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MessaggioInviato: 12/08/2013, 16:08 
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Atlanticus81 ha scritto:

Avete voglia di aiutarmi a tirare le fila di questa mini ricerca sui "Rossi"?

Atlantidei... Elohim... Neanderthal...

[8D]


Cita:
Coloro che invece sarebbero più strettamente imparentati con gli Atlantidei, a tal punto da esserne i diretti discendenti, sarebbero invece i Baschi, i Berberi del Marocco, i Tuareg, l’estinto popolo dei Guanci delle isole Canarie, (gli unici discendenti “puri”, che conservarono le originarie caratteristiche cromagnoidi, a sentire gli antropologi) gli antichi Libici (che gli Egiziani descrivevano come bianchi, dai capelli rossi e dagli occhi azzurri) e la misteriosa civiltà della perduta città di Tartesso in Spagna, che, da quel che si ricava dal mito di Platone, avrebbe dovuto essere addirittura uno dei dieci regni dell’impero di Atlantide.
Fonte:http://zaro41.wordpress.com/2010/04/13/alla-ricerca-di-atlantide-2/


Cita:
I baschi sono unici per purezza di sangue: tra loro si riscontrano i livelli più elevati nel mondo di sangue Rh 0-negativo e i più bassi di tipo B.

Ora, ciò che Cayce aveva suggerito è che alcune delle persone che erano scampate al disastro di Atlantide, erano fuggite verso ovest dove si erano stabilite e erano divenute gli Irochesi. Altri erano fuggiti verso est, fino alla penisola iberica poi i Pirenei (baschi), e la costa occidentale del Nord Africa, poi i monti Atlas (berberi). Inutile dire che, per quanto riguarda i berberi, troviamo ancora un altro gruppo che contiene la più alta frequenza di aplogruppo X nel mondo.E ‘una coincidenza che questi popoli diversi in comune un lignaggio mtDNA molto raro?
Fonte:http://zaro41.wordpress.com/2011/01/22/atlantide-il-sangue-il-dna-e-ancora-cayce-3/


Cita:
Negli ultimi anni la ricerca genetica ha prodotto risultati inaspettati, che hanno aperto le porte a molti misteri storici inaspettati. I risultati a sorpresa hanno anche provocato polemiche non volute. L’analisi genetica è iniziata per tentare di vedere ciò che i geni umani possono rivelare della nostra storia complessa, misteriosa e spesso controversa. Ad esempio, gli antropologi e gli storici hanno a lungo pensato che l’America sia stata popolata da popolazioni asiatiche, che hanno attraversato un ponte di terra che collegava l’Asia e il Nord America durante l’ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa. Una teoria nota come Bering Strait Crossing theory (la teoria dello Stretto di Bering).

Le analisi genetiche su campioni di DNA dei nativi americani iniziarono nel 1980. Tuttavia, gli sforzi in questa ricerca ebbero una forte accelerazione nel 1990, a causa del rapido progresso tecnologico in campo genetico. In effetti, i primi risultati confermano la teoria generalmente accettata, che mostra un chiaro legame tra i nativi americani e i campioni di DNA raccolti da popolazioni autoctone nella Siberia-Asia. Tuttavia, studi ulteriori hanno rivelato che il modello migratorio era stato più complesso di quello che l’antropologo aveva immaginato all’inizio.

Cosa sono i mitocondri e che ruolo giocano in questa ricerca

Wikipedia: In genetica si definisce aplogruppo un insieme di aplotipi tra loro differenti, tutti però originati dallo stesso aplotipo ancestrale. Per questo, per quanto differenti, tutti gli aplotipi di un aplogruppo presentano mutazioni presenti nella forma ancestrale, più ulteriori polimorfismi che invece li rendono specifici e differenti tra di loro.

Nel campo della genetica umana, gli aplogruppi del DNA mitocondriale sono raggruppamenti di mutazioni (aplotipi) definiti dalle differenze tra un totale di 16569 paia di basi nel DNA del mitocondrio umano e questi gruppi rappresentano geneticamente l’eredità per relazione di parentela matrilineare di tutte le popolazioni umane, le loro origini ed i processi migratori.

Lo studio degli aplogruppi ha fornito risultati particolarmente significativi: le migrazioni dell’uomo parlano di un’origine nel Africa orientale e in base all’assunto che un individuo erediti i mitocondri solo dalla propria madre, implica che tutti gli esseri umani abbiano una linea di discendenza femminile che deriva da una donna che i ricercatori hanno soprannominato Eva mitocondriale, circa 190.000 anni fa.

Il DNA di Atlantide

(Circa quest’ultima teoria, c’è da dire che oggi non tutti gli antropologi concordino al 100%).

