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Oggetti fuori dal tempo, avvistamenti tramandati nella letteratura storica. Qual è l'origine dell'uomo? Testi sacri e mitologie da tutto il mondo narrano una storia diversa da quella che tutti conosciamo.
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15/02/2014, 17:27

OUT OF ATLANTIS - UNA STORIA ALTERNATIVA

Molte delle informazioni concernenti la costruzione delle piramidi egizie della piana di Giza che la storia e l'archeologia ufficiale considerano come rispondenti a realtà o comunque sulle quali si sono basate per l'elaborazione delle teorie più accreditate in merito provengono dalla narrazione di Erodoto e di Diodoro Siculo.

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Erodoto di Alicarnasso in realta' fu infatti il primo a dar vita a una raccolta di fonti e notizie sul mondo antico a cui fu dato il nome di "Storie". Una delle sue passioni erano i viaggi tanto che la sua opera viene definita etnografica: una miniera di notizie su usi e costumi delle civiltà mediterranee, tra cui quella egizia. Al popolo dei Faraoni è dedicato un libro e tra le varie notizie quelle sulla costruzione delle piramidi, la prima grande opera d' ingegneria umana così come da lui stesso definita.

"Fu ordinato di prendere le pietre trasportate con imbarcazioni attraverso il fiume e di trascinarle verso il monte detto Libico. Lavorarono a centomila uomini per volta continuamente, ciascun gruppo per tre mesi. Per la piramide di Cheope dicono che passarono venti anni finche' non fu costruita”

“Padre della storia” secondo Cicerone, “mitologo” per Aristotele il giudizio su Erodoto rimane incerto, soprattutto considerato il fatto che lo stesso Erodoto ci ricorda di come la sua opera 'storiografica' nasca sulla base di tre principi ben definiti:
– vista
– ascolto
– criterio (con il quale lui stesso seleziona i dati raccolti nel caso in cui essi siano in contraddizione)

Poiché l'osservazione dello storico greco delle piramidi avviene solo nel V secolo a.C. ovvero migliaia di anni dopo la costruzione delle piramidi è comprensibile che la storia narrataci da Erodoto sia solo l'interpretazione di ciò che ha visto (le piramidi) e di ciò che ha ascoltato dalla tradizione orale e dalle informazioni ottenuti dalla casta sacerdotale filtrate attraverso il proprio personale criterio.

Erodoto, nelle sue Storie, riferisce che il faraone Cheope costrinse 100.000 dei suoi sudditi a lavorare come schiavi alla costruzione della sua tomba, durante il periodo di 3 mesi all’anno di inondazione del Nilo. Il lavoro durò 30 anni (di cui 20 per la messa in opera dei blocchi) e venne svolto con sistemi di armature in forma di gradinate, utilizzando macchine formate da travi corte.

Gli egittologi considerano queste affermazioni come verità assolute, quando in realtà, sono voci riferite oralmente allo storico greco da sacerdoti vissuti ben 2000 anni dopo omettendo in più il paradosso matematico della collocazione di un blocco circa ogni 8 minuti scaturente da un banale calcolo matematico assumendo come base il numero di blocchi (2,5 milioni circa) costituenti la grande piramide.

Inoltre in altri brani, i sacerdoti di Eliopoli raccontano ad Erodoto che il periodo predinastico egizio era durato quanto il tempo che impiega il sole a sorgere due volte dal posto in cui tramonta, il che interpretato alla luce del fenomeno della precessione degli equinozi, significa circa 40.000 anni e ciò, dagli storici moderni, non viene preso in considerazione, così come non vengono prese in considerazione altri elementi degni di nota come la Stele dell'Inventario scoperta dall'egittologo Auguste Mariette, scavando nei pressi della Grande Piramide in un tempietto detto la "Casa di Iside".

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La traduzione di quel documento riservò una sorpresa perché nella stele Iside veniva indicata come "la Signora della Piramide" e vi si affermava che al tempo di Cheope, una piramide, la Sfinge, il Tempio a valle della Seconda piramide ed altre strutture erano già presenti sulla piana di Giza.

E ancora:

1) Christopher Dunn ha dimostrato, con strumenti moderni, che diverse superfici in granito lavorate nell’antichità sono lisce al 1/50 di millimetro, e che gli strumenti utilizzati nella perforazione erano più efficienti di quelli odierni. Analizzando la spirale del taglio su alcune "carote" (cilindri prodotti dalla trivellazione) di granito rinvenute a Giza, si può calcolare la velocità di penetrazione del trapano rotante nella roccia: 2,5 mm a giro, contro i 2/1000 di mm a giro scavati da un trapano moderno, che funziona a 900 giri/minuto. Ciò non può essere ottenuto, ovviamente, con un cilindro di rame azionato a mano e sabbia di quarzo, come vorrebbero gli egittologi ufficiali. Dunn suggerisce una tecnologia basata sulle vibrazioni ad alta frequenza (una specie di martello pneumatico che vibra alla frequenza degli ultrasuoni), compatibile con l’indagine microscopica condotta su un foro praticato nel granito: il trapano aveva tagliato più velocemente il quarzo, rispetto al feldspato (minerale più tenero). Ovviamente, una simile tecnologia non è raggiungibile con i mezzi di 4500 anni fa.

2) Il professor David Bowen del Dipartimento di scienze della terra dell’Università del Galles ha elaborato un metodo di datazione basato sull’isotopo radioattivo Cloro-36, che può fornire una stima del tempo trascorso da quando una roccia fu esposta per la prima volta all’atmosfera. Dei test preliminari, eseguiti sulle "pietre azzurre" di Stonehenge nel ‘94, fornirono un’età superiore ai 14.000 anni, contro i 4000 normalmente accettati.

3) Lontano dai consueti preconcetti sulla preistoria dell’uomo, il buon senso suggerisce che popolazioni come gli Egizi dinastici e gli Incas si stabilirono nei pressi delle vestigia di una civiltà precedente, scientificamente e tecnologicamente avanzata, a cui loro davano un significato magico-religioso. Sia le tradizioni orali riferite dagli indigeni peruviani ai cronisti spagnoli del XVI secolo che le fonti storiche egizie definiscono i giganti di pietra come l’opera degli Dei civilizzatori, della perduta Età dell’oro: un ricordo trasfigurato del passato, tramandato oralmente di generazione in generazione.

4) La Pietra di Palermo (V dinastia, 2500 a.C.), il Papiro di Torino e l’Elenco dei Re di Abido, scolpito da Seti I (XIX dinastia, 1300 a.C.), la storia d’Egitto redatta da Manetone, sacerdote di Eliopoli (III a.C.), gli scritti degli storici greci Erodoto (V a.C.) e Diodoro Siculo (I a.C.) sono tutti considerati fonti attendibili della storia egizia dinastica, mentre vengono ignorati quando parlano della lunghissima era predinastica, il Primo Tempo, durata 30.000 o 40.000 anni.

Sulle piramidi sono state scritte fiumi di parole sia dalla archeologia ufficiale ortodossa sia da quella 'alternativa' proprio in virtù che l'ortodossia accademica non è stata in grado di fornire risposte certe alle modalità di costruzione delle stesse, della loro funzione e neppure alla paternità dei progetti.

Sarebbe oltremodo pretestuoso cercare noi di offrire nuove teorie e ipotesi a quelle già previste nel panorama della ricerca. Ciò che vogliamo fare è perlomeno ipotizzare che possa esistere una storia parallela a quella studiata sui libri di scuola e che non viene menzionata dagli autori legati al mondo accademico poiché altamente, concedetemi il termine, rivoluzionaria.

Una storia che affonda le sue radici decine di migliaia di anni fa, prima di ciò che viene ricordato come Diluvio Universale.

In questo percorso ci vengono in soccorso alcuni documenti come il Papiro di Torino, la Pietra di Palermo, la lista reale di Berosso e la lista reale sumerica di cui abbiamo già parlato nell'articolo “Le Città degli Elohim” e che ci raccontano di una serie di re, sovrani dei, che governarono nel mondo diverse decine di migliaia di anni prima.

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Da qui vogliamo partire per raccontare la nostra personale interpretazione dei fatti parallelamente a quanto l'archeologia e la paleoantropologia ci hanno abituato a credere.

E per farlo dobbiamo partire da molto lontano e dalle ultime scoperte in campo astronomico relativamente alla storia del pianeta a cui ci sentiamo più vicini e che da sempre ha suscitato interesse e curiosità come se un antico legame ci collegasse ad esso: Marte.

Nel nostro recente articolo “Marte: Storia di un antico Esodo” citiamo le conclusioni degli studi effettuati dallo scienziato Colin Pillinger sulle meteoriti marziane. Questi studi dimostrerebbero che l’acqua allo stato liquido possa essere esistita sul pianeta rosso fino a 400/600 mila anni fa, presupponendo quindi la possibilità di uno sviluppo di forme di vita in modo autonomo e parallelo rispetto al percorso seguito dal genere Homo secondo i più accreditati studi antropologici.

Studi antropologici che, in accordo all'evoluzione darwiniana fanno evolvere il genere Homo attraverso i diversi stadi dall'Australopitecus fino all'Homo Heidelbergensis intorno ai 400-500mila anni fa, passando per Habilis ed Herectus secondo gli schemi sotto riportati.

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Teoria che viene messa in discussione, anche se difficilmente si viene a sapere, da diverse scoperte archeologiche, quella più rilevante forse il ritrovamento di il ritrovamento di due fossili rinvenuti non molto lontano dal lago Turkana in Kenya. La scoperta, vista la sua importanza, è stata riportata sul numero di Agosto (2007) di Nature aggiudicandosi anche la copertina della rivista scientifica.

Il ritrovamento dei due fossili, uno di un Homo habilis e l'altro di un Homo erectus, proverebbe che le due specie, contrariamente a quanto creduto finora, non sono l'una l'evoluzione dell'altra. Dall'analisi dei nuovi reperti si è constatato che le due specie del genere Homo hanno convissuto, fianco a fianco, nell'Africa orientale per almeno mezzo milione di anni.

Il che significherebbe che, come peraltro teorizzato da Paolo Bolognesi, non si dovrebbero considerare le varie razze di Homo una conseguente all'altra come siamo abituati a credere, ma ciascuna coesistente all'altra quindi non ci sarebbe mai stata una evoluzione ma differenti evoluzioni parallele conclusasi con la scomparsa dei vari diversi generi Homo, escluso il Sapiens, per motivi non del tutto noti.

Inoltre il Bolognesi puntualizza il fatto che milioni di anni fa la popolazione della terra non era di miliardi di persone ma di poche miglia di persone. Ipotizzando che un'ominide fosse stato più evoluto degli altri potrebbe aver avuto una evoluzione molto superiore al resto degli altri homo, fino ad arrivare a una conoscenza tecnologica. E' probabile che un genere di ominide di poco precedente alla nostra specie, sviluppatasi in una regione ben delimitata del pianeta, con una cultura e un'evoluzione tecnologica più evoluta altre aree del pianeta si fosse mostrato, alle altre razze meno progredite e sarebbero accolti come divinità. A maggior ragione se, l'ominide di cui parla Bolognesi, invece di essere autoctono della Terra, fosse originario di Marte!

In accordo con quanto riscontrato nei testi mitologici sumeri e di molte altre culture narranti dell'arrivo (o della presenza) di dei e semi-dei in un certo punto remoto della linea del tempo storica abbiamo cercato di ipotizzare il seguente scenario che andiamo a presentare nel proseguio dell'articolo.

Così come sulla Terra il genere Homo attraversava i diversi step evolutivi (o le evoluzioni parallele di Bolognesi) che l'avrebbero portato a diventare Homo Herectus e ancora Heidelbergensis così su un pianeta Marte idoneo alla vita, una specie senziente e intelligente diversa, ma simile, faceva lo stesso. Possiamo, per comodità di comprensione chiamare costoro Anunnaki, Elohim, Giganti, Titani, mediando la terminologia dei miti sumero-babilonesi e classici della cultura ellenica.

Per motivi che non possiamo determinare il loro percorso li portò già centinaia di migliaia di anni fa ad avere raggiunto un livello tecnologico simile a quello che l'umanità 'terrestre' avrebbe raggiunto solo in tempi recenti: viaggi spaziali, manipolazioni genetiche, fisica quantistica e chissà cosa altro.

E' probabile che quando sulla terra l'Australopiteco iniziò a camminare in posizione eretta su Marte questa ipotetica specie avesse già registrato un vantaggio evolutivo di un paio di milioni di anni.

Se assumiamo questo e prendiamo per vero l'ipotesi di Dillinger questi, che io non esito a chiamare Anunnaki, furono costretti a evacuare il loro pianeta in un intorno che va da 500 a 400mila anni fa, che guarda caso riporta alla lista di Beroso e all'Enuma Elish sumero tradotto da Sitchn il quale riporta l'arrivo degli Anunnaki intorno a 450.000 anni fa.

In uno scenario apocalittico come quello descritto nel film “2012” di Roland Emmerich è ragionevole pensare che il 95% della popolazione autoctona di Marte possa essere perita nella morte del loro mondo e che solo pochi esemplari di quella specie riuscì a giungere sul nostro pianeta.

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Uno sparuto gruppo di individui ricordati come Anunnaki (successivamente Elohim, quando assumeranno caratteristiche 'divine' e di comando) arriva sulla Terra e, come riportato in diversi miti cosmogonici, opererà una manipolazione genetica sul DNA degli Heidelbergensis per creare un essere senziente utile a svolgere attività lavorative per loro conto in sostituzione degli igigi (la classe lavoratrice Anunnaka).

Di questo abbiamo già trattato nell'articolo “Il Seme degli Dei”, ma soprattutto nella conferenza tenuta dal Progetto Atlanticus durante il 2° Memorial Carlo Sabadin durante il quale è stato presentato il nostro lavoro "Manipolazioni genetiche all'alba del genere umano" nel quale citiamo ciò che riteniamo ragionevoli prove di un intervento esogeno alla comparsa dell'Homo Sapiens facendo riferimento a ricerche genetiche come quelle di K.Pollard e alle 'anomalie' difficilmente spiegabili dalla teoria di Darwin come a titolo esemplificativo, tutta una serie di mutazioni e di delezioni di alcune tracce genetiche così come la scomparsa di una coppia di cromosomi nel confronto con i nostri parenti più stretti, i primati.

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I primi esemplari di Sapiens compaiono all'incirca 300.000 anni fa per essere destinati a popolare e civilizzare l'intero globo terracqueo secondo lo schema accreditato della Out of Africa II il quale si fonda su evidenze archeologiche e genetiche.

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Ma anche nel caso della Out of Africa, non me ne vogliano i puristi accademici, non c'è uniformità di vedute né certezza.

Prove linguistiche, genetiche, geografiche e di altro tipo continuano a confermare per il popolamento delle Americhe lo schema tradizionalmente accettato delle “tre ondate” di migrazione. Sulle date, invece, c'è una profonda incertezza: la cronologia ricavata dai dati genetici è compatibile con migrazioni avvenute durante fasi in cui i ghiacci si erano un po' ritirati, ma da un punto di vista archeologico si sa ancora veramente poco.

Riassumendolo in breve e senza addentrarsi in particolari, con la terza migrazione sono arrivati gli Inuit dell'Alaska e delle Aleutine, con la seconda i Na-dene (Apaches, Navajos e gli abitanti della costa pacifica a nord della California) e con la prima tutti gli altri, gli Amerindi propriamente detti.

Qualche anno fa fu scoperto a Kennewick, una località dello stato americano di Washington uno scheletro vecchio di 9000 anni che presentava delle caratteristiche un po' strane: le fattezze del volto sono caucasoidi e non amerinde e il suo DNA mitocondriale contiene l'aploguppo X, tipicamente euroasiatico. Cominciamo a dire subito che “caucasoide” non significa molto: ordinariamente con questo termine si intende un europeo, un nordafricano o un mediorientale, in contrasto con altri “tipi” come il negroide o l'orientale (il tipico aspetto degli asiatici nordorientali). In realtà caucasoide significa tutto e nulla: probabilmente erano somaticamente caucasoidi i primi uomini anatomicamente moderni usciti dall'Africa e quindi, semmai, sono gli orientali che si sono successivamente differenziati a partire da antenati caucasoidi. La stessa cosa è successa nelle Americhe, dove i primi nativi assomigliavano davvero poco ai loro discendenti attuali.

La presenza dell'aplogruppo X pone altri interrogativi. Fino ad allora era stato notato solo in Europa ed in Medio Oriente. La sua è comunque una distribuzione strana: gli aplogruppi hanno solitamente una elevata frequenza in una zona geograficamente ben delimitata. Invece X è debomente presente in molte aree: medio oriente (con particolare frequenza fra i drusi del Libano), nordafrica, Italia, Isole Orcadi, paesi nordici a lingue uraliche (ma solo Finlandia ed Estonia: è molto più raro nei popoli geneticamente e linguisticamente a loro connessi nelle steppe russe). Ed è sempre in percentuali inferiori al 5%, tranne che nei drusi, nelle Orcadi e in Georgia. Fra i nativi americani lo troviamo fra Na-dene e Algonchini (gli Amerindi del nordest, tra Canada e USA settentrionali),sia in popolazioni viventi che in sepolture. La percentule è tipicamente il 3 %, con alcuni picchi oltre il 10% in alcune tribù. In Sudamerica è presente negli Yanomami.

L'aploguppo X americano fu facilmente correlarlo a incroci con bianchi dopo la venuta degli europei (a cominciare dai Vichinghi nel IX secolo), ma la distanza genetica tra il tipo nordamericano e quello europeo è troppo alta per dare validità all'idea. Contemporaneamente era stata notata un'altra stranezza: le punte delle lance della cultura Clovis, la più antica documentata in Nordamerica, sono simili a quelle che venivano fabbricate in Francia dai Solutreani qualche migliaio di anni prima. Punte del genere si trovano soltanto in Francia, penisola iberica e Nordamerica.

Partendo dagli interrogativi che la presenza dell'aplogruppo X pone ai genetisti e alla paleoantropologia noi del Progetto Atlanticus andiamo a ipotizzare una visione azzardata e che richiama in causa quegli Elohim/Anunnaki che avevano lasciato alcune pagine fa dopo avere creato l'homo sapiens attraverso l'ibridazione tra il loro DNA e quello di un Herectus, o di un Heidelbergensis e che Progetto Atlanticus chiama “Out of Atlantis”.

Ma prima è interessante osservare alcuni dettagli che sono stati presentati dal Progetto Atlanticus nel lavoro “Il Cammino del Sapere”, disponibile in formato PDF gratuitamente nel sito blog degli autori “Le Stanze di Atlanticus”.

Questi dettagli corrispondono ad alcune caratteristiche fenotipiche che quasi sempre gli antichi testi associavano alle divinità, o ai semi-dei. Sto parlando del fenomeno del biondismo e del rutilismo, meglio ancora se associati dal colore chiaro di occhi.

Diverse mummie disseminate in ogni luogo del pianeta mostrano caratteristiche comuni appartenenti alle famiglie reali o divine di ogni tempo. Come ad esempio la nonna di Tutankhamon, nella immagine sottostante, risulta avere i capelli biondi e chiari lineamenti caucasici.

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Oppure ancora l'Uomo di Cherchen, in Cina che presenta tratti caucasici del tutto inattesi in estremo oriente.

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Come scrive Adriano Romualdi nel suo articolo “I Capelli Biondi nella Grecia Antica” la stragrande maggioranza degli eroi e degli dei di Omero sono biondi: Achille, modello dell’eroe acheo, è biondo come Sigfrido, biondi sono detti Menelao, Radamante, Briseide, Meleagro, Agamede, Ermione. Elena, per cui si combatte a Troia, è bionda, e bionda è Penelope nell’Odissea. Peisandro, commentando un passo dell’Iliade (IV, 147), descrive Menelao xanthokòmes, mégas én glaukòmmatos “biondo, alto e con gli occhi azzurri”. Karl Jax ha osservato che tra le dee e le eroine d’Omero non ce n’è una che abbia i capelli neri.

Che un certo ideale nordico contrassegnasse il vero elleno fino ai tempi più tardi, potrebbe confermarlo questa notizia del medico ebreo Adimanto, vissuto all’epoca dell’Impero Romano. Egli scrive (Physiognomikà, 11, 32): “Quegli uomini di stirpe ellenica o ionica che si son conservati puri, sono di statura abbastanza alta, robusti, di corporatura solida e dritta, con pelle chiara e biondi.

Ma moltissime altre civiltà associano capelli biondi o rossi e occhi azzurri a una caratteristica divina: egizi, sumeri, indiani e mesoamericani.

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E non dimentichiamo che anche il Quetzalcoatl dei Maya era ricordato come di carnagione chiara con capelli e barba rossa, soggetto quindi al fenomeno del rutilismo ovvero quella caratteristica delle persone che hanno peli e capelli rossi o castano ramato.

In egual modo veniva descritto Viracocha, il colonizzatore secondo la civiltà Inca, proveniente da est. Si ha notizia che un disegno rinvenuto a Palenque somiglia ad un Semita.

Scrittori come Taylor Hansen, Cieza de Leon, De La Vega, Simone Waisbarg, Kolosimo ed altri, che hanno indagato su quanto raccontato dagli spagnoli durante la loro invasione nelle Americhe, ci presentano un gigante bianco, barbuto, con un tridente, che regge una catena alla quale è legato un serpente mostruoso. Identificato dagli Iberici con San Bartolomeo, simile al Nettuno di Platone (Poseidonis di Atlantide); che raffigura il "dio bianco" Viracocha, il creatore del mondo, al quale era consacrato il tempio di Tiahuanaco (città chiamata Chuquiyutu da Diego D’Alcobada), palazzo definito la vera ottava meraviglia del mondo per le sue dimensioni. La sola sala del trono era 48 metri per 39.

Gli spagnoli parlano di sessanta giorni e sessanta notti di pioggia incessante. Dopo il Diluvio, Viracocha si stabilì nell'isola sul lago Titicaca e plasmò gli uomini d'argilla e vi soffiò dentro la vita, insegnò loro il linguaggio e le scienze, i costumi e li distribuì nel mondo volando da un continente all'altro. Si diresse poi a Tiahuanaco; da qui inviò due emissari a ovest e a nord. Lui prese la strada per Cuzco. Sopra una carta geografica possiamo tracciare la cosiddetta "Rotta di Viracocha" che passa da Pukara, città distrutta dalla caduta di un fuoco dal cielo, come avvenne per Sodoma e Gomorra. Pukara è equidistante sia da Tiahuanaco che da Cuzco.

Questa caratteristica è occasionale nelle popolazioni caucasiche e si crede relazionata con una pigmentazione più chiara e la presenza di lentiggini ed un'alta propensione al melanoma e ad altri problemi cutanei; tuttavia pur non sembrando essere relazionata con una pigmentazione oculare alcuni la mettono in relazione con il colore verde.

Oggi il rutilismo è diffuso in Europa occidentale, in particolare sulle coste dell'Atlantico. E' ritenuto dai genetisti "un carattere residuale, ereditato da una popolazione in cui era presente nella totalità o quasi degli individui e conservatosi in quelle zone dove l'ibridazione è stata più lenta". Circa 20 mila anni fa, sebbene già esistente come mutazione individuale nei Sapiens Sapiens, il rutilismo è diventato il tratto fenotipico dominante degli abitanti della paleo-Europa. Secondo i genetisti si è trattato di una risposta fisiologica al clima glaciale, freddo e scarsamente illuminato.

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Si è imposto in questo tipo di ambiente perché la pelle chiara favorisce l'assunzione della vitamina D e soprattutto perché i rossi trattengono meglio il calore e quindi risultano meno esposti al congelamento, caratteristica fisica ideale per sopravvivere in un periodo di freddo rigido, oppure su un pianeta più lontano dal Sole e quindi meno 'caldo' della Terra.

Attualmente i rossi sono concentrati soprattutto nel nord Europa, alla fine dell'era glaciale, invece, il rutilismo doveva risultare assai indicato anche a latitudini mediterranee. Basta considerare che la linea degli alberi ad alto fusto durante il massimo glaciale del Wurm era situata sulla direttrice Mar Nero-Liguria-Spagna (45° parallelo), mentre oggi la troviamo al circolo polare. Anche l'uomo di Neanderthal, che abitava le stesse zone in tempi precedenti, aveva i capelli rossi. La scoperta è stata fatta analizzando due soggetti vissuti tra i 40 e i 50 mila anni fa, uno in Spagna e uno in Italia. Ma si tratta di una convergenza evolutiva. L’attuale rutilismo dei Sapiens Sapiens, infatti, nonostante il provato incrocio tra le due specie, non è un'eredità neanderthaliana, è dovuto a un'espressione diversa dello stesso gene MC1r mutato. Evidenza che naturalmente punta i riflettori sull'adattamento alle condizioni climatiche: le popolazioni presenti in Europa durante l’era glaciale hanno assunto questo connotato fenotipico, che era già presente a livello individuale nei loro antenati, ma che solo per ragioni ambientali è diventato patrimonio genetico della generalità degli individui.

Una cosa interessante è la leggenda della tribù ancestrale dei Si-Te-Cah ricordata dalla tradizione orale degli indiani Paiute del Nevada... si parla di uomini bianchi di alta statura con i capelli rossi. Siamo intorno al 45° parallelo, quindi alla stessa latitudine dell’area che in Europa ha ospitato la cultura cromagnoide il che farebbe pensare che anche dall’altra parte dell’oceano ci fossero condizioni climatiche tali da determinare la diffusione del rutilismo.

Pure gli "uomini del mare", invasori dell'Egitto, vengono indicati come "rossi" e addirittura nelle leggende Cinesi troviamo un popolo dai capelli rossi. La parola Rutennu o Rotennu deriva da Rut o Rot che significa rosso. Di tale colore il mare che bagnava l'Egitto, "il mare dei Rossi".

Rut deriva da Rute che con Daytia era una delle due isole superstiti di Atlantide; punto di partenza della razza che soggiogò quella che dimorava sulle sponde del Nilo originando i Rutennu: gli uomini del mare di Rute.

Il popolo degli Yxsos veniva definito una razza più rossa di quella egizia e, per loro stessa ammissione, proveniva da quella terra che si stendeva fra il Pacifico e il Sud atlantico chiamata "Oceano Ethiopicus", nota come Etiopia, notoriamente popolata da "neri". Terra che formava una sorta di ponte fra i popoli dell'Atlantico, del Mediterraneo e del Pacifico.

Significativo che il vocabolo "Kush", trasformazione del nome Cuzco (un collegamento con le Ande?), sia un vocabolo non ebraico tramandatoci dalla Bibbia, che si ritrova nel nome degli Etruschi, Etr-ush e definisca gli Etiopi e la loro terra; quella di Koshu. Inoltre l'antico nome di Ur era Kish.

Quindi l'origine di molti popoli sembra si trovasse nel mezzo dell'Atlantico, in quella Rute che apparteneva ad Atlantide.

Rossi erano tutti i popoli sulle sponde delle terre intorno a quest'ultimo perduto continente: i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli Indios americani, i Pellirosse; razze che affermavano di provenire da una terra chiamata Aztlan o Atlan naufragata nell'Oceano Atlantico in seguito a cataclismi e terremoti.

Vivo è il ricordo fra il popolo rosso americano. I Delaware ricordano l'età dell'oro e quella della distruzione di una grande isola oltre l'oceano; i Mandan conservano un'immagine dell'Arca; i Dakota raccontano che gli avi salparono da un'isola sprofondata a oriente.

Gli Okanocan parlano di giganti bianchi su di un'isola in mezzo all'oceano che venne distrutta; i superstiti divennero rossi in seguito alle scottature del sole per aver navigato per giorni su di una canoa.

Ad uno dei più antichi ceppi della razza rossa appartengono anche i Guanci delle isole Canarie; individui con occhi azzurri, capigliatura bionda come alcuni Incas e Chimù.

Gli antichi ebrei avevano i capelli biondi e crespi non comuni ai popoli orientali, orgogliosi della loro cultura monoteista da considerarsi gli "eletti".

Seguendo le tracce di questo colore giungiamo fino al Pianeta Rosso: "Marte". Secondo Brinsley Le Poer Trench, il libro di Enoch proverebbe che l'Eden si trovava su quel pianeta. Enoc nel terzo cielo, quello di Marte, appunto, contemplò il giardino del Paradiso e al centro vide l'albero della Vita.

Perchè queste caratteristiche venivano associate al 'divino'? E come mai troviamo tratti caucasici, indoeuropei presso culture che, secondo la storia e la genetica, non dovrebbero avere avuto contatti fino al XVI secolo? E perchè tutti parlano di una origine di queste divinità da un luogo sconvolto da un cataclisma e quindi sede e origine di queste caratteristiche fisiche?

Per cercare di rispondere alle sopraccitate domande dobbiamo tornare all'ibridazione e chiamare in causa un noto passo biblico.

"quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sopra la faccia della Terra e nacquero loro delle figliole avvenne che i figli di Dio videro che le figliole degli uomini erano belle e se ne presero per mogli tra tutte quelle che più loro piacquero e queste partorirono loro dei figli. Sono questi i famosi eroi dell'antichità”

Quali uomini? I Sapiens, nati dall'esperimento genetico degli Anunnaki promosso da Enki come narrato nell'Inuma ilu Awilum e anche nella Genesi biblica se vogliamo.

Quali figli di dio? I figli appunto degli Anunnaki arrivati da Marte.

Quali famosi eroi dell'antichità? Coloro che saranno ricordati come 'Giganti', uomini famosi, probabilmente caratterizzati da biondismo e/o rutilismo. I cosiddetti Nephilim e che si collegano alla figura e al ruolo di Atlantide non tanto quale culla non del genere umano, che rimane l'Africa e la teoria dell'Out of Africa, tanto quanto punto di origine di quelle caratteristiche fenotipiche attribuite a quelle divinità civilizzatrici che effettivamente dopo il diluvio riportarono la civiltà nel mondo secondo l'ipotesi Out Of Atlantis.

