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 Oggetto del messaggio: Così ha fatto i soldi Berlusconi
MessaggioInviato: 02/08/2013, 23:00 
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http://www.dhyan.it/berlusconi.asp#comesoldi




Aumenti di capitale in contanti. Miliardi senza padrone. Partite di giro. Tra il 1977 e il 1985. Gli esperti di Bankitalia scavano per la prima volta alle radici della Fininvest. E scoprono addirittura che, per le banche, le holding del cavaliere erano semplici negozi da parrucchiere. Viaggio nei segreti dell'uomo più ricco d'Italia. Tra prestanome con ictus e microfilm bruciati di Francesco Bonazzi e Peter Gomez.


Eccola, la vera storia della nascita dell'impero Fininvest. riassunta in un rapporto di 120 pagine firmato dai tecnici della Banca d'Italia. Un documento per molti versi esplosivo, intitolato "Prima nota informativa sui flussi finanziari delle società denominate Holding Italiana dalla prima alla ventiduesima", arrivato nelle mani dei magistrati di Palermo nell'aprile del 1999.


Ma che solo nella seconda metà del luglio di quest'anno è stato depositato agli atti del processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro Marcello Dell'Utri. È la storia di un uomo riuscito, in quattro anni, a creare un moloch multimediale: Silvio Berlusconi. Facendo lo slalom tra prestanome, fiduciarie e tanti soldi in contanti. Con l'aggiunta di un tocco di genio della Popolare di Lodi, che nel 1991 scheda le Holding del Cavaliere, ovvero le società che controllano la Fininvest, alla voce «servizi di parrucchieri ed istituti di bellezza».

La relazione commissionata dai pm di Palermo nell'ambito di un'inchiesta per riciclaggio, poi archiviata all'inizio di quest'anno, chiarisce molti interrogativi sull'origine delle fortune del Cavaliere, ma lascia spazio ancora a tante domande. Misteri che Silvio Berlusconi, lanciato verso la riconquista di Palazzo Chigi, avrà comunque modo di sciogliere definitivamente in autunno. Perché già all'inizio del processo contro Dell'Utri sia la difesa che l'accusa avevano chiesto la sua testimonianza.


NON APRITE QUELLA PORTA



L'inchiesta inizia con un colpo di scena nel giugno del 1998, quando uomini della Direzione Investigativa Antimafia bussano alle porte della Lodi per tentare di ricostruire i movimenti sui conti delle Holding. La Popolare di Lodi è l'istituto che nel 1991 ha incorporato la Banca Rasini.


Il crocevia dal quale sono passati buona parte dei primi soldi del Cavaliere e dove suo padre Luigi è stato per vent'anni l'uomo di fiducia della proprietà. Eppure, negli uffici della Lodi, quando gli ispettori chiedono notizie delle Holding, si sentono rispondere: «Quelle società non figurano tra i nostri clienti».


Ma non è vero. Le Holding Italiana ci sono eccome. Solo che una mano burlona le ha censite come saloni di bellezza. I dipendenti in pensione della Rasini svelano agli investigatori che al quarto piano dell'agenzia milanese di Piazza dei Mercanti c'è un archivio dimenticato: i microfilm dei conti delle Holding stanno lì. A settembre del '98, gli investigatori si lamentano con l'ufficio legale della Lodi.


E la banca fa marcia indietro: «Scusate, c'è stato un errore, abbiamo cambiato i computer e fatto qualche confusione nel censimento». I magistrati segnalano il comportamento della Popolare alla Banca d'Italia.



UN SUPERQUIZ DA 500 MILIARDI



Tra le pagine del rapporto si rincorrono miliardi a palate. Denaro che cade a pioggia, a volte in contanti a volte con assegni circolari, per pompare liquidità nelle casse del Biscione: almeno 200 miliardi transitati sui conti delle 22 Holding tra il 1977 e il 1985, seguendo giri tortuosi. Talmente tortuosi che di ben 114 miliardi (502 di oggi), i tecnici di Bankitalia non riescono a ricostruire l'esatta provenienza.


La maggioranza delle operazioni viene eseguita formalmente da due fiduciarie della Bnl, la Saf e la Servizio Italia, che operano "franco valuta". Ovvero, lasciano che i vari aumenti di capitale che la Fininvest nel corso degli anni ha eseguito attraverso le Holding vengano portati a termine dai fiducianti (Berlusconi e famiglia), senza pretendere copie dei bonifici e degli assegni.