Prima di procedere dobbiamo brevemente chiarire che cosa è il mtDNA. Ci sono due tipi di materiale genetico utilizzato per le analisi: il DNA cellulare e il mtDNA o DNA mitocondriale. Quest’ultimo si trova nei mitocondri umani che sono degli organelli che si trovano al di fuori del nucleo delle cellule ed è trasmesso solo attraverso la via matrilineare, cioè a partire dalle madri. Quindi mtDNA è l’acronimo di DNA materno. Questo tipo è più semplice del DNA cellulare e si evolve più velocemente, quindi è usato per distinguere i gruppi umani che si sono evoluti in zone geografiche distinte.

Ritorniamo al tema iniziale. I primi risultati avevano mostrato che le tribù native americane erano composte daquattro aplogruppi mtDNA distinti: A, B, C e D che rappresentano quattro diversi lignaggi per via materna. Queste quattro linee sono presenti in tutto il Nord, Centro e Sud America. Tuttavia, solo tre di essi, i lignaggi A, C e D sono stati scoperti nelle popolazioni siberiano-asiatico. L’aplogruppo B era riconducibile a gruppi di popolazione aborigena nel Sudest asiatico, Cina, Giappone, Melanesia e Polinesia.

In termini storici, ciò significa che i campioni del DNA mitocondriale parlano di un modello di migrazione molto più eterogeneo e complesso e che comprende popolazioni arrivate in America per via mare. ThorHeyerdahl aveva ipotizzato che questo fosse possibile, grazie alla sua Kon Tiki di giunchi con il quale aveva attraversato l’Oceano Pacifico salpando dal Perù.

Il fatto è che i dati genetici dimostrano che gli eventi migratori abbiano avuto luogo molto prima di quanto si pensasse.
Una migrazione di oltre 20.000 anni fa

Gli antropologi, archeologi e storici hanno iniziato ad ipotizzare che le migrazioni abbiano avuto luogo almeno 20.000 anni fa con una prima ondata di migrazione compresa addirittura tra i 38.000 e i 50.000 anni fa. Questa scoperta ha fatto sollevare le sopracciglia a molti antropologi della comunità ortodossa. Tuttavia, negli ultimi anni il test del radiocarbonio di materiali provenienti dal Sud America, in California e negli Stati Uniti del sud-ovest ha confermato queste date.

I ricercatori genetici stabilito che il 96% dei Nativi Americani cade in uno dei quattro aplogruppi A e D, ma mentre questi tipi di mtDNA sono stati trovati anche in Asia, essi non sono presenti in Europa o in Africa. Questo indica anche che l’Asia era la regione più ancestrale della tribù di nativi americani.

Poi nel 1997 un altro lignaggio è stato scoperto, che i genetisti chiamato X. Questa scoperta ha acceso una tempesta di polemiche che ancora non si è placata. L’aplogruppo X ha bisogno di un’attenta e profonda analisi storica, perché questo gruppo può anche contenere una delle chiavi più importanti per svelare i segreti del nostro passato collettivo.

Circa il 4 per cento dei nativi americani, dall’Alaska alla punta del Sud America, non rientrano in uno dei quattro principali aplogruppi. Gli scienziati presumevano che questi lignaggi di minoranza provenissero da interazioni con i gruppi europei e africani fin dai tempi di Colombo. Questo si è rivelato essere vero per circa 1,5% di nativi americani, però il 2,5% sono risultati appartenere alla stirpe X. Una volta che questo gruppo di mtDNA è stato identificato come un tipo distinto genetico, la gara era quella di verificare il loro luogo di origine.

E qui è dove il mistero diventa davvero complicato e interessante. Nonostante il fatto che i precedenti dati genetici avevano costretto l’ortodossia a fare alcuni cambiamenti nella loro teoria della migrazione e nella sua cronologia, il suo paradigma di base era stato grosso modo confermato. Ma la scoperta dell’aplogruppo X ha cambiato questa situazione in modo drammatico. Si sapeva che esisteva in Europa in circa il 5% della popolazione e che era sconosciuto in Asia e in Africa. Il lignaggio X è stato accertato essere arrivato in America da circa 38.000 a 10.000 anni fa.