Un parallelismo tra le teorie Out of Africa II e Out of Atlantis dove una non sostituisce l'altra ma si integrano armoniosamente.

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Non sto parlando di razze secondo i tradizionali canoni. Sto parlando di eredità genetiche, alberi genealogici che hanno avuto origine da diversi punti di partenza e dove, per qualche motivo, alcune caratteristiche fisiche (occhi azzurri+capelli biondi oppure occhi verdi+capelli rossi) rappresentavano un elemento identificativo di coloro che appartenevano a delle stirpi divine.

I punti di partenza genealogici possono essere L'Homo Heidelbergensis (H.Erectus/Ergaster) da cui ha avuto origine il fenotipo negroide e gli aplogruppi ad esso collegati derivanti dalla prima ibridazione.

Il Neanderthal da cui ha avuto origine il fenotipo del rutilismo (capelli rossi e pelle chiara) tratto fenotipico dominante degli abitanti della paleo-Europa. Fenotipo che ragionevolmente mi fa pensare agli individui selezionati per portare la civiltà nel mondo dopo il Diluvio, gli Enkiliti, gli Elohim.

Il Cro-Magnon, biondo con gli occhi azzurri, alto tra 1,80 e 1,90 m, antagonisti dei Neanderthal come peraltro ricordato nel passo biblico in cui si parla di Esaù e Giacobbe. Tra l'altro una statura di quel livello significava apparire come 'Gigante' rispetto all'altezza media del Sapiens.

Il successivo incrocio tra tutti questi fenotipi nel corso dei millenni ha portato all'uomo moderno con la diversità di caratteristiche evidenziata dai numerosissimi rami genetici chiamati aplogruppi.

Possiamo allora giungere al seguente schema che descrive sinotticamente le riflessioni fin qui fatte per cercare insieme di definire una conclusione a questo percorso storico.

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Il mito classico ci racconta di una violenta guerra tra Titani e Dei con la vittoria di questi ultimi. Guerre incredibili sono citate anche nei testi sanscriti Veda come il Mahabarata dove vengono descritte armi che ricordano i più moderni arsenali bellici e anche più avanzate. La Bibbia stessa ricorda la cura con cui Yahweh procede all'annientamento del popolo degli Anakiti (notare l'assonanza con Anunnaki) e lo sterminio di Giganti viene più o meno raccontato in molte leggende di diverse culture un po' ovunque nel mondo.

Come se a un certo punto, nella storia remota, forse ancor prima del Diluvio Universale, in quella che fu la utopica età dell'oro, l'Atlantide, i Nephilim si fossero ribellati al potere dei 'padri' Titani in una sorta di guerra civile pro-tempore in cui i Sapiens diventavano eserciti, pedoni di una ipotetica scacchiera.

Zeus che combatte contro Crono. Davide (biondo) che combatte contro Golia (titanico gigante anakita). Thor (il rosso) e Odino (il biondo) che combattono contro l'equivalente dei Titani greci nella mitologia norrena.

I biondi (o rossi) Nephilim contro i 'vecchi' Titani Anunnaki in guerra tra di loro per diventare gli Elohim, gli Dei e regnare incontrastati sugli Uomini Sapiens Sapiens nei millenni a venire.

Fonti
http://archiviostorico.corriere.it/2000 ... 2257.shtml
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12354
http://www.progettoatlanticus.net/2012/ ... tario.html
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... O_ID=10076
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... O_ID=10084
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http://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_norrena

23/02/2014, 22:34

GLI "ANTICHI DEI" TRA NEO-EVEMERISMO E CULTI ASTRONOMICI
Una chiave di lettura proposta dal Progetto Atlanticus inclusiva di elementi di neo-evemerismo e culti astronomico-cosmologici nell'interpretazione del mito e della figura degli "Antichi Dei"


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Quando affrontiamo certe tematiche della paleoarcheologia e più in generale ai misteri che accompagnano il nostro remoto passato spesso incrociamo nel nostro percorso di ricerca autori del calibro di Biagio Russo, Mauro Biglino i quali ci presentano una chiave di lettura totalmente diversa ed eterodossa del mito e dei testi sacri universalmente riconosciuti dove l'origine del 'divino', gli 'Antichi Dei' per utilizzare un costrutto molto utilizzato dal Progetto Atlanticus, viene riletta quale questi fossero esseri in carne ed ossa, umani, oppure extraterrestri così come invece avanzato da molti altri appartenenti al filone della “Teoria degli Antichi Astronauti” come per esempio Sitchin, Alford, Von Daniken o Tsoukalos.

Ho avuto l’opportunità di incontrare Biagio Russo, di colloquiare con lui più di una volta anche su argomenti non propriamente attinenti alla sua pubblicazione e di conoscere la persona oltre che l’autore. Una persona di grande disponibilità ed umiltà, due qualità che raramente si addicono a chi ne sa sicuramente molto più di te.

Con il suo lavoro, da più parti considerato meritevole di lode, Biagio Russo, intervistato in passato anche da Sabrina Pieragostini, giornalista di Italia 1, laureata in Lettere Antiche presso l’Università di Pavia e divulgatrice tramite il sito blog Extremamente.it, ci conduce per mano in una indagine che si avvale di una disamina precisa sugli indizi e le testimonianze di cui sono latori antichi testi dei popoli antichi, con piglio scientifico e speculativo che avvince il lettore.

Contenuti verificati e verificabili, ma soprattutto provenienti sempre ed esclusivamente da fonti originali quali testi scritti o curati da autorevoli esponenti accademici di fama internazionale esperti di tutte quelle scienze che sono state necessariamente toccate. Ma anche testi originali molto antichi, tra i quali, in primis, le traduzioni delle tavolette sumero-accadiche ad opera dei padri dell’assiriologia e sumerologia come i professori Poeble, Smith, Kramer, Thorkild, Bottéro, o i professori italiani Furlani, Saporetti e Pettinato.

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E' una interpretazione che ai nostri occhi suona come totalmente nuova, un approccio mai azzardato prima. In realtà osservando la storia della filosofia possiamo osservare che un tale approccio metodologico fu già concepito nel IV secolo prima di Cristo e prese il nome di evemerismo.

L'evemerismo consiste nell'interpretazione delle religioni in chiave razionalistica, per cui gli dei sarebbero personaggi realmente esistiti, divinizzati dai posteri per le loro imprese, e i miti sarebbero ricordi, fantasticamente elaborati, di vicende storiche antichissime. Autore di questa teoria fu Evemero di Messina, il quale s'inserisce nella corrente di pensiero greca iniziata con gli antichi logografi, che pretendevano di ricavare notizie storiche dalle tradizioni mitiche delle singole città.

L'opera di Evemero, dal titolo "sacro resoconto", (piuttosto dell'ambiguo "sacra scrittura") si inserisce in un filone letterario a lui contemporaneo in cui storiografia,etnografia e opportunismo politico erano commisti a scapito del rigore intellettuale che aveva caratterizzato la storiografia del secolo precedente.

L'opera non ci è giunta intera, ma grazie al compendio in Diodoro Siculo (V 41-46 e VI 1) ed ai numerosi frammenti della traduzione di Ennio intitolata Euhemerus, abbiamo un'idea complessivamente adeguata del contenuto di questo scritto, probabilmente diviso in tre libri rispondenti alla descrizione geografica (I), politica (II), teologica (III) di un arcipelago dell'Oceano Indianovisitato dall'autore a seguito di una tempesta che lo portò fuori rotta.

L'evemerismo nella cultura greca rispondeva all'esigenza di giustificare la presenza di un'enorme produzione mitologica, nonché la grande considerazione in cui essa era tenuta; d'altro lato, poiché la speculazione contrapponeva il “mito” al logos come una non-verità rispetto alla verità logica, si sentiva la necessità di ridurre alla logica, ossia di razionalizzare, i miti apparentemente razionalizzabili: un tentativo di ricavare la verità da forme menzognere; era in fondo la ricerca della verità nel senso della filosofia greca.

Ripreso da Ennio nell'Euhemerus, l'evemerismo fu utilizzato dai primi autori cristiani nella loro polemica antipagana e fu poi ripreso dall'Illuminismo nella sua critica alle credenze religiose. Si denominò neo-evemerismo una corrente esegetica storico-religiosa del sec. XIX, facente capo a H. Spencer, secondo cui ogni religione trae origine dal culto degli antenati. Tali modi di porsi di fronte alla produzione religiosa sono stati superati negli studi storico-religiosi e tuttavia talvolta tentativi di razionalizzazione di tipo evemeristico emergono negli studi storico-filologici.

Tale chiave di lettura è quella che consente che permette al Progetto Atlanticus di interpretare la figura di Yahweh non come essere divino trascendente, ma entità materiale, fatta di carne ed ossa e sentimenti e comportamenti molto più umani che divini come Mauro Biglino ci ricorda nel seguente estratto dove vengono analizzate le figure degli Elohim Yahweh e Kamosh.

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“In Giudici 11 Jefte, comandante delle forze israelite, sta combattendo con Ammoniti, Moabiti… e nella controversia con il re di Ammon dice (versetto 24): “Non possiedi tu quello che Kemosh, tuo elohim, ti ha fatto possedere? Così anche noi possediamo tutto ciò che Yahweh, elohim nostro, ha dato in possesso a noi”.


Yahweh e Kemosh sono evidentemente uguali, hanno gli stessi diritti e gli stessi poteri, nessuno dei due è considerato superiore all’altro.

Mauro Biglino a questo punto ci fa notare ulteriori aspetti molto significativi.

La prima è che questo è uno dei tantissimi errori commessi dai masoreti che hanno attribuito agli ammoniti l’elohim Kemosh che invece era l’elohim dei moabiti... uno dei 1500 errori di questa fattispecie come peraltro segnalato dal Professor Menachemk Cohen dell'Università Bar-Illan di Tel Aviv

La seconda annotazione del Biglino è che questi elohim di rango inferiore combattevano tra di loro per dei fazzoletti di terra, mentre i loro colleghi più alti in grado si occupavano dei grandi imperi.

Tornando alle parole testuali di Biglino:

“Che Kemosh fosse alla pari di Yahweh lo sapeva anche Salomone, molti decenni dopo; gli fa infatti erigere un luogo di culto così come fa erigere un luogo di culto a Milcom, l’elohim degli ammoniti. Salomone sapeva che era bene tenersi buoni tutti gli elohim che operavano in quel territorio: in fondo Yahweh poteva anche scomparire da un momento all’altro e allora il buon senso diceva che era meglio avere rapporti anche con gli altri”


Un altro aspetto interessante si trova nella stele di Mesha (850 a.C.): iscrizione su basalto nero fatta compilare da Mesha, signore appunto dei moabiti che tra le altre cose contiene il resoconto di una battaglia per la conquista di un centro abitato; alla linea 13 c’è scritto: “andai e combattei, la presi, uccisi tutti, settemila uomini, ragazzi, donne, ragazze e serve, poiché li avevo votati a Astar-Kemosh…”

Nella stele di Mesha, ci ricorda Biglino, si racconta anche che Kemosh dimorava presso i moabiti nei territori conquistati esattamente come la Bibbia dice che Yahweh dimorava con il suo popolo e vi si legge anche di come i moabiti vennero sconfitti nel momento in cui Kemosh era adirato con il suo popolo, esattamente come succedeva ad Israele quando Yahweh era adirato con i suoi.

Insomma i due elohim paiono essere proprio uguali in tutto: stessi diritti, stessi poteri, stesse mire di conquista territoriale, stesse esigenze in termini di sacrifici, stessi ordini di sterminio…

E volendo tale impostazione non si allontana neppure di molto da quanto sostenuto dagli stessi esegeti ebraici studiosi dei sacri testi talmudici i quali affermano (e possiamo leggere una interessante conversazione al riguardo su un forum cui partecipano grandi esperti di tradizione e cultura ebraica)

http://consulenzaebraica.forumfree.it/? ... 864&st=165

dove si afferma che

La Bibbia contiene molti segreti e ciò è noto da millenni agli ebrei attraverso i testi della tradizione orale. Alcune delle cose spiegate da Mauro Biglino sono comuni agli ebrei, ma risultano totalmente estranee e sorprendenti ad un pubblico non ebraico abituato a leggere la Bibbia dalle traduzioni.

Per esempio il termine ebraico “mal’ach” tradotto in italiano con “angelo” ha spesso come soggetto gli essere umani comuni. Sono relativamente pochi i casi in cui il termine “mal’ach” indica apparizioni fuori dal comune. Questo per l’ebreo che legge la Bibbia in ebraico è assolutamente normale. Gli angeli, nell’ebraismo sono anche le azioni divine, che possono essere portate a termine attraverso vari mezzi, fra cui: comuni cittadini, profeti, microorganismi e cose materiali e queste stesse cose sono dette “mala’achim” ovvero “coloro che svolgono un compito”.

Che la Bibbia parli di ingegneria genetica è noto da sempre agli ebrei attraverso il Talmud, ma gli autori del Talmud non attribuirono mai tali conoscenze scientifiche avanzate ad esseri provenienti da altri mondi, come appunto vuole la linea interpretativa di Mauro Biglino.

L’ingegneria genetica altro non fu che l’eredità degli umani che vissero prima del diluvio universale narrato nella Bibbia (racconto presente in altre forme in varie altre tradizioni distanti nel tempo e nello spazio). In 1656 anni, la durata dell’era prediluviana si raggiunse un livello scientifico clamoroso, in parte derivante dal fatto che i prediluviani sapevano sfruttare pienamente la memoria e le altre parti del cervello con tutte le specialità cui esso è dotato. In parte perché avevano una vita longeva, conseguenza del tipo di atmosfera diverso che vi era prima del diluvio la quale rallentava notevolmente l’invecchiamento.

Nel Talmud non è narrata la favola degli angeli caduti; questi, come testimoniato da vari scritti ebraici antichi, altro non sono che i governanti di quel mondo, detti “shoftim” = “giudici”. Nella Bibbia i cosiddetti “figli di D-o”, che in ebraico l’originale ha: “benè haelohim”, altro non sono che la categoria della classe dirigente. Gli “elohim”, come vuole l’etimologia di questo termine, altro non sono che i “giudici”. Il termine “ben”, in ebraico spesso designa appartenenza oltre che figliolanza. Pertanto i benè haelohim sono coloro che appartengono alla classe degli elohim ovvero dei giudici umani, assolutamente umani.

Su varie cose Mauro ha ragione: la Bibbia, come egli afferma, non è un libro di religione; ma questo discorso, come d’altronde anche altre cose simili che afferma, non riguardano certamentegli ebrei e l’Ebraismo, né la religione ebraica perché questa è quasi sconosciuta e proibisce severamente il proselitismo. Dunque, dato che non ha mai avuto una volontà di divulgazione, i suoi contenuti rimangono ignoti ai più.

Gli ingegneri genetici erano i “refaim” vocalizabile altrimenti con “rofim”=medici, e non gli “elohim”. Questi c’entrano in parte, nell’era prediluviana per l’appoggio a questi concesso come rappresentanti del potere.

E ci stiamo limitando a riportare le testuali parole dell'esegeta talmudico autore di tale post; parole che a mio parere hanno un peso specifico importante e rivelano cose sconvolgenti, che molti di noi hanno solo teorizzato e ipotizzato sulla base delle ricerche autonomamente svolte, ma che l'esegeta dichiara come note... e note da sempre!

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Progetto Atlanticus, riprendendo le parole di Fabio Marino, medico psichiatra con la passione per l'astronomia, gli enigmi della Storia e co-Direttore della webzine “Tracce d'Eternità” e del suo articolo “La Bibbia e gli alieni - Mitopoiesi moderna o neo-Evemerismo sostenibile?”, come penso sia noto, si presenta come un chiaro esempio di sostenitore dell’ipotesi del paleo-contatto.

Ultimamente, si osserva una spiccata tendenza ad interpretare (o a voler interpretare) gli scritti biblici come un vero e proprio resoconto di contatti con civiltà aliene; e di questa tendenza esistono addirittura diversi filoni, alcuni dei quali prevedono finanche la creazione ex novo del genere umano attraverso manipolazioni genetiche.

Si tratta, chiaramente, di un’impostazione che filosoficamente possiamo definire “neo-evemerismo” (neologismo coniato dallo stesso Marino, che riprende il principio base del pensiero di Evemero in cui però ad essere divinizzati sarebbero stati gli alieni in visita sul nostro pianeta.

Un notevole tentativo, in epoca recente, di studiare l’Antico Testamento (e segnatamente il Libro della Genesi) in chiave scientifica è rappresentato dall’ottimo ed affascinante “In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza” (1981, Mondadori), di Isaac Asimov. In esso, ancora Fabio Marino ci fa notare di come l’autore raffronti le affermazioni contenute nella Genesi biblica con le attuali conoscenze scientifiche, traendone, di fatto, un quadro interlocutorio utilizzando, com’è ovvio, le categorie di un popolo dell’antichità.

Sempre Marino, nella conclusione del suo articolo avverte dei possibili rischi e limiti nella esclusiva interpretazione in chiave letterale dei testi antichi senza per questo voler sminuire il lavoro di molti ricercatori indipendenti ma sottolineando il fatto che probabilmente un atteggiamento più “scientifico” permetterebbe una messe di risultati più sostenibili o meno esclusivi.

Ciò che ci proponiamo in quest'articolo è, senza troppe pretese, il voler presentare una sorta di superamento dell'approccio neo-everista che integri la chiave antropologica nella lettura degli “Antichi Dei” con la rappresentazione metaforica del 'divino' come espressione di un antico culto pagano astronomico-solare risalente al periodo preistorico precedente alla fine della glaciazione di Wurm e forse a cavallo della stessa. Che è poi la chiave di lettura presentata e seguita dal Progetto Atlanticus nell'interpretazione dei fatti e dei misteri della storia e della preistoria.

I più accesi critici dell'approccio neo-evemerista sono proprio coloro i quali percepiscono un errore sostanziale il considerare il mito come un testo storico o esclusivamente storico. Il mito diventa allora non la mitizzazione di eventi passati, ma un trattato prescientifico espresso attraverso allegorie e altre figure retoriche secondo i modelli letterari culturali delle popolazioni antiche, finalizzato a descrivere e spiegare come è fatto l'universo. Il che non nega a priori l'esistenza di civlità o di superciviltà in un tempo dimenticato dalla storia come anche cerchiamo di fare nell'ambito delle nostre ricerche.

E non vuole dire neppure che gli anti-neo-evemeristi (mi si conceda questo nuovo neologismo) seguano necessariamente la corrente ortodossa e dogmatica di certa scienza. Anzi...

Vale la pena ricordare i preziosi contributi offerti da Giorgio Giordano caratterizzati da un notevole e sempre ricercato rigore scientifico pur confutando molte delle teorie accademiche maggiormente accreditate.

Notevole la sua determinazione nel presentare una analisi critica alla teoria antropologica dell'Out of Africa così come descritto nel seguente estratto del suo articolo “La prima umanità” tratto dal suo blog “La Macchina del Tempo”

Nonostante le numerose scoperte che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni, è ancora diffusa la falsa opinione di una preistoria da sussidiario elementare, quella dei cosiddetti uomini delle caverne, visti come esseri estremamente basici e incapaci di un pensiero elevato. Evidenti tracce di civiltà, al contrario, sono riscontrabili già all'apparizione dell’uomo, oltre un milione di anni prima della ben nota esplosione della cultura dell’Homo sapiens, avvenuta a partire da circa 200 mila anni fa.

La prima umanità, che generalmente definiamo dell’Homo erectus, era decisamente avanzata. Niente esseri ricurvi e capaci solamente di grugniti, niente sassi appena scheggiati usati come utensili e popolazioni in balia della natura. L'uomo è apparso quasi due milioni di anni fa. Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo georgicus, Homo erectus e Homo ergaster esistevano più o meno contemporaneamente.

Pare che questi primissimi appartenenti al genere Homo non siano ominidi distinti, l'uno l'evoluzione dell'altro, ma che in realtà rappresentino solo variabilità somatiche tra individui della medesima specie. L'antichità dei reperti georgiani ha fatto perfino dubitare dell'origine africana della nostra specie. Ormai, peraltro, è ampiamente rivalutata la teoria evolutiva multi-regionale, in alternativa al modello Out of Africa.

In definitiva, abbiamo forme interfeconde, appartenenti a un unico flusso umano, con inevitabili derive genetiche in occasione di isolamento geografico e viceversa profondi rimescolamenti del Dna a seguito di grandi migrazioni.

Oggi il nome Homo ergaster è spesso attribuito alle popolazioni dei primi uomini stanziati in Africa, mentre con il termine erectus si preferisce indicare la prima umanità asiatica. Homo erectus era in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa. Le impronte di Laetoli, in Tanzania, che risalgono a ben 3,6 milioni di anni fa, appartenute all'Australopithecus afarensis, indicano una postura eretta e un andatura bipede, ma l'arco plantare risulta molto meno accentuato e gli alluci divergenti. Homo ergaster, 1,5 milioni di anni fa, invece, aveva un piede anatomicamente moderno. Ed era un perfetto corridore. Il famoso ragazzo di Turkana non era poi così diverso da noi. Era un dodicenne di 160 centimetri che sarebbero diventati 185 al raggiungimento dell'età adulta. Si può supporre che in linea generale avesse un aspetto assai simile a un uomo moderno, con una struttura corporea paragonabile agli attuali Masai, anche se la capacità cranica era di 880 cm³, che sarebbero diventati 910 cm³ con la maturità, molto meno dell'uomo moderno che in media raggiunge i 1350 cm³. Uomini con una scatola cranica più piccola, è vero, tuttavia già con una mente in grado di elaborare concetti "raffinati".

Circa 60 mila anni fa i Sapiens in arrivo dall'Africa si sono stanziati in massa in Medioriente. Qualcuno si è anche unito ai Neanderthal. Attorno ai 50 mila anni fa quei Sapiens si sono divisi: alcuni sono andati verso l'Europa, altri si sono diretti verso il Caucaso (altri ancora verso mete extraeuropee di cui non ci occupiamo). I primi sono entrati in Europa circa 45 mila anni fa in almeno due forme, Cro-Magnon e Brunn (simile a Combe-Capelle). Invaso il continente, questi due tipi di Sapiens si sono accoppiasti tra loro e con i Neanderthal, e probabilmente anche con l'Homo Heidelbergensis, giacché la genetica è tuttora alla ricerca di un uomo misterioso che ci ha fornito diversi geni.

Grazie a una certa stabilità climatica, tra i 35 e i 22 mila anni fa si è sviluppata la raffinata cultura paleoeuropea delle Veneri, con una popolazione verosimilmente caratterizzata dalla mutazione del rutilismo (capelli rossi e lentiggini) e da grandi dimensioni fisiche, a cui si attribuisce l'aplogruppo I. Circa 23 mila anni fa è tornato il freddo intenso, durato poi sino a 17 mila anni fa. L'aplogroppo I in quel periodo si è ritirato verso sud. Nell'area franco-ispanica e lungo i bordi della calotta glaciale è sorto l'aplogrupopo I1, mentre nell'area mediterranea e nei Balcani l'aplogruppo I2. Nel frattempo le popolazioni rimaste ai confini d'Europa (che erano di tipo cromagnoide) hanno sviluppato l'aprogruppo R1, che sarà poi degli indoeuropei.

Ma è in altre sue pubblicazioni a presentare la fotografia di una società umana prediluviana diversa da quella cui siamo abituati a pensare. Una civiltà globale di decine di migliaia di anni fa che, esattamente come noi, si prodigavano di comprendere le dinamiche del cosmo e rispondere a quelle ataviche domande del “chi siamo?”, “cosa facciamo?” e “dove andiamo?” cercando di dare risposta attraverso gli strumenti e i modelli culturali dell'epoca, producendo miti cosmogonici descriventi i movimenti degli astri e del Sole, venendo così a definire un culto cosmologico, astronomico, solare tradotto nei miti che verranno tramandati poi nei secoli/millenni a venire.

E' ancora Giorgio Giordano a ricordarci che, sotto questa veste, il mito diventa pertanto una complessa narrazione incentrata sugli eventi celesti osservabili dagli antichi uomini appartenenti a questa civiltà globale, descritti sotto forma di avventura terrena, con protagonisti Dei, chimere o eroi.

I moti del Sole, della Luna, dei pianeti e delle costellazioni, vengono incarnati in una storia che a prima vista sembra dire delle cose, ma che in realtà vuole significare tutt'altro. Questo perché la mitologia si esprime attraverso l'allegoria. Per noi moderni è difficile comprendere il motivo per cui gli uomini preistorici che inventarono i miti, per parlare di astronomia e di altri “saperi” ancestrali, utilizzarono immagini simboliche e non il linguaggio descrittivo che invece caratterizza i nostri trattati scientifici.

In quest'ottica la lista reale di Sumer che più volte abbiamo citato nei nostri precedenti lavori assumerebbe tutt'altro significato. Un significato astronomico legato ai cicli precessionali del pianeta Terra.

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Il prof. Santillana e la dott.ssa Hertha von Dechend nel loro famoso trattato ''Hamlet's Mill'' (Il Mulino di Amleto) sostengono fermamente questa tesi. Essi affermano che a partire almeno dal 6.000 a.C. nel mondo esisteva un complesso di conoscenze astronomiche scientifiche e che tale dottrina utilizzava apposite convenzioni mitologiche: gli dei sono pianeti, gli animali sono costellazioni (zodiaco significa “quadrante di animali”) ed i riferimenti topografici sono metafore per l’ubicazione, in genere del Sole, nella sfera celeste; gli antichi sembravano inoltre usare un ''codice numerico precessionale'' presente in molti miti e nell'architettura sacra di tutto il mondo.

Gli astronomi moderni hanno calcolato che un grado del movimento precessionale si compie in 71,6 anni. I miti essendo storie basate su simbologie umane, animali ecc. difficilmente avrebbero potuto adottare come riferimento un tale numero decimale, ma potevano servirsi dello stesso numero arrotondato all'intero più vicino.

Il numero ''dominante'' del codice precessionale risulta essere infatti il 72. Si possono poi ottenere tutta una serie di altri numeri collegati: si può ad esempio dividere per due ed ottenere il 36, sommargli quest'ultimo per originare il 108, moltiplicare questi numeri per 10, 100, 1.000 e formare 360, 3.600, 36.000 oppure 720, 7.200 ecc.; il 108 (un grado e mezzo del ciclo precessionale) può essere diviso per 2 e dare 54 (con i suoi multipli 540, 5.400 ecc.). Molto importante era anche il numero 2.160 (numero di anni necessario al Sole per attraversare completamente un segno zodiacale nel movimento precessionale); diviso per 10 forma il 216, moltiplicato per 2 dà 4.320 e quest'ultimo moltiplicato ancora per 10, 100, 1.000 origina 43.200, 432.000, 4.320.000 ecc.

I numeri del codice precessionale affiorano in continuazione, nel mondo antico, sotto molteplici forme.

In un mito nordico che descrive l'Apocalisse, si può calcolare che i guerrieri che escono dal Walhalla per combattere contro il ''Lupo'' sono 432.000; lo storico babilonese Berosso (3° secolo a.C.) attribuì ai mitici sovrani di Sumer un regno totale di 432.000 anni; lo stesso Berosso fissò la durata del periodo compreso fra la Creazione e la Distruzione Universale, in 2.160.000 anni; nell'altare del fuoco indiano, nell'Agnicayana, ci sono 10.800 mattoni; nel più antico dei testi vedici, il noto Rig-Veda, ogni strofa è composta da quaranta sillabe per un totale di 432.000 .

Ricordiamo inoltre che la Grande Piramide costituisce una rappresentazione dell'emisfero terrestre in scala 1:43.200 e che il numero 216 si trova rappresentato nelle misure della Camera del Re.

Nel calendario Maya del Lungo Computo figurano le seguenti formule: 1 Katun = 7.200 giorni; 1 Tun = 360 giorni; 2 Tun = 720 giorni; 5 Baktun = 720.000 giorni; 5 Katun = 36.000 giorni; 6 Katun = 43.200 giorni; 6 Tun = 2.160 giorni; 15 Katun = 2.160.000 giorni.

Nella cabala ebraica ci sono 72 angeli attraverso i quali i Sephiroth ( i poteri divini) possono essere avvicinati o invocati; la tradizione rosacrociana parla di cicli di 108 anni in relazione ai quali la confraternita segreta fa sentire la propria influenza.

In India i testi sacri chiamati Purana parlano di quattro età della terra chiamate Yuga che insieme formano 12.000 ''anni divini''; le rispettive durate di queste epoche sono: Krita Yuga = 4.800 anni; Treta Yuga = 3.600 anni, Davpara Yuga = 2.400 anni; Kali Yuga = 1.200 anni; inoltre come nel mito di Osiride ( che vedremo in particolare), il numero dei giorni che compongono l'anno è fissato in 360, un anno dei mortali corrisponde ad un giorno degli dei e un anno degli dei equivale a 360 anni dei mortali. Se ne deduce che il Kali Yuga, consistente in 1.200 anni degli dei, ha una durata di 432.000 anni mortali, un Mahayuga o Grande Anno (formato da dodicimila anni divini contenuti nei quattro Yuga minori) equivale a 4.320.000 anni dei mortali; mille di questi Mahayuga (che formano un Kalpa o giorno di Brahma) equivale a 4.320.000.000 anni dei mortali.

La mitologia egiziana narra della dea Nut (il cielo), moglie del dio del Sole: Ra, che era amata dal dio Geb (la Terra). Quando Ra scoprì la tresca, maledisse la moglie e proclamò che non avrebbe dato alla luce un figlio in nessun mese dell'anno. Allora il dio Thor, anch'egli innamorato di Nut, giocò a tavola reale con la Luna e le vinse cinque giorni interi che aggiunse ai 360 che all'epoca formavano l'anno. Nel primo di questi cinque giorni fu generato Osiride. Si legge inoltre che l'anno era costituito da 12 mesi (12 è il numero dei segni dello zodiaco) di 30 giorni (30 è il numero dei gradi assegnati lungo l'eclittica a ciascun segno zodiacale).

