[color=blue]Osama, venuto da lontanoAhahahahahah!!!!!-
Sospiro di immenso sollievo, nella confusione truce degli spari incrociati, di Osama bin Laden.
In un barlume estremo di coscienza, l’uomo che per molti anni è vissuto braccato, di rifugio in rifugio, tra spelonche, catacombe e occultamenti governativi.
Temuto anche dai suoi alleati, orfano di amici - avrà percepito la gioia di sentirsi sollevato da tutte quelle catene? E anche dalla più pesante di tutte: la catena del ruolo immutabile, dell’obbligo di rappresentare senza variazioni il male, di distillare, in azioni mostruose e anacronistiche, concentrazioni alchemiche di scellerato odio, di non essere più in grado di staccarsene, di avere sulla pelle appiccicata la camicia di Nesso, ardendone senza fine? Essere Osama era un brutto, impossibile mestiere; ed ecco è finita. Il primo al mondo a mormorare: grazie America è stato lui - Bin Laden. Ma adesso gli sta sopra la parola coranica sul Giudizio Finale: «Un atomo di bene compiuto, chi l’avrà fatto lo vedrà - Un atomo di male compiuto chi l’avrà fatto lo vedrà». Di laconica esattezza e di smisurata applicabilità. Dopo il soffio di sollievo nel momento della morte, la voragine espiatoria secondo il dogma islamico.
Su questa soglia ambigua lo lascio.
Il caso Osama sgretola la superficialità deformante delle opinioni politiche. L’informazione più insidiosa viene dai commenti politologici: dove tutto è conforme a una qualsiasi visione politica si può indagare all’infinito battendo sempre lo stesso chiodo, e risulta ridicolo concludere con «quel che potrebbe succedere»; più ti affanni a raccogliere e a emettere dati, più le cose ti sfuggiranno.
Una considerazione di rilievo va data invece alla qualità specifica della paranoia di Osama, il principe bello e ricchissimo di una dinastia, che riesce dove non era riuscito il Giappone, e mai nessun altro: a stracciare l’aureola dell’invulnerabilità americana, la potenza che ha vinto la Guerra Fredda e mandato uomini sulla luna.
Undici settembre è un fatto enorme in storia fattuale, superiore perfino alla «normalità» dello straziante trionfo del Pacifico, tale rimane, ben dentro l’anima americana.
La profondità della carica d’odio di un Bin Laden è opera dell’abissalità psichica e paranoica di quell’uomo solo, che la portava in sé, che non gli veniva dal suo libro sacro. E tale carica d’odio ha contagiato, ha prodotto seguaci, coagulato una setta di Islam letterale e deviato, che associava in un identico farnetico ebrei e crociati, l’imbecillità dei Protocolli antisemiti insieme alle bande di saccheggiatori partite nel 1099 per liberare dagli infedeli un dubbioso Santo Sepolcro, quella crociata che più nessuno esalta oggi in Occidente, dove la critica del passato rompe le ganasce di qualunque dogma fisso.
Ma una base militare americana per motivi di guerra fredda in un paese mussulmano basta a fare apparire una crociata in una mente malata (si pensi al complotto dei nove medici ebrei nella finale paranoia di Stalin). In una mente simile anche un’edicola di giornali, un posto di benzina nel deserto, sono eventi delle crociate. Osama, prima che dell’America e dell’Occidente, è stato il nemico, lo sterminatore del Tempo. Calcola, prescrive, preordina gli attentati su deliranti compiuter, all’interno di una atemporalità che ripugna per la sua indiscutibilità.
Il seppellimento in mare s’iscrive al contrario nella logica nostra temporale: il mare è il luogo senza tempo adatto a far sparire la corporeità residua di quelle timbrature fatali di morte indissolubili, dall’uomo che si era creduto e voluto abitatore e risuscitatore di tempo millenario impossibile da ritrovare.
Oggi la fulmineità di questa morte può produrre la grazia dell’incantesimo che si rompe, del castello maledetto che si dissolve. Il ragionamento dei politici è invece che il castello dell’orco, rimasto in piedi, seguiterà a produrre violenza, sospetto e crimini. È prudenza non escluderlo, ma la decapitazione di una guida carismatica si rivela, prima o poi, decisiva. Al-Qàida finisce con Osama. Verso altri guai e disastri va il mondo.
Ma vorrei osservare che Bin Laden, marcato dal segno raro della negatività pura, non è un fungo mostruoso. La sua guerra solitaria all’Occidente e all’Islam dei poveri si origina in Occidente, nelle guerre sterminatrici europee del XX secolo, nella strage olimpica del 1972, fino al culmine di settembre 2001. La Grande Guerra fu madre di tutto. Mandare gigantesche masse di esseri umani, usciti dalle trincee, all’assalto contro le mitragliatrici in agguato, in una estesa Zona di Uccisione da cui era quasi impossibile uscire vivi, già era votare quegli uomini refrattari o volontari al suicidio. Era frodarli del loro triste ruolo di combattenti in campo per farne roghi, materiali esplodenti, Menschmaterial, cose tra cose, era, non tanto di lontano, in un certo senso evocare Al-Qàida e la carretta fantasma Bin Laden, il barbuto e dolce spettro poligamo, ripetutamente padre, che ha spezzato e fatto cadere in acqua il braccio levato della statua della libertà.[/color]