Che cosa può significare?
Fonte:http://zaro41.wordpress.com/2011/01/16/atlantide-arrivano-le-prove-genetiche-1/


Quindi, uno studio serio dovrebbe incrociare i dati dell'aplogruppo X con il sangue RH negativo di gruppo 0...sono sicuro che verrebbe fuori una percentuale di esseri umani che presenta ambedue le caratteristiche molto attinente con la stima percentuale del numero di "addotti" nel mondo... [8D]


Ultima modifica di Angel_ il 12/08/2013, 16:34, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 12/08/2013, 18:51 
Cita:
E qui è dove il mistero diventa davvero complicato e interessante. Nonostante il fatto che i precedenti dati genetici avevano costretto l’ortodossia a fare alcuni cambiamenti nella loro teoria della migrazione e nella sua cronologia, il suo paradigma di base era stato grosso modo confermato. Ma la scoperta dell’aplogruppo X ha cambiato questa situazione in modo drammatico. Si sapeva che esisteva in Europa in circa il 5% della popolazione e che era sconosciuto in Asia e in Africa. Il lignaggio X è stato accertato essere arrivato in America da circa 38.000 a 10.000 anni fa.
Che cosa può significare?



Che i primi ad arrivare nelle Americhe sono stati popoli di origine di origine europea, magari gli antenati di quei popoli che poi hanno dato vita alla cultura vichinga...

OPPURE, questi primi gruppi umani "moderni" sono stati semplicemente importati o prodotti in loco ad uso e consumo degli elohim locali a partire dai modelli in voga in europa...



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caro Atlanticus
http://www.misteromania.it/preistoria/cherchen.html
ciao
mauro



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incredibile O_O



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MessaggioInviato: 12/08/2013, 19:25 
Cita:
mauro ha scritto:

caro Atlanticus
http://www.misteromania.it/preistoria/cherchen.html
ciao
mauro


Fantastico! Grazie!

[:264]



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Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Cita:
mauro ha scritto:

caro Atlanticus
http://www.misteromania.it/preistoria/cherchen.html
ciao
mauro


Fantastico! Grazie!

[:264]

Che pentola che ha scoperto Mauro...scaricate e leggete tutto il pdf... [:0]

Cita:
Dopo le rivelazioni della Blavatsky nella Dottrina Segreta e le scoperte fatte dal Generale Prjevalsky nell’Oasi di Cherchen, negli anni fra le due guerre mondiali, il Sinkiang e in particolare la regione del Lop Nor furono oggetto delle ricerche dell'esploratore Sven Hedin. Queste ricerche erano finanziate da un’associazione tedesca, la Società Ahnenerbe, “Eredità degli antenati”, che era un’emanazione del Terzo Reich e, almeno nelle intenzioni delle autorità nazionalsocialiste, aveva lo scopo di localizzare la patria primordiale della razza ariana

Fonte:http://www.istitutocintamani.org/libri/ASIA_CENTRALE_CULLA_DELLA_QUINTA_RAZZA.pdf



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MessaggioInviato: 12/08/2013, 20:48 
Cita:
Che pentola che ha scoperto Mauro

in realtà è preso dal sito di "Antonio", membro di questo forum [;)]

ciao
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MessaggioInviato: 12/08/2013, 20:52 
altro qui
http://www.burlingtonnews.net/redhairedrace.html
(purtroppo in inglese)
ciao
mauro



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MessaggioInviato: 14/08/2013, 16:29 
In questo documento:
http://www.istitutocintamani.org/libri/ ... _RAZZA.pdf

Si legge che l'uomo di Cherchen era imparentato geneticamente con gli italiani...questo fatto mi ha fatto ricordare che secondo gli ultimi studi, il popolo etrusco proveniva dall'Asia...
Guardate che meraviglia questo sarcofago etrusco in terracotta risalente a 2500 anni fa...vi possiamo scorgere gli strani lineamenti di quel popolo oltre ad un livello di civiltà molto evoluto...(cliccate sulle foto per ingrandirle)

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Ultima modifica di Angel_ il 14/08/2013, 16:31, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 16/08/2013, 23:20 
Credo che questo possa aiutare nel tentativo che stiamo facendo di tirare le fila nella speranza di riuscire a individuare chi siano e che aspetto avessero questi "Antichi Dei" tra Elohim, Nephilim, Vigilanti, RH-, Aplogrupo X e "Rossi" (o Rutili)

Gli Dei del Mare di Gobi

Il ritrovamento in Asia di mummie dalla pelle bianca e di gallerie sotterranee lunghe centinaia di chilometri, potrebbe confermare l'esistenza in passato di una civiltà progredita: la mitica Mu delle leggende polinesiane?

Il deserto di Gobi è la seconda area più arida del pianeta, dopo il Sahara. Il più grande deserto asiatico si estende tra i territori di Cina e Mongolia, occupando un'area vasta come l'Europa Occidentale. Un vero mare di sabbia… Peccato che leggende antichissime e ritrovamenti fossili ci raccontino una storia diversa da quella che compare sui manuali di archeologia.