Una pratica che lascia «perplessi» anche gli ispettori Bnl inviati nel 1994 a spulciare i conti delle fiduciarie.
Formidabili quegli anni. Ma anche se mancano molte pezze contabili, un fatto è certo. Dal punto di vista finanziario, lo spartiacque tra il Berlusconi palazzinaro e il Berlusconi tycoon televisivo cade il 6 aprile del 1977. Quel giorno, la Fininvest srl aumenta il capitale da 2,5 a 10,5 miliardi.


L'operazione, secondo gli esperti di Bankitalia, ha almeno due aspetti misteriosi: gli otto miliardi dell'aumento (44 miliardi al valore odierno) vengono versati in contanti e «al momento non si conosce la provenienza della somma». Il 2 dicembre, nelle casse della Fininvest srl arrivano altri 16,4 miliardi (90,8 di oggi) come «finanziamento soci». E pure in questo caso la documentazione bancaria acquisita non registra la provenienza dei fondi. Erano in contanti? E se invece erano assegni, da dove arrivava la provvista?


Questo enorme sforzo finanziario accompagna l'esplosione pubblica di Berlusconi. Proprio nel 1977, Silvio viene nominato cavaliere, compra un primo 12 per cento del "Giornale" di Montanelli e comincia a credere davvero nelle tv. Il capitale di Telemilano, che per quattro anni si era limitata a trasmettere via cavo a Milano 2, sale a mezzo miliardo. E a fine anno, Silvio arriva settimo nella classifica dei contribuenti milanesi, con 304 milioni di reddito.



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IL MIRACOLO DI SANT'AMBROGIO



Ma l'operazione che meglio riassume la raffinatezza finanziaria del cavaliere va in scena il 7 dicembre del 1978, festa di Sant'Ambrogio, quasi in contemporanea con il "Simon Boccanegra" diretto da Claudio Abbado che quell'anno apre la stagione della Scala.



Mentre dal loggione piovono gli applausi per la regia di Strehler, sui conti delle Holding e delle fiduciarie del cavaliere nella filiale di Segrate della Popolare di Abbiategrasso sembrano piovere dal nulla 17,98 miliardi (88 di oggi). Il denaro si attorciglia lungo otto giroconti (vedi illustrazione a pag. 47). Ufficialmente, il valzer parte da Fininvest Srl e finisce nelle casse di Fininvest Roma, una scatola vuota amministrata da Umberto Previti, il padre di Cesare.


Il malloppo corre all'impazzata entrando e uscendo dai conti Saf, dopo un giro contabile tra Silvio e lo zio Luigi Foscale. E già che c'è, passa pure tra le Holding 1-19 all'apparente scopo di finire nella controllata Fininvest Roma srl.


Gli esperti di Bankitalia non sono riusciti a trovare il primo e l'ultimo anello della catena. Nel rapporto, le caselle "primo ordinante" e "ultimo beneficiario" vengono riempite con «XXXXXX soggetto da identificare». Come non bastasse, unico caso tra la documentazione esaminata, parte dei microfilm delle operazioni di dicembre vanno in fumo. Nella relazione si legge a pagina 16: «La banca dichiara di aver disponibili gli estratti conto delle Holding per il dicembre 1978 limitatamente a talune Holding, infatti per 13 di esse la pellicola microfilmata risulta essersi bruciata».



L'intera operazione ha due effetti importanti. Capitalizza le Holding che, con le banche, possono garantire la solidità di Fininvest e chiarire che il vero proprietario è Silvio Berlusconi, sia pure al riparo delle fiduciarie. Ma agli occhi indiscreti, ergono una vera e propria barriera di riservatezza. Il tutto, proprio nel momento in cui l'impegno nel settore televisivo aumenta di peso con l'inizio delle trasmissioni di Telemilano 58, la "mamma" di Canale 5. Anche se quel 1978 era iniziato all'insegna della segretezza, con l'iscrizione del Cavaliere alla Loggia P2 di Licio Gelli.