Nel mito di Osiride si narra che durante uno dei suoi viaggi compiuti nel mondo per diffondere i benefici della civiltà alle altre regioni della Terra, 72 uomini della sua corte, capeggiati da Seth, cospirarono contro di lui. Al suo ritorno lo invitarono ad un banchetto dove misero in palio un forziere di legno e d'oro per colui che fosse riuscito ad entrarvi con l'intero corpo. Quel forziere era stato costruito proprio perle misure di Osiride, che vi entrò perfettamente. I cospiratori chiusero il forziere, inchiodarono il coperchio e gettarono il tutto nel Nilo.

Il forziere non affondò, navigò sul Nilo (ricordate la storia di Mosè abbandonato sulle acque dello stesso fiume?) e fu recuperato da Iside, moglie di Osiride. Seth , tuttavia, ritrovò il forziere nascosto nel frattempo da Iside e tagliò il corpo del re in quattordici pezzi che sparse tutt'intorno. Ancora una volta Iside intervenne, recuperò i pezzi e grazie alle sue potenti arti magiche, riunì le parti del corpo del marito che, in condizioni perfette generò Horus (che poi vendicherà il padre uccidendo lo zio Seth), per poi subire un processo di rinascita astrale che lo portò a diventare il dio dei morti e dell'oltretomba.

Ad Angkor Thom, il muro del Bayon è sormontato da 54 torri, ognuna con quattro figure scolpite per un totale di 216 raffigurazioni; il cortile principale è circondato da un muro che presenta cinque porte di accesso ognuna delle quali attraversate da altrettanti ponti costeggiati da una doppia fila di imponenti figure scolpite: 54 deva e 54 asura (totale 108 immagini per ponte e complessivamente 540 raffigurazioni). Il prof. Santillana e la dott.ssa Hertha von Dechend affermano che tutta Angkor Thom costituisce ''un colossale modello del ciclo precessionale''.

Anche i sette saggi della mitologia indù diventerebbero in questa ottica una metafora del moto apparente della costellazione dell'orsa maggiore appunto composta da sette stelle. La lenta e instancabile rivoluzione apparente delle sette stelle dell’Orsa attorno al Polo Nord, quale moto maestoso del trainare, ha nei secoli suggerito all’uomo l’idea di un carro e della sua ruota; i sumeri la chiamavano il Lungo Carro, nella Grecia arcaica erano associate alla Ruota di Issione rotante appunto attorno al polo, mito che sembra derivare dal dio sanscrito Ashivan, il cui nome significa Auriga dell’Asse: Asse, Aksha, era la parola sanscrita per ruota, che i greci importarono come Ixion o Issione.

Seguendo il filo di questi pensieri, potremmo dire che il Grande Carro o Ruota della vetta del Nord (Septem triones = sette buoi, settentrione) traina con i suoi Sette Raggi l’aratro della Vita: l’evidenza delle sette Stelle dell’Orsa Maggiore è di fatto la Dimora celeste dei Poli, la zona che comprende l’Orsa Minore (polo attuale planetario) ma soprattutto il Drago (polo nord solare e delle eclittiche).

Rivelatrici e degne di nota sono inoltre le figure ispirate al dinamismo della Costellazione: il “Carro di Artur” e la svastica.

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Ciò che impariamo da tutto ciò è che gli uomini hanno scoperto verità fondamentali studiando lo “spazio aereo” situato perpendicolarmente sopra le loro teste, appunto il luogo delle costellazione circumpolari. A cominciare dalla comprensione del meccanismo del Tempo e del moto precessionale, che si rende evidente con lo spostamento della Stella Polare, che segna il Nord celeste.

Il fatto che l'isola o il continente polare siano mitici è perfettamente comprensibile dando un'occhiata alla cartina disegnata da Mercator nel 1606: in mezzo al Mare Artico compare un'enorme terra quasi perfettamente circolare, con “quattro fiumi”, come quelli dell'Eden, disposti a forma di svastica, che tradizionalmente è il simbolo del Polo e della rotazione terrestre. Pure Oronzio Fineo, anche se con meno dettagli, nel suo portolano del 1531 rappresenta questa stessa terra circolare tagliata in quattro spicchi, come assi cardinali, al centro dell'Artico.

Terre che non sono mai esiste realmente e che vogliono semplicemente essere lo specchio terreno di un continente “celeste”, paradisiaco o “che sta sopra”, secondo la ben nota equazione “così in cielo come in terra”.

Entriamo qui nell'ambito dell'archeoastronomia e più specificatamente di quella del secondo tipo, ovvero lo studio degli allineamenti solari, lunari o stellari degli antichi monumenti. Per esempio molte prove dimostrano che Stonehenge rappresenti un antico "osservatorio astronomico", sebbene l'ambito del suo utilizzo sia ancora, tra i ricercatori, oggetto di disputa. Certamente Stonehenge e molti altri monumenti antichi sono allineati con i solstizi e gli equinozi. In area mediterranea risalta l'acropoli di Alatri, la cui forma riproduce alla perfezione la costellazione dei Gemelli al momento del solstizio d'estate. Anche il complesso della Grande Piramide di Giza sarebbe allineato con le stelle della cintura di Orione, rispecchiando il significato assegnato a quella costellazione dagli antichi egizi.

Più in generale L'archeoastronomia è lo studio di come gli antichi interpretavano i fenomeni celesti, come li utilizzavano e quale ruolo avesse la volta celeste nelle loro culture. Clive Ruggles suggerì che questa disciplina scientifica non dovesse essere limitata solo allo studio dell'astronomia antica, ma alla ricchezza di interpretazioni che gli antichi trovavano nella volta celeste.Viene spesso gemellata con l'etnoastronomia, lo studio antropologico dell'osservazione del cielo (skywatching) nelle società contemporanee.

Questa disciplina scientifica è anche strettamente legata all'astronomia storica, che utilizza documenti storici degli eventi celesti, e alla storia dell'astronomia, che usa documenti scritti per valutare le tradizioni astronomiche del passato.

L'archeoastronomia utilizza diverse metodologie per svelare le ricerche del passato includendo archeologia, antropologia, astronomia,statistica, probabilità e storia. Poiché questi metodi sono diversi, ed usano dati provenienti da differenti discipline, l'archeoastronomia è una scienza interdisciplinare. Il problema di integrare tutti questi dati in un sistema coerente ha impegnato per molto tempo gli archeoastronomi.

L'archeoastronomia colma le nicchie complementari dell'archeologia del paesaggio e dell'archeologia cognitiva[senza fonte]. Evidenze oggettive e la loro connessione con la volta celeste possono rivelare come un ampio paesaggio possa essere integrato dentro credenze riguardanti i cicli della natura, come l'astronomia Maya e la sua relazione con l'agricoltura. Altri esempi che hanno integrato le conoscenze e il paesaggio comprendono studi dell'ordine cosmico alla base dell'orientamento di strade e costruzioni negli insediamenti.

L'archeoastronomia è una disciplina che può essere applicata in tutte le culture e a tutte le epoche. Le interpretazioni della volta celeste sono differenti da cultura a cultura. Ciò nondimeno, quando si esaminano antiche credenze, vi sono metodi scientifici che possono essere applicati trasversalmente a tutte le culture.

è forse la necessità di bilanciare gli aspetti sociali con gli aspetti scientifici della paleoarcheologia che portò Clive Ruggles a descriverla come un: "... un campo di lavoro accademico di alta qualità da un lato, ma dall'altro con speculazioni senza controllo e al limite della follia.

Durante gli anni sessanta, Alexander Thom fece una rigorosa ricerca sui monumenti megalitici inglesi, pubblicando i risultati sul "Megalithic sites in Britain".

Oltre a presentare la sua teoria della iarda megalitica, argomentò anche, con dati statistici, che la gran parte dei monoliti in Britannia sono orientati come veri e propri calendari. A suo avviso i monumenti indicano punti sull'orizzonte dove il Sole, la luna e le principali stelle sorgono agli estremi stagionali come il solstizio d'estate e d'inverno e gli equinozi d'autunno e primavera.

E' ragionevole pensare che la stessa definizione dei primi calendari umani, ivi compreso quello in uso presso le culture mesoamericane, olmeche prima fino ad arrivare al più noto calendario Maya, siano frutto dell'osservazione degli astri.

L'interrogativo che veniamo a porci è come l'uomo preistorico sia giunto a questa incredibile capacità di calcolare in modo così preciso fenomeni astronomici di lunghissimo periodo come la precessione degli equinozi che sappiamo essere caratterizzata da un tempo pari a circa 26.000 anni e, potrei sbagliarmi, ma sfido chiunque di voi a comprendere questo moto astronomico con la sola osservazione empirica degli astri.

Un conto è la determinazione dei tempi di rotazione (ciclo giorno/notte) e di rivoluzione (stagioni) grazie all'osservazione dei cicli lunari e dei moti degli astri in quanto il loro ciclo si ripete più volte nel corso di una generazione di individui. Altro conto è un ciclo precessionale che si completa nell'arco di 26mila anni il che significa che la civiltà dell'uomo che la storia ricordi non ha avuto tempo di assistere... a meno che essa non sia molto, ma molto più antica.

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L'accusa che spesso si rivolge alla corrente dei neo-evemeristi consiste sul fatto che questo si fondi sull'idea che gli antichi fossero poveri ignoranti, che hanno mitizzato le cose che non capivano in una rivisitazione del concetto del culto del cargo. Quando il mito invece è espressione di menti raffinate che descrivevavno l'universo e le sue regole attraverso allegorie, non è originato da un'incomprensione, ma da una profonda consapevolezza.

Ed ecco che questa giusta accusa e critica nei confronti dell'approccio evemerista diventa pretesto e occasione per definire quale sia l'approccio e la chiave di lettura che noi di Atlanticus vogliamo adottare nello studio delle tematiche quali paleoantropologia, archeoastronomia e quant'altro.

Ed è una posizione che integra l'antropomorfismo del divino e il culto astronomico derivante da una erudita conoscenza di fenomeni non solo cosmici, ma anche metafisici, quantistici, che gli antichi uomini avevano già compreso migliaia (forse decine di migliaia di anni fa)

Io invece voglio qui cercare di proporre il tentativo di un approccio inclusivo di entrambe le posizioni.

Alla luce degli studi e delle ricerche avanzate e presentate in codesto articolo è ragionevole pensare che il mito antico, così come quello classico, sia la rappresentazione in chiave allegorica di erudite conoscenze preistoriche in ambiti quali astronomia, metafisica, scienza e cosmologia. Basti pensare ai testi Veda e alle analogie che vi si riscontrano con le più recenti scoperte in ambito della fisica e della meccanica quantistica che ormai aprono la porta anche a tematiche più propriamente spirituali filosofiche come concetti quali coscienza, anima, spirito. Vedasi le ricerche di Penrose e Hameroff concernenti alcune particolari strutture cerebrali, dette microtubuli, sede della coscienza e delle correlazioni tra queste e la realtà percepita (o realizzata) dai nostri sensi corporei.

Ma se il mito fosse questo si potrebbe giungere alla conclusione che nessuno degli “Antichi Dei” che spesso abbiamo coinvolto nella spiegazione delle vicende umane del remoto passato così come del tempo attuale nel tentativo di disegnare quell'ipotetica “Scacchiera degli Illuminati”, quel “Mosaico della Verità” che tanto sta a cuore al Progetto Atlanticus non siano mai realmente esistiti in quanto pura allegoria di pianeti, stelle e costellazioni.

Nessun Enki, nessun Enlil sarebbero mai esistiti. Nessuna ibridazione, nessun Player A, B, C o quant'altro. Nessun Anunnaki, Giganti, Titani, Yahweh e compagnia cantante? Tutto da rifare?!

Come conciliare questo principio con gli articoli di Adriano Romualdi sull'antropomorfismo delle divinità del mondo classico e non solo caratterizzate da alcuni tratti comuni come il biondismo e il rutilismo presenti in pressoché tutti i miti di culture antiche lontane tra di loro sia nel tempo come nello spazio se questi figure divine fossero solo allegorie di moti astronomici complessi come i cicli precessionali?

La risposta va forse letta nel tempo e nell'evoluzione temporale della cultura di quella civiltà globale prediluviana la cui esistenza non viene negata come abbiamo visto né dai neo-evemeristi, né dagli anti-evemeristi.

Suggerisco il seguente esempio. Ipotizziamo che tra 10mila anni venisse ritrovato la pagina di un testo scolastico di geometria di oggi sul “Teorema di Pitagora”.

Qualcuno potrebbe disquisire sulle caratteristiche divinatorie di Pitagora. Altri sulle sue origini, altri ancora potrebbero concludere che Pitagora non sia altro che una 'metafora' scritta per descrivere una conoscenza matematica-geometrica di un'epoca perduta.

Ecco nuovamente il conflitto intellettuale tra neo-evemeristi e anti-neo-evemeristi apparentemente inconciliabili. Ma come il Teorema di Pitagora racconta sia di una conoscenza così come di un personaggio realmente esistito allora anche i miti antichi parlano sia di conoscenze astronomico-cosmologiche sia di personaggi realmente esistiti.

Ciò che consideriamo noi del Progetto Atlanticus, che è poi la conclusione a cui siamo giunti ascoltando le diverse posizioni presentate da ricercatori provenienti da diverse scuole è che ci fu un tempo molto antico, un tempo che la storia colloca nella preistoria, durante il paleolitico, prima della glaciazione di Wurm, durante il quale esisteva una civiltà di esseri umani, il cui percorso evolutivo è ancora da chiarire all'interno del dibattito Out of Africa sì, Out of Africa, osservatori delle stelle e del cosmo, abili navigatori e in possesso di determinate, specifiche e avanzate conoscenze in ambito astronomico, architettonico e culturale. Uomini eruditi che codificarono il loro sapere in una serie di opere anche strutturali come piramidi e siti megalitici, rifacendosi alle misurazioni dei mutamenti celesti, calendari o quant'altro.

Persone che, plausimibilmente avevano caratteristiche fenotipiche particolari e comuni, come i capelli rossi, l'alta statura, i capelli biondi o gli occhi azzurri così come testimoniato dalle descrizioni registrate nei testi sacri e nelle leggende dei popoli antichi e supportato da diverse scoperte archeologiche che hanno riportato alla luce esemplari mummificati di individui proprio con le medesime caratteristiche e con tratti caucasici laddove non ci si sarebbe mai aspettato di trovarne e di cui abbiamo parlato approfonditamente nel nostro precedente articolo #147;Out of Atlantis, Una Storia alternativa”.

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Diffusione della caratteristica capelli rossi in Europa

Ed è tra questi uomini che io non posso fare a meno di pensare alla presenza di un Enki, di un Enlil, di un Yahweh, di un Viracocha, dei sette saggi indù, e di tutti gli altri Elohim (o Anunnaki) in carne ed ossa, realmente esistiti a cavallo della fine dell'ultimo periodo glaciale di Wurm che si prodigarono in seguito di civilizzare nuovamente un mondo devastato dal violento cataclisma ricordato come Diluvio Universale, da uno di essi, o da diversi di essi considerando la possibilità di diversi cataclismi locali successivi a uno globale presumibilmente avvenuto intorno ai 13000 anni fa come testimoniato da evidenze di un impatto meteoritico in quel tempo supportato peraltro dall'interpretazione talmudica di cui ai primi paragrafi del presente articolo.

Abbiamo pertanto in questa interpretazione dei fatti la coesistenza di uomini culturalmente avanzati (se non anche tecnologicamente) artefici di una civiltà tanto simile in molti aspetti quanto diversa in altri dalla nostra e autori di un complesso sistema di conoscenze astronomiche e cosmologiche che in una seconda fase venne mitizzato dai popoli del post-diluvio i quali associarono allegoricamente le descrizioni di questi saperi quali cicli precessionali, equinozi, solstizi, costellazioni con quegli stessi nomi di coloro che per i post-diluviani dovevano essere visti come 'divinità' secondo la logica del culto del cargo.

Coloro che un tempo furono uomini nel mito diventano allegoria di quel sapere che quegli stessi uomini del passato avevano scoperto. Questo non significa che non siano mai esistiti.

Significa solo che ci dobbiamo abituare a leggere il mito su tre diversi piani di lettura:
- storico (legato alla narrazione di fatti realmente accaduti in perfetto neo-evemerismo)
- scientifico (legato alla rappresentazione allegorica di saperi astronomico-cosmologici)
- metafisico (legato ad aspetti spirituali cui oggi lentamente ci stiamo riavvicinando grazie alle porte aperte dalla fisica quantistica)

E da questo punto di vista, non stiamo imparando nulla di nuovo, se non il riscoprire saperi di migliaia, forse decine, forse centinaia di migliaia di anni fa.


Fonti:
http://ame-confutatio.blogspot.it/2013/ ... rismo.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Evemerismo
http://www.sapere.it/enciclopedia/evemerismo.html
http://www.maurobiglino.it/?p=4997
http://gizidda.altervista.org/religioni/jahve.html
http://consulenzaebraica.forumfree.it/? ... 864&st=165
http://www.extremamente.it/2011/08/29/i ... degli-dei/
http://paleostorie.webnode.it/news/la-p ... nit%C3%A0/
http://paleostorie.webnode.it/news/leur ... ma-di-noi/
http://paleostorie.webnode.it/news/la-c ... ontinente/
http://archeoastronomia.altervista.org/ ... ione_2.htm
http://www.archaeoastronomy.it/tempo_creazione.htm
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12793
http://www.centrostudilaruna.it/i-capel ... ntica.html
http://www.mediafire.com/view/611zi13wt ... nativa.pdf
https://www.facebook.com/groups/155967447841179/
http://www.academia.edu/1810687/Lo_svas ... stronomica
http://blog-it.theplanetarysystem.org/2 ... rra-merak/
http://paleostorie.webnode.it/news/il-primo-continente/
http://it.wikipedia.org/wiki/Archeoastronomia
http://www.arcetri.astro.it/~ranfagni/C ... RECESS.HTM
http://it.wikipedia.org/wiki/Precessione_degli_equinozi
Ultima modifica di Atlanticus81 il 23/02/2014, 22:50, modificato 1 volta in totale.

04/03/2014, 11:04

Lunedì 1 giugno 2011 e lo scorso 30 gennaio 2012, la trasmissione televisiva di Rai2, Voyager, condotta da Roberto Giacobbo focalizzava la sua attenzione su un’affascinante quanto incredibile mistero legato all’India antica, le così dette Foglie del Destino un archivio in cui sarebbe contenuta la storia passata, presente e futura degli uomini.

Tali informazioni sarebbero custodite in decine di migliaia di foglie di palma scritte millenni orsono in lingua sanscrita, l’antica e sacra lingua indiana. Per chi si fosse perso la puntata sono riuscito a recuperarla da Youtube, a seguire una analisi su questo affascinante patrimonio sapienziale.

La leggenda narra che più di 5000 anni fa, il saggio Sukha, figlio di Veda Vyasa (figura mitica e semi divinizzata che secondo la tradizione indù mise in forma scritta i Veda dividendoli in quattro parti e componendo anche i 18 Purana), avesse messo per iscritto numerosi testi profetici su foglie di palma, testi che furono da allora conosciuti con il nome di Sukha Naadi Granthi.
Altra tradizione vuole invece che milioni di anni fa’ (sic! – W. Com. Shashikant Oak, Naadi Predictions a mind boggling miracle, Diamond Pocket Books, 2002) fossero stati degli uomini santi, i Rishi, ad aver messo per iscritto, o secondo alcune tradizioni canalizzato, alle pendici dell’Himalaya conoscenze riguardanti gli eventi presenti, passati e futuri del mondo nonché informazioni dettagliate su ogni individuo che avrebbe visitato l’India per conoscere il proprio destino.

Come si può non cadere ammutoliti ed affascinati da tradizioni così antiche e cariche di quel pathos esistenziale e mistico proprio di questo paese!

Le origini del Naadi Shastra (trattati di energia canalizzata) sono avvolti nelle nebbie del tempo. Si tratta di un affascinante sistema di predizione usato, per molti secoli e che, per chi vi crede, rappresenta una guida affidabile per la conoscenza di se stessi, del proprio passato e del futuro, delle proprie relazioni e dei propri destini possibili.

Una serie di studi storici ha dimostrato che questo sistema è utilizzato da almeno 4000 anni. Dal momento che i trattati Naadi furono scritti in sanscrito su rotoli di foglie di palma, la lingua predominante dell’antica India, e che tale supporto ha una vita media di 500 anni si rese necessario, nei secoli, ricopiare fedelmente i testi per preservarli dalla furia distruttrice del tempo.
La trasmissione originale avvenne per via orale, da “bocca a orecchio”, attraverso la Sruti. Gli artefici degli Shastra sarebbero stati invece i Sapta Rishi (i Sette Saggi) della tradizione indiana: Agasthya, Kausika, Vyasa, Bohar, Bhrigu, Bhrigu Vasishtha e Valmiki.

Il centro principale nel quale si svolge ancora oggi la lettura dei Naadi Shastra è nel Vaitheeswarankoil, nei pressi di Chidambaram, nel Tamil Nadu, uno stato nel sud dell’India.
Fino al 1930 i Naadi erano considerati niente più che un antico retaggio popolare, il loro valore veniva irriso e non erano quasi più utilizzati. Se ne stava perdendo quasi del tutto la memoria e le funzionalità al punto che erano diventati quasi incomprensibili alla maggioranza degli astrologi indù. La loro riscoperta negli ultimi decenni ha permesso invece di invertire questa tendenza obliante riportandoli al loro antico splendore e utilizzandoli in vasti settori, da quelli più personali a quelli societari e aziendali.

La conservazione delle foglie di palma Naadi, come la traduzione in sanscrito da una forma antica della lingua Tamil, iniziò circa 1000 anni fa durante il regno dei re di Tanjore (dal 9 al 13 secolo dC).

Quando, con il passare del tempo e l’usura, le foglie iniziarono a sgretolarsi, i governanti Tanjore incaricarono una serie di studiosi di trascrivere i documenti su ola fresche (appunto le foglie di palma). E’ così che alcuni grantha Naadi furono tradotti in Telugu, altra lingua/dialetto del Sud dell’India.

Ogni Naadi è costituito da una ola particolare scritta in ezathu vatta, lingua tamil, tramite l’utilizzo di uno strumento simile ad un chiodo chiamato ezuthani, mentre le foglie di palma sono trattate sfregandole con olio di pavone. Oggigiorno la loro conservazione e trascrizione avviene principalmente nella biblioteca Mahal Saravasti di Tanjore, nel sud dello stato indiano del Tamil Nadu, ma esistono numerosi altri centri che ne hanno copiato i contenuti e li rendono disponibili alla gente comune o agli stranieri. Esistono anche tradizioni che vorrebbero i Naadi trascritti su fogli di rame, argento o perfino oro, ma al momento nessuno di questi incredibili manufatti è venuto ancora alla luce.

Analizzando il sistema utilizzato dai Naadi si scopre che le loro previsioni sono generalmente espresse in forma di commenti, anche se negli Shiva Naadi i ‘pronostici’ sono presentati come conversazioni fra il Dio Shiva e Parvati Mata. I contenuti delle foglie sono altamente organizzati, divisi in sedici capitoli o kandams, e descrivono i vari aspetti della vita materiale, spirituale e del destino di un individuo. Al loro interno si possono trovare riferimenti precisi alla famiglia, al matrimonio, alla professione, ai beni materiali, etc.

Il termine Naadi si riferisce ad un arco dello zodiaco indiano molto piccolo, con dimensioni di un segno che vanno da 1/150 ad 1/600, corrispondente circa ad un periodo tra i 12 e i 3 minuti. Nel panorama induista troviamo antichi testi astrologici Naadi alcuni dei quali si occupano solo delle implicazioni astrologiche mentre altri che combinano le caratteristiche dell’astrologia a quelle della chiromanzia. Del primo tipo sono testi come Bhrigu Naadi, Dhruva Naadi, mentre gli scritti in lingua tamil come Saptarishi Naadi appartengono al secondo gruppo.

La lettura delle foglie, ovvero del destino dell’individuo, inizia fissando un incontro con un anticipo di circa due settimane. Giunto il giorno prestabilito, e prima che la cerimonia abbia inizio, a tutti i convenuti viene chiesto di imprimere su piccoli fogli di carta l’impronta digitale del pollice, il destro per gli uomini mentre il sinistro per le donne, assieme al proprio nome. Nella lettura Naadi le impronte sono codificate in 108 macro categorie.

Effettuata questa procedura il passo successivo è stabilire quale sia la corrispondenza dell’impronta del soggetto con quelle codificate dal sistema Naadi. Trovata la corrispondenza e il gruppo di appartenenza inizia la ricerca della corrispettiva foglia di palma del soggetto.

Il procedimento può essere molto lungo, a volte può richiedere un’intera giornata, ma è sempre scandito da due diverse fasi: la prima in cui il lettore Naadi, grazie all’impronta digitale fornita all’inizio, identifica un certo quantitativo di foglie di palma che corrispondono a quelle del soggetto in esame, mentre la seconda fase in cui, attraverso la partecipazione del soggetto stesso, il lettore pone una serie di domande per identificare la foglia specifica corrispondente all’individuo.

Selezionate le potenziali foglie, il lettore fa accomodare il soggetto in un’altra stanza per dare inizio alla seconda fare della scrematura.

E’ così che inizia un viaggio affascinante all’interno della propria sfera vitale, un percorso che può cambiare la propria coscienza, migliorarla, trasformarla!

Per quanto la nostra civiltà occidentale abbia sempre sbeffeggiato questo tipo di realtà è indubbio che i risultati osservabilli non possono, ne devono, essere attribuiti al caso. Qualcosa di estremamente più elevato sembra sovrastare questo sistema divinatorio. Non è possibile descrivere ciò che questa esperienza provoca, può essere unicamente vissuta e solo allora ognuno potrà comprendere e giudicare la sua vastità e la sua incredibile portata.

http://enricobaccarini.com

04/03/2014, 12:48

Sono rimasto sempre affascinato da questi "pizzini" chissà quanto c'è di previsione e quanto di casualità o genericità...

22/03/2014, 02:33

Un tema delicato che a mio avviso entra di diritto nel corpus di conoscenze mistico-esoteriche facenti capo a ciò che definisco la "Eredità degli Antichi Dei".

Spero con questo post di non urtare la sensibilità di nessuno e chiedo conferma ai mod della fattibilità di presentare il seguente trattato, ma ritengo importante condividere il seguente articolo, a mio parere completo e molto ben argomentato.

La magia delle droghe. Chimica e alchimia dell'estasi artificiale
[i]Roberto Negrini - Giornalista, Saggista[/i]


L'utilizzo di piante e sostanze psicoattive all'interno della ricerca di stati alterati di coscienza, dalle remote rituarie religiose fino alle moderne frontiere della cultura psichedelica, costituisce uno degli argomenti di attualità più scottanti e complessi da affrontare. Su tale argomento la disinformazione, spesso legata a tabù culturali di difficile rimozione, regna sovrana, nonostante l'evidenza della diffusione sociale di comportamenti che denunciano una sempre crescente ricerca di stati percettivi alterati, soprattutto da parte delle giovani generazione. Al saggista Roberto Negrini, solitamente attento ed esaustivo nel trattare argomenti così delicati, si deve il presente ampio excursus storico-antropologico sugli psicoattivi usati con fini estatici.

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Amanita muscaria.

I veleni divini
Tra i principali reperti archeologici ritrovati in Messico a Guatemala, nelle terre che furono delle civiltà maya a azteca, i più enigmatici furono indubbiamente alcune statuette raffiguranti figure totemiche umane o animali sormontate da un'ampia cappella di fungo e risalenti in alcuni casi, a 3000 anni fa[1].

Dalla decifrazione degli antichi codici aztechi e dalle tradizioni magico-religiose degli Zapotechi e dei Mazatechi del Messico meridionale, già registrate dai conquistatori spagnoli, risultava l'esistenza di una misteriosa triade di piante-dee: il fungo teonanacatl, il cactus peyotl e i semi vegetali ololiuhqui, Divinità-cibo attraverso la cui consumazione e mediazione sacerdoti a sciamani raggiungevano il diretto contatto con il soprannaturale a la comunione con gli Dei[2].

All'epoca della prima conquista di Cortés, nel XVI secolo, il missionario francescano Bernardino de Sahagun aveva descritto con pio orrore cerimonie durante le quali gli indigeni si inebriavano con una bevanda intossicante e "diabolica" che procurava loro visioni ed ebbrezze "infernali" e che veniva estratta da un fungo velenoso chiamato appunto teonanacatl[3] (che in lingua Nahuatl significava "carne della divinità").
Le crudeli e sistematiche persecuzioni perpetrate dalla Chiesa Cattolica a dalla monarchia spagnola contro ogni forma di religiosità magica locale, pur lontane dall'estinguere il culto dei funghi a delle piante sacre e il loro utilizzo sciamanico, ne causarono successivamente la quasi assoluta clandestinità e per più di 300 anni sui segreti vegetali messicani gli Europei non ne seppero molto più del devoto francescano al seguito degli sterninatori.

Il mistero del teonanacatl a delle millenarie statuette degli uomini-animali-fungo fu infatti definitivamente svelato solo tra la prima a la seconda metà del nostro secolo. L'etnobotanico americano Richard Evans Schultes, direttore del museo botanico dell'università di Harvard, fu tra i primi ricercatori contemporanei a compiere estese ricerche sulle piante psicoattive, trascorrendo ben 12 anni della sua vita, dal 1941 al 1953, in Amazzonia, Ande e Sudamerica.

Il lavoro di Schulte svolto già fino dal 1936 in un'ottica interdisciplinare tra botanica, etnologia e antropologia fu supportato dal contatto diretto con sciamani, stregoni e ritualità tribali e portò, nel corso di pochi decenni, il numero delle piante allucinogene conosciute e classificate da una mezza dozzina a più di 80, dimostrando nel contempo la strettissima connessione tra uso di droghe sacre, religione e magia[4].