Sì, perché il Gobi in realtà migliaia e migliaia di anni fa era un mare, anzi un oceano interno più vasto del Mediterraneo. Tra gli Anni '20 e '30 furono riportati alla luce dai paleontologi americani alcuni resti di animali mastodontici e alcune uova fossili, ma il ritrovamento più sensazionale fu sicuramente quello dell'archeologo russo Pyotr Kuzmich Koslov. Durante alcuni scavi archeologici della città di Khara Khoto il professore trovò un'antichissima tomba risalente a 18 mila anni fa. Sulle pareti erano raffigurati la coppia di sovrani sepolta ed un curioso simbolo formato da un cerchio diviso in quattro settori e con la lettera greca M, o Mu. Questa città, secondo il colonnello britannico James Churchward, era in realtà la mitica Uighur, una importante colonia del continente scomparso di Mu.

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(Sopra) Le rovine di Khara Khoto, nel deserto di Gobi, una delle città più misteriose e antiche del mondo (foto tratta dal sito ldeo.columbia.edu)

Questo vasto continente comprendeva molte delle attuali isole dell'Oceano Pacifico, tra cui le isole Fiji, le Marianne, Ponape, le Tonga, le Caroline fino ad arrivare all'isola di Pasqua, come testimoniano le varie rovine megalitiche ritrovate su quasi tutte le isole del Pacifico. Queste rovine presentano tra loro delle similitudini impressionanti; questo fa pensare che un tempo esse facevano parte infatti di un'unica grande terra ormai scomparsa, e che ciò che rimane oggi non siano altro che le vette più alte dei monti che affiorano dall'acqua. Oltre alle leggende anche i saggi cinesi raccontano di un'epoca remotissima in cui in questa zona, dove oggi c'è il deserto, si estendeva il Mar di Gobi nel quale si trovava un'isola abitata da "uomini bianchi dai capelli biondi o rossi e occhi azzurri"!

La cosa ancor più stupefacente è che, a detta di questi saggi, questo antico popolo venne dal cielo, discesi dalla grande "Stella Bianca", nome che gli antichi Indiani e Tibetani davano al pianeta Venere, ed avrebbero apportato agli abitanti del luogo notevoli conoscenze, e prima ancora agli abitanti di Mu. Su quest'isola situata nel Mar di Gobi l'antico popolo delle stelle si stanziò ed eresse una fortezza ed una città collegate alla terraferma con gallerie sottomarine.

La cosa potrebbe suonare come qualcosa di fantascientifico, se non fosse per alcune antiche carte celesti ritrovate nelle grotte del Bohistan che rappresentavano il cielo di circa 13 mila anni fa e con delle misteriose linee che collegavano la Terra con il pianeta Venere. In realtà il colonnello inglese aveva ragione, sotto lo strato della città rinvenuta dall'esploratore russo, ne esisteva una ancor più antica: si trattava della città di Uighur, che secondo Churchward era vecchia di almeno 15-19 mila anni! E' qui inoltre che si trovava probabilmente la capitale del fantastico regno di Prete Gianni nel '200.

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(Sopra) Cartina del Mare di Gobi, come doveva essere prima della desertificazione. Si trattava di un'area tra Mongolia e la regione dello Sinkiang in Cina, confinante a sud col Tibet.

Delle gallerie che conducevano dall'isola alla terraferma sono state trovate diverse entrate, come un po' in tutto il mondo, scoperte dagli speleologi; comunque sono state esplorate solo in parte a causa dei crolli che hanno ostacolato le ricerche. In alcune di queste gallerie sono stati scoperti oggetti di ceramica e vetro contenenti ciascuno una goccia di mercurio, alcuni oggetti simili sono stati rinvenuti anche in grotte scoperte in Uzbekistan. Secondo gli antichi scritti indiani questo metallo liquido serviva da combustibile per i mitici Vimana, le antiche macchine volanti descritte nei testi del Ramayana e del Mahabharata e che si ritiene siano ancora oggi celati nelle caverne del regno sotterraneo di Agharti. Infatti qui, lo stesso testo indiano narra "…con il tuono possente della sua rapida discesa da insondabili altezze […] apparve il carro dei Figli del Fuoco […] dei Signori venuti dalla Stella Splendente.

Esso si fermò sopra l'Isola bianca del Mar di Gobi…" Nel 1978, durante gli scavi archeologici nella zona del deserto cinese del Takla Makan, proprio nella regione dell'Uighur, furono riportate alla luce migliaia di mummie perfettamente conservate grazie al clima secco del deserto che ha permesso ai corpi una mummificazione naturale. L'età stimata delle mummie è di circa 4 mila anni, ma ciò che rende sconcertante il ritrovamento di questi corpi, sono i tratti somatici. Infatti tutte le mummie presentavano lineamenti occidentali: pelle bianca e capelli biondi o rossi ondulati! La loro altezza varia dal 1,70 al 1,80 m e alcuni hanno la barba.

