argomento UFO?
A.M.: «Mi scusi, ma non capisco la domanda».
M.B.: Mettiamola così. Quando ci si imbarca in questi studi, lo si fa, secondo lei, per motivazioni ed esigenze culturali, o solo per curiosità specifica?
A.M.: «Io cominciai ad occuparmene spinto dalla domanda che mi pose uno dei miei figli, che allora aveva tredici anni: “Cosa c’è di vero a proposito dei dischi volanti?”. Gli risposi che non lo sapevo, e questo mi spinse a volerli studiare. All’epoca in Belgio era stato appena pubblicato un libro, seguito da diversi articoli su pubblicazioni scientifiche, che riguardava la propulsione. Lessi tutto e la mia prima reazione fu che nessuna di quelle analisi e le
relative conclusioni, fossero giuste e, se non lo erano, restavano però i fatti. Mi misi allora alla ricerca di altre possibilità, in base alle evidenze, perché la prima cosa da fare è conoscere i fatti. Una teoria può essere costruita solo su questa premessa.E devi farlo secondo una metodologia strettamente scientifica. L’ho seguita sin dall’inizio delle mie ricerche. L’ho applicata propriamente e non ho mai avuto alcuna difficoltà con i miei colleghi».
M.B.: Quando ebbe inizio il flap ufologico in Belgio alla fine degli anni Ottanta, lei venne coinvolto nelle ricerche da subito, o qualche tempo dopo?
A.M.: «Sin dall’inizio e interrogai, posso dirlo, la Gendarmeria sin dalla prima osservazione e questo fu molto importante, perché le persone avevano avvistato gli stessi oggetti nel giro di due ore. Interrogando i testimoni, trovai delle persone che non volevano rivelare la propria identità, ma che mi parlarono sinceramente. Erano
molti e non erano stati influenzati da nessuno. Erano testimonianze importanti, perché immediate. Durante la prima serata, quella del 29 Novembre 1989, erano state registrate circa 25 osservazioni tutte da una regione relativamente piccola e molte persone avevano visto e descritto qualcosa di totalmente sconosciuto. Com’era possibile che così tante persone avessero semplicemente immaginato la stessa cosa nello stesso momento? Era impossibile. Mi convinsi subito che era qualcosa di reale, anzi un flap eccezionalmente importante e a quel
punto volevo sapere cosa fosse accaduto sui radar. Non fu semplice, ma ottenni le informazioni dirette dall’aeroporto civile, da due stazioni di terra militari e da quello che i jet F-16 avevano acquisito sui radar durante lo “scramble”. Tutto doveva essere analizzato, ma era difficile, perché in quel momento nessuno capiva nulla di quello che era accaduto. Scrissi un rapporto e il resto è storia».
M.B.: Cosa spinse il generale De Brouwer, allora colonnello, ad indire una conferenza stampa, così importante e senza precedenti?
A.M.: «Prima di tutto, De Brouwer era di mente aperta. All’inizio del flap lo contattai, non aveva raggiunto ancora il grado di generale, ed era già a capo di tutte le operazioni. Di mente analitica, mi impressionò favorevolmente il suo approccio aperto, teso alla ricerca della verità. Gli dissi che non potevamo perdere un’occasione simile, senza guardare seriamente a quello che era accaduto sui radar. Dopo aver analizzato i dati, mi rivolsi al Ministero della Difesa. Non avevano capito molto, ma non importa, perché l’importante era che per la prima volta delle autorità, un ministero e alti esponenti dell’Aeronautica, avessero deciso di lavorare congiuntamente, nell’analizzare l’accaduto, con mente aperta anche se critica. Questo spero rappresenti un esempio incoraggiante per le altre Nazioni,
perché è ciò che dovevamo e dobbiamo fare».
M.B.: Un suo specifico incarico riguardò l’analisi delle tracce radar. Cosa ne scaturì?
A.M.: «Dal momento che ero stato io a chiedere di analizzarle, e che vi avevo riscontrato qualcosa che nessuno sembrava aver capito, approfondii le ricerche, ricombinando tutte le informazioni ottenute e collegandole, cinetiche, meteorologiche, lavoro duro ma interessante. I fenomeni spiegabili con cause naturali li avevo individuati, ma c’erano due tracce non identificate. Che risultavano davvero inspiegate, lo sottolineo. Un punto importante è che se si studia un fenomeno - ed è quello che feci io - e si scopre qualcosa come generalmente accaduto nel campo degli UFO, allora questo qualcosa va divulgato e la verità deve essere detta».
M.B. Le pongo ora una domanda delicata. Sa qualcosa dei tracciati radar di Ustica? È uno dei momenti più importanti nella storia degli incidenti aerei accaduti in Italia e ci si chiede cosa videro realmente i radar americani e della Nato, e perché le registrazioni radar che mostrano le tracce ufficiali non siano state consegnate alle competenti autorità italiane.
A.M.: «Prima di tutto la prassi prevede di non fornire le informazioni a persone competenti del campo, questo con noi scienziati non viene fatto. Questa è politica, non è un atteggiamento scientifico. Il secondo punto è che, per quanto riguarda i rilevamenti radar, possono esistere molte tracce o effetti computerizzati che possono confondere. A volte si tratta di erronee interpretazioni, in altri casi no, ma questo punto significa che si ha sempre una maggiore chance di trovare la verità se più persone competenti si impegnano nello studio, piuttosto che un gruppo ristretto e chiuso. Se l’obiettivo è quello di trovare la verità, allora c’è la possibilità di farlo. Se l’obiettivo è quello di nascondere la verità, allora davvero preferisco non esprimermi. Ma qual è il senso di tutto ciò? Il vero problema oggi, l’essenza del problema per l’ufologia, è che i fatti sono reali, che gli oggetti volanti esistono, anche se non sappiamo da dove vengono e come sono propulsi. Dovremmo chiudere gli occhi davanti alla realtà, oppure
dobbiamo, come umanità, alla fine del millennio, guardare al fenomeno al meglio delle nostre possibilità… dove è giunta la nostra scienza, oggi? È una umiliazione, per la scienza e per l’umanità, che ci siano alcuni gruppi, militari o politici, o di altra natura, che ci allontanano dalla possibilità di studiare questo fenomeno, uno studio di enorme importanza per il genere umano. Non dico che sia extraterrestre, ma c’è una concreta possibilità che lo sia e se c’è
una possibilità è da stupidi non prenderla in considerazione».
Fonte: http://www.dnamagazine.it/target-non-identificati.html