O.T.
Sempre per caso, un articolo impigliato tra le pieghe del tempo , 1978.
un Beppe più umano...
LaStampa - 26.10.1978 - numero 248 - pagina 7
Lo spettacolo di cabaret al Centralino
[color=blue]Grillo: spietata autocritica di un comico in grave crisi Torino — Autocrìtica di un attore comico. Mentre il pubblico che aveva affollato la sala del Centralino se ne va alla spicciolata, quasi in silenzio, nel suo camerino Beppe Grillo fa una realistica analisi della serata appena conclusa.
«Ho toppato — dice — nella maniera peggiore e di fronte a spettatori che non potevano essere più ben disposti di cosi nei miei confronti. L'ho capito subito, fin dal primo momento che questa sera non ingranavo. Ma ormai era fatta». Fuori la gente sfolla rapidamente: sembrano tutti avere una gran fretta di andarsene, di allontanarsi da un brutto ricordo. Delusione, ma non rancore. Nessuno ha protestato al termine dello spettacolo, non ci sono stati fischi, soltanto un timido accenno di applauso, subito interrotto.
Beppe Grillo sta rintanato nel camerino. Non cerca scuse, non accampa attenuanti Non rifiuta di parlare. La sua anzi è una crìtica spietata. Contro se stesso, contro il sistema. Ed è anche una confessione d'amore verso il pubblico. «Non riesco più a far ridere la gente. Perché non ci credo più. Non credo più alle mie battute. Sono il primo a giudicarle male. Ogni sera si ripete lo stesso dramma. Io sul palco che cerco di avviare un discorso con gli spettatori in sala, bravi, simpatici, disposti ad assecondarmi, già col sorriso in tasca e l'applauso pronto. Ma non è più come una volta. Qualcosa è cambiato.
Io mi rendo conto di aver perso la spontaneità, mi sembra di truffare la gente quando ripeto la stessa barzelletta, sempre quella che ormai la sanno a memoria tutti. Quando dico la solita battuta...». Dieci anni di cabaret. Televisione, eurovisione. Adesso un film.
Un successo per Grillo. «Già — commenta amaramente — il successo. Per nove anni però ho fatto la fame. Mi davano 30 mila lire per spettacolo. Non mi conosceva nessuno. Ed ero bravo. Ero il primo a divertirmi, credevo in quello che facevo. Poi e venuta la notorietà. Di colpo. E' un anno che lavoro senza fermarmi. Trenta serate al mese. Mi pagano bene, sicuro. Sono diventato una stella di prima grandezza. La critica parla bene di me. La gente corre a vedermi. Ed io non rido più. Ho perso il gusto di recitare. Non riesco più a rinnovarmi. Non ho neppure più il tempo di pensare. Tutte le sere finisco col ripetere le stesse cose. E adesso non me la sento più di continuare. Il cabaret è fatto di spontaneità, non può diventare routine».
Sull'onda del successo, Grillo ha il coraggio di ammettere di avere sbagliato. «Non puoi ripetere le stesse cose ogni sera, senza finire di annoiarti. Di aver paura. Quando salgo sul palcoscenico e sto per iniziare, mi prende il panico. O Dio. penso, questa battuta l'ho già detta. La conoscono già. Che cosa posso fare? E mi verrebbe voglia di piantare tutto, di andarmene. Perché ho il terrore di approfittare del pubblico, della gente che ha pagato il biglietto per venirmi a vedere».
Martedì sera al Centralino erano accorsi in tanti per ascoltarlo. Erano pronti ad applaudirlo, non hanno avuto il coraggio di fischiarlo. «Chissà: forse se mi avessero fischiato mi avrebbero ridato la carica. Qualcosa per cui lottare».
f. for.
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