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68,78 KBImmagine diretta dei pianeti nel sistema HR 8799, visti grazie allo spettrografo creato dal Project 1640. Credit: NASA/Project 1640
Lontani sono i giorni in cui i pianeti che conoscevamo erano così pochi da ricordarli persino a memoria. Oggi abbiamo oltre 800 pianeti confermati e oltre 2700 candidati da verificare. Ma sebbene il catalogo sia cresciuto incredibilmente, la nuova grande sfida è ora iniziare a conoscerli in dettaglio e analizzare le loro caratteristiche. Di cosa sono fatti questi esotici mondi? come sono costruiti? quanto sono diversi dai nostri pianeti del Sistema Solare? Sfortunatamente non è facile analizzarli da decine, centinaia o migliaia di anni luce, ma il progresso tecnologico insieme alla creazione di nuove avanzatissime tecniche ed algoritmi, sta permettendo agli scienziati di iniziare ad effettuare sempre più spesso analisi delle atmosfere di questi mondi e persino fotografarli spesso direttamente, catturando la luce che riflettono.
Riuscire a fotografare direttamente i pianeti è molto più importante di quanto può sembrare. I telescopi terrestri più potenti hanno iniziato ad avere una potenza tale da riuscire a scattare immagini della luce infrarossa rilasciata dai pianeti stessi, ottenendo anche stupendi ritratti famigliari di interi sistemi planetari visti da sopra. Ma per gli astronomi, quello che è fondamentale, e avere la possibilità di ricevere la luce riflessa dai pianeti. Questo perché esaminandola, si può dedurre molto sul tipo di atmosfera che l'ha composta. Questo si fa con uno spettrografo, che è uno strumento capace di analizzare lo spettro della luce, rivelando la composizione molecolare delle atmosfere che l'hanno riflessa.
A questo proposito la NASA, insieme ad altri istituti di ricerca, osservatori astronomici ed università, hanno dato vita al Project 1640. Recentemente, il progetto è arrivato ad un primo grandioso risultato con l'istallazione di un nuovo avanzatissimo spettrografo sul Palomar Observatory, di San Diego.
In una sola ora, siamo riusciti ad ottenere le informazioni precise riguardo alla composizione chimica dell'atmosfera di quattro pianeti intorno ad una stella incredibilmente luminosa." spiega Gautam Vasisht, del JPL, co-autore del nuovo studio che sarà pubblicato sulla rivista scientifica "Astrophysical Journal". "La stella è centinaia di migliaia di volte più luminosa dei pianeti intorno, così abbiamo sviluppato nuovi modi per togliere la luce della stella ed isolare soltanto la pallida luce che proviene dai pianeti."
Insieme a queste nuove tecniche di fotografia infrarossa con telescopi terrestri, sono in atto anche altre strategie per riuscire ad analizzare i pianeti giganti gassosi. Per esempio, Spitzer e Hubble, stanno lavorando insieme dall'orbita terrestre per monitorare i pianeti durante il loro passaggio davanti alle proprie stelle, e poi mentre spariscono dietro. Questo permette di osservare la luce che penetra attraverso l'atmosfera e arriva a noi. In futuro si potrà usare una simile strategia con il molto più potente James Webb Space Telescope, e studiare in grande dettaglio anche pianeti di poco più grandi della Terra.
In un nuovo studio, i ricercatori hanno esaminato una stella di nome HR 8799, intorno alla quale orbitano 4 pianeti conosciuti, molto rossi. Questi pianeti sono stati tra i primi ad essere mai fotografati direttamente intorno alla loro stella, grazie alle osservazioni fatte, nel 2008, con i telescopi Gemini e Keck, in cima al Mauna Kea, alle Hawaii. Il quarto pianeta, il più vicino alla propria stella ed il più difficile da osservare, è stato rivelato a sua volta in nuove immagini scattate dal telescopio Keck, nel 2010.
Già questa fu un'incredibile impresa, considerando che i pianeti sono sempre scoperti in maniera indiretta di regola, cercando di rilevare la loro presenza dal modo in cui diminuisce la luce della stella mentre passano davanti oppure rilevando come la loro gravità va muovere la stella.
Queste immagini però non erano abbastanza da fare analisi spettroscopiche sulla luce riflessa dai pianeti, tanto da capire che composizione chimica avessero. Ma grazie ai nuovi spettrografi molto più sensibili ed avanzati, è stato possibile farlo, ottenendo anche molta più luce dai pianeti, e bloccando ulteriormente quella della stella.
Il Project 1640 ha compiuto questo grazie ad una collezione di strumenti, che il team ha installato insieme sui telescopi a terra. La suite di strumenti include un coronografo per bloccare parte della luce stellare, un sistema di ottiche adattive avanzatissimo per compensare ai difetti indotti dall'atmosfera terrestre muovendo milioni di volte in pochissimo tempo due grandi specchi deformativi; l'immagine raccolta è fatta di 30 scatti in tutti i colori dell'arcobaleno, ripresi simultaneamente. Un nuovo sensore poi aggiusta gli specchi in modo da compensare per la luce stellar dispersa.
