IL FATTORE OZFonte: Capitolo tratto dal libro "Il fattore OZ"«Riesci a immaginare una piramide che si trasforma in un cubo?» domandava con sottile ironia l’ingegnere Aimè Michel a un giovane diciannovenne.
Correva il 1958 e Michel, teorico dell’Ortotenia e autore del saggio Oggetti celesti misteriosi, aveva da poco iniziato una fitta corrispondenza cartacea con colui che, di lì a poco, sarebbe divenuto uno dei più grandi ufologi della storia, il sostenitore dell’ipotesi parafisica secondo la quale gli UFO avrebbero origine da un mondo parallelo al nostro, attraverso soglie spazio-temporali su altre dimensioni della realtà. Il giovane con la mente fervida e il naso all’insù, era l’astrofisico Jacques Vallée.

Un pomeriggio di maggio del 1955 Jacques aveva sentito la madre gridare dal giardino ed era corso a perdifiato per vedere che cosa stava succedendo, quando sopra la sua testa aveva visto un disco metallico grigio sormontato dalla classica cupola trasparente.
Della grandezza della Luna, era sospeso nell’aria poco sopra il campanile della chiesa. L’avvistamento fece scaturire un senso dell’ignoto e del divino, che sonnecchiava da sempre nel giovane: «Realizzai che mi sarei vergognato della razza umana se avessimo continuato a ignorare la loro presenza ». Tre anni dopo, ormai diciannovenne, Vallée aveva trovato casualmente un libro di Michel sulle bancarelle dell’usato. Si era così immerso nella lettura di Oggetti celesti misteriosi, annotando nel suo Diario quanto la lettura del saggio lo avesse colpito profondamente. Con la spregiudicatezza della sua età aveva spedito una lettera all’autore, dicendosi curioso di approfondire il tema degli UFO. Costui, inaspettatamente, il 21 settembre 1958 gli aveva risposto.
Nel suo Diario, infatti, Vallée aveva annotato che gli sarebbe piaciuto un giorno diventare uno studioso del fenomeno… e proprio Michel si congratulò con lui per la sua mente acuta e ricettiva, invitandolo a coltivarla “come un fiore”, ma avvisandolo che per fare ciò avrebbe dovuto innanzitutto rompere con il passato, distruggendo tutte le consuetudini e i pregiudizi culturali che aveva ereditato fino a quel momento.
Allora nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare chi sarebbe diventato quel ragazzo: aveva messo per iscritto soltanto i sogni, le aspirazioni ad occhi aperti di un adolescente che era rimasto sbalordito da ciò che aveva visto, ma che la ragione non sapeva spiegare. Sarebbero state proprio la sua logica scientifica, supportata da una mente intuitiva, e la sua forza di volontà a condurlo presto – oltre a ogni aspettativa - ad accedere al pantheon degli ufologi.
L’ombra dell’inganno cosmicoNella prima missiva Michel suggeriva l’ipotesi che gli UFO, che così spesso solcano i cieli cambiando forma o smaterializzandosi all’improvviso, non fossero semplicemente delle “navi spaziali” e che la questione non potesse essere ridotta al mero passaggio di extraterrestri in visita sulla Terra.
Le evoluzioni spaziali degli UFO lasciavano sbigottiti i testimoni, ma una volta atterrati, i dischi volanti si rivelavano, almeno a prima vista, inadatti ai voli interstellari per i quali si pensava fossero destinati: perché? E come mai non venivano avvistati lungo le loro traiettorie ben prima di comparire nell’atmosfera terrestre?
La presenza di robot e strani “omini” talvolta classificabili come grigi, altre volte più simili a goblin o addirittura a terrificanti mostri squamosi, spostava l’attenzione dei ricercatori verso un interrogativo che si era già posto Uri Geller: e se fosse tutto un grosso inganno? Lo scherzo di un “Clown Cosmico”, come lamentava il contattista israeliano vittima dei poteri di cui gli era stato fatto dono e al contempo di continue burle e umiliazioni? Il dubbio insinuato da Michel turbinò nella sua mente per anni.
