San Saulo Paolo, l’Apostolo delle Genti.San Paolo, come San Pietro, nei sacri testi cristiani vengono descritti dotati di poteri divini miracolistici straordinari e, nel caso di San Paolo, addirittura superiori a Gesù.
Sono personaggi di cui si narra esclusivamente nei Vangeli o negli scritti apologisti dei Padri fondatori del Cristianesimo; cioè una dottrina creata per fare adepti grazie all’illusione della vita eterna ed alla resurrezione del proprio corpo dopo la morte.
La domanda da porsi è se San Saulo Paolo sia esistito veramente o, come per gli altri Apostoli, verificare se questi personaggi non siano piuttosto rappresentanti ideologici di una dottrina che, obbligatoriamente, doveva essere “incarnata” in uomini prescelti e ispirati da Dio.
Un non credente, che si accinge a leggere di questo San Saulo Paolo senza essere condizionato da prediche confessionali, percepisce subito che la trovata “geniale”, di San Luca, intesa a far
creare un altro Apostolo dallo stesso Gesù Cristo “post mortem”, è un contro senso assurdo sia
storicamente, come intendo dimostrare, sia
teologicamente, in quanto palesemente finalizzata a revisionare la dottrina precedente.
Un Dio che, per riscattare l’umanità dal peccato, si fa uomo e come tale si sottopone ad una passione di sangue ed estrema sofferenza, dopo aver predicato, istruito e scelto dodici “Apostoli” con un preciso mandato, una volta salito in cielo, si accorge di aver dimenticato “qualcosa d’importante”, allora scaraventa una folgore (a imitazione di Giove) su un certo Saulo Paolo,
accecandolo, e con la “Voce” nomina un altro Apostolo con l’incarico di “aggiornare” la dottrina degli altri suoi “colleghi”che
Lui stesso aveva appena istruiti, è una logica che può stare in piedi solo previo millenario lavaggio del cervello.
Nominati i dodici Apostoli,
“Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani, rivolgetevi, piuttosto, alle pecore perdute della casa d’Israele»” (Mt.10, 5-6).
Questo “
comandamento” nazionalista, conforme alla missione di Gesù, limitata alla sua Patria (nulla avrebbe potuto impedire a Cristo di predicare ovunque volesse),
andava cambiato, ma la modifica di una dottrina non poteva risultare dipesa da una esigenza umana, pertanto, bisognava “dimostrare” che fu la stessa divinità a “rivelarsi” attraverso un altro super “Apostolo”, strumento della Sua Rivelazione e depositario della nuova “verità” da divulgare fra i Gentili pagani.
Fu semplicissimo: bastò inventare “Saulo Paolo” e fargli scrivere alcune lettere per testimoniare su se stesso e sul nuovo credo del “sacrificio del Figlio di Dio e la sua resurrezione per la salvezza della vita eterna degli uomini” dimostrando, così, che il nuovo Apostolo era esistito veramente.
“« Il vangelo da me annunziato non è opera d’uomo; perché io stesso non l’ho ricevuto né imparato da un uomo, ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo »” (Lettera ai Galati 1,11).
L’esigenza di una seconda “Rivelazione” di Gesù portò a redigere degli appositi manoscritti, successivi a Vangeli primitivi, poi distrutti, allo scopo di ufficializzare un apostolato promotore della diffusione di una dottrina, evolutasi da quella originale, e creare, artatamente, un nesso ideologico per farla apparire coerente sin dall’inizio. I Vangeli che noi leggiamo non sono i primi: san Saulo Paolo è venuto dopo; come gli “Atti degli Apostoli”.
Eusebio di Cesarea, Vescovo cristiano sotto Costantino, dal IV secolo, denuncia la pubblicazione di un altro “Atti degli Apostoli”, che taccia come eretico (HEc. I 9,3-4). Di tale documento non ci è pervenuta traccia ma è evidente che fu eliminato assieme ad altri per cancellare gli insanabili contrasti, con quello fattoci pervenire, che avrebbero palesato il fine della sua artificiosa redazione.
San Saulo Paolo, stiamo per provarlo con l’aiuto della storia, come persona non è mai esistito: fu soltanto un’ideologia, “incarnata” in un uomo “discepolo apostolo di Gesù”, resasi necessaria perché rappresentava la soluzione politica religiosa per quella parte di ebrei della diaspora la cui esistenza, nelle Province dell’Impero Romano, era diventata difficile in quanto seguaci di una fede nazionalista integralista che imponeva loro di non sottomettersi ad alcuna dottrina, o “Padrone”, o “Signore”, se non al proprio Dio: “Yahwè”.