La Palina impazzita. Per far crescere le tv private servono sempre più capitali, difficili da reperire in un periodo di crisi immobiliare. Negli ultimi due mesi del '79, Silvio Berlusconi sembra però trovare la soluzione.
Il 19 ottobre, tramite dei prestanome, Sua Emittenza fonda una srl di nome Palina. È una società che assomiglia a una siringa monouso: vivrà solo sette mesi, concludendo un'unica operazione. Il 14 dicembre del '79, la Palina fa girare sul proprio conto corrente, aperto nella sede milanese della Popolare di Abbiategrasso, la bellezza di 27,68 miliardi (117 di oggi).


Si comincia con Palina che bonifica la somma alla Saf che, a sua volta, gira i 27 miliardi e rotti alle Holding Italiana 1-5 e 18-23. Scrivono gli esperti di Bankitalia: «L'accredito Palina veniva specificatamente autorizzato dal fiduciante Silvio Berlusconi, probabilmente in considerazione dell'atipicità dell'operazione».


Fatto sta che le Holding a loro volta accreditano immediatamente la somma sui conti della Fininvest, che la storna a Milano 3 srl (altra società del gruppo). Quest'ultima, a sorpresa, restituisce il tutto a Palina. L'operazione viene giudicata «priva di qualsiasi giustificazione contabile e amministrativa». Ci sono dunque 27, 68 miliardi senza un padrone? O forse la mitica Palina quei soldi non li ha mai visti?
Amilcare Ardigò, il commercialista presso la quale era domiciliata la Palina, dichiara alla Dia: «Non ho mai avuto notizia del transito di quei soldi».


E spiega come la Palina non abbia mai avuto un solo documento contabile. Del resto, ad amministrarla era un settantacinquenne colpito da ictus, tale Enrico Porrà, che proprio Ardigò accompagnava in carrozzella alle assemblee. Per questo, ora il professionista si sorprende di fronte a quei 27 miliardi : «Non ho mai accompagnato in banca Porrà, un prestanome di Berlusconi, per il perfezionamento di operazioni relative a quella società».



Passano dieci giorni e tra il 24 e il 31 dicembre dello stesso anno la Fininvest riceve altri 25 miliardi dalle Holding. Anche qui i funzionari di Banca D'Italia tentano di ricostruire l'origine della maxiprovvista, ma trovano traccia solo di un versamento da 4,3 miliardi effettuato da Berlusconi in persona. E gli altri venti? Un regalo natalizio a chiudere un '79 da incorniciare?


Nell'aprile di quell'anno, Berlusconi inizia a costruire Milano 3, e a settembre eccolo che crea con 4 miliardi la Cofint, compagnia finanziaria televisiva. Il 3 ottobre nasce una delle sue figliole predilette, la concessionaria Publitalia 80, con una dote di 3 miliardi. Passano pochi giorni e il mitico Mike Bongiorno presenta "I sogni nel cassetto" dagli studi di Canale 5.




LE BANCHE AI PIEDI DI RE SILVIO




La girandola dei miliardi "franco valuta" continua nei primi anni Ottanta, anche se il più è fatto. Tra il marzo del 1981 e il maggio del 1984, le varie Holding ricevono oltre 12 miliardi, tutti rigorosamente di provenienza ignota. È vero però che il boom televisivo di Berlusconi è sotto gli occhi di tutti, tanto che a luglio del 1980 il cavaliere dichiara di aver investito già 40 miliardi nel nuovo
business mediatico.


Sono gli anni ruggenti dell'amico Bettino Craxi, che dall'agosto del 1983 diventa primo ministro e guida la nazione con piglio deciso. Come d'incanto, le pricipali banche italiane fanno la fila per prestare soldi all'amico di Bettino. Dalla Centrale Rischi di Banca d'Italia, si vede che fino al 1984 il gruppo Fininvest lavorava con la Popolare di Novara, la Bnl e il Monte dei Paschi di Siena.



Ma dal 1985 al 1987, Berlusconi ottiene decine di miliardi anche da Cariplo, Comit, Banca di Roma e Credito Italiano. Nulla di sorprendente: la Fininvest è ormai un colosso. Quello che stupisce è invece il duro giudizio espresso da alcuni uffici fidi. Sintomatico il caso di Efibanca, la banca d'affari del gruppo Bnl, che tra il 1982 e il 1993 presta alle società di Berlusconi ben 295 miliardi. Nel rapporto dei funzionari di Banca d'Italia, si assegna grande rilevanza al primo finanziamento da 10 miliardi concesso nel 1982 alla Cofint.