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(Sopra) Le mummie del Takla Makan sono straordinarie sia per dettaglio che per le caratteristiche fisiognomiche. A cominciare dalla donna anziana, con i capelli rossi raccolti in due trecce, una pettinatura ancor in uso oggi. Notare gli zigomi alti e i lineamenti assolutamente occidentali. (Al centro) Mummia di una ragazza di circa vent'anni: notare i capelli biondo cenere, tipici delle razze nordiche.

Un'altra straordinaria mummia del Takla Makan: la pelle bianchissima e i capelli castano-rossicci non lasciano adito a dubbi. La celebre "Venere di Loulan": una donna sui 35-40 anni, in ottimo stato ancor oggi (se ne può vedere la ricostruzione artistica di come appariva in vita).

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Al momento del ritrovamento, le mummie erano vestite con abiti in seta, stivali e scarpe ai piedi e acconciate con trecce simili a quelle dei popoli celtici.

Secondo il parere degli archeologi queste popolazioni emigrarono dall'Europa o dalle zone caucasiche, viaggiarono attraverso l'Asia verso Oriente e si stanziarono nel deserto del Gobi. Peccato che gli antichi scritti tibetani e indiani raccontano il contrario; raccontano di popoli evoluti venuti, secondo i saggi, dalle stelle e stanziatisi su quest'isola situata dove in tempi remotissimi esisteva un esteso mare. Una ulteriore, straordinaria scoperta di mummie effettuata nel 2005 a Xiaohe, nella parte ovest del lago Lop Nor, rivelò l'esistenza di un mound con strani pali conficcati sopra le sepolture.

Di circa 300 persone ivi sepolte, più di un centinaio era in perfette condizioni: l'apertura delle bare dalla stranissima forma di barca, effettuata dagli scienziati dell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, rivelò corpi di uomini, bambini e donne perfettamente conservati, anche meglio delle mummie egizie: i lineamenti occidentali e gli zigomi tipici della razza caucasica, assieme ai capelli castano chiaro, erano non più sconcertanti del fatto che la pelle di tutti i corpi era coperta da uno strato gommoso chiaro molto simile al lattice, probabilmente allo scopo di preservarla contro i processi di putrefazione (ma l'albero della gomma, da cui si ricava il lattice, è originario del Sudamerica e non si comprende come potesse essere usato dai popoli del Gobi, a meno che il clima non fosse diverso oppure non vi fossero scambi commerciali). L'analisi al Carbonio 14 datò le mummie al 1800 A.C.

In effetti fino a pochi secoli fa, come dimostrano le foto del satellite Landsat, esistevano pozze d'acqua e fiumi, un ecosistema umido ricco di fauna anche gigantesca che prosperava grazie alle notevoli riserve idriche che ora sono sotterranee oppure prosciugate.

Tutta questa magica ma anche mistica terra abbonda di narrazioni, come quella del leggendario generale e guerriero Ban Chao che "poteva camminare nel cielo e scatenare fulmini verdi" e che è sepolto, "accanto all'Uomo di Giada", nel deserto del Takla Makan, uno dei deserti più misteriosi e pieni di insidie al mondo dove gli abitanti del luogo raccontano che dimorino i "demoni del cielo". Questo antico popolo avrebbe in seguito viaggiato e istruito il resto del mondo erigendo villaggi e città in Europa e in tutto il mondo. Non c'era quindi ragione di stabilirsi nel bel mezzo di un deserto tra i più inospitali del pianeta; il ritrovamento poi delle gallerie e dei resti di città antichissime avvalorano le ipotesi che qui un tempo lontano il clima e il territorio erano totalmente diversi da come appaiono oggi.

Per non parlare poi, come affermano gli antichi documenti ma anche dalla testimonianza dei saggi tibetani, delle conoscenze elevate portate ai popoli dei continenti oggi scomparsi di Mu e Atlantide, che in seguito questi ultimi avrebbero portato alle altre etnie del mondo. Pensiamo alla scoperta della lavorazione dei metalli, o alla conoscenza di tecnologie sconosciute come la ruota e il carro.

Questo potrebbe spiegare le similitudini dei monumenti, delle lingue e delle usanze tra i diversi popoli della Terra. La provenienza di questa misteriosa razza, che secondo gli scritti veniva dal pianeta Venere, ci ricorda la divinità maya che portò sapere e conoscenza rappresentata nel Teschio di Cristallo ritrovato nel Belize nel 1927 da Anne Mitchell-Hedges.