Un’ideologia imposta dall’evoluzione politica e militare che vide sconfitti, atrocemente, i patrioti yahwisti, di conseguenza voluta da una corrente religiosa ebraica che decise di revisionare il messianismo zelota, sulla base di una logica opportunista, adeguata alla realtà dell’epoca, rivedendo le profezie messianiche della Legge ancestrale e aprendosi, infine, ai culti pagani della “salvezza” oltre la morte, grazie alla resurrezione del corpo.
Nel I secolo, le sette ebraiche, ufficialmente riconosciute, credevano solo nell’immortalità dell’anima e non nella “resurrezione della carne”, e fra esse, i Sadducei non confidavano neanche in quella. Per questo fondamentale motivo ideologico, gli “Atti degli Apostoli” e gli stessi Vangeli, riadattati in tal senso successivamente, divengono un vero e proprio atto di accusa contro il popolo ebraico. Pietro e Paolo emettono continue sentenze di condanna contro gli Ebrei, contro il Sinedrio
e contro le Sinagoghe, scagliando vere e proprie maledizioni nei confronti dei Giudei facendo ricadere su di essi, sui loro figli e le generazioni future, il “sangue di Gesù” da essi fatto versare.
Ma ora mettiamo da parte l’escatologia e sottoponiamo ad una verifica storica, analizzando le vicende che lo vedono coinvolto come uomo, San Saulo Paolo, ovvero “l’Apostolo delle Genti”.
L’evangelista lo fece
nascere a Tarso in Cilicia (At. 22, 3), poi lo spedì a predicare, senza sosta, da una città all’altra dell’Impero. Giunto a Gerusalemme, nel
58 d.C., dopo aver offeso il
Sommo Sacerdote Ananìa all’interno del
Sinedrio, secondo la sceneggiatura di San Luca, per impedire che i Giudei
“lo togliessero di mezzo, non facendolo più vivere” (At. 22, 22), dichiara:
“io sono un cittadino romano di nascita” (At. 22, 27-28).
Luca ci sta propinando che, nel I secolo, in Giudea, se un cittadino veniva accusato dal
Sinedrio di Gerusalemme di aver violato la Legge ebraica e offeso il Pontefice, per evitare la lapidazione, bastava mentisse spudoratamente come fa San Paolo sul suo luogo di nascita, dichiarando di essere un “
cittadino romano”, e
tutti erano tenuti a credergli sulla parola, anzi, dovevano spaventarsi; addirittura un
Tribuno romano doveva tremare:
“anche il Tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano” (At. 22, 29). Ma il ridicolo diventa farsa per la dichiarazione opposta, resa poco prima, allo
stesso Tribuno:
“Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza” (At. 21, 39), riconfermata, subito dopo, davanti alla folla di Gerusalemme ed in presenza dello
stesso Tribuno: “
Io sono un Giudeo nato a Tarso in Cilicia” (At. 22, 3).
Peraltro il romano, poco prima, aveva sospettato che Paolo fosse l’Egiziano, il capo di una ribellione appena scongiurata dal Procuratore Felice (At 21, 38). E’ evidente che l’evangelista, quando scrisse queste contraddizioni stupide, era convinto che anche i Tribuni romani erano degli stupidi, così pure coloro che le avrebbero lette in futuro.
Un vero Tribuno, obbligato a conoscere le leggi imperiali per poterle far rispettare, era consapevole che il Sommo Sacerdote del Tempio che presiedeva il Sinedrio era stato insignito da un Procuratore o un Re voluto da Roma, pertanto, chiunque avesse offeso il Pontefice, si sarebbe messo contro Roma, pagandone le conseguenze: il Procuratore aveva il diritto di uccidere…
Secondo l’insulsa interpretazione del “diritto romano”, descritta negli “Atti degli Apostoli”, in Giudea,
tutti i trasgressori della “Legge degli antichi padri”, anche i peregrini stranieri, era sufficiente dicessero “
sono un cittadino romano di nascita” e le autorità, in perfetta buona fede, anziché lapidarli, gli avrebbero messo a disposizione una nave trireme per inviarli a Roma dove avrebbero trovato Nerone che li attendeva per giudicarli; perché è al “Principe” che le massime autorità,
preoccupate della “cittadinanza romana” del Santo, invieranno Paolo. E’ così che ce la racconta Luca.
