01/09/2012, 20:04
Ufologo 555 ha scritto:
Ma no, dai! Però devi ammettere che con la ex-Jugoslavia ...
01/09/2012, 20:12
mik.300 ha scritto:Ufologo 555 ha scritto:
Allora è meglio lasciare che una nazione faccia stragi per 10 anni ... mentre l'Europa trattava, trattava, trattava ...
Strategicamente parlando prtroppo, meglio "quattro" bombe subito (per chi non la vuole capire) che lasciare che si massacrino migliaia e migliaia di civili; o come vogliamo ragionare? Non saprei.
infatti..
appunto come dicevo..
tu arrivi alla fine..
senza passare per il principio..
il fatto e` che prima causano guerre e rivolte,
poi invocano bombe per risolvere il pasticcio (voluto)
basterebbe evitare il punto 1,
non trovi ?
03/09/2012, 01:02
03/09/2012, 10:10
Ufologo 555 ha scritto:mik.300 ha scritto:Ufologo 555 ha scritto:
Allora è meglio lasciare che una nazione faccia stragi per 10 anni ... mentre l'Europa trattava, trattava, trattava ...
Strategicamente parlando prtroppo, meglio "quattro" bombe subito (per chi non la vuole capire) che lasciare che si massacrino migliaia e migliaia di civili; o come vogliamo ragionare? Non saprei.
infatti..
appunto come dicevo..
tu arrivi alla fine..
senza passare per il principio..
il fatto e` che prima causano guerre e rivolte,
poi invocano bombe per risolvere il pasticcio (voluto)
basterebbe evitare il punto 1,
non trovi ?
No, perché in quel caso gli americani non centravano proprio! Erano le varie etnie della Jugoslavia che volevano diventare indipendenti ed i serbi non volevano (certo, perdevano una "nazione"!); mentre loro, con il loro esercito, erano dappertutto. Fai conto il nostro esercito composto inn maggiornaza di meridionali stanziato anche al nord che si trova circondato e respinto! Stessa identica cosa ... Da lì i genocidi e i masacri durati anni ... Finché, qualcuno (gli USA) hanno detto basta; ma loro, non l'Europa che si radunava per discutere e basta; ed i caschi blu inactenati ai lampioni delle strade! Ma le ricordate o no le cose!
Una vergogna infinita!
03/09/2012, 10:43
mik.300 ha scritto:Ufologo 555 ha scritto:mik.300 ha scritto:
[quote]Ufologo 555 ha scritto:
Allora è meglio lasciare che una nazione faccia stragi per 10 anni ... mentre l'Europa trattava, trattava, trattava ...
Strategicamente parlando prtroppo, meglio "quattro" bombe subito (per chi non la vuole capire) che lasciare che si massacrino migliaia e migliaia di civili; o come vogliamo ragionare? Non saprei.
infatti..
appunto come dicevo..
tu arrivi alla fine..
senza passare per il principio..
il fatto e` che prima causano guerre e rivolte,
poi invocano bombe per risolvere il pasticcio (voluto)
basterebbe evitare il punto 1,
non trovi ?
No, perché in quel caso gli americani non centravano proprio! Erano le varie etnie della Jugoslavia che volevano diventare indipendenti ed i serbi non volevano (certo, perdevano una "nazione"!); mentre loro, con il loro esercito, erano dappertutto. Fai conto il nostro esercito composto inn maggiornaza di meridionali stanziato anche al nord che si trova circondato e respinto! Stessa identica cosa ... Da lì i genocidi e i masacri durati anni ... Finché, qualcuno (gli USA) hanno detto basta; ma loro, non l'Europa che si radunava per discutere e basta; ed i caschi blu inactenati ai lampioni delle strade! Ma le ricordate o no le cose!
Una vergogna infinita!
[color=blue]State-building e Nation-building
Lunedì 20 agosto, su questo giornale, Marco Cavallotti metteva giustamente in rilievo i limiti di un libro che nell’ultimo decennio del secolo scorso conobbe un notevole successo. Si tratta de La fine della storia e l’ultimo uomo, scritto dal politologo americano Francis Fukuyama e pubblicato in Italia nel 1992 da Rizzoli. Divenuto un bestseller, fu molto discusso in ambito accademico e nei mass media. Cavallotti ha ragione nel sottolineare – come del resto hanno fatto molti altri – che il concetto di “fine della storia” (e delle ideologie), di matrice hegeliana, è del tutto illusorio. Gli esseri umani non possono certo stabilire “se” e “quando” la storia è finita poiché sono direttamente inseriti nel suo flusso.