Il giudizio iniziale dell'ufficio fidi di Efibanca parla «di situazione consolidata alquanto provata», che al 31 dicembre 1980 «evidenzia mezzi propri per circa 16 miliardi, contro debiti per 31». Ma a giugno, i 10 miliardi vengono puntualmente concessi. Tre anni dopo, in una relazione preparata in occasione della modifica delle garanzie offerte al primo finanziamento Cofint, i responsabili dell'ufficio fidi di Efibanca parlano di «struttura patrimoniale indebolita» e notano come a fronte di debiti certificati da Arthur Andersen nel 1983 pari a 840 miliardi, vi siano «solo notizie di stampa secondo cui il fatturato del gruppo oscillerebbe tra i 1.000 e 1.200 miliardi, senza nessun riferimento al risultato reddituale conseguito».


Con una relazione di questo tono, la bocciatura dei nuovi finanziamenti sembra scontata. E invece, in margine al documento, la Dia troverà «un appunto con sigla non appurata: "relazione non esatta nella sua impostazione"».


MA QUANTI PREVITI



A Efibanca, insomma, Berlusconi ha più di un santo in paradiso. Tra i consulenti dell'istituto figurano pure l'avvocato Cesare Previti e la società Sirea (Società italiana revisione aziendale) amministrata, tra gli altri, dall'ingegner Giuseppe Previti.


Cesare e Giuseppe sono figli del commercialista Umberto, amministratore unico della Fininvest sin dalla fondazione. Ma non basta. Efibanca rinuncia ben presto a chiedere ipoteche per i finanziamenti al gruppo Fininvest.


Scelte sulle quali il collegio sindacale dell'istituto avrebbe potuto anche sollevare qualche dubbio. E invece va tutto bene. Del resto, anche tra i sindaci non mancavano i doppi incarichi. Antonio Berton, sindaco dal 1984 al 1994 di Bnl holding, nello stesso periodo era anche titolare della Fiduciaria Padana, un altro schermo societario utilizzato dal cavaliere per i suoi misteriosi aumenti di capitale.


Sempre Berton viene nominato liquidatore della berlusconiana Cofint. Nello scorso autunno, pure la generosa Efibanca viene rilevata dalla solita Popolare di Lodi. Una storia a lieto fine. In attesa che un errore dei computer trasformi anche loro, i grigi ragionieri dell'ufficio fidi, in abili coiffeur.


Ultima modifica di barionu il 02/08/2013, 23:06, modificato 1 volta in totale.


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"Così ha fatto i soldi Berlusconi "

bene e meglio di de benedetti ... E lavora un sacco di gente.[^]



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Ne lavora poca vuoi dire guardando le cifre



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barionu ha scritto:



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hahahahaha fantastico [:o)]


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sanje ha scritto:

Ne lavora poca vuoi dire guardando le cifre
Infatti ma se uno non ha mai lavorato ovvio non le calcola queste cose [|)]

Questa tua osservazione è la stessa che ha fatto un noto e stimato commercialista della mie zone [|)]


Ultima modifica di Ronin77 il 05/08/2013, 14:39, modificato 1 volta in totale.

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Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

"Così ha fatto i soldi Berlusconi "

bene e meglio di de benedetti ... E lavora un sacco di gente. [^]


[:264]certo chi ha fatto denaro a quel livello di certo non e' andato a lavorare timbrando il badge nella mattinata ed all'uscita serale......ma cio' e' genaralizzato....... [;)]


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Comunque, ne ha fatti tanti, ne dichiara tanti e fa lavorare TANTI! [;)]



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Ho idea che nessuno abbia letto con attenzione il post iniziale .


zio ot



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(Tanto comunque si sa che ce l'avete a priori tutti con il "nano" ... Se il vostro odio per quell'uomo fosse energia avremmo gratis l'elettricità ...) [:D]



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MessaggioInviato: 05/08/2013, 21:20 
Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

(Tanto comunque si sa che ce l'avete a priori tutti con il "nano" ... Se il vostro odio per quell'uomo fosse energia avremmo gratis l'elettricità ...) [:D]
Dimmi come posso fare!

Se mi togliessi il peso anche solo della luce sarebbe un pacchia [:o)]

Cmq ufò non è odio,ma come ogni cittadino onesto che paga le tasse si pretende di essere rappresentati oltre che da persone capaci anche decenti che siano di destra e sinistra ecc...