E’ il “
diritto di mentire” a un Tribuno (comandante del presidio romano di Gerusalemme), sul proprio luogo di nascita e sulla “cittadinanza”, palesato da Paolo nella recita inventata dall’evangelista, che dimostra la fantasiosa, puerile, dabbenàggine dell’autore, il quale, ormai incapace di contenersi, degrada l’elevato ufficiale romano ad un “subalterno” del super Apostolo: “
Il Tribuno fece chiamare due centurioni e disse: “Preparate duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri perché Paolo sia condotto a Cesarea sano e salvo dal Governatore Felice” (At 23, 23).
Ma questa paradossale scena si scontra con ben altra realtà:
Tacito, (Annali XIII 34):
“Al principio dell’anno (58 d.C.) si riaccese violenta la guerra, iniziata in sordina e trascinata fino allora, tra Parti e Romani per il possesso dell’Armenia”.
Giuseppe Flavio, (Ant XX 173 e segg.), Guerra fra i Giudei e i Siri:
“Quando Felice si accorse che la contesa aveva preso forma di una guerra, intervenne invitando i Giudei a desistere…”In una situazione simile, allorquando tutte le forze d’Oriente dell’Impero dovevano rendersi disponibili per fronteggiare una guerra contro i Parti…mentre è in corso una guerra civile fra Giudei e Siri…un Tribuno imperiale impiega una forza militare di pronto intervento, di quella portata, per…scortare san Paolo, dopo che gli aveva mentito sul suo luogo di nascita e col dubbio, da lui stesso dichiarato, che potesse essere “l’Egiziano”…
La persona che godeva della “cittadinanza romana” era sottoposta alla legge romana, la quale, fra le varie possibilità di rilasciare (nel I secolo) questo privilegio,
ne contemplava il diritto a tutti i cittadini nati a Roma: diritto che Luca “accreditò” a San Paolo. Ma non è plausibile che i Romani, nel I secolo, potessero concedere questo “diritto”, con sciocca leggerezza, senza alcuna possibilità di riscontro (modalità che stiamo per verificare), proprio perché avrebbero leso il diritto stesso, ma quello vero, vanificandolo. Eppure tale assurdità, contenuta negli “Atti degli Apostoli” (che avrebbe fatto chiudere il Sinedrio, impossibilitato a procedere per non competenza giuridica in quanto
chiunque si sarebbe avvalso di quel “diritto” mentendo), è ancora oggi sottoscritta da alcuni storici ispirati i quali sanno perfettamente che a salvarli dal ridicolo è solo l’ignoranza della gente sul contenuto di questo “Sacro Testo”.
Nel I secolo a.C. la cittadinanza romana venne estesa agli alleati Italici e l’Imperatore,
con un editto, aveva il potere di concedere agli abitanti delle Province questo onore che comportava vari privilegi fra cui l’impedimento ad essere sottoposti, nei processi, a giurie non romane. Tale privilegio rimase in vigore sino al 212 d.C..
Ma nel I secolo d.C. (
l’episodio di San Paolo è stato ambientato - Atti 24, 27 -
nel 58 d.C.), gli Imperatori, secondo quanto riportato da Svetonio in (Caligola 38), rilasciavano veri e propri “
Diplomi di Cittadinanza”, cioè attestati ufficiali che comprovavano il diritto a tale prerogativa ed era fatto assoluto divieto appropriarsi di questo privilegio al punto che “
coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza romana, (Claudio)
li fece decapitare sul campo Esquilino” (Cla. 25).
Peraltro
va rilevato che, a seguito gravi disordini fra Giudei e Samaritani,
il Sommo Sacerdote Ananìa, figlio di Nebedeo, insieme ad Anano, Capitano delle Guardie del Tempio,
fu arrestato e inviato in catene a Roma, nel 52 d.C., dal Legato di Siria Ummidio Durmio Quadrato (vedi Tacito Ann. XII 54), per rendere conto all’Imperatore Claudio di quelle vicende (e Antichità Giudaiche XX, 131).
