Un team internazionale di scienziati ha fatto una grande scoperta esaminando in dettaglio l'atmosfera di un'esopianeta lontano, delle dimensioni di Giove! I nuovi dati permettono ai ricercatori di avere indizi importanti riguardo a come questi pianeti si vengono a formare. "Si tratta dello spettro più nitido mai ottenuto della luce proveniente da un pianeta fuori dal Sistema Solare!" ha spiegato Bruce Macintosh, astronomo presso il Lawrence Livermore National Laboratory e co-autore della pubblicazione. "Questo mostra la potenza dell'ottenere immagini dirette dei sistemi planetari lontani. La straordinaria risoluzione che abbiamo ottenuto ci ha permesso di iniziare davvero a sondare temi come la formazione di questi pianeti."
Secondo Quinn Konopacky, autore principale della ricerca e astronomo presso l'Istituto Dunlap per l'Astronomia e Astrofisica, dell'Università di Toronto: "Siamo riusciti ad osservare in dettaglio senza precedenti questo esopianeta per via della nuova avanzatissima strumentazione montata sul Keck Observatory e grazie alle nuove tecniche di analisi ed elaborazione dei dati. A questo però va aggiungo che siamo stati fortunati anche per la struttura interna del sistema planetario in causa" La ricerca è stata pubblicata online il 14 Marzo, su Science Express ed il 21 Marzo sul giornale Science.
Lo strumento di cui parla Quinn è OSIRIS ed è stato montato sul telescopio Keck II,che si trova in cima al vulcano Mauna Kea, alle Hawaii. Questo strumento ha trovato nella luce del pianeta tracce di specifiche molecole che hanno svelato la presenza di un'atmosfera nuvolosa, ricca di vapore acqueo e monossido di carbonio. "Con questo livello di dettaglio possiamo comparare la quantità di carbonio con la quantità di ossigeno presente nell'atmosfera e questo mix può fornirci indizi su come si è venuto a formare questo sistema planetario." ha spiegato Travis Barman, astronomo del Lowell Observatory.
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60,25 KBUna delle immagini del sistema, ottenute dal telescopio Keck II, che mostra i pianeti e la luce proveniente da essi. Credit: NRC/HIA. C. Marois e Keck Observatory
Negli ultimi anni c'è stata molta incertezza riguardo a come i pianeti si formano in altri sistemi planetari, dato che abbiamo due modelli principali ognuno con i suoi pregi e difetti, e non sappiamo qual'è più probabile. Il primo si chiama "Core Accretion", cioè accrescimento nucleare; il secondo si chiamata "Gravitational Instability", cioè instabilità gravitazionale.
Quando le stelle si formano, sono circondate da vasti dischi di polvere e gas, dove si vengono a formare i pianeti. Nel primo scenario, i pianeti si formano gradualmente come nuclei solidi e poi crescono lentamente fino a diventare abbastanza grandi da assorbire gas dal disco. Nel secondo modello, i pianeti si formano quasi istantaneamente come parti del disco che collassa su se stesso per la sua forza di gravità, formando gigantesche palle di gas. Le proprietà planetarie, come la composizione atmosferica, sono indizi importanti per capire se un sistema si è formato secondo un modello o l'altro.
Anche se l'atmosfera del pianeta mostra chiari segni di vapore acqueo, l'impronta rilevata è molto più debole di quello che ci si aspettava se il pianeta avesse condiviso la composizione chimica con la propria stella. Invece, il pianeta ha un livello molto alto di carbonio rispetto all'ossigeno e questo è un segno che la sua formazione all'interno del disco di gas è durata decine di milioni di anni. Man mano che il gas si è raffreddato, granelli di ghiaccio si sono formati, isolando il gas di ossigeno che rimaneva. La formazione planetaria è iniziata quando il ghiaccio ed i solidi raccolti nei nuclei planetari hanno iniziato poi ad interagire, in maniera simile a come pensiamo sia successo nel nostro Sistema Solare.
"Una volta che i nuclei solidi sono cresciuti abbastanza, la loro gravità ha rapidamente attratto il gas circostante fino a diventare i pianeti massicci che vediamo oggi" ha spiegato Konopacky. "Dato che il gas aveva perso parte dell'ossigeno, il pianeta è finito con l'avere molto meno ossigeno e meno acqua rispetto a quello che avrebbe avuto attraverso un processo di crescita per instabilità gravitazionale."