Non puoi ragionare col"paga tante tasse e fa lavorare tanta gente quindi anche se truffa lui può"

Vorrei che tu ripetessi queste frasi davanti ad un gruppo di imprenditori che hanno sempre amministrato in modo legale le proprie aziende ed ora si trovano alla canna del gas.

Sicuro saresti linciato.

Ti avevo gia scritto da qualche parte che io non ho uno schieramento fisso(ma non voglio uno schieramento fesso),se un giorno si formasse una coalizione di destra moderata con programmi utili e guidata da persone credibili io potrei tranquillamente dare il voto a destra e lo direi anche apertamente.


Ultima modifica di Ronin77 il 05/08/2013, 21:22, modificato 1 volta in totale.

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ma non puoi affermare che il nano ha empre e solo truffato ... E' una vaccata (penso invece a De Benedetti, che è anche COGNATO di ... Monti! Ecco spiegate un sacco di cose ..Altroché il nano!) [;)]



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Eccolo qui, tièh! [;)]



De Benedetti, il doppiopesismo dei giudici. Evade e paga solo una multa. Mentre il Cav viene pure interdetto

Sanzione di 225 milioni per il Gruppo Espresso e per l'ingegnere solo un procedimento tributario

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C'è una sentenza che riguarda il Carlo De Benedetti e il Gruppo Espresso multato di 225 milioni per plusvalenze e una condanna che riguarda Silvio Berlusconi e i diritti Mediaset. Due vicende simili, due sentenze aspramente criticate dai due diretti interessati, De Benedetti e il Cavaliere, appunto, che sono però state trattate in maniera esattamente opposta dai giudici e dai giornali.
Un doppiopesismo giudiziario, scrive oggi il Giornale, testimoniato dai fatti. Vediamoli: nel 2012 la Commissione tributaria regionale di Roma ha condannato il Gruppo Espresso a pagare 225 milioni di euro, il totale delle imposte non pagate nel 1991 all'epoca della fusione dell'editoriale La Repubblica in vista della sua quotazione in borsa. I pagamenti sono però stati congelati perché un'altra sezione della Commissione tributaria ha poi accolto la richiesta di sospensione della riscossione avanzata dal Gruppo.
Insomma, De Benedetti avrebbe ottenuto un enorme vantaggio fiscale da una serie di operazioni societarie realizzando un'elusione fiscale da 234 milioni. Un illecito tributario non un reato penale perché la questione penale si era risolta anni fa con l'assoluzione di tutti gli imputati "perché il fatto non sussiste". Sulla maxi multa il Gruppo Espresso ha parlato di "sentenza manifestatamente infondata oltreché palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di diritto e di merito". Addirittura, conclude il Giornale, la legale dell'Espresso Livia Salvini parla di "abnormità di pronunce che pretendono di disconoscere i vantaggi fiscali", ovvero lo stesso rilievo dei ricorsi di Coppi e Ghedini sulla vicenda dei diritti Mediaset che però non si è risolta con una multa per gli amministratori della società ma in una condanna penale con interdizione dai pubblici uffici per l'azionista.

http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... detto.html


De Benedetti, il diversamente evasore
Il gruppo Espresso multato di 225 milioni per plusvalenze. Ma per l'Ingegnere solo un procedimento tributario



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di Paolo Bracalini

Il giudice non ha voluto riconoscere la legittimità di una operazione societaria che comportava un vantaggio fiscale per l'Espresso, vedendoci una forma di evasione fiscale. Ma la vicenda si è risolta in un procedimento tributario per gli amministratori, non in una condanna penale per un'azionista


http://www.ilgiornale.it/


Il più amato dalla sinistra ...! [:o)]
Questa sì che è una personcina a modo!


Ultima modifica di Ufologo 555 il 06/08/2013, 11:57, modificato 1 volta in totale.