Dalla lettura di “Antichità” e “La Guerra Giudaica” sappiamo che, dopo di lui, a presiedere il Sinedrio, si succederanno,
fra il 52 e l’inizio del 66 d.C., i Sommi Sacerdoti: Gionata, figlio di Anano (fatto poi uccidere dal Procuratore Felice e fratello del successivo Anano che avrebbe voluto lapidare Giacomo, fratello di Gesù figlio di Damneo); Ismaele, figlio di Fabi; Giuseppe, detto Kabi, figlio di Simone; Anano, figlio di Anano (è lui, per soli tre mesi); Gesù, figlio di Damneo (fratello di Giacomo); Gesù, figlio di Gamalièle; e Mattia, figlio di Teofilo …
“sotto il quale ebbe inizio la guerra dei Giudei contro i Romani”, nel 66 d.C. (Ant. XX, 223)…
Pertanto, nella scenetta inventata da San Luca, il litigio di Paolo Saulo che offende
Ananìa chiamandolo “
muro imbiancato”, per poi ritrattare
:“« Non sapevo che è il Sommo Sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo»” (At. 23, 5), collocato
nel 58 d.C. - avrebbe avuto un senso (un errore in meno fra i tanti) se fosse avvenuto con
Ismaele, figlio di Fabi, nominato Pontefice dal Re Agrippa II quando Felice era ancora Procuratore, dopo che questi aveva fatto uccidere il Sommo Sacerdote Gionata fratello di Anano.
Una volta sfuggito di mano ai Procuratori di Roma il controllo politico della situazione, Ananìa sarà rieletto Sommo Sacerdote nel 66 d.C. e verrà ucciso, poco dopo, dall’ultimo dei figli di Giuda il Galileo (figli che, vedremo in seguito, avranno i nomi dei fratelli di “Gesù”) il quale, a sua volta, sarà ucciso da Eleazar, Comandante delle Guardie del Tempio e figlio dello stesso Ananìa, per vendicare la morte di suo padre.
Da quanto esposto,
la cronologia degli avvenimenti e delle investiture dei Pontefici non ammette il “battibecco” intercorso, nel 58 d.C.,
fra san Paolo Saulo e il Sommo Sacerdote del Sinedrio, Ananìa, già arrestato da un Luogotenente di Claudio (anche se, per intercessione del Sommo Sacerdote Gionata, poi sarà liberato; ma Gionata, a sua volta, verrà fatto uccidere da Felice), come dimostra la sequenza, ordinata nel tempo, dei designati a ricoprire l’importante ufficio. Infatti, con simile fedina penale, pur se appoggiato da una fazione politicamente importante,
nessun Procuratore, gerarchicamente inferiore ad un Legato dell’Imperatore, come
Ummidio Durmio Quadrato, in carica in Siria sino al 60 d.C. (Annali XIV 26) e vincolato da precisi passaggi di consegne,
avrebbe più potuto confermare Ananìa “Sommo Sacerdote” del Tempio e del Sinedrio, neanche se proposto da Re Agrippa II, fino alla rivolta contro i Romani, essendo le nomine dei Pontefici sottoposte al “placet” dei
Procuratori, a loro volta
subordinati ai Legati imperiali di stanza ad Antiochia in Siria.
A conclusione di queste analisi su san Paolo, come uomo veramente esistito, uno storico deve constatare che a nessun suddito dell’Impero sarebbe stato possibile agire, in modo così plateale, contro le leggi di Roma senza pagarne lo scotto immediato.
Un vero Tribuno romano, adempiendo al suo dovere, avrebbe messo subito in catene Saulo Paolo, e Antonio Felice, agendo da accusatore e giudice, lo avrebbe decapitato dopo un processo sommario: come previsto dalla legge.
Il battibecco intercorso fra un qualsiasi ebreo, o ex ebreo, ed un Sommo Sacerdote del Tempio dimostra che il redattore di questa farsa non sapeva o non riconosceva né l’autorità, né il potere detenuto da chi ricopriva tale sacro uffizio. Potere sottoposto soltanto all’autorità dei Legati romani o Regnanti, designati direttamente dall’Imperatore.
Questo “Atto del Sinedrio” riportato in “Atti degli Apostoli” è un falso conclamato, falso come il personaggio “San Paolo”: l’incarnazione umana della dottrina, a lui “rivelata” da un “Gesù” già salito in cielo, che i fedeli cristiani seguono tutt’oggi.
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