Vallée sarebbe giunto a una conclusione molto vicina a quelladel trio Jung-Kerenyi e Radin sulla figura del Briccone divino, applicata però alla fenomenologia UFO, che avrebbe suscitato anche l’interesse dello psicanalista svizzero: non a caso l’esempio mitico di trickster più famoso è Hermes, messaggero degli dèi, patrono dei poeti e dei viaggiatori, padre dell’alchimia ma al contempo “apportatore di sogni”, ladro e ingannatore. E, non a caso, Vallée era un appassionato di esoterismo, occultismo e alchimia come Carl Gustav Jung.
La scoperta di ParacelsoNei suoi diari Vallée racconta come, durante il suo primo anno alla Sorbona, un’amica gli regalò Histoires et Doctrines des Rose+Croix di Sedir: il libro fu per sua stessa ammissione «una fonte d’ispirazione e un legame verso quelle tematiche che lo avevano da sempre ispirato». Folgorato a soli diciannove anni dall’alchimia, sarebbe stata proprio un’opera di Paracelso a indirizzarlo più avanti negli anni verso la teoria parafisica del fenomeno UFO.

Lo sguardo attento e l’approccio filosofico verso quella realtà di cui ci sfugge di continuo il senso, così come il pessimismo
sottaciuto che sarebbe emerso nelle opere della maturità, erano presenti già nel suo Diario di ragazzo, quando constatava l’insensatezza dell’essere: «Siamo solo come burattini che si muovono avanti e indietro alla ricerca dei loro fili». Vallée cercò conforto ai suoi turbamenti intellettuali nell’ermetismo, seguendo la strada di molti altri pensatori e artisti francesi che, prima di lui, avevano individuato nelle discipline occulte una chiave di accesso agli altri mondi.
Non impiegò molto tempo a imbattersi nelle opere di Paracelso.
Nei trattati minori il medico svizzero sviluppava una completa teoria sulle creature “sottili”, che sarebbe stata ripresa a distanza di secoli dai ricercatori sul paranormale.
L’alchimista scrive infatti nell’incipit del Trattato delle Ninfe, Silfidi, Pigmei, Salamandre ed altri esseri: «È mia intenzione parlarvi delle quattro specie di esseri di natura spirituale, cioè delle Ninfe, dei Pigmei, delle Silfidi e delle Salamandre; a queste quattro specie, per la verità, bisognerebbe aggiungere i Giganti e parecchie altre.
Questi esseri, benché abbiano aspetto umano, non discendono da Adamo; hanno un’origine del tutto differente da quella degli uomini e da quella degli animali. Però si accoppiano con l’uomo e da questa unione nascono individui di razza umana». Non vi ricorda la genesi degli ibridi di cui la letteratura ufologica contemporanea fa un gran parlare? Su questo dilemma ci viene ancora incontro Paracelso, spiegando le differenze tra le tre razze di esseri che si trovano in Natura: esistono «due specie di nature: la natura di Adamo e quella che non gli appartiene. La prima è palpabile, afferrabile, spessa, perché fatta di terra. La natura di Adamo è compatta», e infatti, un uomo non può passare attraverso un muro, esemplifica l’alchimista, mentre per gli esseri dell’altra natura «i muri non esistono», avendo la capacità di penetrare anche gli ostacoli più densi. Alla prima specie di esseri appartiene l’uomo, alla seconda gli spiriti. Infine vi è la terza natura «che partecipa delle altre due», ovvero «gli esseri che sono lievi come gli spiriti e che generano come l’uomo, hanno il suo aspetto, il suo comportamento. Proprio come nei casi di abduction dove gli alieni attraversano i muri come se questi fossero fluidi e si accoppiano all’uomo per generare la stessa stirpe ibrida che ritroviamo nelle saghe medievali, nel folklore nordico sul Piccolo Popolo e nella tradizione araba sui jinn.
Spirito e animaPer spiegare le differenze che intercorrono tra le tre nature, Paracelso introduce la differenza tra spirito e anima, nozione che oggi è stata ripresa e sviluppata nel campo dell’ufologia dal chimico pisano Corrado Malanga.