Nel 1954 il banchiere e micologo autodidatta R. Gordon Wasson, trasferitosi con la moglie nella regione di Oaxaca, nel Messico meridionale, alla ricerca dei funghi sacri, scoprì che l'azteco teonanacatl era il nome sacrale collettivo di una peculiare categoria di funghi allucinogeni della famiglia Psilocybe mexicana la cui utilizzazione cultuale e magica risultava ancora ampiamente diffusa tra le popolazioni locali.
Grazie all'amicizia stretta con Maria Sabina, una curandera mazateca, Wasson, sua moglie e altri collaboratori qualificati furono ammessi a una serie di cerimonie sacre segrete che comprendevano la consumazione sacramentale del teonanacatl e sperimentarono così gli sconvolgenti a meravigliosi effetti estatici di visione ed espansione della coscienza ben noti alla tradizione sciamanica[5].

Fu come se i muri della nostra casa si fossero dissolti - dichiarò Wasson nella relazione - e il mio spirito volato in alto, e io mi trovavo sospeso a mezz'ària [...] Sentii che ora stavo vedendo [...] vedevo gli archetipi, le idee platoniche che sono alla base delle imperfette immagini della realtà di ogni giorno[6].

In quel momento l'audace ricercatore americano aveva sfiorato il segreto di una delle più antiche forme universali di comunione col sacro. "Ora voi siete il Fungo"[7] fu detto agli Europei mentre stavano sperimentando qualcosa che alla perseguitata saggezza degli Indios era noto da millenni. Le antichissime ed enigmatiche statuette dell'Uomo-Dio-Fungo rivelavano così il loro sconvolgente significato: l'Uomo che si fa Dio attraverso la comunione con la pianta sacra. "Possibile che il Fungo Divino", scrisse ancona Wasson, "fosse il segreto nascosto dietro gli antichi Misters?" [8].

Fu sulla traccia di questa intuizione che Wasson negli anni successivi strinse un'intima e continuativa collaborazione con il dottor Albert Hofmann dei laboratori di ricerca Sandoz di Basilea, che solo pochi anni prima, nel 1943, analizzando le caratteristiche biochimiche della segale cornuta (un fungo tossico parassitario delle graminacee e particolarmente della segale), aveva isolato a analizzato il più potente allucinogeno di sintesi mai conosciuto: la dietilamide dell'acido D-lisergico (Lysergsäure-Diäthylamid) o LSD[9].

Hofmann sottopose ad accurate analisi i vari tipi di funghi a semi di piante magiche raccolte da Wasson e nel 1958 isolò il principio neuroattivo del teonanacatl: la psylocibina. Parallelamente Hofmann, che coltivava anche interessi etno-antropologici a filosofico-esoterici, scoprì che un'altra mitica droga messicana chiamata ololiuhqui ("il fiore della vergine")[10] conteneva alcaloidi estremamente simili all'LSD presente nella segale cornuta[11].

Il Tradizionalmente l'ololiuhqui veniva utilizzata per il contatto con gli Dei e per la visione del futuro ed era ottenuta dai semi di una pianta di convolvolo (rivea coryrnbosa)[12], che Wasson aveva identificato e trasportato nelle sue spedizioni.

Su sollecitazioni del noto mitologo a storico delle religioni Kàroly Kerényi, amico di Hofmann, furono constatate notevoli affinità strutturali tra alcune cerimonie rituali indigene messicane e le pratiche misteriche a base estatica della Grecia classica. Si giunse così a ipotizzare che la bevanda sacra offerta agli iniziati nel corso dei Msteri Eleusini per celebrare la loro mistica unione con la Dea Madre Demetra, Signora del grano, il kykeon - citato da Eraclito a da altre fonti - la cui composizione era a base di graminacee, contenesse principi psicoattivi affini a quelli dell'ololiuhqui e della segale cornuta[13] e fosse quindi sostanzialmente a base di LSD[14].

Dal canto suo Wasson estese le sue ricerche medico-etnologiche ad altri funghi psichedelici e soprattutto dedicò la sua attenzione al velenosisssmo "ovulo malefico", l'amanita muscaria, che assunta con gli opportuni accorgimenti quantitativi e cerimoniali, rappresentava uno dei più antichi, potenti e diffusi allucinogeni naturali utilizzati per scopi sacri dai guerrieri vichinghi e dagli sciamani siberiani[15].

Data l'ampia diffusione dell' amanita, con la sua caratteristica forma di fallo in erezione, nelle regioni nordiche originarie dei popoli indoeuropei, oltre che nelle zone del medio a vicino Oriente, Wasson ipotizzò, con un largo margine di sicurezza, che il micidiale fungo fallico costituisse l'ingrediente segreto del mitico soma, bevanda sacra dei sacerdoti vedici e delle loro divinità nell'induismo arcaico, dispensatrice di salute, coraggio, longevità, intuizione e immortalità, sia dell'haoma, analoga bevanda sacra della tradizione iranica, utilizzata per ottenere visioni divine già molto prima della riforma monoteista di Zoroastro[16].

Insieme al fimgo teonanacatl e ai semi ololiuhqui la terza e più importante pianta-dea della tradizione azteca, e poi indio-messicana, fu e resta ancora oggi il piccolo cactus lophophora williamsii, meglio conosciuto come peyotl, diffuso sugli altopiani del Messico settentrionale, che il mito identifica con la carne di una divinità cornuta, il Daino Celeste e le cui proprietà furono rivelate in sogno a una donna[17].

Allucinazioni visive, auditive a olfattive, visioni colorate a geometriche, sovreccitazione sensoriale, distorsione percettiva, dilatazione generale della coscienza sono i principali effetti - simili peraltro a quelli di LSD e psilocybina - ottenuti attraverso l'ingestione rituale dei bottoni vegetali del peyotl, chiamati dagli indigeni mescal e dai quali, nei primi anni del secolo, fu isolato chimicamente il principio attivo principale responsabile dei poteri del cactus: la mescalina, un alcaloide derivato dall'ammoniaca[18].

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Belladonna.

Dalle Americhe all'Europa, dall'Asia all'Africa fino ai più remoti angoli del mondo, in stretta connessione con le tra dizioni sciamaniche a misteriche, magiche o religiose di diversi popoli a razze, ritroviamo questa intima simbiosi tra l'universo simbolico del divino, i misteri del mondo vegetale e la ricerca del sacro nell'uomo a nella donna. La scienza spagirica tradizionale di sacerdoti, magi a sciamani - che spesso furono di sesso femminile data la maggiore connessione della donna con le più nascoste energie della natura - ha fornito per millenni una serie di tecniche codificate sull'utilizzo delle sostanze divine o "cibo degli Dèi" come pane della sapienza a dell'esperienza magica.

Nell'autentica, primordiale celebrazione di un'Eucaristia, o cannibalizzazione della Carne di Dio, di cui la nota cerimonia cristiana non fu che la degradazione pallida e riduttiva, le droghe sacre sono state mangiate, masticate, bevute, inalate, fiutate, fumate o spalmate sui corpi, in ogni tempo e sotto ogni latitudine. Esse hanno rappresentato uno dei propellenti primari per la reale conquista del Divino, una conquista tanto spirituale quanto bio-chimica e fisio-psichica.

Unite inestricabilmente e ritualmente a una corretta disciplina dell'emozione e della psiche, queste sostanze hanno suscitato a possono suscitare l'esplorazione dei mondi interiori e l'espansione della coscienza e dei sensi umani, fino all'incremento apparentemente sovrannaturale delle facoltà fisiche di vista, udito, forza muscolare, velocità e resistenza a calore, gelo, fame, sete, sonno, fatica.

La pianta della coca era già sacra presso gli Incas nella preistoria della loro cultura a la masticazione delle sue foglie psicoattive, a scopi rigenerativi ed euforizzanti, è rimasta una pratica comune tra le popolazioni locali in Perù, Bolivia e Argentina, dove ancora oggi la coca viene confidenzialmente appellata come "madre": Mama Cuca[19]. Nella seconda metà del secolo scorso fu isolato chimicamente un alcaloide che risultò essere il principio attivo di questa pianta: la cocaina[20].

In Australia la "pianta madre" dell'ebbrezza e delle visioni è invece il pituri[21], una solanacea che cresce soprattutto nella parte centrale del Queensland. Tradizionalmente le sue foglie vengono disseccate, mescolate con cenere d'acacia in forma di piccole polpette a quindi masticate lungamente con effetti allucinatori ed estatici.

Effetti simili a quelli della coca derivano poi dalla masticazione del katt[22], arbusto originario dell'Abissinia coltivato in Arabia a in Etiopia. L'uso, cerimoniale e non, delle sue foglie per indurre visioni divine, alterare la comune percezione a annullare fatica, sonno e fame è ampiamente diffuso soprattutto nello Yemen, in Arabia, in Somalia e in Etiopia, data anche la relativa tolleranza che questa tradizione ha trovato da parte dell'Islam.

All'interno delle antichissime fratellanze magico-religiose dell'Oceania, soprattutto in Polinesia, Nuova Guinea e Melanesia, l'iniziazione ai Misteri della morte e le varie fasi dei riti tribali di passaggio venivano a vengono ancora accompagnate dall'uso del kawa, una bevanda estratta dalle radici di un pepe inebriante[23]. Il kawa produce vari stadi di narcosi allucinatoria che le società iniziatiche tribali utilizzano per collegarsi con i mondi invisibili.

Tra le piante psicoattive a effetto estatico di utilizzazione più ampia e più antica risulta certamente la cannabis sativa e particolarmente la sue variante cannabis indica (canapa indiana), originaria dell'Asia e diffusasi attraverso i secoli in gran parte del mondo. Dai suoi fiori a foglie disseccati e tritati si ottiene la marijuana, che può essere fumata, inalata o bevuta in decotto, mentre la resina della pianta femmina è generalmente conosciuta con il nome arabo di haschis e, oltre che fumata, può essere masticata a mangiata[24].

L'uso cerimoniale, magico e misterico della cannabis è attestato già nell'Egitto faraonico, nella Cina del II millennio a.C., nell'India vedica a nell'Impero assiro, come risulta da una tavoletta di Assurbanipal dell'VIII secolo, dove la pianta droga è denominate qunnapu[25].
Erodoto nel IV libro delle Storie racconta che gli Sciti, nomadi del Mar Nero, usavano le fumigazioni prodotte dai semi di cannabis, gettati su appositi bracieri, per raggiungere stati di ebbrezza e voluttà e per purificare il corpo[26].

Il giardino profanato

Ogni cultura tradizionale ha amministrato il proprio "giardino magico" traendone il massimo dei vantaggi e il minimo dei rischi. Le piante dee e i loro prodotti sono sempre stati venerati a utilizzati secondo criteri a ritualità precisi a opportunamente circoscritti, anche se le cronache storiche registrano segmenti di tempo e cicli storici nel corso dei quali l'estasi e l'ebbrezza artificiale sono tracimati oltre i confini del sacro, pervadendo di sé anche la vita profane, ricreativa a sensuale.
Ma pur in queste circostanze restarono sconosciute ai popoli pre-moderni, e quindi non condizionati dal dualismo schizoide di matrice giudeo-cristiana, la devastante assuefazione e successive dipendenza psichica e fisica come fenomeni di masse generati dalla diffusione di alcune tra queste sostanze all'interno della civiltà a della culture moderne.

Non va dimenticato che tra i prodotti del giardino incantato ve ne sono un certo numero la cui utilizzazione non controllata, o scorporata dal contesto culturale e sacrale originario, risulta particolarmente pericolosa e il cui abuso tende a produrre gravissimi danni psichici a fisiologici culminanti in una suicide a inesorabile dipendenza.

Emblematicamente tra gli innumerevoli a millenari frutti di questo Giardino degli Dei furono proprio tre fra i maggiormente insidiosi ad avere le più strette e ambivalenti connessioni con le culture succedutesi dalla caduta del mondo pagano ai giorni nostri. Una triade di sostanze sacre, utilizzate fin dalla più remote antichità, ma il cui incanto corrode l'anima e il corpo di coloro che ne consumano la profanazione: alcol, tabacco e oppio.

La diffusione sempre più indiscriminate dell'alcol nelle sue varie forme, la "scoperta" del tabacco e la riscoperta dell'oppio da parte dei mercanti inglesi e dei medici tedeschi, con la conseguente sintesi dei suoi derivati, hanno interessato, coinvolto a sconvolto i cosiddetti governi civilizzati del mondo cristiano e islamico, i quali, pur tramite controversie, anatemi, esaltazioni, divieti a persecuzioni, hanno finito col demonizzarne l'uso o, all'opposto e più spesso, col monopolizzarne economicamente il commercio soprattutto per quanto riguarda alcol e tabacco , provocando così l'esplosione incontrollabile del mercato clandestino gestito dalle mafie dei vari paesi e la conseguente amplificazione degli abusi più perniciosi.

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Psilocybe mexicana.

Sia l'alcol che il tabacco e l'oppio, ben prima di essere trasformate in droghe sociali di massa, furono retaggio sacrale e culturale di intere civiltà. Molto ampia sarebbe la lista delle bevande fermentate il cui principio attivo è l'alcol etilico utilizzate fin dai tempi preistorici dai popoli più diversi allo scopo di indurre un'ebbrezza sacra e profana al tempo stesso. Un'ebbrezza capace tra l'altro, negli opportuni contesti cultuali, di rimuovere la barriera che divide uomini e donne dagli Dèi (o dalle profondità arche tipiche dell'inconscio), generando una profonda e totalizzante comunione collettiva col Sacro.

Basti ricordare le più note a diffuse: il vino, prodotto dalla fermentazione dell'uva e collegato dai Traci, e poi dai Greci, ai Misteri di Dioniso; e la birra, ottenuta dalla fermentazione dei cereali (orzo, mais, ecc.), la cui origine fu attribuita dai Celti al potere di Cernunno, il Dio Cornuto dell'estasi a della fertilità[27].

Il tabacco, originario delle Americhe nelle sue due specie principali (Nicotiana tabacum L. a N. rustica L.) , fu considerato già dagli Aztechi come il corpo della Dea Cihuacohatl[28] e trovò una diffusissima utilizzazione sacramentale da parte degli sciamani sia amerindi che pellerossa, i quali usavano fiutarlo o fumarlo, in quantità anche enormi, allo scopo di indurre trance estatiche o allucinatorie.

La "scoperta" delle popolazioni amerinde, delle loro terre a dei loro culti psico-vegetali da parte di Colombo, alla fine del XV secolo, portò la sacra pianta del tabacco a contatto con la cultura occidentale, che attraverso il consueto, paranoico balletto tra proibizione a monopolio, è riuscita a trasformarla in una droga di massa, intossicante e cancerogena, molto lucrosa per i suoi legalizzati spacciatori, ma ormai priva di qualsiasi facoltà psicoattiva.

Quanto all'oppio, le sue elevate qualità sia terapeutiche che psico-neurologiche, nonché la pericolosità a l'ambivalenza del suo utilizzo, erano già note ai Collegi sacerdotali egizi (che lo denominarono shepen) e babilonesi, nonché tra i Sumeri (presso i quali era conosciuto come hul gil, "la pianta della gioia")[29] e tra i Greci, come certificato da Omero che ne cita l'uso nel IV Libro dell'Odissea celandolo sotto il nome di nepente[30].

L'estrazione del succo lattiginoso di oppio dalle capsule non maturate del papaver somniferum, o papavero da oppio, ben descritta da Dioscoride, medico di Nerone, fu sempre nota agli Arabi come agli Europei fino al Cinquecento, quando il medico, mago e alchimista Paracelso ne ottenne, per primo, il laudano (tintura di oppio in alcol), utilizzato come medicinale e come droga psicoattiva fino a tutto il XIX secolo.

La catastrofica dipendenza fisica causata da un utilizzo non controllato e sovraddosato dell'oppio fu poi l'elemento scatenante della sua strumentalizzazione da parte delle Compagnie commerciali inglesi in Asia. In particolare la Compagnia delle Indie Orientali monopolizzò il tra sporto e il commercio indiscriminato dell'oppio in Cina - dove fino a quel momento il suo uso era stato limitato ai circoli filosofici taoisti e ad alcuni ambienti aristocratici - causando le premesse dello scatenarsi, nel 1839 e nel 1856, di ben due guerre tra Gran Bretagna e Impero cinese.
Le autorità del Celeste Impero, per salvaguardare la salute delle popolazioni, tentavano infatti di limitare con ogni mezzo l'esportazione della sostanza nel proprio territorio da pane degli Inglesi che lo coltivavano a importavano dall'India. La Guerra dell'oppio (1839-42) fu vinta dalla cristianissima regina Vittoria e, oltre a dover aprire i suoi scali all'oppio inglese, la Cina dovette cedere il territorio di Hong Kong che è rimasto fino al 1997 in mani britanniche[31].

Nel 1805 Friedrich Sertürner, un chimico tedesco, isolò uno dei principali alcaloidi contenuti nell'oppio, la morfina e nel 1898, sempre in Germania, venne prodotto un suo derivato, la diacetilmorfìna, meglio conosciuta come eroina. Le proprietà narcotiche a psicoattive della morfina, del suo etere metilico (codeina) a soprattutto dell'eroina sono sproporzionatamente squilibranti e tossiche a hanno la principale caratteristica di indurre in breve tempo, nella generalità degli individui psichicamente a culturalmente impreparati al loro utilizzo, un'assoluta dipendenza sia psicologica che fisica.

La grande diffusione clandestina di queste sostanze, seguita alla loro proibizione legale, è divenuta il principale alibi per la sistematica persecuzione legislativa e morale di ogni frutto del Giardino Magico, con l'unica eccezione, almeno nei paesi di cultura occidentale, di alcol e tabacco, il cui business non vuole essere intaccato più di tanto.
Una persecuzione che in realtà, dietro il pretesto di una difesa della salute, risulta essere una Guerra Santa contro ogni ricerca sperimentale di modificazione della coscienza estranea ai canoni religiosi e medici accettati dalla cultura dominante. Come ha scritto nel 1974 il medico americano Thomas S. Szasz[32], uno dei massimi esponenti mondiali del pensiero libertario in materia di droghe, ciò che chiamiamo "guerra contro l'abuso di droga" è in realtà una guerra per eliminare, se possibile dovunque, l'uso di droghe che disapproviamo e nello stesso tempo per incoraggiare dovunque l'uso di droghe che approviamo[33].

Mentre sul fronte della psichiatria non dovrebbero essere dimenticate le illuminanti considerazioni dello psichiatra americano Lawrence Le Shan, specialista nello studio degli stati alterati di coscienza, quando già negli anni '60 affermava che:

Lo stato normale della nostra coscienza è semplicemente un prodotto provinciale della nostra civiltà meccanizzata occidentale. Possiamo benissimo considerarlo come il tipo di coscienza in cui la nostra cultura ammaestra gli individui, ma esistono altri tipi di coscienza altrettanto validi, ognuno con i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi [...] Quando si parla di stati di coscienza alterati si intende alterati rispetto al normale, al giusto, al corretto stato di coscienza. Ma non esiste alcuna dimostrazione che lo stato normale è quello giusto. Ogni tipo di coscienza ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, e - per quanto ne sappiamo - nessuno rivela la verità.

E ancora:

Dato che noi consideriamo normale e sano lo stato di coscienza non alterato, non ci succede per caso di considerare patologici gli altri stati e malati coloro che percepiscano la realtà in modo diverso? Tornando all'esempio dei chiaroveggenti, che possono vedere in due modi, non li consideriamo forse dei fenomeni patologici? Nel paese degli orbi quello che ha due occhi viene accompagnato dallo psichiatra[34].

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Cannabis.

Dai frutti proibiti ai rivoluzionari della coscienza

Dal tempo in cui Eva e Adamo vennero puniti a maledetti dal dio semita per avere mangiato una "sostanza proibita" che, secondo i saggi consigli del Serpente, sarebbe stata capace di aprire i loro occhi[35], l'uso sacro delle piante psicoattive, così come ogni altro aspetto dell'approccio magico al sacro, venne brutalmente perseguitato dalle religioni monoteiste e particolarmente dalla Chiesa Cattolica Romana. Che, imitata ben presto dalle autorità protestanti e successivamente dai poteri politici a scientifici "laici", fu la prima e principale responsabile di quell'ottusa ostilità verso ogni possibile modificazione libera e volontaria della coscienza, che ha caratterizzato e caratterizza le gerarchie culturali dominanti dell'Occidente.

Anche in questo caso la Cristianità non ha smentito il proprio ruolo repressivo e invasivo rispetto a ogni alternativa spirituale, confermando ancora una volta ciò che acutamente ha ricordato il premio Nobel per la letteratura Elias Canetti nel suo Massa e potere (1960):

Paragonato alla chiesa, ogni despota fa la figura di un inesperto[36].

Nella metà del XVI secolo il secondo Concilio di Lima condannò il consumo di coca tra gli Indios come blasfemo e "superstizioso" e i missionari al seguito dei conquistatori spagnoli usarono ogni mezzo per sradicare nelle popolazioni locali amerinde il culto del peyotl, defìnito come "radice diabolica", mentre papa Urbano VIII, più o meno nello stesso periodo in cui fece processare e condannare Galileo, proclamò in tutto il mondo cristiano la proibizione dell'uso del tabacco, "degradante per l'anima", sotto pena di scomunica.

Le strane facoltà dimostrate dalle piante psicoattive vennero attribuite al potere del Diavolo e ancora una volta l'oscurantismo ignorante fece di "Satana" il grande patrono di una scienza o saggezza rifiutata. Infatti la tragica guerra tra gli eredi del dio biblico a gli estimatori e le estimatrici del "frutto proibito" risultò particolarmente evidente nella lotta contro la stregoneria, un culto le cui profonde radici sciamaniche, legate a forme di religiosità precristiana, sono state ormai accertate dalle ricerche storiche a antropologiche più avanzate.

La sanguinosa persecuzione contro le "streghe" fu in realtà una crociata cristiana contro l'inaspettato diffondersi di un'antichissima religione magica lunare[37], i cui adepti e, soprattutto, adepte praticavano antiche "arti", tra cui la manipolazione a l'uso di erbe e piante "magiche" - cioè psicoattive - capaci di indurre visioni a "incantamenti" sotto l'egida della dea Diana a dei suoi totem cornuti[38].

I "voli" nell'aria, i sabba, le orge mistiche e sensuali, i filtri incantatori, le "trasformazioni" in bestie, tutto nella documentazione sul culto delle streghe trasmessaci dagli stessi persecutori attraverso i verbali dei processi ci parla di un uso, forse solo in parte consapevole, di sostanze, erbe, radici e funghi atti a modificare e dilatare la percezione a la coscienza sino a favorire il raggiungimento di un'intima comunione con la natura e i suoi misteri siderali, vegetali a animali.

Giambattista della Porta, letterato ed "esoterista" napoletano, dopo aver direttamente osservato numerose adepte del culto durante i loro "viaggi" rituali concluse nel suo Magia naturalis (1589) che l'illusione del volo, le visioni eroto-magiche dei "demoni" e le apparenti metamorfosi licantropiche venivano indotte dagli unguenti con cui queste donne si cospargevano il corpo[39].

Tra le principali piante psicotrope il cui uso è attestato da parte delle streghe possono essere registrate: mandragola, cicucta virosa, belladonna (conosciuta appunto come "erba delle streghe"), hyoscyamus niger o giusquiamo (capace di produrre visioni profetiche e già utilizzato dalle pitonesse del tempio di Delfi), datura stramonium e datura innoxia (emblematicamente chiamate "erbe del diavolo"[40] e tuttora utilizzate come "piante-alleato" dagli sciamani sudamericani) e, non sorprendentemente, amanita muscaria, il fungo delle visioni dei sacerdoti vedici e iranici[41].

Va inoltre ricordata la frequente presenza nelle misture rituali di varie parti organiche della più comune specie di rospo, il bufo vulgaris, nelle cui ghiandole è contenuta una sostanza dall'alto potere allucinogeno: la bufotenina[42].

Appare quindi evidente che, sia pure indirettamente, il genocidio perpetrato da cattolici e protestanti contro i membri del "culto di Diana" fu anche, se non soprattutto, una reazione persecutoria contro l'ennesimo tentativo, da parte di uomini e soprattutto di donne diverse a ribelli, di conoscere e assaporare i "frutti proibiti" del Giardino Magico.
Ma nessuna persecuzione poteva spegnere il grande anelito umano verso la conoscenza, il piacere e la libertà dello spirito. Tra le pieghe più segrete delle varie tradizioni "eretiche", magiche a alchemiche, che nonostante i roghi di corpi e di libri mai hanno cessato di percorrere i sotterranei culturali dell'Occidente, i misteri psico-vegetali sono stati amorevolmente trasmessi attraverso il tempo.

Già nel Medioevo, per esempio, l'uso medico e ricreativo della cannabis era giunto in Europa dal Medio Oriente attraverso la mediazione dei crociati a probabilmente in forza di quella strana forma di "alleanza virtuale" che, secondo alcuni storici, sembra aver collegato l'eretico ordine dei Templari con la setta iniziatica islarnica degli Hashishin (o mangiatori di haschis), fondata e guidata net XII-XIII secolo dallo sceicco fatimide Hassan ben Sabbah - ricordato da Marco Polo come il Veglio della Montagna - il cui motto sembra fosse: "la verità non esiste e tutto è permesso".

Nella prima metà del XVI secolo il medico e libero pensatore François Rabelais nei suoi romanzi ermetici, nascosti sotto il velo della satira, cantò per primo in Occidente le lodi della canapa Indiana e dei suoi effetti, celandola sotto il nome di erba pantagruelion. Le prime ricerche scientifiche e mediche sulla cannabis iniziarono soltanto alla fine del Settecento, quando i medici di Napoleone la riportarono in Francia dopo la Campagna d'Egitto.

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Claviceps purpurea o segale cornuta.

La libera diffusione della cannabis a dell'oppio in Francia durante tutto il XIX secolo influenzò profondamente l'atmosfera spirituale romantica e l'uso di sostanze psicoattive come stimolanti della creatività individuate e artistica si diffuse rapidamente tra tutte le personalità più sensibili a geniali dell'epoca.

Nel 1844 a Parigi Théophile Gautier (il teorico dell'arte per l'arte), insieme ai pittori Fernand Boissard e F.B. de Boisdenier, fondò l'esclusivo club letterario degli Hachischins, riallacciandosi in qualche modo alla tradizione un po' magica e un po' romantica degli adepti ismailiti del Vecchio della Montagna.

All'interno di questo circolo la crema intellettuale e artistica francese, in gran parte costituita da massoni, celebrava una sorte di convegni rituali dove si mangiava haschis e si fumava oppio, sia a scopo ricreativo che con il preciso intento di stimolare oltre il consueto le facoltà artistiche e immaginative alla ricerca di nuove forme di espressione estetica.

Le esperienze individuali e di gruppo degli Hachischins coinvolsero, tra gli altri, Victor Hugo, Gérard de Nerval, Eugéne Delacroix, Alexandre Dumas (padre), Honoré de Balzac e il giovane Charles Baudelaire che, in positivo e in negativo, descrisse mirabilmente i risultati delle proprie esperienze con oppio a haschis nei Paradisi artificiali (1860)[43].

La ricerca chimicoestetica del circolo di Gautier aveva avuto i suoi precedenti - soprattutto attraverso l'uso di oppio e laudano - tra alcuni dei principali esponenti del Romanticismo inglese, come Samuel Coleridge, John Keats a particolar mente Thomas de Quincey, che nel 1822 pubblicò le Confessioni di un mangiatore di oppio, opera che proprio Baudelaire tradusse a fece circolare in Francia[44].

De Quincey aveva vissuto con l'oppio un'intimità totalizzante e la sue creatività artistica ne era stata enormemente amplificata. Ma alla fine era caduto prigioniero dell'assuefazione a della dipendenza, dalle quali riuscì poi a liberarsi grazie a una tenace autodisciplina e a una ferrea quanto progressiva riduzione delle dosi.

Un'analisi interdisciplinare fra antropologia, biochimica, filosofia e letteratura darebbe probabilmente risultati sorprendenti a proposito del reale influsso che l'uso sistematico e a volte rituale di sostanze psicoattive ha avuto sullo sviluppo della dimensione estetica, filosofica e letteraria occidentale e, di riflesso, sulla rivoluzione dei costumi e sul mutato atteggiamento verso la vita a verso il sacro che ha introdotto e accompagnato il nostro secolo[45].

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Datura Arborea.

Dai citati pionieri del primo Romanticismo ottocentesco, cui non va dimenticato di aggiungere E.A. Poe, i cui fantastici viaggi nel soprannaturale non furono estranei all'uso dell'oppio, passando attraverso gli ineffabili "mangiatori di haschis" di Gautier fino attraverso gli ineffabili "mangiatori di haschis" di Gautier fino a Flaubert, Maupassant, Apollinaire, Rimbaud e proseguendo con Proust e decine di altri, si può dire non vi sia stato quasi alcun talento letterario o poetico, soprattutto tra i romantici e i decadentisti a cavallo tra i due secoli, non coinvolto nell'uso delle antiche, sacre sostanze.

Tra il 1888 e il 1896 il farmacologo tedesco Louis Lewin isolò l'alcaloide della mescaline dal peyotl, pubblicando poi uno studio dettagliato sugli aspetti biochimici, etnologici e religiosi del cactus messicano, che da quel momento negli ambienti scientifici assunse il nome di anhalonium Lewinii. Le potenzialità enormi della mescalina come chiave di liberazione degli universi interiori furono accolte dagli artisti a dagli sperimentatori della coscienza con un entusiasmo ancora superiore a quello che era stato riservato all'oppio e ai suoi derivati morfinici, la cui sgradevole tendenza a creare assuefazione aveva causato problemi a molti.