Non lo dominano affatto, ma ne vengono piuttosto dominati. E’ interessante però notare che nella sua produzione successiva compare un volume altrettanto significativo, anche se meno noto e celebrato. Il titolo recita Esportare la democrazia. State-building e ordine mondiale nel XXI secolo. Scritto nel 2004 e tradotto nel nostro Paese l’anno seguente dall’editore Lindau, è oggi reperibile con una certa difficoltà. Vale tuttavia la pena di parlarne poiché ci fornisce un quadro affascinante dei criteri che hanno indotto – e inducono tuttora – la comunità internazionale occidentale guidata dagli Stati Uniti a intervenire in modo diretto, soprattutto militarmente, quando si giudica che uno Stato minacci la stabilità mondiale. O anche nei casi in cui detta stabilità venga messa in pericolo da Stati “collassati”, non più in grado di gestire direttamente i loro affari interni.
Accade allora, secondo Fukuyama, che USA e comunità occidentale abbiano non tanto il diritto, bensì il “dovere” di intervenire quando crisi di quel tipo si manifestano. Al fondo si cela una concezione che implica la diffusione della democrazia liberale sul piano globale. Né risulta essenziale, a suo avviso, che siano sempre e comunque gli USA a intervenire, ferma restando la loro posizione di leadership dovuta a fattori economici e, soprattutto, militari. «La logica della politica estera americana – egli scrive – dall’11 settembre sta trascinando gli Stati Uniti in una situazione in cui o essi si assumeranno la responsabilità di governare gli Stati deboli oppure consegneranno questo problema alla comunità internazionale».
In un discorso tenuto nel 2002 a West Point, George W. Bush jr negò recisamente che gli USA coltivassero sogni imperiali, ma non esitò ad ammettere che una dottrina allargata della guerra preventiva era in grado di porre gli Stati Uniti nella condizione di governare popolazioni potenzialmente ostili nei Paesi che li minacciano con il terrorismo. Ecco quindi Afghanistan e Irak. Tuttavia la presenza di organizzazioni come al-Qaida rende tale compito assai più difficile del previsto. La lotta va estesa a una miriade di contesti territoriali seguendo l’ondata degli attacchi terroristici, da Mombasa a Bali a Riad. Se in quelle nazioni i governi locali non risultano in grado di fronteggiare il fenomeno, «occorre stimolare dall’esterno la costruzione dello Stato in Paesi con gravi disfunzioni interne».
Eccoci dunque giunti al concetto di state-building, il vero nucleo del libro. Gli Stati deboli o addirittura “collassati” (si pensi, per citare un solo esempio, alla Somalia) rappresentano una minaccia non solo per se stessi, ma anche per l’intero scenario mondiale. «Gli interventi umanitari degli anni ’90 portarono all’estensione di un potere imperiale internazionale di fatto sugli ‘stati falliti’ del mondo. Gli interventi furono spesso guidati dalla potenza militare americana, ma seguiti, nel nation-building, da un’ampia coalizione di Paesi, principalmente europei, più l’Australia, la Nuova Zelanda e il Giappone».
Ma come mettere in pratica il nation building in nazioni che non hanno le tradizioni democratiche occidentali e, per di più, sono spesso recalcitranti ad adottarle? Fukuyama non esita a notare che, forse, gli Stati si possono costruire deliberatamente ma, «se da questo si genera anche una nazione, è più questione di fortuna che di progettazione». Dal che consegue che state-building e nation-building non sono affatto la stessa cosa, e gli europei sembrano esserne più consapevoli degli americani.
C’è da chiedersi, a questo punto, se l’internazionalismo liberale che ha sempre avuto un ruolo di rilievo nella politica estera degli Stati Uniti possa davvero trovare sbocco e soddisfazione in una strategia come quella appena delineata. Perché esiste, com’è noto, anche l’eterogenesi dei fini. E’ rarissimo che una politica estera raggiunga con precisione proprio gli obiettivi che si proponeva di conseguire.
Passando agli anni più recenti, vediamo che il quadro non muta molto quando il bastone del comando passa a un Presidente americano appartenente a un altro partito. La strategia delle “primavere arabe” promossa dal duo Barack Obama – Hillary Clinton ha dapprima suscitato entusiasmi stellari, per poi diventare fonte di dubbi e recriminazioni. Non è affatto chiaro se davvero si tratti di “primavere”, visto che in Tunisia ci sono seri rischi di veder regredire la condizione femminile, mentre quasi ovunque nell’area l’instabilità è cresciuta. Al punto che molti si chiedono se davvero valga la pena di rovesciare Assad quando è ovvio che nessuno sa quali siano le forze destinate a sostituirlo (la stessa situazione della Libia e della guerra “per procura” contro Gheddafi).
Un quadro, insomma, tremendamente complicato, che il volume di Fukuyama ha il merito di tratteggiare con lucidità senza tuttavia fornire risposte convincenti. Non è sufficiente dire che «le nazioni devono essere in grado di costruire istituzioni statali non solo all’interno dei propri confini ma anche in altri Paesi più disorganizzati e pericolosi».