Oppure al leggendario re inca Viracocha, anch'egli ricordato dagli Incas come il dio dalla pelle bianca e con la barba rossa raffigurato sulla megalitica Porta del Sole sulle sponde del lago Titicaca in Bolivia. Raffigurazioni di dei bianchi con barba e capelli chiari si possono trovare anche sull'isola di Pasqua. Proprio qui nel 1774 un naturalista di nome Georg Forster approdò descrivendola come una terra brulla, povera di vegetazione e devastata da eruzioni vulcaniche.

Su quest'isola dall'aspetto inospitale lo studioso fece l'incontro con la popolazione indigena locale, e fu sorpreso di trovare alcuni di essi con la pelle chiara e con i capelli rossi! Evidentamente questi ultimi erano i discendenti di quell'antico popolo evoluto raffigurato sui massi dell'isola e che portò migliaia di anni fa conoscenza e sapere ai popoli delle terre polinesiane. Anche qui si trovano misteriose gallerie ciclopiche sotterranee che terminano nel mare; probabilmente anticamente si usavano questi tunnels per andare da una parte all'altra delle isole, oppure addirittura per viaggiare da una parte all'altra del pianeta. E' curioso invero il fatto che siano state ritrovate delle tavolette in legno raffiguranti geroglifici simili a quelli dell'America precolombiana, o ancora scritture simili a quelle della Valle dell'Indo o come quelle celtiche.

ImmagineImmagine


(Sopra) I Moai dell'Isola di Pasqua furono costruiti su ordine di un popolo dalla pelle bianca. (Al centro) Il dio peruviano Viracocha, ritratto sulla Porta del Sole a Tiahuanaco in Bolivia: secondo la tradizione era bianco, con la barba rossa.

Gallerie simili si trovano anche in Sudamerica, e infatti si collegherebbero proprio con l'isola di Pasqua, ma non solo: esistono reti di gallerie in Perù che collegherebbero Lima a Cuzco fino ad arrivare in Bolivia e probabilmente fino al Titicaca. Qui sarebbero ancora nascosti i tesori degli Incas massacrati dai Conquistadores spagnoli. Di gallerie ce ne sono altre ancora nelle Hawaii e in tutta l'Oceania e qui le gallerie continuano sotto il fondo dell'oceano, altre si trovano in California, nel Kentucky (le famose Mammoth Caves dove si dice siano uno degli ingressi per Agharti). Di questo ne parlano anche gli Apaches: secondo i saggi queste gallerie qui si spingerebbero fino a Tiahuanaco e sempre stando ai loro racconti queste sarebbero state scavate da esseri venuti dalle stelle per mezzo di luci che sgretolerebbero la roccia. Anche in Europa esistono reti di tunnels sotterranei, alcuni dei quali sono stati scoperti ed esplorati solo per alcuni chilometri, come quello che congiunge la penisola iberica con il Marocco in Africa.

Quando si sentì parlare la prima volta della Terra Cava e delle Gallerie sotterranee, si pensava che tutto ciò fosse solo delle leggende; poi si venne a sapere delle scoperte fatte dai primi esploratori tra cui Ossendowski, che dopo aver avuto un incontro con un Lama in Tibet, affermò di aver visto una delle entrate di queste colossali gallerie, mentre altre venivano scoperte un po' ovunque nel mondo da vari esploratori. Solo negli Anni Settanta con il grande ricercatore scientifico italiano Peter Kolosimo si inizia a divulgare la scoperta della Terra Cava e dei mondi sotterranei; e dopo molti ritrovamenti da parte di speleologi ed archeologi si ebbe la conferma che ormai non si trattava solo di leggende. Dopo il rinvenimento poi delle mummie bianche del Takla Makan, anche le leggende degli dei bianchi trovarano conferma, poiché come raccontavano le antiche scritture, furono proprio questi esseri a scavare queste enormi gallerie. Si trattava comunque di esploratori, per l'esatteza russi, che individuarono il cosiddetto "pozzo senza fondo", che faceva parte di un estesa rete di grotte situate in Azerbaigian ad attirare la loro attenzione. Da tempo salivano da quella cavità urla, tonfi e rumori strani.

Una volta scesi nel suo interno i ricercatori notarono una strana luminescenza verde e che queste cavità si dirigevano in direzione del Caucaso! Dalle pitture e dalle ossa trovate laggiù pensarono che si trattasse di grotte preistoriche ma, dopo averle analizzate, la sorpresa fu grande: si trattava di ossa ancora più antiche. I racconti dei vecchi esploratori avventurieri affermavano che alcuni uomini entrati nelle gallerie del Regno di Agharti videro questa luce verde e non fecero più ritorno.