Allo stesso modo di quello dell'haschis il principio attivo del peyotl poteva essere pilotato a piacimento senza indurre alcuna forma di dipendenza fisica, come ebbero a sperimentare lo scrittore, regista teatrale ed esoterista Antonin Artaud (uno dei massimi esponenti del Surrealismo) e più di ogni altro l'eclettico inglese Aldous Huxley, che sotto la guida dello psichiatra Humphry Osmond - inventore dell'aggettivo "psichedelico" - sperimentò a largo la mescalina con intenti filosofico-conoscitivi, pubblicando nel 1954 le proprie osservazioni illuminanti in quella che probabilmente resta la sue opera più importante: Le porte della percezione[46].

La sinergia tra scienziati, letterati e artisti nell'ambito delle ricerche sulle alterazioni artificiali della coscienza era state inaugurate dallo psichiatra francese Jacques Joseph Moreau de Tours che, dopo essersi occupato a lungo della chimica del cervello, aveva sperimentato l'uso della cannabis per la cure di alcune forme di malattia mentale.

De Tours, nella sue veste di sperimentatore, era stato l'autentico ispiratore di Gautier e degli Hachischins e forniva lui stesso l'haschis al gruppo seguendo i risultati delle "sedate". Dal canto suo Havelock Ellis, uno dei fondatori della moderna sessuologia, dopo avere personalmente sperimentato e autoanalizzato gli effetti del peyotl, persuase diversi artisti suoi amici a sottoporsi a una serie di sedate psichedeliche, registrandone accuratamente le esperienze.

La convergenza tra lucida analisi scientifica, avventura spirituale estetica e analisi antropologica delle antiche culture religiose portava sempre, e ha portato fino ai giorni nostri, a una sola, rivoluzionaria conclusione, che sconfina nella magia: l'estasi chimica, la pratica mistica a la "visione" sciamanica si rivelano simili fino ad apparire come una sole, identica esperienza.

Le piante magiche e i loro derivati continuano a essere quello che sempre sono state: una chiave di accesso alla dimensione del sacro. Carne a Spirito dissolvono e confondono i propri confini attraverso il pasto eucaristico dei Cibi Divini.

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Lophophora Williamsii, meglio conosciuta come peyotl.

[b]Psiconautica e nuova gnosi[/b]

Non c'è Dio, Bibbia o Vangelo, non ci sono parole che fermino lo spirito [...] Noi abbiamo messo la mano su una bestia nuova [...] Abbandonate le caverne dell'essere. Venite [...] Cedete al pensiero integrale[47].
Così scriveva nella Révolution surrèaliste del 1925 Antonin Artaud, "apostolo" del peyotl e propugnatore di una rivoluzione "magica" dell'arte, della religione e della cultura

La riscoperta, sia biochimica che antropologica e artistica, del Giardirio Magico e del suo possibile utilizzo corse di pari passo con la rinascenza magico-esoterica che fiorì a partire dalla seconda metà del XIX secolo, coagulandosi in una costellazione di Logge occulte a Ordini iniziatici, spesso derivati dalla Massoneria.

In tali organizzazioni il principale filo conduttore era una nuova a appassionata forma di paganesimo e tra i loro membri figuravano, nella comune ricerca, poeti, scrittori, medici, filosofi e ricercatori degli antichi Misteri. All'interno di alcuni di questi Ordini le pratiche teurgiche e la ricerca alchemica costituivano la base di un graduale processo di autoconoscenza radicale, il cui sviluppo implicava tecniche di proiezione fuori dal corpo, esplorazioni mentali di altre dimensioni, contatti con poteri extra umani a soprattutto la sistematica trasmutazione della coscienza di veglia, mutevole a transitoria, verso un più profondo, stabile e divino stato dell'Essere.

I propellenti tecnici atti a scatenare tali processi potevano essere differenziati, ma i più potenti a veloci - spesso anche combinati fra loro - furono l'uso magico dell'erotismo, o magia sessuale e l'assunzione controllata di droghe.

In Italia questo particolare tipo di ricerca magica fu ampiamente praticato dal Gruppo di UR, una "catena" di studiosi ed esoteristi provenienti da diverse tradizioni a guidati negli anni '20 da Julius Evola, che nel suo saggio sull'uso delle droghe a scopo iniziatico, pubblicato nei fascicoli di UR tra il 1927 a il 1928, analizzò i vari tipi di sostanze naturali e di sintesi che potevano essere utilizzate come alchemiche "acque corrosive" (acidi corrosivi per le concrezioni dell'Io), dimostrando particolare interesse per la mescaline e soprattutto per l'etere etilico[48].

L'Ordine magico-iniziatico che più di ogni altro sviluppò al proprio interno una sistematica utilizzazione rituale, sia individuale che collettiva, di sostanze psicoattive, spesso combinata con pratiche magico-sessuali, fu l'Ordo Templi Orientis (O.T.O.), fondato nel 1904 da massoni tedeschi depositari di tradizioni rosacruciane, sufiche a tantriche e stabilmente consolidato a tutt'oggi in vane forme e filiazioni, sia in Europa che negli Stati Uniti[49].

Nel Grado Operativo interno detto "Concilio dei Principi", durante una cerimonia di contatto collettivo con la radice sensuale dell'Essere, definita con il nome mitico di Babalon gli iniziati dell'Ordine assumevano ritualmente dosi controllate di laudano (indicato con la cifra kabbalistica "31"), all'epoca legalmente commercializzato in tutta Europa, raggiungendo suo tramite una sorta di coscienza illuminata di gruppo[50].

Nel 1922 divenne Gran Maestro dell'O.T.O. il magista, esploratore e poeta inglese Aleister Crowley, che con i suoi libri, ricerche ed esperienze ha contribuito forse più di ogni altro in Occidente a stabilire un ponte di collegamento tra pratiche magiche, stregoneria sciamanica e uso di sostanze atte a modificare la coscienza[51].

Crowley sperimentò in forma radicale praticamente tutti i tipi di droga conosciuti alla sue epoca, rivolgendo una parti colare attenzione all'hashish, all'anhalonium Lewinii (peyotl) e all'etere. L'eclettico magista ingaggiò altresì una titanica lotta, conclusasi vittoriosamente, contro l'assuefazione all'eroina e alla morfina, che aveva iniziato ad assumere a scopo terapeutico secondo le prescrizioni mediche del tempo e alla cui schiavitù era giunto a sottoporsi volontaria mente per "esplorarne i meccanismi", come testimoniato nel The diary of drug fiend pubblicato nel 1922[52].

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Papaver somniferum.

La filosofia magico-sperimentale sulle droghe sviluppata dai magisti neopagani, da Crowley, dall'O.T.O. a da tutte le moderne organizzazioni e correnti di pensiero magico, neo-gnostico e neo-stregonico che ne sono derivate costituisce di fatto lo sfondo su cui si sono sviluppate tutte le più illuminate forme contemporanee di approccio al problema[53].
Secondo queste premesse i frutti del Giardino Magico vanno avvicinati tenendo conto della propria vocazione e qualificazione personale, equipaggiandosi con una precise conoscenza scientifica delle singole sostanze a dei loro diversi effetti bio-chimici e mentali. Uso e pratica vanno inoltre finalizzati, guidati e limitati con estrema tecnica e precisione nel contesto di un atteggiamento sacramentale in cui si realizzi un'autentica simbiosi tra mente, corpo, natura a cosmo.
La "via delle droghe" non è che una delle diverse opzioni che si presentano al magista come strumenti autorealizzativi.

Qualora venga fatta questa scelta, l'utilizzazione dei "cibi sacri" per essere efficacemente creativa non potrà che essere circoscritta entro spazi e tempi definiti e comunque considerata temporanea poiché gradualmente il corpo stesso del "viaggiatore" o operatore psico-magico deve raggiungere attraverso questi stimoli la capacità di produrre i medesimi effetti senza l'ausilio di sostanze esterne.

Le moderne ricerche mediche sulla produzione biochimica delle endorfine all'interno dell'organismo prefigurano questa possibilità e rendono credibili le affermazioni dell'antropologo americano Carlos Castaneda, recentemente scomparso, che, dopo essere stato iniziato dagli stregoni Yaqui attraverso l'uso della "pianta alleato"(datura innoxia), del Piccolo Fungo (il fungo psilocybe) e del "maestro protettore Mescalito" (peyotl) proseguì le proprie esperienze meta- corporee ed extrasensoriali e concluse il proprio iter sciamanico senza più utilizzare alcuna sostanza "propulsive"[54].

E non devono peraltro essere dimenticate le numerose sperimentazioni effettuate sul fronte della moderna Parapsicologia da coraggiosi ricercatori come l'americano Charles T. Tart, il farmacologo spagnolo Bascompte-Lakanal, la coppia di psicologi Masters e Houston, a ancora Andrija Puharich e Leonid Vassiliev dai cui risultati sembrerebbe che la fenomenologia paranormale in genere subisca sensibili accentuazioni in presenza di assunzione di sostanze psicoattive da parte dei soggetti studiati[55].

Sia le filiazioni contemporanee dell'O.T.O. (operanti anche in Italia) che i liberi gruppi di ricerca sulla Psiconautica - come ormai viene definita questa scienza - sono oggi orientati verso un prudente rifiuto nei confronti degli oppiacei (soprattutto morfina ed eroina) per la loro devastante pericolosità e sono piuttosto interessati ad approfondire sia le possibilità delle tradizionali sostanze psichedeliche, libere da ogni rischio biologico di assuefazione (piante varie, cannabis, funghi, mescalina, LSD...), che a elaborare l'utilizzazione e la sintesi di nuove sostanze psicoattive, naturali o composte, non facenti parte delle inique liste di proscrizione del proibizionismo a quindi legalmente utilizzabili.
Interessante è, a questo proposito, il nuovo termine di alchimia enteogenica, cioè l'arte di manipolare a produrre sostanze enteogene - ovvero rivelatrici della divinità interiore - proposto in Italia dal Società Italiana per lo Studio degli stati di Coscienza (S.I.S.S.C.)[56], un'associazione scientifica di medici, botanici, psichiatri, esoteristi e "psiconauti enteogenici" collegata ad analoghe associazioni straniere, che pubblica periodicamente la rivista Altrove a nel cui comitato scientifico spiccano i nomi di Richard Evans Schultes, il già citato direttore del museo botanico di Harvard, e di Albert Hofmann, scopritore dell'LSD a propugnatore di una cultura enteogenica, gnostica a neo-eleusina[57].
Hofmann, che nel 1951 condusse una serie di sedute enteogeniche a base di LSD con Ernst jünger (che ha da poco celebrato il suo 100° compleanno) e che negli anni '60 collaborò intimamente con Huxley[58], fu anche uno dei principali ispiratori del rivoluzionario professore di Harvard Timoty Leary, i cui interessi magico-esoterici per le tematiche sviluppate dall'O.T.O. sono ben noti e che all'alba della rivoluzione culturale giovanile dell'ultimo trentennio si fece profeta, sulla base delle proprie esperienze con LSD, di una nuova formula culturale neo-gnostica e psichedelica[59].

E con le parole di Leary, pubblicate nel 1970 come "i due comandamenti dell'era molecolare", che potremmo chiosare ogni manifesto di una nuova, possibile Era del corpo e della mente:

1. Non alterare la coscienza dei tuoi simili. 2. Non impedire che i tuoi simili alterino la loro coscienza[60].

Frasi da non dimenticare.

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Statuetta di uomo-animale-fungo.

Note
[1] Cfr. Daniel S. Worthon, Conoscere le piante allucinogene, Savelli, 1980, p. 60-63.
[2] Cfr. Robert S. de Ropp, Le droghe a la mente, Roma, Cesco Ciapanna, 1980, p. 147.
[3] Cfr. Philippe de Fèlice, Le droghe degli dei, Genova, ECIG, 1990, p. 158-159.
[4] Cfr. Cesco Ciapanna, Marijuana e altre storie, 1979, p. 195-196.
[5] Ivi, p. 197-199.
[6] De Ropp, Le droghe... cit., p. 148.
[7] Cfr. Ciapanna, Marijuana... cit., p. 198.
[8] De Ropp, Le droghe... cit., p. 148.
[9] Cfr. Albert Hofmann, LSD: il mio bambino difficile, Milano, Urra, 1995.
[10] Cfr. de Ropp, Le droghe... cit., p. 147.
[11] Sull'opera e sulle ricerche di Wasson e sui suoi stretti rapporti con Hofmann vedi anche: Worthon, Conoscere le piante allucinogene... cit., p. 67-69, nonché le dettagliate descrizioni dello stesso Hofmann al cap. 9 della sua opera fondamentale (Hofmann, LSD... cit., p. 101-126.)
[12] Cfr. de Ropp, Le droghe... cit., p. 150.
[13] Sulle connessioni tra i Misteri Eleusini e il probabile utilizzo di sostanze psicoattive estratte da qualche fungo psilocibinico vedi il pregevole saggio dello psicanalista Gilberto Camilla, direttore scientifico della rivista Altrove pubblicata dalla Società Italiana per to studio degli stati di coscienza, Ritorno ad Eleusi ("Altrove", Torino, Nautilus, n. 3 - 1996, p. 13-27).
[14] Va ricordato che le ricerche che portarono a formulare l'ipotesi di un preparato estratto dalla segale cornuta come sostanza psicoattiva utilizzata nel corso dei Misteri Eleusini vennero pubblicate nel libro the road to Eleusis (1978) scritto da R. Gordon Wasson, Albert Hofmann a Carl A.P. Ruck, professore di etnobotanica della mitologia greca ad Harvard (vedi ed. New York-Londra, Harcourt Brace Jova novich). Cfr. Albert Hofmann, I misteri di Eleusi. Roma, Stampa Alternativa, 1993, p. 7-9.
[15] Cfr. Worthon, Conoscere le piante allucinogene... cit., p. 50-55.
[16] Sugli studi di Wasson in relazione all'amanita muscaras identificata con il soma cfr. de Ropp, Le droghe... cit., p. 163-165, Sul soma vedico e l'haoma iranico vedi anche: De Felice, Le droghe degli dei cit., p. 213-232.
[17] Cfr. de Ropp, Le droghe... cit., p. 15-17.
[18] Ivi, p. 39 sg.
[19] Cfr. Ciapanna, Marijuana... cit., p. 180.
[20] Sugli aspetti antropologici del culto della pianta di coca e sulla natura della cocaina vedi: De Félice, Le droghe degli dei cit., p. 47-62. Per una dettagliata analisi della cocaina dal punto di vista tossicologico, anche se tracciata con un deciso taglio proibizionista da cui dissentiamo fortemente, vedi anche il saggio La cocaina (Milano, Il Falco, 1982) di Rosario Cutrufello, capo reparto neuropsichiatrico dell'Ospedale Militare Principale di Milano.
[21] Cfr. Worthon, Conoscere le piante allncinogene... cit., p. 44-45.
[22] Cfr. de Félice, Le droghe degli dei... cit., p. 154-156.
[23] Cfr. Ciapanna, Marijuana... cit., p. 193. Per un'estesa analisi di natura e diffusione a utilizzo sacramentale del kawa vedi: De Felice, Le droghe degli dei... cit., p. 98-105.
[24] Cfr. Daniele Piomelli, Storia della canapa indiana breve ma veridica, Roma, Stampa Alternativa, 1995.
[25] Bernardo Parrella, L'uomo e la cannabis, "Altrove", Torino, Nautilus, n. 2 (1995), p. 27.
[26] Erodoto, Le storie, Storici greci, Firenze, Sansoni, 1993, p. 202 (IV, 73-75).
[27] Cfr. De Felice, Le droghe degli dei... cit., p. 276-281.
[28] Silvio Pagani, L'addomesticamento della molecola selvaggia: tabacco a cannabis a confronto, "Altrove", Torino, Nautilus, n. 2 (1995), p. 69.
[29] Cfr. Dean Latimer, Jeff Goldberg, Fiori nel sangue: storia americana dell'oppio, dalle leggende antiche alle moderne scoperte scientifiche, Roma, Cesco Ciapanna, 1983, p. 22.
[30] Cfr. Omero, Odissea, IV, 280-307.
[31] Latimer, Goldberg, Fiori nel sangue... cit., cap. 6 (p. 81-125).
[32] Thomas S. Szasz, nato a Budapest nel 1920, ha insegnato psichiatria alla State University di NewYork a Syracuse a partire dal 1956.
[33] Thomas S. Szasz, Il mito della droga la persecuzione rituale delle droghe, dei drogati a degli spacciatori, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 56.
[34] Brani tratti dalla conferenza di Le Shan pubblicata in: PSI and altered states of consciousness, New York, Garrett Press, 1967, p. 129-130. Cfr. Ciapanna, Marijuana... cit., p. 210.
[35] Un'illuminante analisi metaforica sul mito giudeo-cristiano della proibizione ad Adamo di consumare i frutti dell'Albero della Conoscenza correlato al tabù occidentale rispetto alle sostanze psicoattive viene tracciato da Szasz in Il mito della droga... cit., p. 91-93.
[36] Elias Canetti, Massa a potere, Milano, Adelphi, 1981, p. 187.
[37] Cfr. Margaret A. Murray, Il dio delle streghe, Roma, Ubaldini 1972; Le streghe nell'Europa occidentale, Milano, Garzanti, 1978. Vedi anche: Pinuccia Di Gesaro, Streghe: l'ossessione del diavolo, il repertorio dei malefizi, la repressione, Bolzano, Praxis 3, 1988; I giochi delle streghe: stregonerie confessate nei processi del Cinque a Seicento e convalidate dai massimi demonologi, Bolzano, Praxis 3, 1995.
[38] Cfr. Massimo Centini, Le schiave di Diana: stregoneria a sciamanismo tra superstizione a demonizzazione; Genova, ECIG, 1994.
[39] Ivi, p. 283-284.
[40] Cfr. Gilberto Camilla, Le erbe del Diavolo: aspetti antropologici, "Altrove", Torino, Nautilus, n. 2 (1995), p. 105-115.
[41] Centini, Le schiave di Diana... cit., p. 286-289.
[42] Cfr. Albert Most [e altri.], Rospi psichedelici, Torino, Nautilus, 1995. Vedi anche: Luciano Pirrotta, Il rospo nei rituali satanici, "Abstracta", n. 28 (lug.-ago. 1988), p. 39-43.
[43] Cfr. Charles Baudelaire, I paradisi artificiali, Milano, Dall'Oglio, 1974.
[44] Cfr. Thomas De Quincey, Confessioni di un oppiomane, Milano, Garzanti, 1987.
[45] Cfr. Walter Benjamin, Sull'hascisch, Torino, Einaudi, 1975.
[46] Cfr. Aldous Huxley, Le porte della percezione, Milano, Mondadori,1990.
[47] Cfr. Franco Fortini, Lanfranco Binni, Il movimento surrealista, Milano, Garzanti, 1991, p. 91-98.
[48] Cfr. EA (Julius Evola), Sulle droghe, in: Gruppo di UR, Introduzione alla Magia, Roma, Mediterranee, 1971, vol. 3, p. 363-377.
[49] Per una dettagliata analisi storica delle principali ramificazioni dell'Ordo Templi Orientis curata sotto la diretta supervisione dell'autore del presente articolo vedi: Akkademia Pan Sophica Alpha Draconis, Radici storiche a magiche delle filiazioni O.T.O., "Daimon: periodico di cultura neopagana, chelemica, gnostica e luciferiana", Campi Bisenzio, APsAD, ed. speciale dell'1 dic. 1997, p. 2-13.
[50] Cfr. Francis King (curatore), The secret rituals of che O.T.O, London, C.W. Daniel Company, 1973, p. 131, nota 1.
[51] Roberto Negrini, A cinquant'anni dalla morte di Aleister Crowley: Vita, cultura a magia di un sapiente scandaloso, "Il Giornale dei Misteri", n. 315 (gen. 1998), p. 31-35. Sulla vita e sull'opera di Crowley vedi anche la relazione da noi presentata a Cefalù in occasione del Convegno Internazionale Un mago a Cefalù: Aleister Crowley e il suo soggiorno in Sicilia (22-23 feb. 1997) promosso dall'Azienda Autonoma di Soggiorno di Cefalù e dall'Assessorato Regionale Turismo di Sicilia in occasione del cinquantenario della morte del magista inglese: Roberto Negrini, La Bestia e la Dea: Idealismo Magico a Illuminismo Scientifico di Aleister Crowley, dal Neopaganesimo europeo alla New Age, "Daimon", ed. cit., p. 17-26.
[52] Cfr. Aleister Crowley, Diary of a drug frend, York Beach, Samuel Weiser, 1970.
[53] Sui diversi aspetti magico-operativi connessi all'utilizza zione di sostanze psicoattive vedi il saggio fondamentale di Kenneth Grant (discepolo di Crowley e attuale Gran Maestro della filiazione inglese dell'O.T.O.) La droga e l'occulto in: Kenneth Grant, Il risveglio della Magia, Roma, Astrolabio, 1973, p. 76-90.
[54] Cfr. Carlos Castaneda, A scuola dallo stregone, Roma, Astrolabio, 1970.
[55] Cfr. Ciapanna, Marijuana... cit., p. 233-240.
[56] Cfr. S.I.S.S.C. Psiconauti del 2000, "Altrove", Torino, Nautilus, n. 2 (1995) , p. 25.
[57] "Sul modello eleusino si potrebbero istituire centri in grado di riunire a rafforzare le molteplici correnti spirituali del nostro tempo che mirano allo stesso traguardo, consistente nel creare i presupposti, tramite una trasformazione di coscienza in ogni singolo individuo, per un mondo migliore senza guerre né catastrofi ambientali, per un mondo abitato da uomini più felici" (Albert Hofmann, I misteri di Elensi... cit., p. 16).
[58] Cfr. Albert Hofmann, LSD: i miei incontri con Huxley, Leary, Fiinger, Vogt, Roma, Stampa Alternativa, 1992.
[59] Cfr. Timothy Leary, Ralph Metzner, Richard Alpert, L'esperienza psichedelica: manuale basato sul Libro Tibetano dei morti, Milano, SugarCo, 1974. 60. Cfr. de Ropp, Le droghe... cit., p. 179.
[60] Cfr. de Ropp, Le droghe... cit. p. 179.

http://www.airesis.net/statialtricoscie ... roghe.html

23/03/2014, 14:19

L'ANNO ZERO DELLA CIVILTA' POSTDILUVIANA

Il mito di un grande diluvio che ricoprì tutte le terre emerse è ricollegabile alla memoria collettiva di quei gruppi umani che avevano assistito, dopo l’ultima grande glaciazione, alla formazione di mari mediterranei, alla scomparsa di continenti… Il diluvio universale ha quindi un fondo di verità storica e costituisce un archetipo, ha cioè un contenuto primordiale e universale che è presente nell’inconscio collettivo, o comunque è un primo esemplare, un modello primitivo. Del diluvio universale parlano testi antichi di varie culture asiatiche: assirobabilonesi, indiani, cinesi; ne parla la Bibbia, ne parla la mitologia classica.

Molte tra le antiche civiltà hanno al loro interno un punto che le accomuna; sia, trattato come argomento religioso, sia come epopea o mito di Eroi, sia come accadimento con crisma di storicità: questo è il Diluvio, o più Diluvi che, come nel ciclo “Avatarico” Indu, nelle tradizioni Amerinde, e nei loro paralleli racconti sia degli Aztechi messicani, dei Maya costaricensi e degli Incas peruviani, esplicitamente pongono un Diluvio alla fine di ogni Era ciclica; ed il prospetto dei quali ricorda in maniera inequivocabile - a parte qualche importante variante indigena - quello delle cosmologie arcaiche del Vecchio Continente.

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I Chibcha, popolazione della Colombia centrale, hanno tramandato il mito di Bechica. Vecchio e di razza diversa, apparve fra la popolazione colombiana portando saggezza e civiltà;un giorno però sua moglie Chia, tanto bella quanto spregevole e maligna e gelosa del marito, decise di prendere il sopravento e con l’aiuto della magia provocò un enorme diluvio in cui perirono numerose persone. Bochica, arrabbiatissimo esiliò la moglie in cielo (dove divenne la Luna, destinata a risplendere la notte), recuperò i pochi superstiti rifugiatisi nei monti ed iniziò nuovamente ad impartire loro leggi, a coltivare la terra, il culto del Sole portando nuova civiltà.

Quale connessione lega tutte queste civiltà? la risposta più plausibile è il medesimo ceppo arcaico originario, una civiltà mondiale che si espandeva colonizzando e portando la propria cultura e religione ai popoli che abitavano i continenti o il continente di quegli antichissimi tempi, una civiltà che conviveva con ceppi indigeni non ancora civilizzati (forse un bene per loro), un po’ come oggi noi conviviamo con gli Indios amazzonici, o gli aborigeni australiani, o tribù centro-africane.

Sconvolgimenti, cataclismi dovuti con tutta probabilità ad eventi celesti quali la caduta di frammenti di comete, come si può desumere dal “Libro etiopico di Enoch” o veri e propri asteroidi come quello ritenuto colpevole 65 milioni di anni fa dell’estinzione dei dinosauri, hanno decretato la fine di queste civiltà, magari poi una rinascita e nel rispetto della ciclicità una nuova distruzione.

L’archeologia e la geologia ortodosse, da sempre hanno portato avanti la teoria di una tragedia localizzata e successivamente entrata a far parte del patrimonio mitologico della gente. Ma questo non spiega in maniera convincente come le caratteristiche dei racconti sia quasi comune in tutte le civiltà. Se il disastro fosse stato locale, ogni popolo o tribù avrebbe verosimilmente creato un mito con caratteristiche diverse: alcune ad esempio avrebbero potuto essere state salvate dall’intervento di una maga, altre potrebbero essere scappate dalla forza dell’acqua creando una macchina volante, e così via. Ma come si evince leggendo questi racconti, quasi tutti prevedono come mezzo di fuga una nave o arca, costruita per opera di un solo uomo particolare e ordinata da un Dio impietosito, che salva una coppia di ogni essere vivente (=il seme della vita).

I superstiti o i nuovi creati (questi per insegnamento), hanno mantenuto un ricordo atavico, e pur nella loro seguente dispersione e diversificazione territoriale, il retaggio della loro “unicità” di civiltà progenitrice ancestrale, si possono riconoscere, in questi miti che affondano le radici in una certezza anche se non ancora del tutto dimostrata ma sicuramente storica. Il ricordo de “L’età dell’oro” lo Zep-Tepi Egizio “Il primo tempo” quando regnavano gli Dèi e la pace si estendeva sul mondo è nostalgicamente presente in tutti i popoli. In Mesopotamia costituisce uno dei principali argomenti delle mitologie sumera e assiro-babilonese. Addirittura fondamentale sembrerebbe per l'ideologia religiosa sumera, in quanto il diluvio vi è inteso come l'evento sacro che divide qualitativamente il tempo in due parti: l'ante-diluviano e il post-diluviano.

Scavi in Mesopotamia testimoniano di una grande alluvione verificatasi certamente verso il 2900 a. C., agli inizi del periodo protodinastico: tracce consistenti di questo diluvio sono presenti a Shuruppak, la città del diluvio secondo la leggenda mesopotamica di Utnapishtim, mentre quelle trovate a Ur appartengono a due diluvi molto più limitati, uno più recente e uno più antico di quello avvenuto a Shuruppak.

Secondo la tesi di Hancock la deglaciazione è stata repentina ed improvvisa; allo scioglimento delle enormi distese di ghiaccio avrebbe risposto un repentino innalzamento delle acque del mare che avrebbero inghiottito coste, porti, città marinare ed anche alcune di quelle più interne; si parla infatti di un aumento del livello dei mari anche di 100 mt. In effetti oggi in tutte le parti della Terra abbiamo tracce inconfutabili del passaggio delle acque come reperti fossili marini nell’entroterra (si pensi ad esempio che in una palude interna dell’America centrale sono sta rinvenuti i resti d’una balena!). Dunque, afferma Hancock, vengono alla luce in modo piuttosto palese:

“… non solo le chiare impronte di un popolo sconosciuto che prosperò DURANTE l’ultima glaciazione, ma pure i segni di un’intelligenza superiore in possesso di sofisticate tecnologie e dettagliate conoscenze scientifiche sulle ere cosmiche PRIMA di qualunque civiltà conosciuta...”


Non altrettanto fondamentale è l'argomento nella posteriore letteratura assiro-babilonese che, tuttavia, fornisce maggiori ragguagli sulla vicenda mitica. oltre al problema delle vie e dei tempi di diffusione del racconto, a partire da una cultura originaria in cui avrebbe preso forma e significato, sono di fondamentale interesse le differenziazioni dallo schema comune, per la loro capacità di connotare e qualificare le culture che ne sono portatrici. come accade in un mito indonesiano (is. di Nias) che parla di un'inondazione rivolta contro le montagne. La Terra era ancora confusa con le acque, come appare in numerosi miti cosmogonici, e il diluvio è inteso come un rinnovamento, una rigenerazione: una specie di grande bagno purificatore e restauratore delle energie originarie, fonte della rinascita o della nascita di un'umanità nuova.

Tale idea comporta, almeno in potenza, una concezione ciclica del divenire: quasi che l'umanità perfetta delle origini si corrompesse con il passare del tempo e, a un dato momento, avesse bisogno di essere rigenerata per dar vita a un nuovo ciclo. Platone narra, del Diluvio atlantideo, e il riferimento cronologico di cui egli parla (9.000 anni prima del millennio dei propri contemporanei - tale sarebbe la distanza dell'avvenimento citato) è un riferimento generico, da intendere nel senso che l'evento si era verificato 9 millenni prima; cioè, secondo l'attuale datazione, nell'XI millennio a.C. Il calcolo astrologico dà esattamente la data del 10.960 a.C., scadenza ciclica del "Diluvio di Acqua".

Precisa che i Greci rammentavano nelle loro memorie solo l'ultimo Diluvio, di Deucalione e Pirra, ma che molti altri ne erano capitati in tempi più remoti. Non solo, ma aggiunge che tale tipo di fenomeno sarebbe avvenuto "di nuovo nel solito intervallo d'anni", mostrandoci dunque che non era questione di favoleggiamenti - come purtroppo molti da allora fino a oggi hanno supposto - bensì di "vera storia". La Mesopotamia tratta a sua volta del Diluvio nell'Epopea di Gilgamesh, nell’Atra-Hasis, e nel mito Sumerico del Diluvio di Ziusudra; la Bibbia con il suo Noé, (racconto di chiara provenienza mesopotamica), e con essa le varie versioni tratte da libri apocrifi.