In estrema sintesi, Malanga spiega che gli alieni non hanno anima: quello che cercano di carpire all’uomo è proprio la
sua scintilla divina, o Anima, che li rende immortali e che li fa dunque partecipare dell’essenza divina. Ora, Malanga, riprendendo un tema caro all’occultismo contemporaneo, sostiene che solo una ristretta percentuale di uomini abbia Anima, la restante partecipa solo di Spirito: gli alieni sarebbero interessati proprio a questa fetta della popolazione umana, circa il 2%, su cui intervengono fin dall’utero della madre, per modificarne il DNA e per cercare di sottrarne l’energia animica.
Paracelso non fa invece distinzione tra classi di uomini dotati o meno di Anima. Non risulta infatti che l’alchimista svizzero abbia mai professato in tal senso teorie di stampo platonico o gnostico. Sia che appartenga a tutti gli uomini o solo ad alcuni di essi, Anima sembra però ciò che, secondo Paracelso, manca a questa terza natura: «le creature in questione non hanno anima, ma non sono simili agli spiriti: questi non muoiono, quelli muoiono».
Qui abbiamo un’ulteriore informazione: le creature “fatate” non sono immortali come gli spiriti disincarnati e partecipano in tal modo di una lontana somiglianza con l’uomo, senza essere animali.
Infatti, a differenza degli animali, «parlano e ridono, cosa che questi [gli animali] non fanno». In questo senso «esse si avvicinano agli uomini senza diventare tali» perché con la sua venuta e la sua morte Cristo non li ha riscattati, essendo essi privi di anima e non discendenti da Adamo. Il nodo del problema è proprio qui: queste creature simili all’uomo non discendono dal sangue di Adamo e sono prive di anima. Paracelso usa però il termine “creature” e non “esseri” o
“entità”, dunque le considera “create” dalla Mente divina: ma da chi discendono? Da una razza di demoni o di angeli caduti? O dalla progenie di un mezzosangue, come sembra proporre un’interpretazione ebraica sulla natura demoniaca di Caino? Oppure, ancora, esse abitano altri piani del reale, altri piani d’esistenza vicini a noi ma al contempo separati? Le loro incursioni nella nostra dimensione servono forse a un disegno per usufruire della nostra Anima che a loro manca? Per questo portano avanti da millenni il progetto di “ibridazione” della loro specie con la nostra? Sospendendo per un attimo queste domande, si noti come solo oggi – a distanza di più di tre millenni - ci siamo spinti a “credere” che queste creature siano i nostri creatori, facendo dell’Uomo l’emanazione di un’emanazione.
Se alcuni contattisti e ricercatori sostengono che vi siano stati degli interventi o manipolazioni esterne sul nostro genoma, ciò non comporta necessariamente che chi ci ha manipolato sia con ciò anche il nostro “creatore”. A costoro sfugge ancora a differenza tra “creazione” e “manipolazione” o “ibridazione”. La nostra tendenza a identificare le creature aliene con la divinità creatrice è paragonabile soltanto alla mitogenesi classica, che individuava negli antichi Dèi sumeri, egiziani, indiani, greci, etc. tracce di un “contatto” con esseri dell’altro mondo o, come teorizzato da Evemero, di gesta eroiche poi assurte a divinità. Non può invece essere che la credenza contemporanea negli alieni “creatori” sia una forma di inganno che queste entità – proprio come insegna la demonologia – perpetrano a nostro danno da millenni?
Il nostro rigurgito di politeismo dovrebbe farci pensare: perché abbiamo bisogno di adorare Dèi che ci rapiscono, ingravidano e ingannano contro la nostra volontà?
Stiamo perdendo in qualche modo la consapevolezza che, senza il nostro “consenso”, i demoni come gli spiriti disincarnati o i vampiri della letteratura, non possono entrare: in casa, così come dentro di noi…
Ibridazione e politeismoNel 1968, deluso dall’esperienza in America a causa del cover up portato avanti dall’Aeronautica militare, Vallée avrebbe messo tra parentesi il clima di rivoluzione politica che si respirava in Europa, dedicandosi a un approfondito parallelo tra i fenomeni UFO e le tradizioni medievali sui fairies, ovvero fate, elfi, gnomi, giganti, demoni e Spiriti degli Elementi. Fu proprio l’assurdità di alcuni resoconti di contatti contemporanei a suggerirgli un nesso con la tradizione popolare e la mitologia, dove quelle stesse anomalie venivano riproposte nelle saghe per poi finire rielaborate nelle fiabe e nelle filastrocche.