Il problema è “come” farlo e con “quali strumenti”. Sarebbe forse più ragionevole ritornare a un sano realismo politico e, senza sbandierare nobili ideali, riconoscere che – come sempre – è la potenza militare egemone a decidere e a contare.[/color]
09/09/2012, 12:29
Indipendentemente dall'azione che gli Stati Uniti prenderanno in Medio Oriente, o contro l'Iran o contro la Siria, l'Iran è ora determinato a trasformare il conflitto in una guerra da Armageddon (Al-Malhamah Al-Kubrah) con la convinzione che questo portera' alla distruzione di Israele, degli Stati Uniti, e ripulira' il Medio Oriente dall'influenza occidentale, inaugurando cosi il regno del 12 ° Iman.
Questa crisi è già ora piu' che pericolosa. "Ahmadinejad si è alleato con un potere virtualmente invincibile, combinando ad est la Russia, la Cina, la Corea del Nord, e in una certa misura, anche l'India, rendendo i potenziali conflitti futuri che dovessero coinvolgere l'Iran, un pericoloso viaggio tra fili che finirebbero per trascinare altre nazioni nel conflitto".
Il futuro del Medio Oriente è in bilico, in attesa del risultato di questo round tra Iran e Israele. Un errore di calcolo da entrambe le parti ha il potenziale per portare al disastro globale.
18/09/2012, 22:52
Per la stampa britannica l'Inghilterra prepara la flotta per l'invasione dell'Iran
Per la stampa britannica l'Inghilterra prepara la flotta d'invasione dell'Iran. L'edizione “The Sunday Telegraph” afferma che attualmente si sta creando una concentrazione delle forze marine di 25 Stati nel Golfo di Hormuz. Questi Paesi dimostrano la propria forza aspettando il colpo preventivo dell'Israele sui bersagli nucleari dell'Iran, si dice nell'articolo.
L'altro quotidiano domenicale “Mail on Sunday” ha informato che il Ministro per gli affari delle Forze Armate della Gran Bretagna Nick Harvey si è dimesso perché non era d'accordo con i piani di Londra nel sostegno dell'eventuale operazione contro l'Iran.
Fonte
Fonte originale
19/09/2012, 09:05
zakmck ha scritto:Per la stampa britannica l'Inghilterra prepara la flotta per l'invasione dell'Iran
Per la stampa britannica l'Inghilterra prepara la flotta d'invasione dell'Iran. L'edizione “The Sunday Telegraph” afferma che attualmente si sta creando una concentrazione delle forze marine di 25 Stati nel Golfo di Hormuz. Questi Paesi dimostrano la propria forza aspettando il colpo preventivo dell'Israele sui bersagli nucleari dell'Iran, si dice nell'articolo.
L'altro quotidiano domenicale “Mail on Sunday” ha informato che il Ministro per gli affari delle Forze Armate della Gran Bretagna Nick Harvey si è dimesso perché non era d'accordo con i piani di Londra nel sostegno dell'eventuale operazione contro l'Iran.
Fonte
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19/09/2012, 09:17
mik.300 ha scritto:
25 stati..
vorrei sapere quali..
comunque israele attaccherebbe,
gli altri gli parano le chiappe..
bel coraggio..
In preparation for any pre-emptive or retaliatory action by Iran, warships from more than 25 countries, including the United States, Britain, France, Saudi Arabia and the UAE, will today begin an annual 12-day exercise
19/09/2012, 10:38
21/09/2012, 15:52
24/09/2012, 11:35
24/09/2012, 11:51
24/09/2012, 12:48
Thethirdeye ha scritto:
Tratto da: Il sogno di un Medio Oriente senza armi nucleari bloccato da Israele
http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ra ... raele.htmlIo sono contrario al nucleare ovunque nel Mondo. Ho votato contro il ritorno al nucleare in Italia e sono ovviamente contro il nucleare in Iran, sia per scopi energetici e ancor di più per eventuali e non provati scopi bellici. Ma sono anche contro il nucleare in Israele, tanto più visto che viene usato anche e sopratutto per scopi bellici. Israele è l’unico stato nel Medio Oriente ad avere l’arma nucleare e, a differenza dell’Iran, non ha mai firmato gli accordi di non proliferazione nucleare. Israele ha sempre rifiutato di confermare la detenzione di ordigni nucleari, ponendosi al di sopra della legge e del diritto internazionale, ma non è affatto un mistero che detenga tra le 200 e le 400 testate nucleari pronte all’uso. Inoltre Israele non ha mai fatto mistero che è pronto ad usarle contro l’Iran qualora voglia dotarsi dell’arma atomica. Un paradosso: bombardare con (mini)bombe nucleari un paese colpevole di volersi dotare di armi nucleari.
24/09/2012, 19:53