StampaSera - 09.11.1978 - numero 259 - pagina 3
Così, 40 anni fa, Welles terrorizzò l'America
[color=blue]I marziani sono qui! «La terra è invasa dai marziani»: tutti gli anni, il 30 ottobre, una piccola stazione radiofonica di Princeton dà l'allarme. Chi ascolta si diverte, anche se l'arrivo di ominidi d'altri mondi con le loro macchine spaziali è per gli ufologi cosa tutt'altro che fantasiosa, da non prendere cosi alla leggera. Forse si diverte, più che per la concitata e drammatica radiocronaca del gigantesco mostro d'acciaio che tutto calpesta e tutti uccide sul suo cammino, al ricordo del terrore che quarantanni fa — il 30 ottobre 1938 — gli Stati Uniti provarono per quella stessa trasmissione. «La terra è invasa dai marziani», captarono allora sei milioni di apparecchi radio.
E fu il panico. Per quarantanni sociologi ed esperti dì mass-media hanno cercato di dare una spiegazione scientifica a quel trauma collettivo, che portò decine di persone sull'orlo del suicidio e che resta, a tutt'oggi, il più famoso programma nella storia della radio. L'invasione dei marziani, annunciata con un'interruzione dei normali programmi, portava due firme celebri: quella di H.G. Wells, autore della «Guerra dei mondi», e quella dell'attore e regista Orson Welles, che trasformò il romanzo in una drammatica sceneggiatura è la lanciò nell'etere con il suo celebre «Teatro Mercury».
«Il centro dell'aggressione è Grovers Hill», diceva il radiocronista. E gli abitanti di quella cittadina nel New Jersey si riversarono nelle vie, cercando di fuggire, mentre altri si rifugiavano a pregare e chiedere salvezza nelle chiese e nelle sinagoghe. Welles e il suo «Teatro dell'etere» avevano preso ogni precauzione, prima dell'inizio del «bollettino di guerra» e delle successive interruzioni dei programmi, e avevano avvertito che si trattava di pura e semplice fantasia. Molti, però, avevano prestato pochissima attenzione agli annunciatori e la loro attenzione s'era destata soltanto all'udire i drammatici messaggi.
La cronaca era precisa: s'era svolta una prima battaglia a Grovers Hill, settemila uomini erano scesi in campo contro la gigantesca macchina giunta da Marte, solo 120 si erano salvati «Gli altri — diceva il radiocronista con la voce rotta dall'emozione —sono stati schiacciati fra Grovers Hill e Plainsboro dai piedi metallici del mostro».
À Newark, sempre nel New Jersey, centinaia di persone si riversarono nelle vie coprendosi il volto con fazzoletti e asciugamani bagnati, per proteggersi dai «gas velenosi» degli invasori. Nel giro di due ore la compagnia telefonica smistò centomila chiamate, e la polizia dovette adottare misure d'emergenza per arginare l'ondata di isterismo. Le sentinelle alla caserma di Princeton tennero la folla a bada con le armi: centinaia di persone, in preda a suggestione collettiva, tossivano e lacrimavano, e chiedevano maschere antigas. Ci sono ancora le tracce delle pallottola con cui la folla spaventata crivellò il serbatoio cittadino dell'acqua, scambiato per il mostro con i piedi d'acciaio.
Il terrore non fu limitato al New Jersey. Ovunque, negli Stati Uniti, la vita fu come paralizzata. Stazioni radiofoniche e redazioni di giornali furono prese d'assalto da gente che voleva maggiori ragguagli sull'invasione, migliaia di persone caricarono i bambini in auto per portarli in salvo. A Pittsburgh un tale rincasò appena in tempo per bloccare la moglie che stava ingerendo un veleno: «Preferisco morire in questo modo piuttosto che sotto le zampe dei ragni giganti di Marte», disse la donna.
In California le stazioni di polizia e i centri d'arruolamento dell'esercito ricevettero numerose telefonate di volontari, pronti ad andare in guerra contro i marziani. Ad Ashville, nel North Carolina, cinque studenti svennero nella calca per raggiungere l'unico telefono a. gettoni dell'università e chiedere ai genitori di riportarli a casa.
A Boston la gente che si era riversata nelle vie gridava: «Vediamo le fiamme». Dopo la paura, naturalmente, le polemiche: Welles e la sua compagnia meritavano medaglie per la loro bravura o la corda al collo per i guai che avevano combinato? L'attore, del tutto ignaro di quanto stava accadendo, vide comunque ingigantire la sua celebrità, e da allora il suo nome è comparso innumerevoli volte nei saggi mass-mediologici.
La sua trasmissione, se non altro, provò quanto l'America fosse vulnerabile al panico. Ci si domanda se lo stesso isterismo collettivo potrebbe ripetersi: altre trasmissioni, in anni più recenti, indicherebbero di no. La gente è più smaliziata. Semmai è propensa a prendere per f antacronaca un allarme presumibilmente vero, come sta accadendo in Australia dopo la scomparsa, due settimane fa, di un pilota d'aereo che negli ultimi minuti di contatto radio ha descritto un Ufo che gli ronzava attorno.
Frederick Valentich, vent'anni, stava dirigendosi all'Isola del Re, nello Stretto di Bass, ai comandi di un Cessna 182: improvvisamente vide una strana luce verde, e lo comunicò via radio. Poi la descrisse meglio: era uno strano oggetto, lungo quaranta metri, che gli girava attorno, gli si affiancava, lo superava e si lasciava poi superare. Qualche attimo prima che la comunicazione fra il piccolo aereo e la torre di controllo si interrompesse definitivamente, il pilota ebbe il tempo di gridare nel microfono: «Non è un aereo». Il Cessna è scomparso nel nulla, gli aerei, della Marina che hanno partecipato alle ricerche non ne hanno localizzato i resti, né macchie d'olio.
Valentich è davvero incappato in un Ufo proveniente da altri mondi? Per inverosimile che sia, nessuno è in grado, di escluderlo. Eppure, forse ammaestrati dall'«invasione marziana» di Orson Welles, nessuno vuole crederci. Anzi, c'è chi di fronte alla totale scomparsa del pilota e del suo aereo parla di una clamorosa messa in scena, ricordando che Valentich era un appassionato lettore di fantascienza e di recente si era molto interessato al problema degli Ufo. Una beffa bene architettata, con Valentich che se la gode da qualche parte leggendo sui giornali le cronache del suo «avvistamento»? E' un'ipotesi che quanti conoscevano bene il giovane pilota smentiscono con sdegno. Ma allora: è scomparso in fondo al mare senza lasciare traccia, oppure è stato davvero intercettato da un Ufo proveniente da altri pianeti? La vecchia cronaca di Orson Welles potrebbe avere, in questo caso, una patina di reale.
Fabio Galvano
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Autore: Fabio Galvano
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