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GRANDE! [:D]


Trent’anni fa licenziava 11mila dipendenti pubblici

Quanto ci manchi Ronald



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Era l'agosto del 1981: Reagan non cedeva al ricatto dei controllori di volo, che chiedevano aumenti folli, e li mandava a casa. È la politica che dovremmo fare oggi, contro la spesa, la burocrazia e l'assistenzialismo.

di Carlo Lottieri

reaganUno dei principali e più inquietanti problemi della nostra economia è la disoccupazione. Una massa crescente di italiani (oltre il 12%, ormai) non ha un impiego e questa percentuale sfiora ormai il 40% tra quanti hanno meno di 25 anni. Sono numeri inquietanti, dietro ai quali vi sono frustrazioni, sofferenze, drammi familiari. Cosa si può e si deve fare per iniziare a porre rimedio a ciò? Ovviamente un Paese disastrato quale è l’Italia ha bisogno tanti cambiamenti. Ma anche se può sembrare provocatorio e certamente contro-intuivo, chi intenda affrontare seriamente il problema del lavoro che manca dovrebbe avere il coraggio di prendere a esempio Ronald Reagan, che esattamente trentadue anni fa (il 5 agosto del 1981) licenziò in un colpo solo ben 11 mila controllori di volo. Con un’unica decisione, il presidente Usa seppe mettere in discussione molti tabù e favorì la ripresa economica degli anni Ottanta.

Quel licenziamento nasceva da un braccio di ferro. I controllori di volo, consapevoli del carattere assai peculiare del proprio lavoro, avevano ripetutamente ricattato l’amministrazione federale. In quel momento pretendevano un aumento di circa 10 mila dollari, che era molto lontano da quanto l’agenzia di Stato incaricata di gestire quel servizio era in condizione di dare. Richiamandosi alle leggi in vigore, Reagan minacciò di licenziamento i controllori di volo e quando questi ultimi si dimostrarono inflessibili, li mise sulla strada. Per la prima volta dopo tanti anni, veniva direttamente sfidato – e sconfitto – il ricatto di quei piccoli gruppi che, consapevoli dell’importanza della loro attività, erano ormai abituati a tiranneggiare popolazioni anche molto ampie. Reagan prese le difese delle imprese che avevano bisogno di usare i trasporti aerei, dei turisti che si spostavano da una parte all’altra degli Stati Uniti, dei consumatori bisognosi di disporre di questo o quel prodotto. Egli mostrò quanto il sindacato possa essere nemico dei diritti fondamentali, oltre che degli interessi diffusi. Lo sfidò pubblicamente e riuscì a sconfiggerlo grazie a un vasto sostegno popolare. Ma in quella circostanza mise anche in discussione l’idea che un posto pubblico è per sempre. Non fu una cosa semplice, ma utilizzando 3 mila supervisori, 2 mila controllori non scioperanti e altri 900 militari, in poche ore il sistema poté rimettersi in moto anche senza chi pretendeva di ricattare un’intera nazione di 300 milioni di persone.

sprecoOggi, in questo nostro Paese che declina giorno dopo giorno, avremmo davvero bisogno di politici analogamente determinati e di scelte egualmente radicali: che facciano saltare per aria i troppi parassitismi che ingabbiano l’economia e gli innumerevoli monopoli che – come 32 anni fa nell’America reaganiana – impediscono di fare, crescere, competere, essere creativi. Può sembrare un paradosso, ma nell’Italia di oggi – esattamente come negli Usa di tanti anni fa – per creare opportunità, ricchezza e posti di lavoro bisognerebbe iniziare a licenziare. Un posto e un lavoro non sono affatto la stessa cosa. Un’occupazione entro un’amministrazione finanziata dai contribuenti non è paragonabile a un’attività nel libero mercato, che resiste perché sa soddisfare una domanda e risponde alle esigenze dei consumatori. Per uscire dalla crisi, c’è allora bisogno di ridurre il numero dei “posti” allo scopo di aumentare quello dei “lavori”. Soprattutto a Roma e nel Mezzogiorno, ma anche nel resto del Paese (sebbene con un’intensità inferiore), c’è un largo numero di persone che riceve uno stipendio pubblico senza svolgere servizi di autentica utilità. Per sconfiggere il male non tanto oscuro che sta uccidendo l’economia, c’è allora bisogno di meno spesa, meno funzionari statali, meno burocrazia. Se il premier Enrico Letta licenziasse 11 mila burocrati questo non basterebbe, certo, ma sarebbe comunque un buon inizio.

http://www.lintraprendente.it/2013/08/t ... hi-ronald/

Questo avrebbe dovuto fare il berlusca ep rima di tutto via fini e casini ... [:(!]



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Immagine Operatore Radar Difesa Aerea (1962 - 1996)
U.F.O. "Astronavi da altri Mondi?" - (Opinioni personali e avvenimenti accaduti nel passato): viewtopic.php?p=363955#p363955
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