Alcuni dettagli riferiti dai testimoni di incontri ravvicinati – per quanto insensati e ai limiti del credibile – avrebbero potuto screditare il fenomeno, spiegando come isteria buona parte della casistica: invece Vallée ebbe l’intuizione di
trovare un precedente nella tradizione popolare europea, accreditando così come veritieri anche i racconti sui fairies, metodologia usata anche da un altro indagatore del mistero, John Keel.
La scoperta rivoluzionaria di Vallée e di Keel fu però un’altra: la “componente psichica” o medianica del fenomeno, ovvero la tendenza degli UFO e delle creature misteriose a comportarsi come le entità sovrannaturali, spiriti, demoni, angeli e jinn della tradizione. Da un altro queste entità, seppur dietro l’apparenza di esseri venuti dallo spazio, sembravano interagire con la psiche dei soggetti scelti per il contatto, esattamente come nei casi di contatti telepatici,
scrittura automatica, poltergeist, visioni mistiche o addirittura sciamaniche, fantasmi, incontri con esseri del Popolo Fatato, demoni.
Più in generale la componente medianica o paranormale dei soggetti coinvolti nei contatti sembrava interagire con queste entità in modo da alterare soggettivamente la realtà, rispettando in qualche modo il Principio di indeterminazione di Heisenberg, da cui scemano i concetti deterministici di “misurazione” e “osservatore”. La comparazione tra il fenomeno UFO e le cronistorie e leggende medievali avrebbe portato Vallée alla stesura del suo capolavoro, Passport to Magonia, dove avrebbe esaminato ben 900 casi di avvistamenti e contatti, paragonandoli, con un lavoro e un metodo senza precedenti, ai casi di incontri, rapimenti e infine changeling da parte di creature demoniache o del Popolo Fatato, trascritti nei resoconti medievali.
Così, da un lato, dava credito ai resoconti tribali raccolti dagli antropologi e alle tradizioni popolari, dall’altro individuava una continuazione nel fenomeno che semplicemente, come avrebbe spiegato Jung, sembrava aver mutato “sembianze” presentandosi ora in veste intergalattica.
In realtà, come aveva potuto appurare lo stesso Jung studiando per la sua tesi di dottorato le capacità medianiche di una cugina, i messaggi telepatici frutto dei contatti con i Fratelli dello Spazio contengono una matrice gnostica semplicemente più rielaborata, ma riconducibile ai messaggi trasmessi durante i contatti telepatici dove, come da buon cultore dell’occultismo Vallée sapeva, gli spiriti tendono a mentire e a ingannare l’interlocutore con la stessa frequenza con la quale dicono la verità.
Purtroppo ancora oggi pochi conoscono la figura dell’Ingannatore o, più in generale, del trickster, il dio Burlone. Per questo i dilettanti di spiritismo, tavole ouija o addirittura ufologia, appaiono disposti a credere a tutte le panzane che vengono loro propinate dagli spiriti o dai cosiddetti alieni: l’alito del dubbio non li sfiora. Ma come ricorda Paracelso, «per credere a una cosa, bisogna conoscerne lo scopo». Questa lacuna è invece il grande errore dello spiritualismo contemporaneo, in evidente crisi e decadenza: la lontananza dalla Tradizione Primordiale e la conseguente mancanza di conoscenza spingono i soggetti a credere acriticamente a tutto ciò che vedono o che viene loro raccontato.
«Chi osserva vede», professava Paracelso: ma non vale il contrario. Non basta vedere qualcosa per comprenderne il senso e la differenza non è questione di sinonimi. Qui non si tratta di sofismi, ma di indagare il fine di queste creature dall’ignoto – citando il titolo italiano dell’omonima opera di John Keel – che si affacciano nella nostra finestra spazio-temporale, confondendoci.