Tempo dopo si scoprì che questa rete di tunnels arrivava a piccole piazze da cui partivano condotti fino congiungersi con le gallerie sotterranee del deserto del Gobi; le stesse che collegavano un tempo la terraferma con l'isola del Mar di Gobi! E forse qui si collegherebbero alle isole del Pacifico. Notando tutto questo non si può far altro che pensare che doveva essere un lavoro ciclopico, svolto da un popolo evoluto. Secondo gli scienziati questo sistema di gallerie dovrebbe arrivare addirittura in Cina ed in Tibet, proprio come affermò Ossendowski: infatti da quel che dicono i monaci tibetani è qui che si troverebbe la capitale di Agharti, e i condotti si collegherebbero al palazzo del Dalai Lama a Lhasa.

Purtroppo nonostante i ritrovamenti di queste grotte in tutto il mondo non si è potuto procedere oltre a causa di imponenti crolli che ne hanno ostacolato per sempre l'ingresso a causa delle loro ciclopiche dimensioni; altre volte sono stati occultati deliberatamente gli ingressi dai saggi che conoscono l'ubicazione delle entrate, o altre ancora si dice che gli stessi abitanti del sottosuolo avrebbero mascherato gli accessi. E purtroppo fino ad oggi nessuno ancora è riuscito a vederle.

Tutta questa vicenda ci fa comprendere come oggi conosciamo pochissimo dei territori dell'Asia e delle leggende che parlano di popolazioni evolute di pelle bianca e immense e colossali gallerie lunghe migliaia di chilometri. Una specie di metropolitana mondiale che forse rappresenta l'essenza stessa del regno di Agharti e di quello, in superficie, della mitica Mu.

http://www.satorws.com/mare-gobi.htm

Leggevo recentemente la storia della stirpe di Caino e di quella di Seth, il terzo figlio di Adamo ed Eva dopo l'assasinio di Abele... che sia collegato alla faccenda dei "Rossi"?

[8]



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Atlanticus81 ha scritto:
Secondo gli scienziati questo sistema di gallerie dovrebbe arrivare addirittura in Cina ed in Tibet, proprio come affermò Ossendowski: infatti da quel che dicono i monaci tibetani è qui che si troverebbe la capitale di Agharti, e i condotti si collegherebbero al palazzo del Dalai Lama a Lhasa.

Purtroppo nonostante i ritrovamenti di queste grotte in tutto il mondo non si è potuto procedere oltre a causa di imponenti crolli che ne hanno ostacolato per sempre l'ingresso a causa delle loro ciclopiche dimensioni; altre volte sono stati occultati deliberatamente gli ingressi dai saggi che conoscono l'ubicazione delle entrate, o altre ancora si dice che gli stessi abitanti del sottosuolo avrebbero mascherato gli accessi. E purtroppo fino ad oggi nessuno ancora è riuscito a vederle.

Tutta questa vicenda ci fa comprendere come oggi conosciamo pochissimo dei territori dell'Asia e delle leggende che parlano di popolazioni evolute di pelle bianca e immense e colossali gallerie lunghe migliaia di chilometri. Una specie di metropolitana mondiale che forse rappresenta l'essenza stessa del regno di Agharti e di quello, in superficie, della mitica Mu.


Molto interessante...aggiungo che i cinesi hanno cercato in tutti i modi di trovare quelle entrate senza riuscirvi...questo è il vero motivo dell'invasione cinese del Tibet, carpirne i segreti! [8]



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Angel_ ha scritto:

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Atlanticus81 ha scritto:
Secondo gli scienziati questo sistema di gallerie dovrebbe arrivare addirittura in Cina ed in Tibet, proprio come affermò Ossendowski: infatti da quel che dicono i monaci tibetani è qui che si troverebbe la capitale di Agharti, e i condotti si collegherebbero al palazzo del Dalai Lama a Lhasa.

Purtroppo nonostante i ritrovamenti di queste grotte in tutto il mondo non si è potuto procedere oltre a causa di imponenti crolli che ne hanno ostacolato per sempre l'ingresso a causa delle loro ciclopiche dimensioni; altre volte sono stati occultati deliberatamente gli ingressi dai saggi che conoscono l'ubicazione delle entrate, o altre ancora si dice che gli stessi abitanti del sottosuolo avrebbero mascherato gli accessi. E purtroppo fino ad oggi nessuno ancora è riuscito a vederle.

Tutta questa vicenda ci fa comprendere come oggi conosciamo pochissimo dei territori dell'Asia e delle leggende che parlano di popolazioni evolute di pelle bianca e immense e colossali gallerie lunghe migliaia di chilometri. Una specie di metropolitana mondiale che forse rappresenta l'essenza stessa del regno di Agharti e di quello, in superficie, della mitica Mu.