Possiamo chiamare questo soggetto mitico in vari modi: Noè, Deucalione, Ermete-Toth, Quetzacoatl, ma, egli si salvo' su di un'arca, assieme alla sua famiglia e a molti animali, portando con se le conoscenze scientifiche, tecniche ed esoteriche.

Focalizziamoci ora sulla figura chiave di Noè, nipote di Matusalemme, il che lo rende discendente diretto di Adamo ed Eva lungo la linea di Set la cosiddetta "grande genealogia dei Setiti" nel capitolo 5 della Genesi.

Bisnonno di Noè fu Enoch. Il patriarca Enoch era il candidato ideale per assumere un ruolo importante nella letteratura apocrifa fiorita negli ultimi secoli prima di Cristo e nel primo secolo dell'era cristiana. Oltre a vantare un'indubbia antichità che lo fa vivere in un'epoca mitica e particolarmente suggestiva, esso rappresenta anche il settimo patriarca antidiluviano, ad imitazione del settimo re antidiluviano della tradizione babilonese, Emmeduranki, destinatario della rivelazione dei segreti divini. E fu così che Enoch si trasformò nel prototipo dell'iniziato ai misteri celesti, diventando il prestanome di tutto un corpus di apocrifi a carattere sapienziale.

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Enoch, patriarca antidiluviano padre di Matusalemme, di lui nella Genesi si afferma che “camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso”, si precisa, cioè, che Enoch visse in stretto contatto con Dio o con i suoi rappresentanti celesti, e poi fu rapito e portato definitivamente da loro. Ciò significa che la vita di Enoch fu qualcosa di misterioso e di eccezionale, che è appunto raccontata nel libro di Enoch, il quale non è incluso ufficialmente nella Bibbia perché, come dice S. Agostino, il libro di Enoch era troppo antico per essere ammesso nel canone biblico, anche se non è più antico della maggior parte dei racconti che formano la Genesi della Bibbia ufficiale, tenendo presente anche il fatto che il libro di Enoch fu usato ufficialmente dalla dottrina cristiana fino al III secolo.Il Libro di Enoch è, quindi, un testo apocrifo di origine giudaica la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C.

L’intera opera non è altro che un resoconto particolareggiato dei viaggi che Enoch intraprese con esseri non di questo mondo che sono identificati con gli Angeli e con gli Arcangeli. Tuttavia, se dopo ogni viaggio Enoch ritornava sulla Terra, nell'ultimo viaggio egli rimase a vivere fra gli “Angeli”.

Il libro di Enoch non è altro che la versione biblica di un testo Sumero nel quale il protagonista è chiamato col soprannome Enmeduranki, che significa "Maestro nell’unione fra cielo e Terra". Ciò non è strano, poiché molti studiosi ritengono che la Genesi della Bibbia sia la copia dell’antichissima “Storia Fenicia” di Sanchoniathon, e che la stessa Genesi biblica sia un adattamento successivo di quella Sumerica. Inoltre, storie simili sono presenti in molte tradizioni e religioni antichissime, come nei Veda, i testi sacri dell’antica cultura indiana.

Quindi il libro di Enoch è una delle testimonianze importanti del contatto di un uomo con specie non di questo mondo, questa volta, però la veridicità della storia è supportata dalle varie citazioni di riferimento della Bibbia, che vanno dalla Genesi all'Apocalisse di San Giovanni, e le citazioni di vari Santi che rendono tale testo meno apocrifo e più ufficiale che mai. L’esistenza di U.F.O., di alieni, di esseri multidimensionali, di umanità che sono esistite prima di noi e di altre cose misteriose, è perfettamente compatibile con la dottrina cristiana e, più generalmente, con Dio. Ma non bisogna dimenticare che da sempre l’uomo interpreta i testi sacri, credendo spesso in cose non vere perché l’uomo non ha saputo interpretare i testi sacri. Effettivamente è illogico pensare che Dio avesse detto che il nostro è il solo mondo abitato e questo lo sapevano pure molti personaggi biblici, come San Paolo che in una lettera agli Ebrei parla di mondi (abitati) creati dalla manifestazione (il verbo) di Dio.

Ma il Libro di Enoch oltre a testimoniare questo particolare rapporto tra questi “Antichi Dei” e gli Uomini ci interessa in questo articolo poiché ci offre la descrizione della nascita di Noè. Una nascita che viene descritta come inaspettata da parte del padre di Noè, Lamec, il quale, per le strane fattezze del figlio chiede a suo padre, Matusalemme, di conferire proprio con Enoch attanagliato dal dubbio che sua moglie possa avere concepito suo figlio con un, testuali parole, figlio del Dio del cielo.

Il suo corpo era bianco come la neve e rosso come un bocciolo di rosa: i suoi capelli in lunghi riccioli erano bianchi come la lana e gli occhi erano molto belli.. E quando aprì gli occhi, illuminò tutta la casa come il sole e la casa intera era splendente.

Noè sembra nascere quindi come portatore di anomale caratteristiche fenotipiche cro-magnoidi o neanderthaliane in una famiglia di Sapiens in un tempo in cui le relazioni tra Uomini e Dei (e semi-dei) erano molto più strette e consuete di quanto possiamo immaginare.

Un Noè imparentato con gli dei secondo le logiche che abbiamo presentato in “Out of Atlantis” spiegherebbe il perché la sua famiglia venne scelta per preservare la specie e la genetica 'divina' e ciò eleverebbe lui e i suoi figli niente di più al ruolo dei Nephilim, o dei Vigilanti se utilizziamo la nomenclatura presentata nel Libro di Enoch. Ovvero dei Cro-Magnon, dei Neanderthal, le cui caratteristiche abbiamo visto in articoli precedenti essere spesso associati ad elementi divini, destinati a diventare i primi sovrani della futura civiltà post-diluviana.

Ed ecco perché Enki, l'Anunnako apicale, informò Noè, un figlio di Sapiens ma con caratteristiche da Nephilim, caratteristiche cro-magnoidi quali il capello chiaro e l'occhio azzurro, della necessità di costruire un'arca dove contenere le specie animali e vegetali della Terra fornendo specifiche istruzioni per la sua costruzione.

Secondo l’Antico Testamento, le dimensioni straordinarie dell’Arca misuravano trecento cubiti in lunghezza, cinquanta cubiti in larghezza e trenta cubiti in altezza. Storicamente si pensa che un cubito sia la lunghezza dell’avambraccio di un uomo o circa fra 45 e 50 cm. E’ interessante rilevare che le dimensioni dell’Arca con le proporzioni sei a uno (lunghezza a larghezza) venivano considerate così idonee alla navigazione che l’architetto della marina George W. Dickie usò volutamente la stessa proporzione quando costruì la nave degli USA ‘Oregon’, che fu varata nel 1898. Per un certo tempo, la Oregon fu considerata la nave ammiraglia della flotta americana ed era uno dei vascelli più stabili mai costruiti.

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Alla costruzione dell'arca, nella forma e misura dettate a Noè, unico uomo "giusto" meritevole di salvezza, partecipano i suoi figli e le loro mogli che, salvandosi dalla catastrofe, diventeranno i capostipiti delle popolazioni della terra post-diluvio.

Possiamo credere alla favoletta delle coppie di animali che salgono sull'arca in fila indiana così come ci viene raccontata a catechismo, ma è ovvio che se intraprendiamo la strada di una concreta storicità dell'evento del Diluvio e della storia di Noè è evidente che le parole del testo biblico vogliono descriverci qualcosa d'altro.

Più che a coppie di animali e piante è più ragionevole pensare a una sorta di banca genetica nella quale Noè e la sua famiglia, ovvero il gruppo di persone selezionate per la preservazione della specie, abbia caricato le matrici genetiche di quegli animali e vegetali utili alla nuova civiltà destinata a sorgere dalle ceneri dell'età dell'oro atlantidea.

Nulla di diverso rispetto a quello che stiamo facendo anche noi oggi nell'estremo nord del mondo e chissà in quanti altri posti sconosciuti.

Nell'isola di Spitsbergen, desolato arcipelago delle Svalbard, è stata ormai completata la superbanca delle sementi, destinata a contenere i semi di tre milioni di varietà di piante di tutto il mondo. Una «banca» scavata nel granito, chiusa da due portelloni a prova di bomba con sensori rivelatori di movimento, speciali bocche di aerazione, muraglie di cemento armato spesse un metro.

Tra sorrisi e flash dei fotografi, nel 2008 è stato inaugurato il Svalbard Global Seed Vault, o «Deposito sotterraneo globale dei semi». Il premier norvegese ha portato dentro la prima scatola di sementi. Perché di questo si tratta: una «banca dei semi», un deposito che conterrà semi di 100 milioni di specie vegetali di uso alimentare, raccolti in un centinaio di paesi.

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La prima scatola introdotta nella nuova banca includeva semi di varietà uniche di mais, riso, grano e sorgo provenienti da Asia e Africa, e poi varietà europee e sudamericane di melanzane, lattughe, orzo e patate. Una banca dei semi è sempre una cosa utile, e durante la cerimonia inaugurale lo hanno sottolineato i due «padrini»:

«Con il cambiamento del clima e altre forze che minacciano la diversità della vita sul nostro pianeta, la Norvegia è orgogliosa di ospitare una struttura capace di proteggere qualcosa che non sono solo i semi, ma la base essenziale della civiltà umana», ha detto il premier Stoltenberg. Mentre Maathai, fondatrice del Green Belt Movement africano - un movimento partito dalla semplice attività di piantare alberi per poi diventare un movimento insieme ambientalista e per la giustizia sociale, ha sottolineato «l'interesse pubblico di una banca di semi». Bei discorsi, tenuti a 130 metri all'interno della montagna ghiacciata: il Global Seed Vault è un frigorifero naturale. Ieri erano già arrivate 676 scatole contenenti 10 tonnellate di semi di 268,000 diverse varietà vegetali. Impresa imponente, e ovviamente costosa.

Il Global Seed Vault appartiene al governo della Norvegia, che ne ha finanziato la costruzione con circa 9,5 milioni di dollari; poi si tratta di raccogliere i campioni di semi, impacchettarli, schedarli e spedirli nella nuova banca, e questa parte del progetto è affidato a una fondazione chiamata Global Crop Diversity Trust, che ha raccolto contributi di diversi paesi e agenzie internazionali (e un importante finanziamento della Bill e Melinda Gates Foundation).

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La stampa internazionale l'ha soprannominato il «Doomsday vault», il deposito del «giudizio universale»: l'idea è che se l'umanità dovesse far fronte a un disastro, un'alluvione universale, un inverno nucleare, in quel deposito troverebbe tutti i semi adatti a ogni regione, clima, terreno, per ricominciare da capo la produzione agricola.

Tornando a Noè avevamo lasciato il nostro intrepido alle prese con la costruzione dell'arca...

“... Il Signore disse a Noè: «Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione. D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono mondi un paio, il maschio e la sua femmina. Anche degli uccelli mondi del cielo, sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza su tutta la terra...”


“… Nell'anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno entrò nell'arca Noè con i figli Sem, Cam e Iafet, la moglie di Noè, le tre mogli dei suoi tre figli...”


“... Quelli che venivano, maschio e femmina d'ogni carne, entrarono come gli aveva comandato Dio: il Signore chiuse la porta dietro di lui... Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l'arca che si innalzò sulla terra...”


Un racconto quello del Diluvio che seppur romanzati secondo la mitizzazione dei fatti ad opera dei popoli antichi oggi è quasi confermato essere memoria di fatti realmente accaduti.

Alcuni geologi che studiano il paesaggio della zona nord-occidentale degli Stati Uniti credono che, in un arco di tempo molto lungo, fino a 100 catastrofiche inondazioni abbiano colpito quell’area. A quanto dicono, nel corso di una di queste inondazioni la regione fu sommersa da un muro d’acqua alto 600 metri che avanzava fragorosamente a oltre 100 chilometri orari: spostò 2.000 chilometri cubi d’acqua che pesavano oltre 2.000 miliardi di tonnellate. Scoperte simili hanno indotto altri scienziati a credere che la possibilità che un diluvio universale ci sia veramente stato è concreta.

I geologi hanno individuato alcuni anomali innalzamenti eccezionali del livello medio del mare, centrati intorno al 12400, 9600 6000 e 5500 a.C. Dopo ognuno di essi il mare risultò molto più alto. L'ultimo diluvio dovrebbe aver innalzato il livello di vari metri sopra l'attuale. Questa spinta del mare fratturò la diga naturale del Bosforo e provocò l'inondazione del lago interno alla foce
del Danubio.

Quest'ultimo evento è stato scoperto da ricercatori che hanno studiato il Mar Nero occidentale. Sono state scoperte tracce di città e il tutto è databile proprio al 5500 a.C.

Vasile Droj universologo di Roma che a dispetto del nome si tratta di una città della Romania, elaborò la teoria più di 20 anni fa ma recenti ricerche sia personali che di alcuni scienziati nella detta regione indusse l’autore a scrivere su un libro le sue ricerche sull’origine della civiltà.

Ecco i preliminari: nel 1997 due ricercatori USA Wiliam Ryan e Walter Pitman del Lamont Doherty Earth Observatory di Palisades studiando delle conchiglie fossili e vari residui geologici dai fondali osservarono con stupore che non superano 7.500 anni, prova evidente che il mare non è più vecchio di quell’età. Un altro americano Robert Ballard l’esploratore del Titanic individuò a più di 100 metri sotto l’acqua strutture rettangolari di pietra proveniente da quell’epoca. Anche una spedizione scientifica organizzata dal CNR e dalla Columbia University ha trovato sui fondali delle coste turche indizi geologici attinenti all’ipotesi di un cataclisma recente 7.500 anni fa.

Le prove degli antichi eventi catastrofici convalidano la teoria dei ricercatori americani secondo la quale fu uno straripamento del Mediterraneo nel Mar Nero in seguito all’innalzamento delle acque. Un lembo di terra nel Bosforo si rompe e una cascata gigantesca di acque inonda per anni e anni la parte bassa dove si trovava un lago che poi diventò il Mar Nero. Fu un Diluvio che nei miti diventò il Diluvio universale che si tramandò alla tradizione di molti popoli della zona e anche di regioni molto lontane.



Le antiche culture mediterranee sono abbastanza vecchie però non risalgono nella memoria al di là della soglia dei 6000 anni Gli storici antichi greci conoscevano abbastanza bene la civiltà egizia descrivendo in dettaglio eventi di migliaia di anni prima di loro però sapevano poco di una civiltà nordica di cui però parlavano con grande ammirazione e rispetto.

Era il Regno degli "Iper Borei" Questo perché la civiltà Atlantideo iperboreica era di altre migliaia di anni più antecedente. L’aureola e il granderispetto verso quella civiltà veniva dal fato che i greci consideravano i loro grandi dei e antenati scesi proprio da là. La localizzazione della Zona non sarebbe difficile: era là da dove veniva il freddo vento Boreas cioè al di là del Istros (Danubio-Potamos) intorno ai Monti Carpati più o meno dove si trova oggi la Romania. Questa era la zona approssimativa dove i superstiti della grande catastrofe atlantidea si stabilirono oppure erano già contemporanei se non precedenti agli Atlantidei.

Proprio da questa zona ponte fra Oriente ed Occidente vengono i più antichi reperti archeologici che toccano e superano la soglia dei 6000 anni come la ceramica neolitica ultrageometrica ma specialmente le geometriche statuine di pensatori (vedi il Pensatore di Hamangia fig.1). che nascondono nel loro corpo parametri e segreti delle piramide egizie più di 1.500 anni prima della loro costruzione. Nella stessa zona nel sito archeologico di Tartaria (Romania) sono state trovate tavolette con scrittura cuneiforme 1.000 anni più vecchie che quelle sumere (fig. 2). Ecco perché i greci attribuivano ad Apollo che veniva da quelle zone la paternità della scrittura e dei numeri.

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I greci stessi sono venuti dal nord. le tre tribù di migratori "i ioni, i dori e i corinti sono scesi dalla zona dei Carpazi per fondare poi la Grecia. Nello stesso nord iperboreo si trovavano tutti i centri di grande iniziazione dai misteri eleussini ai misteri orfici.

Inizialmente i ricercatori hanno ipotizzato che l'invasione marina nel bacino del Mar Nero sia stata rapida e che abbia provocato un'onda talmente alta da sollevare le barche e navi dei siti della costa orientale fino a portarle in cima alle montagne esattamente come accadde all'arca di Noè arenatasi alla fine del disastro sul monte Ararat.

Come abbiamo già descritto in alcuni nostri precedenti articoli sappiamo che, solitamente, quando ci riferiamo alle vicende bibliche della Genesi, le immaginiamo verificarsi in quella stessa area geografica tra la Palestina e le valli del Tigri e dell’Eufrate, ovvero dove poi si mossero le storie di Abramo, di Isacco, Giacobbe, e degli altri protagonisti della storia degli Ebrei. In realtà non vi sono elementi nel testo biblico originale che lascino intendere che quanto raccontato in Genesi relativamente alle storie dei patriarchi, da Adamo a Noè, sia avvenuto davvero nell’antica mesopotamia o nella terra di Sumer.

La storiografia descrive le prime società umane antecedenti alla fine dell’ultimo periodo glaciale come primitive e dedite alla raccolta e alla caccia non essendosi ancora realizzata la cosiddetta ‘rivoluzione agricola’. Ma sono quelle stesse società che avrebbero eretto complessi megalitici giunti fino a noi come Gobekli Tepe in Turchia, i Nuraghe in Sardegna e, se retrodatiamo la datazione delle costruzioni della piana di Giza come molti asseriscono, anche le Piramidi e la Sfinge. Senza dimenticare le tanto discusse Piramidi di Visoko.

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Ricostruzione grafica piramide di Visoko

Già nelle ricerche che hanno portato alla pubblicazione del libro “Genesi di un Enigma”, è stato affrontato il ruolo e l’importanza storica di quei siti archeologici come Gobekli Tepe, Kiziltepe e le più recenti scoperte, sempre alle pendici montuose del complesso montuoso dell’Ararat, del sito di Karahan Tepe, a 63 km a est di Urfa, anch’esso risalente a più di 10.000 anni fa con pilastri a T e decorazioni molto simili a quelle di Gobekli Tepe.

Quello stesso Ararat dove appunto la Bibbia racconta essersi arenata l’arca di Noè. Arca che forse non proveniva da sud, come è facile immaginare collocando la storia di Noè propria della tradizione mesopotamica; forse arrivava dal Nord, dalla regione del Mar Nero, ove si era insediata e sviluppata una civiltà urbana più evoluta degli standard che la storia classica è solita riconoscere al periodo storico pre-glaciale.

Una civiltà che, fino a prima del Diluvio, diede origine ai complessi megalitici dell'area, da Baalbek alle Piramidi di Visoko, dalle Ziggurat ai complessi di Arkhaim in Russia, da Derinkuyu alla base del Bucegi in Romania fino alle più recenti scoperte di piramidi in Crimea.

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Uno dei regni del tempo di Atlantide, andato cancellato con il Diluvio Universale la cui memoria si è preservata nel mito grazie ai sopravvissuti alla catastrofe. Sopravvissuti umani, e meno umani, più divini, come Noè, caratterizzati da alcune caratteristiche come appunto l'occhio azzurro ora non più esclusivo dei Nephilim, ovvero della seconda generazione di Anunnaki ma a disposizione degli esseri umani attraverso Noè e la sua discendenza.

Uno studio danese conferma: il colore deriva da una mutazione avvenuta fra 6 e 10 mila anni fa. Secondo una recente ricerca pubblicata sul Daily Mail e condotta da scienzati dell’Università di Copenhagen (dove avere gli occhi chiari non è certo una rarità), il colore azzurro degli occhi deriva da una mutazione genetica che risale a circa 10000 anni fa. Lo studio, pubblicato sul periodico Human Genetics, dimostra il verificarsi di una singola mutazione in un gene chiamato OCA2. La mutazione sarebbe avvenuta in una sola persona, abitante le coste del Mar Nero e avrebbe causato la cessazione di produzione del pigmento castano, modificandolo in blu.

«All’inizio c’erano gli occhi bruni. Il cambiamento è legato al gene OCA2 che ha letteralmente spento la capacità di produrre il marrone», annuncia la sua suggestiva teoria il danese Hans Eiberg, università di Copenhagen che ha coordinato una squadra di genetisti. «è la mia scommessa», aggiunge il ricercatore, lasciando trasparire l’orgoglio di appartenere a una popolazione composta in prevalenza da individui con caratteristiche tipiche del Nord Europa.

Il professore è arrivato alla conclusione anche guidato da un ragionamento che viene ripercorso in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Human genetics. L’antichissima mutazione, avvenuta nel Neolitico, riguarda un gene coinvolto nella produzione della melanina, il pigmento che dà colore ad alcune parti del corpo (capelli, occhi e pelle). Il castano in seguito all’alterazione non viene spento del tutto ma semplicemente ridotto in modo che avvenga una diluizione, uno schiarimento dell’iride. Nei soggetti albini come poteva essere Noè invece l’Oca2 viene disattivato completamente.

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Bimbo albino... Noè aveva questo aspetto alla nascita?

Per giungere a queste conclusioni Eiberg ha esaminato il Dna di individui con occhi azzurri che vivono in aree diverse come Giordania, India, Danimarca e Turchia. Tutti hanno rivelato lo stesso assetto genetico. Da qui la teoria: «Hanno le stesse origini». Probabilmente dunque nella zona a nord est o nord ovest del Mar Nero a un certo punto della storia ci fu una migrazione che portò gli occhi azzurri nei Paesi dove oggi li ritroviamo stabilmente.

Legge con curiosità la ricerca Alberto Piazza, ordinario di genetica umana all’università di Torino, ora impegnato in un lavoro sull’origine caucasica degli Etruschi della Toscana: «L’ipotesi di datazione del cambiamento mi pare innanzitutto un po’ campata in aria — argomenta —. La mutazione è concentrata in una sequenza del Dna ed è stato funzionale all’ambiente come potrebbe essere una importante variazione del clima o una malattia. Le ragioni sono sconosciute. Un po’ quello che sappiamo è avvenuto per il colore della pelle dell’uomo. In origine era nera poi in certi gruppi ha prevalso quella bianca.

Seguire il percorso del carattere occhio azzurro significa seguire il percorso dei Nephilim e della discendenza di Noè attraverso le tre stirpi di Cam, di Sem e di Iafet partendo propriò laddove l'arca si è andata ad arenare: le pendici del monte Ararat.

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In tal senso ci viene in aiuto la genetica a supporto dell'antropologia e in particolar modo lo studio effettuato da Klyosov, A. e Rozhanskii, I. nel loro “Re-Examining the "Out of Africa" Theory and the Origin of Europeoids (Caucasoids) in Light of DNA Genealogy. Advances in Anthropology,” pubblicato nel 2012 in cui sono stati analizzati ben settemila aplotipi di 46 sottoclassi di 17 principali aplogruppi. La constatazione finale che gli aplogruppi Europoidi caucasici non discendono da aplogruppi "africani" A o B è corroborata dal fatto che i portatori di aplogruppi caucasoidi, così come di tutti gli aplogruppi non africani non portano né SNPs M91 , P97 , M31 , P82 , M23 , M114 , P262 , M32 , M59 , P289 , P291 , P102 , M13 , M171 , M118.

Origini diverse per diverse popolazioni umane che supportano l'idea della multiregionalità in sostituzione della più accreditata teoria antropologica dell'Out of Africa.

Ma è davvero possibile pensare che il carattere genetico collegato al colore celeste dell'occhio che gli antichi attribuivano essere una caratteristica divina come ricordano gli articoli di Adriano Romualdi vede la luce “solo” qualche migliaio di anni fa nella storia del genere Homo?

Facciamo finta invece che tale carattere fosse prerogatica degli “Antichi Dei” i quali non dovevano mescolare il loro codice genetico con quello dei Sapiens. Cosa che invece alcuni fecero scatenando le ire di una fazione di “Antichi Dei” che prendono il nome nell'interpretazione logico-storica del Progetto Atlanticus di Enliliti, in contrapposizione agli Enkiliti, ovvero agli Angeli Caduti citati nel libro di Enoch.

Ipotizziamo allora che l'occhio azzurro, il capello chiaro, la pelle bianchissima, fosse il retaggio genetico di coloro che dal cielo, Marte nelle nostre più recenti ipotesi, scesero sulla Terra. Pianeta diverso, caratteristiche fisiche completamente diverse e penalizzanti in un differente ambiente climatico come quello terrestre.

Teoria peraltro che troverebbe alcune conferme in quanto sostenuto nell'opera del dottor Ellis Silver e pubblicata recentemente sul Daily Mail. Il fatto che tanti soffrano di mal di schiena dimostra che ci siamo evoluti in una situazione di gravità più bassa rispetto a quella terrestre. Il fatto che l’esposizione prolungata al sole può crearci guai seri di salute. Il fatto che la testa del bambino che nasce è molto grande e crea sofferenze e problemi alla madre nel parto (addirittura con il rischio di morte per la donna e per il figlio), fatto questo che non si presenta con altre specie terrestri. Il fatto che ci ammaliamo spesso e questo potrebbe dipendere dal fatto che il nostro orologio corporale è tarato sulle 25 ore e non sulle 24 (aspetto questo che è dimostrato dagli studiosi del sonno) e molti altri elementi lasciano supporre al dott.Silver che le nostre caratteristiche fisiche non sono del tutto autoctone della Terra.

Come allora potrebbe essere il nostro 'occhio azzurro'. Ciò ci consente di spostare l'attenzione per un attimo dal Mar Nero all'Oceano Atlantico quale reale punto di origine di quelle caratteristiche genetiche il cui percorso segna il cammino che gli “Antichi Dei” haano seguito dopo il Diluvio per portare la civiltà nella nuova umanità post-diluviana.

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Nella mappa possiamo osservare in arancione il percorso fatto dal Sapiens secondo la teoria antropologica dell'Out of Africa che si integra con il percorso in rosso fatto dagli Atlantidi dopo l'inabissamento di una delle principali insediamenti atlantidei: l'arcipelago delle Azzorre.

Il tutto integrato ulteriormente dalla storia di Noè, figlio di un Nephilim atlantideo e quindi portatore del gene occhio azzurro, atterrato alle pendici del monte Ararat dopo l'inondazione del Mar Nero.

Sempre sul piano genetico vale la pena osservare le seguenti due mappe tematiche che rappresentano gli studi genetici mitocondriali tratti dal cromosoma X e dal cromosoma Y sovrapposti nell'ultima alla mappa di Donnelly descrivente l'Impero di Atlantide secondo la sua interpretazione storica del mito.

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Dalla mappa di Donnelly osserviamo che il fu impero di Atlantide includeva tutta l'area circostante il Mar Nero: Caucaso, Georgia, Crimea, Ucraina e Turchia e a scendere la valle del Tigri e dell'Eufrate.

Quella Turchia di Kisiltepe, di Gobekli Tepe edificate proprio nei pressi del massiccio montuoso di cui il monte Ararat fa parte. Ovvero dove la Bibbia ci dice che si sia arenata l'arca...

Non voglio fare l'Adam Kadmon della situazione, ma è possibile che siano tutte coincidenze?

La risposta forse ce la può offrire la chiave di lettura suggeritaci da un nostro collega ricercatore di nome Alessio Pallini, il quale gestisce la pagina facebook: “E.DIN: la Terra degli Anunnaki”.

http://www.facebook.com/LaTerraDegliAnunnaki

Come abbiamo detto prima sappiamo dalla Bibbia che l'arca di Noè aveva delle specifiche precise di cantieristica navale riprese anche dai più moderni costruttori nautici. Le dimensioni straordinarie dell’Arca misuravano trecento cubiti in lunghezza, cinquanta cubiti in larghezza e trenta cubiti in altezza. Storicamente si pensa che un cubito sia la lunghezza dell’avambraccio di un uomo o circa fra 45 e 50 cm ovvero le dimensioni dell'arca dovevano essere circa ossia circa 137 metri di lunghezza, 23 di larghezza e 13 di altezza.

Ad ogni modo la descrizione che viene data dell'arca è quella di un parallelepido che riscontriamo anche nelle rappresentazioni artistiche che i pittori hanno realizzato nel corso dei secoli. Misure e forme che hanno fatto pensare qualche anno fa di avere ritrovato l'arca proprio là dove il testo biblico dice di essersi arenata.

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La cosiddetta “anomalia del monte Ararat” è un oggetto non identificato che appare su alcune fotografie, risalenti alla fine degli anni quaranta, sulla cima del monte Ararat, in Turchia. Secondo alcuni studiosi biblici potrebbe trattarsi dei resti della struttura lignea dell'arca di Noè che, secondo il racconto della Bibbia, si sarebbe arenata proprio su questo monte.

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L’Ararat, la cui cima non è facilmente accessibile, si trova al confine tra la Turchia e l'Armenia, allora parte dell'Unione Sovietica. Era quindi una zona militarmente rilevante. Sono state condotte numerose osservazioni dallo spazio che non hanno chiarito l'origine dell'anomalia. La prima ed unica spedizione di ricerca in situ è stata organizzata nel 2004, ma le autorità turche le hanno impedito di raggiungere la cima.

L'anomalia è situata all'estremità nord-ovest dell'altopiano occidentale del monte Ararat, a 4.724 metri di altitudine, a circa 2,2 chilometri in linea d'aria dal vertice (5.137 metri). L'oggetto sembra essere situato sul bordo di una brusca pendenza. L'anomalia venne localizzata per la prima volta nel corso di una missione aerea dell'US Air Force, il 17 giugno 1949; il monte Ararat si situava infatti sulla frontiera tra Turchia e Unione Sovietica, ed aveva dunque un importante interesse strategico durante la guerra fredda. L'oggetto venne subito analizzato perché "troppo lineare per essere naturale e apparentemente sotto il ghiaccio" e presto si ipotizzò che si trattasse dell'arca di Noè. I servizi segreti statunitensi ipotizzarono anche la presenza di una base segreta sovietica nel punto in cui si era fotografata l'anomalia.