"E' un po' come cercare di scattare una singola immagine dell'Empire State Building da un aereo, per trovare una formica sul pavimento accanto." ha spiegato Ben R. Oppenheimer, autore principale del nuovo studio e curatore associato, oltre che capo del Dipartimento Astrofisico del Museo Americano di Storia Naturale, N.Y.
I loro risultati hanno svelato che tutti e quattro i pianeti, anche se hanno quasi la stessa temperatura media, hanno composizioni chimiche molto differenti. Alcune, inaspettatamente, non hanno metano nelle loro atmosfere, e potrebbero esserci tracce di ammoniaca e altri composti sorprendenti. Servirà ulteriore modellazione teorica per capire come potrebbe essere la chimica di questi mondi.
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66,43 KBQuesta serie di immagini mostra come viene creato il ritratto dettagliato di un sistema planetario. (i) il Telescopio viene puntato verso una stella. L'immagine mostra com'è fatta prima che vengano applicate correzioni. La macchia nera al centro è il coronografo che verrà poi applicato per bloccare la luce. (ii) le ottiche adattive compensano per la distorsione dell'atmosfera e l'immagine della stella è ora molto più nitida. L'esposizione è molto corta, di circa 1.5 secondi. (iii) La stella viene piazzata sotto una serie di ottiche di occultazione ed una lunga esposizione per filtrare la sua luce per bene. Esposizione di circa 5 minuti. La maggior parte della luce viene rimossa, ma rimangono ancora molte tracce, dovute ai difetti delle ottiche stesse. (iv) la calibrazione dello spettrografo permette di eliminare parte dei difetti, ed una serie di più lunghe esposizioni da 1.25 ore, permettono di assemblare poi i dati in modo da ottenere l'immagine della luce dei pianeti stessi. Non resta poi che estrarre lo spettro della luce. Credit: Project 1640
Nel frattempo, la sfida sarà quella di ottenere sempre migliori immagini e spettri della luce dei pianeti. Altri riceercatori hanno usato il telescopio Keck ed il telescopio LBT (Large Binocular Telescope), per studiare l'emissione di pianeti individuali nel sistema HR8799. Il prossimo passo sarà scoprire altri pianeti su cui indagare per svelare i loro segreti chimici. Diversi dei più grandi telescopi terrestri si stanno attrezzando per andare a caccia: Keck, Gemini, Palomar e Subaru, sono tra i più all'avanguardia in questo.
Idealmente, i ricercatori sperano di arrivare a trovare pianeti abbastanza giovani da avere ancora il calore della loro formazione e quindi essere molto più brillanti negli infrarossi, e più visibili per gli spettrografi. Vogliono anche riuscire a trovare pianeti che sono lontani dalle loro stelle e quindi fuori dalla luce inondante. Il telescopio WISE, della ANSA, ed il GALEX, della NASA e Caltech, hanno aiutato gli astronomi a trovare i migliori candidati in questo senso e ora può partire la ricerca.
"Stiamo cercando pianeti super-Gioviani che si trovano lontano dalla propria stella", spiega Vasisht. "Man mano che la nostra tecnica migliorerà, speriamo di riuscire ad acquisire anche dettagli nuovi sulla composizione molecolare delle atmosfere anche di pianeti gassosi anche un po' più vecchi"
Il James Webb Space Telescope cambierà molto le carte in tavola, riuscendo anche ad osservare pianeti più piccoli come Saturno, molto più in dettaglio. "Attualmente, dal punto di vista tecnologico, i pianeti rocciosi della grandezza della Terra, sono troppo piccoli e vicini alla propria stella per essere osservati, e lo saranno anche per il James Webb Space Telescope, Per arrivare a quei livelli, serviranno una futura missione simili alla proposta del "TPF" Terrestrial Planet Finder" ha spiegato Charles Beichman, co-autore della pubblicazione dei risultati del progetto P1640.
Anche se si tratta di pianeti gassosi giganti non ospitali per la vita, gli attuali studi stanno dando agli astronomi l'occasione di capire qualcosa di nuovo sulla formazione dei sistemi planetari, e quindi anche dei pianeti terrestri come il nostro. Inoltre permette loro di fare pratica e migliorare le tecnologie e gli algoritmi a disposizione, in vista del futuro impiego di queste tecniche per la scoperta e l'esame di pianeti più piccoli.
"I pianeti giganti esterni segnano radicalmente il destino dei pianeti rocciosi interni come la Terra. I giganti possono migrare nella loro storia, avvicinandosi molto alle proprie stelle, ed in questo processo possono lanciare pianeti terrestri fuori dal sistema o distruggerli interamente. Quelli che esaminiamo sono pianeti gioviani caldi, prima che inizino la loro migrazione, sperando di capire come e perché lo fanno e quindi determinando qualcosa in più sul destino dei pianeti interni." ha spiegato Vasisht.
http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2013-157da link2universe