Il Collegio dei NoveTenendo fede alla veridicità di un “incontro” o di una visione mistica, si deve ciononostante applicare il metro del dubbio alle rivelazioni che sono state fatte, per non cadere preda dei soliti tranelli che gli spiriti si divertono a escogitare per noi da secoli. Il contatto con un’entità, sia essa bellissima o mostruosa, non può spingerci a credere a ciò che ci viene rivelato in modo acritico.
Come ricordava Keel, il pericolo maggiore viene dalle credenze. Se non vogliamo fare la fine dei settaristi medievali, che erano ciclicamente disposti a professare che la fine del mondo fosse vicina – puntualmente smentita – ci conviene aguzzare l’ingegno e abbandonare l’unica cosa che sappiamo fare (male), ovvero vedere ovunque la presenza aliena, snaturando con un non indifferente sforzo le tradizioni storico-religiose di luoghi lontani che ci ostiniamo a livellare, tradendone così lo Spirito (che non abbiamo ancora compreso che cosa sia). Ci sia d’aiuto in questo senso la testimonianza sofferta del contattista israeliano Uri Geller, che dall’età di tre anni dovette confrontarsi, oltre che con poteri paranormali, con i messaggi di pace e di catastrofismo che gli venivano indotti dal gruppo sovraumano dei “Nove”: interrogato dal ricercatore e occultista Colin Wilson, Geller, negando un’origine inconscia del fenomeno, gli confidò, «Qualsiasi cosa vi sia dietro ai miei poteri sembra essere intelligente. A volte mi gioca degli scherzi. Nel mio libro dico che forse è un Clown Cosmico».
Portatori di illusioneNé Keel né Vallée sarebbero caduti nel tranello delle ipotesi “materialistiche” dell’ufologia, tornate di moda sulla scia delle opere di Von Daniken e Sitchin, che considerano gli extraterrestri nostri progenitori.
Keel denunciò con forza l’inganno di “forze inferiori”, che manipolano gli addotti inducendoli a false illuminazioni – e ne stravolgono la vita in modo doloroso. Entrambi ravvisarono il pericolo della diffusione mondiale del culto negli UFO che dietro la “veste di luce” maschera un intento tutt’altro che benevolo. Il metodo “letterale” di taluni ricercatori (privi di preparazione filosofica, mitologica ed esoterica, per non parlare di quella filologica!) impedisce loro di interpretare e spiegare le anomalie che il fenomeno UFO dimostra alla prova dei fatti. Rimanendo con il naso inchiodato a terra, verso il basso, rischiamo di perdere il senso più generale delle cose, se volete, metafisico, interrompendo quella meraviglia che dovrebbe essere alla base della filosofia o comunque dello sviluppo e dell’utilizzo della ragione.
Se poi, come avanza Vallée, il fenomeno UFO fosse «il primo grande test di intelligenza collettiva a cui sia stata sottoposta l’umanità», rischieremmo davvero non solo di arrivare tardi all’esame, ma addirittura di rimanere irretiti in una sofisticata, seppur ripetitiva, forma di inganno che dura da secoli e che forse ha accompagnato e ancora accompagna la storia della nostra civiltà. Inutile continuare ad arrovellarsi sulle intenzioni dei visitatori dello spazio, se in realtà siamo ben lungi dal sapere se siano essi angeli, demoni, creature del Popolo Fatato, esseri di altre dimensioni o semplicemente alieni in ricognizione scientifica sul nostro pianeta! Finché non avremo compreso la loro essenza, continueremo a dividerci tra i sostenitori di questi portatori d’illusione e i cacciatori di mostri, incapaci di comprendere come possano rapire dai loro letti gli addotti, sezionarli e accoppiarsi freddamente con loro, e dall’altra comunicare messaggi di pace o di eco millenaristico.
E se Jean Robin, allievo di René Guénon, ipotizzava che si trattasse di un grande inganno, l’inno omerico recita inascoltato da millenni la descrizione di un “apportatore di sogni”, che alimenta la penna dei poeti ma inganna con l’astuzia dei furfanti.