La pellicola fotografica venne classificata come segreta, benché con un livello di riservatezza poco elevato, ed altre fotografie sono state scattate nel corso degli anni da aerei e da satelliti. Sei foto del 1949 furono declassificate nel 1995 ai sensi del Freedom of information Act e trasmesse a Porcher Taylor, professore della University of Richmond, presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, un'istituzione specializzata nello studio delle informazioni ottenute via satellite. Taylor divenne uno dei più grandi sostenitori del ritrovamento dell'arca.

L'area del Monte Ararat è stata inoltre ispezionata per ulteriori ricerche dallo SPOT nel settembre 1989, dal Landsat nel 1974 e dallo Space Shuttle nel 1994, oltre che dal KH-9 nel 1973 e dal KH-11 nel 1976 e nel 1990-1992. A causa delle pessime condizioni meteorologiche e delle limitazioni tecnologiche, queste non furono in grado di risolvere il mistero; alcuni studi hanno però confermato la presenza di legno sotto il ghiaccio e di una struttura piana. Nel 2000 venne organizzato un progetto di ricerca, in collaborazione tra Insight Magazine e Space Imaging (ora GeoEye), utilizzando IKONOS; il satellite registrò l'anomalia il 5 agosto e 13 settembre 2000, ricostruendo inoltre un video computerizzato delle immagini.

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Nel 2004 Daniel McGivern annunciò che intendeva finanziare una spedizione da 900.000 dollari sulla cima del monte Ararat per il mese di luglio dello stesso anno, con lo scopo di stabilire la verità sull'anomalia dell'Ararat. Dopo vari preparativi, tra cui l'acquisto di immagini satellitari appositamente realizzate, le autorità turche tuttavia non gli concessero l'accesso alla cima, poiché quest'ultima è situata in una zona militare. La spedizione fu in seguito accusata dalla National Geographic Society di essere soltanto un colpo mediatico abilmente montato, dato che il suo capospedizione, il professore turco Ahmet Ali Arslan, era stato già accusato di avere falsificato fotografie della presunta arca.

La CIA, che ha esaminato le immagini satellitari di McGivern, ha d'altra parte ritenuto che l'anomalia fosse costituita da "strati lineari di ghiaccio coperti dalla neve accumulata di recente". Uno dei membri della spedizione McGivern si è in seguito dissociato dal proprio gruppo sostenendo che alcuni pezzi di legno ritrovati sull'Ararat fossero probabilmente stati portati lì appositamente da alcuni manovali curdi che erano a conoscenza della spedizione.

Ma se la Bibbia afferma che l'arca avesse quelle misure perché alcuni sostengono che fosse rotonda?

Da una traduzione di una tavoletta mesopotamica in argilla, antico 4 mila anni e ricoperto di segni incisi in cuneiforme interpretato dal curatore del British Museum, Irving Finkel, si è subito capito di trovarsi di fronte alla descrizione del Diluvio Universale. Tuttavia ha notato un dettaglio originale: nel testo ci sono le indicazioni per costruire una enorme barca di forma circolare. “è stata una sorpresa scoprire che l’Arca era rotonda”, ha detto lo studioso ai giornalisti dell’Associated Press.

Sul suo blog ha aggiunto: “Nessuno aveva mai pensato a questa possibilità. La tavoletta descrive il materiale necessario per costruirla: corda in fibra di palma, nervature di legno e tinozze di bitume bollente per rendere il vascello impermeabile. Il risultato è un tradizionale coracle (una barca fluviale tondeggiante, tuttora usata nel Regno Unito e in Oriente), ma di dimensioni gigantesche, con una superficie di 3600 metri quadrati, equivalenti a mezzo campo di calcio, con pareti alte 6 metri. La quantità di corda necessaria, se distesa in linea retta, collegherebbe Londra a Edimburgo”

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Oggi gli studiosi sono concordi nell’affermare che furono gli Ebrei, durante il periodo Babilonese del VI secolo a.C., ad assimilare i miti e le tradizioni del popolo che li aveva conquistati e deportati. Nel 1872, fu scoperta la prima versione babilonese del diluvio all’interno dell’Epopea di Gilgamesh, l’antico poema babilonese nel quale il re e semidio, nel suo viaggio alla ricerca dell’immortalità, incontra Utnapishtim , l’uomo al quale il dio Ea/Enki ha permesso di salvarsi con le varie specie animali a bordo di una grande nave sigillata con pece e bitume.

Ma lo stesso racconto è presente in versioni ancora più antiche, con protagonista il re Atrahasis (in accadico il molto saggio) e il re sumero Ziusudra (dalla lunga vita). Nomi diversi utilizzati per la medesima vicenda mitica.

C’è da dire che un’arca a forma di scodella, comporterebbe problemi di vario genere, inoltre il diluvio è riportato in molti antichi miti, cambiano solo i nomi. Tra tutti, quello del diluvio rivela una concezione ciclica del cosmo. Nell’Antico Testamento il diluvio è unico, ma in altri testi (anche di epoche diverse) ha come principale protagonista la Luna.

Per esempio la narrazione babilonese parla di Isthar, la dea Lunare. E’ descritta come la causa del diluvio, ma allo stesso tempo anche la salvatrice dei sopravvissuti, raffigurata nel battello che lei, come Noè, aveva costruito. Il settimo giorno inviò una colomba in segno di pace e di cessato pericolo.

In Cina abbiamo un mito con protagonista la dea lunare Shing- Moo, divinità femminile che per tradizione è comparabile alla Vergine Maria. Dopo il diluvio Shing-Moo manda sulla terra gruppi di persone per il ripopolamento.

Ognuno di questi popoli potrebbe avere filtrato il ricordo e il racconto dell'immane catastrofe secondo i propri canoni culturali e quindi la stessa arca descritta in molti modi diversi.

Ad ogni modo l'idea dell'arca rotonda ha delle interessanti correlazioni con un sito archeologico nei dintorni dell'Ararat ben noto agli appassionati e ai ricercatori paleoarcheologici: Gobekli Tepe un sito archeologico a circa 18 km a nordest dalla città di #350;anl#305;urfa inTurchia, presso il confine con la Siria, nel quale è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra, risalente a circa 11-12mila anni fa e che ha sconvolto tutte le certezze sulle origini della civiltà.

Göbekli Tepe sfida la storiografia ufficiale. E' diversi millenni più antico delle piramidi egizie; risale a molto tempo prima delle civiltà antiche a noi note, come quella mesopotamica, minoica e maya. Fu costruito da uomini che erano ancora nell'età della pietra.

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E' come se fosse il punto di partenza della civiltà post-diluviana e la sua relativa vicinanza all'Ararat sembra essere ulteriore conferma della veridicità del racconto di Noè. L'ipotesi, certamente azzardata, ma altrettanto plausibile e degna di valutazione suggerita dal sopraccitato Pallini e poi arricchita dalle nostre considerazioni è che Gobekli Tepe potesse essere luogo di imbarco e/o sbarco dell'arca (o delle arche) che salvarono gli esponenti di quella stirpe atlantidea di Nephilim, la seconda stirpe di Anunnaki, risultanti dall'incrocio naturale tra un Anunna e un Sapiens, e portatori di quelle caratteristiche con i quali i miti descrivono semi-dei e sovrani vari: occhio azzurro, capelli biondi e rossi.

Considerando che le arche avrebbero dovuto contenere anche il materiale necessario per potere successivamente ottemperare alla possibilità di ricostruzione dopo il terribile disastro il nostro collaboratore Alessio Pallini si interroga sul fatto che Gobekli Tepe fosse un osservatorio astronomico e non fosse un sito "faunistico"?

Le strutture di Gobekli Tepe sono circolari, lo stile delle steli ritrovate presso il sito, stranamente simili a quelle ritrovate nei dintorni di Visoko, se vogliamo anch'esse relativamente vicino all'area di influenza di una presunta civiltà antidiluviana coinvolta nel cataclisma.

Oltre alle steli più famose ritraenti figure antropomorfe presso Gobekli abbiamo diverse colonne raffiguranti animali.

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Ulteriore stranezza è che il periodo di catalogazione ufficiale del sito è un PPNA - PrePottery Neolithic di classe Advance e ciò significa che ci troviamo in un periodo precedente alla stanzialità dell'uomo collegata alla rivoluzione agricoltura e alla pastorizia, ma gli animali raffigurati non sono gli animali canonici che uno si aspetterebbe di trovare in una "fattoria" e il fatto che il fatto che la struttura di concentrica e non circolare sembra quasi che abbia la funzione di "incanalare" o dall'esterno verso l'interno o viceversa e regolare il flusso.

Luogo ideale quindi per sbarchi e imbarchi, in un vascello ancorato a quella stele di Gobekli alta 5 metri possibile punto di ormeggio dell'arca da cui, 'levando l'ancora' man mano che le acque salivano, si staccò finendo poi ad arenarsi sull'Ararat.

Considerando anche il fatto che Gobekli si trova in una regione che rappresenta il punto di unione di tre continenti possiamo fare finta che fosse stata identificata dai prediluviani come 'zona rossa' dove accogliere gli esuli dell'Atlantide in vista della fine. Come accade nel film 2012 in quella sperduta regione della Cina dove convergono tutti coloro che sono stati selezionati e scelti per salire a bordo di quelle enorme navi per poter sopravvivere alla fine dell'umanità.

I semi-dei dell'est, i Nephilim dell'europa, i prediluviani delle terre mesopotamiche, gli “antichi dei” di Atlantide in arrivo dalle Azzorre... Yahweh stesso, giungono infine a Gobekli 12mila anni fa in attesa dell'inizio della fine salendo a bordo di ciò che poi verranno ricordate come “arca”. Quei Nephilim biondi dagli occhi azzurri che diventeranno artefici e primi sovrani della storia dell'umanità post-diluviana sopravvissuta: le società gilaniche in Europa, i Sumeri in mesopotamia e tutti gli altri.

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Possiamo provare a interpretare il sito come gobekli tepe come zoo? O come laboratorio scientifico ove venivano compiuti quegli esperimenti di manipolazione genetica su animali e vegetali in modo del tutto analogo a quanto facciamo oggi?

Un sito costretto alla smobilitazione urgente al momento del Diluvio e dal quale caricare sull'arca i risultati delle manipolazioni ottenute dall'ingegneria genetica prediluviana. Ingegneria genetica supportata anche da ulteriori evidenze come ad esempio il fatto che è stato recentemente scoperto che E' stato scoperto che il frumento, una delle piante fondamentali per l'alimentazione umana e all'origine della rivoluzione agricola neolitica, è il risultato di una fusione di ben tre piante diverse, due graminacee e una pianta erbacea, ciascuna delle quali aveva già i suoi geni.

La Rinascita Enkilita aveva bisogno di piante utili al sostentamento del genere umano post-diluviano; il frumento fu uno dei doni degli "Antichi dei"?

Il grano possiede quattro volte più geni di noi uomini e un genoma di 17 miliardi di nucleotidi, oltre cinque volte più grande del nostro. è quindi una pianta eccezionale, cresciuta accidentalmente per la nostra fortuna e poi da noi selezionata e gelosamente tramandata, che sfama un quinto del pianeta, offrendo appunto un quinto dell'apporto calorico necessario per la nostra vita.

è terminato in questo periodo l'immane sforzo collettivo per determinare la sequenza del suo enorme genoma, che per la sua complessità aveva sfidato finora tutti i nostri sforzi. Nella sua sequenza determinata principalmente, ma non esclusivamente, a Liverpool in Inghilterra, e pubblicata su Nature, si possono vedere tante cose e impararne altrettante.

Perché tanti geni? Perché si tratta della fusione di ben tre piante diverse, due graminacee e una pianta erbacea, ciascuna delle quali aveva già i suoi geni. In verità nelle migliaia di anni che sono passati dalla fusione, il cui ultimo evento è da collocare circa 8 mila anni fa, ma che è cominciato molto prima, alcuni di questi geni sarebbero potuti andare persi. Ma non è così: la maggior parte di essi è stata conservata, e precisamente i geni della crescita e quelli che producono materiale nutritivo.

Si sa che i geni importanti per la sopravvivenza e la crescita, detti non a caso geni regolatori, sono presenti quasi uguali in tantissime specie diverse e sfidano i secoli e i millenni. Nel caso del grano sembra che siano rimasti anche nelle loro posizioni originali, come dire che ciò che funziona bene non si cambia. Questo è certamente uno dei misteri del processo evolutivo, che nella sua essenza cambia e trasforma un po' tutto, ma alcune cose le lascia addirittura intatte.

Che cambi un po' tutto lo dimostra anche qui il fatto che la parte del genoma del grano che non porta geni utili è piena di "carcasse", cioè di geni morti e di corpi fossili di virus ormai irrimediabilmente, e fortunatamente, inattivi. Ma i geni che portano il materiale nutritivo sono rimasti invece tutti sorprendentemente attivi.

Gobekli Tepe, il Mar Nero, rappresentano davvero il punto di partenza della civiltà post-diluviana e non è un caso che la Rivoluzione Agricola post-diluviana mosse i primi passi proprio dalla mezzaluna fertile mesopotamica. Perché lì, gli “Antichi Dei”, i sopravvissuti di Atlantide, ricominciarono a ricostruire quella civiltà distrutta dal Diluvio.

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Fonti:
http://www.ips.it/scuola/concorso_99/acque/il.htm
http://www.misteromania.it/diluvio/universale.htm
http://pensieri-di-gandalf.blogspot.it/ ... va-di.html
http://apocalisselaica.net/varie/miti-m ... nno-di-noe
http://anticoastronauta.blogspot.it/201 ... -ed-i.html
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9429
http://www.corriere.it/scienze/08_genna ... c667.shtml
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=15715
http://misterobufo.corriere.it/2013/11/ ... lla-terra/
http://www.edgarcayce.it/media/Noedil.htm
http://www.cinquequotidiano.it/archivio ... ca-di-noe/
http://scienza.panorama.it/spazio/extre ... oe-rotonda
http://www.nibiru2012.it/forum/storia-a ... 6.105.html
http://www.ilnavigatorecurioso.it/2013/ ... eographic/
http://www.progettoatlanticus.net/2013/ ... otata.html

26/03/2014, 16:45

L’EUROPA ERA PIÙ AVANZATA DELLA MESOPOTAMIA: LA SCRITTURA È NATA NELLA VALLE DEL DANUBIO?

Gli archeologi attribuiscono l'invenzione della scrittura ai Sumeri, la prima civiltà moderna comparsa in Mesopotamia. Tuttavia, analizzando sistemi simbolici trovati nell'Europa orientale, alcuni ricercatori ritengono che i veri inventori del linguaggio scritto siano state la civiltà della Valle del Danubio.

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Con l’espressione “Civiltà della Valle de Danubio” si fa riferimento a diverse culture avanzate sorte nell’Europa sudorientale e nelle zone circostanti che sono collegate alla valle del Danubio.

La sua nascita si colloca intorno al 7000 a.C., ha raggiunto il picco del suo sviluppo intorno al 5000 a.C., per poi declinare intorno al 3000 a.C., mostrando una continuità culturale durata più di 4 mila anni.

Prima dell’invenzione della scrittura, e prima che fossero istituite le prime città della Mesopotamia e dell’Egitto, la Civiltà della Valle de Danubio è stata tra la cultura più sofisticata e tecnologicamente avanzata del mondo.

L’organizzazione sociale mostrava una struttura gerarchica e le popolazioni vivevano in città agricole prospere e densamente abitate, alcune delle quali hanno raggiunto dimensioni notevoli, fino a 15 mila abitanti. Gli scavi eseguiti presso il sito Nebelivka mostrano edifici alti fino a tre piani, posizionati uno accanto all’altro come in una moderna città.

I maestri ramai della vecchia Europa erano gli artigiani del metallo più avanzati al mondo. Nelle loro tombe, i corpi dei capi europei erano adornanti con grandi quantità d’oro e di rame, fornendo la testimonianza che già nel 5500 a.C. in Europa si lavoravano i metalli ad alte temperature.

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Come riporta Ancient Origins, all’apice del suo sviluppo, la Civiltà della Valle del Danubio ha svolto un ruolo culturale importantissimo, sopratutto per quello che secondo alcuni ricercatori potrebbe essere stato il primo sistema di scrittura.

Sebbene una parte degli archeologi ritiene che quello che si ritiene essere una “scrittura” non è altro che una serie di figure geometriche e simboli, altri ritengono che la sequenza di simboli si configuri come un vero e proprio sistema di lingua scritta. Se tale teoria dovesse rivelarsi corretta, sarebbe il più antico linguaggio scritto mai trovato, anticipando i Sumeri in Mesopotamia, e forse anche la Tavoletta di Dispilio, datato intorno al 5260 a.C.

Harald Haarmann, scienziato tedesco studioso di linguistica e vicepresidente dell’Istituto di Archeomitologia, sostiene fermamente che le tavole del Danubio siano il più antico sistema di scrittura del mondo.

Secondo il ricercatore, i glifi e i simboli (detti ‘Vinca’) incisi su tavolette di ceramiche risalenti al 5500 a.C. rappresentano un linguaggio ancora da decifrare.

Chiaramente, le implicazioni sono enormi. Potrebbe significare che la Civiltà della Valle del Danubio precede di gran lunga tutte le altre civiltà finora conosciute. La conferma verrebbe anche dalle migliaia di manufatti ritrovati.

Tuttavia, la maggioranza degli studiosi della Mesopotamia respinge la proposta di Haaemann, suggerendo che i simboli sulle tavolette sono solo decorativi, nonostante ci siano circa 700 diversi simboli simili a quelli utilizzati nei geroglifici egiziani. Costoro ritengono che la Civiltà del Danubio abbia copiato segni e simboli delle civiltà mesopotamiche, nonostante il fatto che i supporti di ceramica siano più antichi di quelli della mezzaluna fertile.

Probabilmente, i ricercatori delle culture mesopotamiche temono di perdere il primato della comparsa sul palcoscenico della storia. Certamente, la proposta di Haarmann merita ulteriori ricerche al fine di confermare se i simboli del Danubio rappresentino davvero la lingua scritta più antica del mondo.

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Comunque, gli studiosi moderni hanno fornito visioni molto diverse su quanto ci è pervenuto dalla vecchia Europa. Una cosa però è chiara: molto prima di quanto si pensasse, l’Europa sudorientale ha raggiunto un livello di competenza tecnologica, creatività artistica e raffinatezza sociale che stiamo appena cominciando a comprendere e che sfida decisamente le nostre categorie culturali standard.

http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/ ... l-danubio/

08/04/2014, 09:36

Uno dei primi temi affrontati dal Progetto Atlanticus. Quello strano bisogno di mantenere preservata la discendenza attraverso unioni tra consanguinei e/o parenti.

Illegittime "sulla carta" proprio per spingere il resto dell'umanità a 'imbastardirsi' disperdendo e quindi indebolendo il patrimonio genetico 'divino'?

Approvate da Yahweh in quanto specificatamente necessarie per preservare un carattere identificativo delle stirpi nobiliari chiamate a dominare il mondo?

Carattere necessario ad accogliere le reincarnazioni delle anime degli "Antichi Dei" mortali del passato nel corso dei millenni?

IL SANGUE BLU O IL SANGUE REALE=SANGUE ALIENO

Una cosa molto curiosa nella scrittura e nel mondo antico è la linea pura di sangue che si deve mantenere tra i membri scelti da Dio per servirlo o tra i membri delle caste che dovevano condurre i mondo. Queste persone devono mantenere la linea di sangue puro solo per i discendenti che diventano i loro successori. Per mantenere la purezza si dovevano sposare solo con i parenti stretti cioè quelli di primo grado. I matrimoni potevano essere innumerevoli, ma il discendente puro era quello che risultava dal primo matrimonio legale tra lui e la moglie la quale, di solito, era la sua sorellastra, figlia di uno dei suoi genitori.

Cerchiamo prima di studiare la linea di sangue di cui la bibbia racconta che la dovevano avere i patriarchi biblici. Iniziamo con Abramo, che prese la residenza come straniero a Gerar. Il re di Gerar, Abimèlech prese Sara, moglie di Abramo, e la porto a casa sua perche Abramo gli disse che era la sua sorella. Dio avverte Abimèlech di restituire Sara ad Abramo perche lei è la sua moglie. Il re porto la donna ad Abramo e gli chiese perché fu imbrogliato. Abramo rispose:

Gen.20/11-12 “Io mi sono detto: forse non c’e timore di Dio in questo luogo… Inoltre essa è veramente la mia sorella, figlia di mio padre ma non figlia di mia madre, ed e diventata la mia moglie ”.


Un altro esempio sconvolgente succede con Lot e le sue due figlie. Dopo la distruzione di Sodoma, città dove Lot viveva con la sua famiglia, questi trovarono rifugio in una caverna della montagna di Zoor. La città e tutti gli abitanti furono distrutti da Dio ,salvandosi solo Lot e le sue figlie. Le figlie per la paura di non avere discendenti perche nessun uomo era rimasto vivo al olocausto, decidono di ubriacare il loro vecchio padre e avere dei figli da lui

Gen.19/33 “Quella notte fecero bere del vino al loro padre, e la maggiore viene a coricarsi con il suo padre; ma egli non si accorse né quando essa si corico ne quando essa si alzo. Al’indomani la maggiore disse alla minore: ecco che ieri mi coricai con nostro padre. Facciamoli bere del vino anche questa note e va tu a coricarti con lui e cosi faremmo sussistere una discendenza da nostro padre ”.


I figli nati dalle due sorelle con il loro padre sono diventati i capo stipiti dei due popoli Moabiti e Ammoniti.

Un alto matrimonio illecito e quello di Isacco, figlio di Abramo. Isacco si doveva sposare, e per questo Abramo manda il suo servo per prendere una moglie per suo figlio dalla sua parentela, cioè la figlia di suo fratello Nacor. Gen.24/1-66.

Con Giacobbe figlio di Isacco la storia si ripete, solo che lui deve prendere moglie una delle figlie del fratello di sua madre, Labano. Lui si innamoro della figlia minore di suo zio, ma come non poteva sposare la piccola finche non si sposava la figlia grande, ingannato da suo zio che diviene suo suocero, sposo alla fine tutte due le sue cugine di primo grado.

Un’altra storia strana e la storia di Giuda, il fondatore della tribù di Giuda da dove Gesù ha le sue origini. Giuda si separa dai suoi 11 fratelli, si sposo e da suo matrimonio nacquero tre figli: Er, Onan e Sela. Quando arrivo il tempo suo figlio Er sposo una donna che si chiamava Tamar. La disgrazia fa che Er muore giovane senza lasciare un erede. Giuda fecce sposare il suo secondo figlio Onan con la vedova del fratello maggiore.

Gen.38/9 “Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata sua, ogni volta che si univa con la moglie di suo fratello disperdeva per terra, per non dare una posterità al suo fratello ”, succede che anche Onan muore. A questo punto Giuda libera Tamara, e la fa andare alla casa dei suoi genitori fino quando Sela il suo figlio piccolo cresceva, per farlo puoi sposare con lei. Il tempo passo, ma Giuda non fa sposare il figlio piccolo con Tamar. Vedendo che non può sposare il suo cognato Tamar inganna il suo suocero passando per una prostituta e rimane incinta. Essa partorì a Giuda due gemelli. Quando tutto usci allo scoperto Giuda disse Gen.38/26 “Essa è più giusta di me. Infatti e perché io non l’ho data al mio figlio Sela ”.

Mosè era figlio di un sacerdote levita che si chiamava Amram. Amram prese moglie Iochebed, sua zia anche lei levita.

Tutti questi personaggi della Bibbia sono tra i più conosciuti e i più amati da Dio, sono gli uomini scelti da egli stesso, ma loro non vengono mai puniti per queste unioni illecite. Perché? I matrimonio tra fratello e sorella, o tra i cugini di primo grado, o tra padre e figlia, tra nuora e suocero non si potevano fare perché la pena era la morte. Questi personaggi lo possono fare. Perché? Perché loro tutti possedevano sangue puro, il cosi detto sangue blu, o sangue reale. Questa maniacalità per la purezza del sangue si mantiene dall’antichità fino ai nostri giorni.
Ma alla fine che cos’è questo sangue blu che non deve essere mescolato con il sangue della gente comune? Semplice!!!..

E’ il sangue alieno che esiste dalla notte dei tempi nelle vene delle famiglie nobiliare che hanno guidato e guidano il mondo. È il legame dell’umanità con il mondo alieno che tramite questi pagliacci, i loro eredi, controllano e dominano il mondo da sempre.

Per tanto tempo la proibizione divina di non bere sangue e di non mangiare la carne con il suo sangue mi sembrava una regola sanitaria importante che Dio ha dato al suo popolo. Le infezioni più pericolose che il nostro organismo può contattare sono quelli trasmesse per via del sangue. Nei tempi antichi era difficile capire come un virus poteva essere trasmesso via sangue. Quando un animale infettato con un virus veniva mangiato senza essere cucinato bene, l’uomo si ammalava senza capire come e da dove ha preso la malattia. A quei tempi la trasfusione non era conosciuta, per cui dobbiamo prendere alla lettera questa espressione.

Quando Dio ha ordinato questo divieto, significa che veramente il suo popolo mangiava carne cruda e beveva il sangue. A parte il rischio di danneggiare la salute del organismo, Dio ci dà un altro motivo per quale il sangue non può essere ingerito: Lev17/10-16”la vita di ogni vivente è nel suo sangue ,in quanto esso e vita … perché la vita di ogni vivente è il suo sangue.” “Non dovete mangiare nulla insieme al sangue”19/26.”sia quello di volatile sia quello di bestia..dovete versare in tal caso il sangue e lo dovete coprire di polvere.”

Nel antichità si faceva espiazione con il sangue dei bambini o dei animali, e l’altare si segnava col sangue del offerta sacrificata. Col sangue furono segnate le case degli ebrei, quando Dio decimò tutti i primogeniti degli egiziani e una grande quantità di sangue fu sparsa su tutto il popolo ebreo quando Dio fece il patto con loro. Il spargimento di sangue chiede sempre un altro spargimento di sangue Gen9/5”certamente del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto: ne domanderò conto ad ogni animale; della vita dell’uomo io domanderò conto alla mano del uomo … Chi sparge il sangue di un uomo,per mezzo di un altro uomo il suo sangue sarà sparso.”

Perché si deve avere cosi tanta cura per il sangue? “Perché all’immagine di Dio egli ha fatto l’uomo.” E ‘vero che la vita o l’anima di ogni uomo sta nel sangue? E se è cosi che cosa si intende quando diciamo vita nel sangue. Be’, cerchiamo di rispondere.

Il sangue e la cosa più preziosa di ogni essere vivente. Il sangue trasporta cibo e nutre ogni organo del nostro corpo,ossigena il nostro cervello, crea i globuli rossi che mantengono la nostra salute,e crea quelli bianchi che mantengono sano il nostro sistema immunitario .Ogni uomo ha un gruppo sanguineo e la trasfusione non si può fare se il donatore-ricevitore non sono compatibili. Ma la cosa più importante che c’e nel sangue, quella che ci dà la singolare particolarità di individuo è il DNA.

Nessun uomo può avere il DNA uguale ad un altro, ed è questo che ci ha dato l’immagine di Dio. I geni invece, danno ha ognuno di noi la singolarità come individui. L’elica incompleta del DNA sono la certezza della manipolazione genetica che il nostro Dio ha esperimentato con noi. Tramite i geni si trasmettono i caratteri ereditari dal genitore al figlio, come colore dei capelli, carattere, colore dei occhi e della pelle.

Vi ricordate che abbiamo parlato dell’abitudine dei nostri modelli biblici di imparentarsi tra di loro, senza che Dio facessi caso delle loro unioni illecite? La spiegazione che ci offre la chiesa non può soddisfarci perché loro non erano profeti .La verità e altra, mantenere una stretta parentela tra individui con certe particolarità mantiene la purezza della razza e del sangue inalterate, mentre negli altri individui si perde, o si indebolisce.

Parentela del sangue ha portato al mantenimento del sangue blu o sangue reale come di solito viene chiamato.

Un’altra particolare importanza si dà al sangue quando si compiono i riti di sacrificio sul altare del Signore: l’olocausto, riparazione, comunione, espiazione e altri schifosissimi modi di spargere il sangue umano o animale in onore di Dio. Ogni giorno gli ebrei sacrificavano centinaia di animali nuotando nei bagni di sangue solo perche “dono offerto come odore gradito al Signore” o “come cibo, dono offerto al Signore” Levit3/11.

Leggendo questi orrori spontaneamente ti chiedi che bisogno aveva questo Dio che è ( sarebbe ) uno spirito, di odore di carne bruciata e di cibo dal sacrificio, quando ha detto che non devi spargere il sangue?

Non ha importanza che il divieto è solo per il sangue umano, mi irrita il concetto. Che bisogno aveva di fiumi di sangue sparsi sul altare, e poi prelevato in grossi vasi, dai migliaia di animali sgozzati e lasciati a morire dissanguati veniva buttato? Quanto minchia di santo può essere un luogo dove arrivi con centinaia di bue, torri capre e pecore, che puzzano, pisciano e cagano da per tutto, aspettando di essere sgozzate in onore di Dio? Questi animali vengono sacrificate e poi dissecate per prendere il grasso degli intestini, i reni e la coda per essere bruciati in onore di Dio. Com’è la coda una cosa buona per Dio quando sta sopra il culo del animale?