Il pianeta è uno dei quattro giganti gassosi scoperti in orbita intorno ad una stella chiamata HR 8799, distante 130 anni luce da noi. Gli autori ed i loro collaboratori hanno precedentemente lavorato alla scoperta di questo pianeta in particolare, chiamato con la sigla HR 8799c, ma anche alle compagne scoperte tra il 2008 ed il 2010. Diversamente dalla maggior parte degli altri sistemi planetari, la cui presenza è inferita grazie agli effetti che generano sulla propria stella, i pianeti di HR8799 possono essere visti individualmente.
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43,51 KBImmagine della stella HR 8799, ottenuta dal telescopio spaziale ad infrarossi,Spitzer. Credit: NASA
"Possiamo ottenere immagini dirette dei pianeti intorno ad HR 8799 perché sono molto grandi, molto giovani e molto distanti dalla propria stella. Questo rende questo sistema un laboratorio eccellente per studiare le atmosfere esoplanetarie" ha spiegato Christian Marois, co-autore della ricerca ed astronomo del Consiglio Nazionale di Ricerca, del Canada. "Dalla sua scoperta, il sistema continua a sorprenderci."
Non vi immaginate però che ci possa essere vita su questo mondo. Anche se ci sono tracce di vapore acqueo, è molto più simile a Giove che alla Terra. Non ha alcuna superficie solida ed ha una temperatura di migliaia di gradi celsius, dato che brilla ancora intensamente dopo la sua iniziale formazione. Tuttavia, questa scoperta fornisce anche qualche utile indizio riguardo a come trovare pianeti simili alla Terra in altri sistemi. "Il fatto che i pianeti giganti del sistema HR 8799 potrebbero essersi format allo stesso modo in cui si sono formati i nostri pianeti giganti, è un ottimo segno, dato che grazie allo stesso processo, più vicino al Sole si trovano quindi i pianeti più piccoli e rocciosi." ha spiegato Macintosh.
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72,45 KBIl grafico mostra lo spettro di tutti e quattro i pianeti che orbitano intorno alla stella HR 8799. Sull'asse Y vedete la luminosità dei vari oggetti vs la luce misurata. I picchi e cali nel segnale sono dovuti alla presenza o assenza di certe molecole (indicate in alto). Credit: Project 1640
La ricerca è stata finanziata dal Laboratorio di Livermore che sta lavorando alla costruzione di un nuovo strumento all'avanguardia che sarà montato sul Gemini South Telescope, e servirà per ottenere immagini dettagliate degli esopianeti. Lo strumento, conosciuto come Gemini Planet Imager (GPI), è progettato per ottenere analisi spettroscopiche dirette della luce di esopianeti lontani, e fa parte di una generazione di nuovi strumenti simili che sono stati montati sia sui grandi telescopi dell'ESO e di Palomar. Questi insieme potranno presto aprire una nuova era nello studio degli esopianeti, in cui avremmo foto individuali di questi mondi e potremmo iniziare a raccontare la loro storia e la loro natura. "GPI è davvero il prossimo grande passo in questo campo" ha spiegato Macintosh, investigatore principale per il progetto. "Sarà almeno un ordine di magnitudo più sensibile di qualsiasi strumento a disposizione ora."
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20,71 KBImmagine diretta dei pianeti del sistema HR 8799. Credit: Keck II
Le simulazioni prevedono che indagini su larga scala con il GPI potrebbero portare alla scoperta di dozzine di nuovi esopianeti. Studiandoli a diverse fasi della loro evoluzione, il team di scienziati dietro il progetto spera di riuscire a capire qualcosa in più su come i pianeti si vengono a formare e come si evolvono verso una così grande diversità. Attualmente il GPI è in fase di test presso l'Università di Santa Cruz, e sarà spedito in Cile per essere montato sul telescopio alla fine di quest'anno.
https://www.llnl.gov/news/newsreleases/ ... 03-04.htmlhttp://www.link2universe.net/2013-03-21 ... ormazione/