Sentite come si fa il sacrificio di comunione: Lev 3/7-11”imponga la mano sulla testa della sua offerta e la immoli davanti alla tenda del convegno, e i figli di Arone ne spargono il sangue intorno all’altare. Del sacrificio di comunione offra come dono al Signore il grasso, la coda intera, staccandola vicino al osso sacro, e il grasso che ricopre gli intestini e tutto il grasso che sta intorno agli’intestini, i due reni con il loro grasso e il grasso intorno ai lombi e al lombo del fegato che staccherà al di sopra dei reni. Il sacerdote farà fumare tutto questo sull’altare, come cibo, dono offerto al Signore.” Ma che cosa mangia il Signore, solo **********? E’ questa la santità di Dio, che trasforma il santuario in un ovile schifoso e puzzolente, di animali uccisi solo per bagnarti del loro sangue e avere la coda come dono gradito di Dio? Ma che cosa è il Signore, un satanista che si diletta delle parti meno onerose della vittima e prende l’energia dal sangue e della paura delle vittime sacrificate? L’antico testamento è pieno e anche troppo di descrizioni di sacrifici di ogni tipo che si fanno sul altare di Dio.

Nei vecchi tempi, l’uomo portava doni alla sua divinità non faceva sacrifici come chiede questo Dio della Bibbia, che si sforza con tutto il cuore di descrivere bene il rituale per ogni cosa, e che a me mi fa vomitare senza alcun sforzo. Questi rituali e sacrifici si fanno anche oggi, solo che quelli per quale vengono fatte si chiamano demoni e Satana e io non vedo alcuna differenza tra Dio e loro. Sentite cosa dice John Milton, nel suo libro “Paradiso perduto di Moloch”:

”dapprima Moloch, orrendo re, sporco di sangue
Di sacrifici umani e delle lacrime dei genitori,
Ma, a causa del forte rumore di tamburi e cembali,
Non si udì il pianto dei figli, che attraversarono il fuoco,
Verso il suo truce idolo.”


La pratica del spargimento di sangue umano o animale e l’etichetta dei satanisti, che nutrono i loro demoni con l’energia negativa sprigionata dalla paura e il dolore delle vittime sacrificate. Il più famoso satanista del mondo, Aleister Crowley che sostiene il sacrificio dei bambini, spiega le ragioni della morte rituale nel suo libro: “Magick in theory and practice” :
“Secondo la teoria degli antichi maghi, ogni essere vivente è un pozzo di energia che varia per quantità a seconda della dimensione del animale e per la qualità a seconda del suo carattere mentale e morale. Al momento della morte di questo animale, questa energia viene improvvisamente liberata. Se si vuole il massimo risultato in termini spirituali, bisogna quindi scegliere una vittima che contenga la più grande e la più pura forza. Un bambino maschio di perfetta innocenza e notevole intelligenza e la vittima più soddisfacente e adatta.”

Lo scopo di qualsiasi rito e quello di nutrire i demoni. L’energia negativa potentissima che viene sprigionata per la paura e il dolore saziano i demoni. Visto quanti sacrifici voleva Dio cristiano, non ho dubbi che lui e un demone. Non vi fate la croce, più avanti vi renderete conto che ho ragione.

Nel Deut 32/17 Mosè nel suo cantico in onore di Dio ci dice come il popolo ebreo abbandonò il vero Dio che lo aveva fatto: ”lo provoco a gelosia con dèi stranieri, sacrificando ai demoni, che non sono Dio, a dèi che non conoscono, nuovi, venuti da poco, che non hanno temuto i vostri padri.” Sicuramente volete dire che Dio di Mosè e il vero Dio che non è contento dagli sacrifici che gli ebrei facevano agli demoni. E no, il vero Dio, nostro padre creatore, ci dice che l’uomo l’ha dimenticato, ed è andato dalla parte degli demoni sacrificando per loro, che non sono Dio, e non sono ne dèi che i loro padri conoscevano prima, ma nuovi, sconosciuti dal popolo. Probabilmente non riuscirete ha capire quello che voglio dire, ma più avanti vi dimostrerò come nella Bibbia sono due Dio: Il vero Dio che ci ha lascito tutta la sua conoscenza e sapienza fu sostituito di questo rapace che ha soggiogato tutto il mondo mettendo nelle sue mani orrende la vita di tutti, obbligandoci di venerarlo e di credere nelle bugie del suo libro sacro dal quale nemmeno una parola non si riempi.

Questo secondo dio e un demone, nel suo potere e tutta l’umanità, è il principe di questo mondo a quale tutti si chinano senza volere, credendo che lo fanno per il vero Dio. Con astuzia ha preso il posto del nostro creatore, e noi tutti veneriamo Satana.

Leggiamo che dice il vero Dio dei sacrifici in Osea 6/6”io voglio l’amore, non i sacrifici, la conoscenza di se, non gli olocausti,” e poi Michea 6/6”Con che cosa mi presenterò davanti al Signore, mi incurverò davanti al Dio Altissimo? Mi presenterò a lui con olocausti, con giovenchi di un anno? Può gradire il Signore migliaia di montoni, miriadi di rivoli d’olio? Dovrò offrire il mio primogenito per il mio delitto, il frutto del mio seno per il mio peccato? Ti è stato annunciato, o uomo, ciò che è bene e ciò che il Signore cerca da te: nient’altro che compiere la giustizia, amare con tenerezza, camminare umilmente nelle tue vie”

http://alienifranoi.wordpress.com/2012/ ... ue-alieno/

10/04/2014, 09:06

I Tuareg e la leggendaria regina dell'atlante Tin Hinan

Le leggende partono da fatti reali successi molto tempo dietro, mentre i miti parlano di realtà simboliche trasmettendo verità con il linguaggio dei sonni. La storia della mitica Atlantide contiene alcune leggende. La Spagna è l'unico paese dell'Europa, insieme al Portogallo, a governare su una parte del continente scomparso: isole Canarie ed Azzorre.

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In Africa, nel 1926, il conte Byron Kûhn di Protok scoprì nei suoi scavi archeologici nel Sahara, quello che i tuareg chiamavano la tomba dell'ultima regina degli Atlanti Tin. Nel Museo del Bardo, ad Algeri, viene esposto uno scheletro di due metri di altezza. Si dice che appartenesse ad una principessa fuggita da Atlantide. Juan José Benítez, in alcune delle sue opere aveva scritto questo articolo:"nella mia prima visita ad Algeri mi affrettai a percorrere il museo dell' Il Bardo,nella ricerca delle spoglie dell'antica regina la quale si trovava quasi dimenticata in un angolo. La esaminai con cura ed ammirazione ricordando le leggende che circolavano su di lei. Le relazioni dei medici forensi avevano ragione;quella donna raggiungeva i due metri di altezza. Era Tin Hinan, principessa dei tuareg e dell'etnia berbera. L'unica donna conosciuta che governò il ribelle paese del deserto."

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Forse non si trattava di una donna? I tuareg o imuhagh sono un popolo berbero che vive neldeserto del Sahara, di tradizione nomade.

La sua popolazione si estende in cinque paesi africani: Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. Quando si muovono, devono soddisfare le loro necessità e quelle degli animali poiché vivono in estese unità familiari e portano al seguito grandi greggi. I tuareg hanno una loro propria scrittura, il tifinagh.

I tuareg sarebbero i diretti discendenti degli antichi garamanti che abitavano il Fezzán nell'Antichità e confinavano a nord con i mauritiani, all'ovest con i getulos ed all'est con gli ancestrali dei tubus.

Durante il Medioevo i loro lignaggi si vincolarono con quelli dei sanhaya e degli zenatas. Nell'antichità, si dedicavano a saccheggiare paesi, controllando inoltre le rotte del deserto. Nel secolo XII, le invasioni arabe e degli hilaliani li obbligarono ad adottare un stile di vita nomade adottando durante i secoli alcuni principidell'Islam, nella misura che questi non si contrapponessero con le loro proprie credenze, mantenendo intatti il loro sistema di giustizia e le leggi.

La popolazione stimata che parla la lingua berbera è di 25 milioni, dei quali 1,2 milioni si considerano tuareg.

La struttura basilare della società tuareg è il lignaggio (tawshit), un gruppo di parenti che riconoscono un predecessore comune.

I figli appartengono al lignaggio della madre ed ereditano da lei, ma la casa viene stabilita negli aghiwan o accampamenti del padre.

Ogni lignaggio appartiene ad una categoria sociale determinata e fa parte di un'ettebel, comunità sociale o 'tribù'.

I lignaggi designano un amghar, il suo leader (uomo) ed il consiglio di leader si designa tra i guerrieri (uomini), l'amenokal, capo dell'ettebel.

Non si conosce esattamente l'etimologia della parola araba t.uwâriq, come "tuareg", ma si sa che è il plurale di targuí o t.arqî, in femminile targuía ot.arqîya, etnónimo che, apparentemente, proviene da un'antica città del Fezán chiamata Targa. Secondo la teoria etimologica di Sidahmed Ahmed Luchaa sulla parola "tuareg", la sua origine viene dalla parola strada (tariga, in arabo, poiché questi avevano la fama di "fare breve strada" per rapinare le carovane dei saharauis. Nella propria lingua questo paese si suole autodenominarsi imoshag, imushaq, imuhagh, in cabilio: imuha.), parola il cui significato è 'i liberi' o 'i nobili' e che sembra derivare da tamazight.

Si danno anche a se stessi il nome di kel tamayaq o kel tamasheg ('quelli che parlano in lingua tamasheg'. Le donne hanno autorità nell'accampamento, poiché l'uomo è frequentemente assente per via delle sue attività come pastore, commerciante o guerriero. Generalmente la donna sa scrivere ed è più istruita di suo marito e partecipa ai consigli comunali ed assemblee del lignaggio ed è consultata per risolvere le questioni della tribù. L'approccio tra donne ed uomini celibi, vedovi o divorziati si realizza in un luogo denominato ahal ove si conversa, si canta, si interpreta la musica, si recitano poesie e si concertano appuntamenti d'amore. Il matrimonio si realizza dopo che la donna ha accettato un pretendente chesi presenta al cospetto del suocero, pagando una dote, generalmente in bestiame. La donna porta con se'il suo bestiame personale nella nuova casa e può divorziare e sposarsi con un altro pretendente, se si considera maltrattata dal marito.

Ci sono una serie di Indizi sull'esistenza dell'Atlantide. Il mare dei Sargassi, in pieno oceano Atlantico, è una superficie composta da una vegetazione marina perenne che mira all'esistenza di terre sommerse. Le sorprendenti conoscenze astronomiche di molti paesi dell'antichità farebbe supporre che queste civilta' si dedicavano all'osservazione del cielo da molti secoli, in un periodo n cui la cui storia ufficiale afferma che non esistevano ancora dette culture.

Circa 10.000 anni fa il deserto del Sahara era verdeggiante con abbondanti piogge, ma un cambiamento drastico delle condizioni climatiche portò alla sua desertificazione. Esistono teorie secondo le quali la desertificazione del Sahara fu prodotta del cambiamento di inclinazione dell'asse del pianeta che avrebbe prodotto catastrofi a livello globale, tra queste lo sprofondamento dell'Atlantide.

La Sfinge egiziana, secondo gli studi geologici, presenta tracce di erosione provate dall'acqua,datate a 10.000 anni fa.

Le enigmatiche pitture di Tassili, nel Sahara algerino, avrebbero un'età di circa 10.000 anni. L'architettura megalitica presente lungo tutta la parte occidentale dell'Europa, vicino al mare, sembra prodotta da un'unica cultura arrivata su quelle coste. Secondo i geologi, i sedimenti del fondo marino indicano modificazioni geologice anormali avvenute circa 10.000 anni fa.
Le migrazioni di uccelli, anguille e di roditori scandinavi, il lemin, verso l'interno dell'oceano Atlantico in cui le anguille vanno a deporre le uova nel mare dei Sargassi, fa supporre la morte di migliaia di roditori.

Le numerose storie su un grande diluvio catastrofico, si possono leggere nell'epopea di Gilgamés, nel Prossimo Oriente, la Popol-Vuh maya, in America, ed il racconto biblico di Noé. Per i tuareg, Tin Hinan fu una principessa berbera che emigrò dalla regione dell'Atlante, nell'attuale Marocco, probabilmente Tafitali, attraversando il deserto sahariano su di una camella bianca.
Fu un'eroina e la fondatrice della Nazione tuareg.

Dopo una lunga marcia di quasi 1.400 chilometri, andò a stabilirsi in Abalessa, nelle prossimità di Tamamrraset, a sud dell'Algeria ove fu trovata la sua tomba e le ossa che si conservano attualmente nel Il Bardo. L'analisi dei resti organici che si accompagnavano allo scheletro ha stabilito un'età che oscilla tra i 470 e 130 anni della nostra era. Vicino all'enorme scheletro vi erano cento di pezzi d'oro ed argento. Solo nel Il Bardo si conserva un corredo integrato da 613 collane, anelli e braccialetti, che ratificano la notorietà del personaggio.

Per gli archeologi ed investigatori come Lehuraux, Gautier e Reygasse, il tumulo di Tin Hinan è il ritrovamento più distaccato dell'Africa sahariana. Per altri, invece, la realtà di una donna di fronte ad un paese di guerrieri non sembra verosimile. Secondo questi investigatori, Tin Hinan sarebbe un mito, inventato per i berberi o per i tuareg e le ossa trovate in Abalessa sarebbero quelle di un uomo secondo la teoria di Adila Talbi, archeologa algerina, eccellente conoscitrice dei resti che si esibiscono nella vetrina del Il Bardo. Alcuni medici che hanno avuto accesso alle ossa di Tin- Hinan concordano con la teoria di Adila: per esempio la zona pelvica, non sembra quella di una donna o in ogni caso, quella di una donna che non avrebbe avuto parti. I tuareg, tuttavia, si oppongono a questa teoria assicurando che Tin-Hinan si accoppio' con gli Dei per creare una nuova razza. I più anziani depositari della tradizione orale parlano di "uomini di grande altezza, con capelli gialli ed occhi panoramici, provenienti da Orione, e che furono i genitori della loro razza." Se gli anziani tuareg dicono la verità, chi erano quegli esseri di grande altezza? Esseri extraterrestri incrociati con gli umani?

http://architetti-del-tempo.blogspot.it ... egina.html

Solo io noto una leggera assonanza tra il nome della leggendaria regina berbera "Tin Hinan" e il nome della dea sumera anunnaka "Inanna"?

[8D]

10/04/2014, 14:25

Se vogliamo parlare di Tuareg dovresti sapere che uscirono dall'Egitto assieme agli pseudo ebrei assieme ad Abramo sol oche non seguirono la massa ma si spostarono in direzione opposta. Adoravano un elohim di nome HEN-KI ^_^ Spero di non confonderli con un'altra etnia ma sono quasi sicuro fossero loro ne ho sentito parlare bigino in una conferenza :)

10/04/2014, 14:36

Sarebbe importante che tu Max riuscissi a fornirmi una fonte.. un link, un video di Biglino in cui afferma questo.. un appunto.

[:I]

10/04/2014, 15:07

MaxpoweR ha scritto:

Se vogliamo parlare di Tuareg dovresti sapere che uscirono dall'Egitto assieme agli pseudo ebrei assieme ad Abramo sol oche non seguirono la massa ma si spostarono in direzione opposta. Adoravano un elohim di nome HEN-KI ^_^ Spero di non confonderli con un'altra etnia ma sono quasi sicuro fossero loro ne ho sentito parlare bigino in una conferenza :)

E io ne approfitto per ricordarvi una cosa sui Tuareg...che sono di etnia berbera...

Per la cronaca, il gruppo culturale con i più elevati tassi di sangue RH- è quello dei berberi del Marocco. Dal punto di vista territoriale, uno studio ha indicato che la più alta concentrazione di RH- si trovi nello attuale Iraq. A quanto pare la stirpe dei berberi ebbe origine migliaia di anni fa sul confine tra Siria ed Iraq.
Fonte:http://www.anticorpi.info/2013/01/il-mistero-del-gruppo-sanguigno-rh.html

10/04/2014, 20:25

Atlanticus81 ha scritto:

Sarebbe importante che tu Max riuscissi a fornirmi una fonte.. un link, un video di Biglino in cui afferma questo.. un appunto.

[:I]


è in una delle ultime 2 conferenze che ho visto penso possa essere in questa:

https://www.youtube.com/watch?v=LlXLiAV ... klSs_Bz2bg

o questo:

https://www.youtube.com/watch?v=COiFq5Y ... 2FA54F5547

sono 2 conferenze da due ore in cui bene o male vengono dette le stesse cose ma di tanto in tanto ci sono delle informazioni aggiuntive che vengono dette e che io ho catalogato nei miei "ricordi" ma non saprei dirti con precisione in quale delle due purtroppo :|

A dirla tutta non sono nemmeno sicuro al 100% siano i Tuareg ma di sicuro uno di questi popoli nomadi africani :| Ora cerco di approfondire meglio

Comunque capita molto spesso che veda una conferenza o che legga un libro e che tu dopo poco pubblichi articoli in cui approfondisci proprio quei temi che dalle suddette fonti ho appreso come "curiosità" e che mi sono rimasti particolarmente impressi perchè forieri di incredibili affinità e correlazioni con quella che ritengo (riteniamo) possa essere una linea ROSSA che congiunge il passato REALE al nostro presente :|
Ultima modifica di MaxpoweR il 10/04/2014, 20:31, modificato 1 volta in totale.

13/04/2014, 11:40

Il seguente articolo, tratto dal sito citato in fondo allo stesso, ci parla di un popolo misterioso le cui origini Progetto Atlanticus collega all'antica vicenda dell'alluvione del Mar Nero di cui abbiamo parlato anche nel corso di una delle puntate del nostro podcast.

http://www.antikitera.net/news.asp?ID=3942

http://www.atlanticast.com/2014/Puntata0011.htm

L'enigma dei Pelasgi e degli Etruschi

I Pelasgi, un popolo antichissimo, gli antenati di tutti i popoli indoeuropei, furono un popolo che seppe illuminare e insegnò la cultura all’Europa, di loro si conosce poco, o meglio dire quasi nulla.

I’alfabeto di questo popolo misterioso si chiama Pelasgico poiché a quella civiltà risale, DIODORO il SICULO ci informa che i poeti preomerici si esprimevano proprio con quell’alfabeto, e dalla stessa fonte, apprendiamo che, almeno 10 secoli aC. Si usava quella stessa scrittura. Inoltre Diodoro riferisce che furono i Pelasgi a portare per primi l’alfabeto in Italia, nonche’ nel resto dell’Europa, praticando opportuni adattamenti e migliorie.

Anche Plinio il Vecchio conferma le informazioni di Diodoro. Virgilio (Eneide, VIII, V. 62-63), scrive:

“Si dice che i primi abitatori della nostra Italia furono i Pelasgi”

Dagli autori dell’antichita’ abbiamo appreso che prima dell’arrivo dei Greci, il terrotiorio dove si stabilirono si chiamava Pelasgia, Le varie fonti ci informano inoltre, che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e facendo proprie le loro divinità.Varie popolazioni, specie quella pelasgica, hanno dato al paese il loro nome

Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6)

“Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”

Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240)

“Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’ARCADIA, il “DIVINO PELASGO”, molto prima della luna”

La citazione di Pindaro potrebbe apparire valida solo come ispirazione poetica, forse perfino mitologica, però malgrado cio’, scienziati posteriori hanno dimostrato che la luna e’ un frammento staccato dal nostro globo. Omero menziona i Pelasgi fra gli alleati dei Troiani, (Illiade, II, 840-843) e narra che Achille pregava lo “ZEUS PELASGICO DI DODONA” (Iliade, XVI, 223). Omero li menziona anche come “POPOLI di CRETA” , (Odissea, XIX, 177).

Lo storico Eforo riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una "patria" che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia in cui gli autori antichi fanno cenno a loro, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i "Tirreni".

La caratteristica struttura della muratura della cittadella di Atene ha fatto si che tutte le costruzioni in blocchi non squadrati e senza l'uso di malta abbiano avuto il nome, di "muratura pelasgica" esattamente come talvolta sono dette "mura ciclopiche", cioè costruite dai Pelasgi, coloro che insegnarono ai greci i metodi delle costruzioni, il modo di scrivere e la cultura.

[img]http://www.thelosttruth.altervista.org/SitoItalian/some_images/dodona1.jpg[/i]
(una fantastica veduta di Dodona, forse il centro dei Pelasgi)

Potremmo continuare all’infinito con citazioni sui Pelasgi, per terminare ad ogni modo e sempre che le civiltà in generale cominciano con i Pelasgi, ma la domanda principale che sorge a questo punto è: esistono ancora i Pelasgi? Se si, chi sono?

Nermin Vlora Falaski, nel suo libro "Patrimonio linguistico e genetico" (scritto anche in lingua italiana), ha decifrato iscrizioni Etrusche e Pelasgiche con la lingua odierna Albanese. Questo proverebbe che gli Albanesi (Discendenti degli Illiri) siano gli odierni discendenti dei Pelasgi, una delle più antiche stirpi che popolò l’Europa. Qui di seguito proporremo alcune traduzioni di Falaski.

Dunque, in Italia esiste la località dei TOSCHI (la Toscana), così come i Toschi abitano nella “Toskeria”, nell’Albania meridionale.

Nota: Molti autori sostengono che la parola Tosk, oppure Tok, sia il sinonimo di DHE, tanto che oggi in albanese si usa indifferentemente la parola DHE che quella TOK per dire “terra”.

In Toscana si trova un’antichissima città, verosimilmente fondata dai Pelasgi, che si chiama Cortona, (Nota, in Albanese: COR=raccolti, TONA=nostri, cioè “i nostri raccolti”). Dalla vasta e fertile pianura della Val di Chiana si accede a una rapida collina, in cima alla quale si trova un bellissimo castello, trasformato in museo archeologico. In mezzo ad un grosso patrimonio epigrafico, vi è anche una iscrizione particolarmente bella e interessante, su un sarcofago con addobbi floreali.

Su questo sarcofago appare la seguente scritta:

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Nermin Vlora Falaski tradusse questa scritta pelasgica semplicemente con la lingua Albanese:

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“La nave è per noi fierezza, coraggio e libertà”

La voce verbale â o âsht (in Italiano è) si usa ancora nel dialetto dell’Albania settentrionale e nel Kossovo, mentre nel sud e nella lingua ufficiale, che è quella dei Toschi, si impiega la voce ësht.

Le varie fonti ci informano che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e fecero proprie le loro divinità, come per esempio DE-MITRA (Dhe=terra Mitra=utero, cioè la DEA MADRE TERRA), nonché AFER-DITA(Afer=vicino, Dita=Giorno, più tardi chiamata Venus dai Romani, oggi Venere).

I Pelasgi, che furono chiamati anche “Popoli del mare”, poiché erano abili e liberi navigatori, chiamarono ILIRIA (ILLYRIA per i Romani) la loro patria: LIRI (LIR=libero), che voleva dire: “Il Paese del popolo libero”, paese che si estendeva dal Mediterraneo fino al Danubio.

Parole con la radice Lir la troviamo con lo stesso significato nelle seguenti lingue:

Pelasgo-illirico(liri), Etrusco(liri), Albanese odierno(liri), Italiano(libertà), Francese(libertè), Latino(libertas), Inglese(liberty), Spagnolo(libertad), Romeno(libertade), Portoghese(liberdade).

In italia, e precisamente nel Lazio, esiste il monte Liri, nonché il fiume Liri, e Fontana Liri.

Questo nome è stato conservato durante i secoli nei vari paesi Europei Mediterranei, molto probabilmente attraverso la “irradiazione” delle varie tribù illiriche, come gli Etruschi, i Messapi, i Dauni, i Veneti, i Piceni, etj, Ognuno di questi nomi ha un significato nella lingua Albanese:

E TRURIA(E=di, TRURIA= Cervello, paese di gente con cervello), MESSAPI (MES=ambiente, centro, HAPI=aperto, paese di gente aperta), DAUNI (dauni, separati, separatevi), VENETI (nome derivante dalla dea VEND, patria, luogo per eccellenza), PICENI (PI=bere, KENI=avete, luogo con acqua abbondante).

Il nome Pelasgi si può riferire alla parola Albanese PELLG (mare profondo), come in italiano “pelago”.

Questa è un’iscrizione illirica postumata, datata tra il III-II secolo a.C, che attualmente si trova nel museo archeologico di Durazzo, in Albania:

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“Sopporta il tuo dolore e piangi se ti aiuta, però affidalo alla terra calda, alla Grazia Celeste e al Supremo Bene”

È importante notare che il linguaggio di questa iscrizione è talmente simile all’Albanese odierno, che con difficoltà si può pensare che risalga a più di duemila anni fa.

In generale, le iscrizioni più antiche si presentano formulate da destra a sinistra e continuando talvolta da sinistra a destra, cioè in forma bustrofedica, e spesso senza interruzione tra una parola e l’altra. Però questo documento di Durazzo è stato inciso da sinistra verso destra, ciò che dimostra la sua origine più recente, quando l’alfabeto latino, molto più pratico, si era già affermato e ormai si scriveva sempre da sinistra verso destra.

Andando alla ricerca di nuove iscrizioni, dall’Egeo all’Atlantico e casualmente in Egitto ed oltre, non solo nel tentativo di scoprire il loro contenuto, ma anche per verificare la monogenesi delle lingue che viene sostenuto da eminenti studiosi, nel Museo Archeologico di Atene è stata incontrata una stele molto antica che contiene un’iscrizione bustrofedica redatta con l’alfabeto dei Pelasgi ed è di contenuto funerario. Questa stele è stata scoperta nell’isola di Lemno e, in generale, viene considerata molto difficile e poco convincente ogni tentativo di comprendere il contenuto di quella scrittura. Ed è per questo che fino ad oggi pochi si sono seriamente impegnati a sciogliere quell’enigma. Cominciamo mostrando questa Stele di Lemno, attribuita al VI secolo a.C. (ma da alcuni qualificati studiosi ritenuta anche più antica):

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Però, osservando con attenzione l’iscrizione, fin dalle primissime parole, si nota che è stata incisa nella lingua pelasgo-illirica, come nel resto dei territori euro-mediterranei, ed è perciò evidente che si comprende solo attraverso l’albanese.

Nella Penisola Iberica si trovano iscrizioni molto simili a quelle dell’Illiria e dell’Etruria, incise con l’alfabeto pelagico-fenicio e si interpretano sempre attraverso l’albanese.

http://www.thelosttruth.altervista.org/ ... sgico.html

16/04/2014, 13:34

L’APPLICAZIONE OLMECA DEL MAGNETISMO

Anche se ci sono solo pochi manufatti per dimostrarne la conoscenza, alcuni esempi suggeriscono che i nostri antenati avessero compreso la proprietà magnetiche di alcune rocce.

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Gli Olmechi certamente sono i rappresentanti della più antica cultura delle Americhe, la quale ha dominato quella che corrisponde all’odierna parte meridionale di Veracruz, tra il 1800 a.C. fino al 400 a.C.

Un alto grado di civiltà dallo stile inimitabile, le cui origini non trovano riscontro in nessun luogo, che presenta opere così rifinite, così sofisticate da eguagliare quelle delle grandi civiltà del primo millennio e che scompare inspiegabilmente così come è sorta.

La cultura olmeca è diventata famosa per le sculture in basalto che rappresentano delle mastodontiche teste, alcune delle quali possono arrivare a pesare fino a 40 tonnellate, con un altezza massima di circa tre metri. Questi curiosi manufatti rappresentano ancora un enigma per i ricercatori.

Tra i manufatti lasciati in eredità della cultura olmeca risultano una serie di sculture realizzate in pietra con proprietà magnetiche naturali, con la quale sono state realizzate figure di persone e animali.

Le statue magnetiche degli olmechi sono la prima testimonianza storica dell’utilizzo di tali materiali per la realizzazione di statue. Non è ben compreso, tuttavia, se gli olmechi avessero deliberatamente scelto di utilizzare la roccia magnetica, dimostrando così di comprenderne le proprietà, o se si tratta di un caso.

La realizzazione più enigmatica in roccia magnetica risale al 2 mila a.C. L’opera è attribuita alla cultura di Monte Alto, Guatemala, spesso definita come una civilizzazione pre-olmeca. Si tratta di una raffigurazione di un uomo ben messo, tanto da essere definito confidenzialmente dagli archeologi “The fat boy” (il ragazzo grasso).

Molte delle sculture di Monte Alto hanno proprietà magnetiche. In certi particolari modelli scultorei, il magnetismo si ripete con un certa frequenza. Della collezione di sculture provenienti da Monte Alto, quattro teste e tre busti hanno proprietà magnetiche.

Tutte e quattro le teste possiedono un polo magnetico settentrionale nella tempia destra, mentre tre di esse possiedono un polo magnetico meridionale sotto l’orecchio destro, e la quarta scultura ha il polo magnetico sud sulla tempia sinistra. Questa occorrenza, con tutta probabilità, non è casuale. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il magnetismo fosse considerato come un potere magico contenuto in alcuni tipi di pietre.



Monte Alto

Monte Alto è un sito archeologico situato sulla costa pacifica del Guatemala. Situato a 20 km a sud-est da Santa Lucía Cotzumalguapa nello stato di Escuintla, Monte Alto venne costruito a partire dal 1800 a.C.

Il sito conta 45 strutture, la più alta delle quali è una piramide che misura 45 metri di altezza. La cultura di Monte Alto è una delle più antiche in Mesoamerica, forse più antica di quella degli Olmechi.

Il sito è diventato famoso per il rinvenimento di numerose teste giganti, sculture tipiche della cultura di Monte Alto e di quella olmeca successiva. Tra i ritrovamenti, quella che fece più scalpore fu una misteriosa testa gigante scoperta nel 1940 nella giungla del Guatemala.

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Le dimensioni della statua erano davvero colossali: 30 metri di altezza, come si può calcolare osservando i tre uomini seduti in cima e la macchina parcheggiata davanti alla statua. Purtroppo, il prezioso manufatto andò distrutto in un maldestro tentativo di vendita.

http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/ ... agnetismo/

Guarda caso il prezioso manufatto andò distrutto... troppo scomoda la sua esistenza?!

[}:)]
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