Molto interessante...aggiungo che i cinesi hanno cercato in tutti i modi di trovare quelle entrate senza riuscirvi...questo è il vero motivo dell'invasione cinese del Tibet, carpirne i segreti! [8]


Anche io credo che una delle motivazioni dell'invasione del Tibet da parte cinese possa essere questo.

D'altronde anche i nazisti visitarono spesso il Tibet per qualche strano motivo.

Chissà se qualcuno ha mai trovato quelle segrete entrate?

Si dice che possa accadere di imbattersi casualmente in uno degli ingressi al Regno Sotterraneo ma, se si dovesse entrarvi, ci si perderebbe irrimediabilmente nei meandri sconfinati che perforano il sottosuolo, oppure, se anche si riuscisse a trovare una via d’uscita, non si ricorderebbe nulla di ciò che si è visto o appreso.

Perlopiù, in ogni modo, accedere ad Agharti è impossibile perché i suoi abitanti, per non permettere l’ingresso al Male, avrebbero predisposto una protezione invalicabile, costituita da speciali vibrazioni che offuscano le facoltà mentali e rendono invisibili le porte del Regno.

C'è una leggenda sugli Zingari la quale sostiene che un tempo essi nacquero e vissero nel Regno Sotterraneo e che ne erano cittadini a pieno diritto. Ma, un giorno, commisero qualche cosa che ad Agharti fu considerato un crimine imperdonabile e vennero scacciati con l'impossibilità di farne ritorno?

Esiste davvero un mito simile nella cultura degli zingari? D'altronde le terre di origine degli zingari se non erro, dovrebbero essere proprio quelle dell'oriente, dell'India per la precisione.

http://www.rosacroceoggi.org/pagine.eso ... garthi.htm



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MessaggioInviato: 17/08/2013, 16:34 
Se non fosse accaduto quanto sotto sono certo che conosceremmo già le risposte alle domande che ci siamo posti qua sopra.. [;)]

LA DISTRUZIONE DEGLI ANTICHI SCRITTI

La cronaca letteraria delle origini è stata ripetutamente e tragicamente sconvolta, non solo da cataclismi naturali, ma da parte degli stessi uomini. Che vogliamo ammetterlo o non, molte delle pagine di storia mancanti sono state deliberatamente distrutte. Riferiremo di alcune delle più infami devastazioni di grandi biblioteche, collezioni di libri e archivi di documentazione, avvenute nei tempi antichi e in quelli moderni.

La Girginakku o Grande Biblioteca di Ashurbanipal, che contenev oltre mezzo milione di tavolette scritte in caratteri cuneiformi, fu razziata durante l’assedio di Niniveh da una coalizione di Babilonesi, Sciti e Medi, nel 612 a.C. I documenti della Biblioteca erano stati raccolti dai templi–ziggurat di Nippur, Akkad e Babylonia e includeva storie sconosciute, osservazioni scientifiche e astronomiche, così come opere religiose e letterarie degli antichi Sumeri, antiche di migliaia d’anni. Circa 30000 di quelle tavolette furono poi scoperte e tradotte da scavatori europei nei sec. XIX e XX, ma la stragrande maggioranza fu ridotta in polvere.

Quando Cambise invase l’Egitto nel 525 a.C., ordinò alle truppe persiane di fare razzia e distrugere tutte le biblioteche dei templi lungo il Nilo, per “assimilare” quella terra come una satrapia del suo impero. Gli antichi papiri del Vecchio Regno, accumulati nel tempio di Ptah a Menfi, gli annali reali di Karnak e Luxor, i preziosi rotoli del Ramesseum, di Medinet Habu, Edfu e Philae, tutti furono gettati nelle fiamme. Secondo il siriano Giamblico, il solo Ramesseum, che si trovava sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte a Tebe, conteneva oltre 20.000 manoscritti di epoca antica e di valore incalcolabile. Solo venti di essi sono sopravvissuti, nascosti in una tomba, all’interno del santuario.

Ad Atene, la celebre collezione libraria di Pisistrato Pisandro, che aveva sede nel Lyceum dell’Acropoli, conteneva le opere di migliaia dei più famosi pensatori, scienziati, matematici, letterati, scrittori di pezzi teatrali e visionari politici dell’antica Grecia. Essa soffrì ripetuti saccheggi e distruzioni, a partire dal 480 a.C. con l’invasione dei Persiani di Serse. Benché la città riconquistasse la propria libertà, lungo i sec. V e IV a.C. le opere dei filosofi “eretici” erano bruciate periodicamente nell’Agorà. Nel 86 a.C., il romano Silla portò via grandi parti della collezione ateniese, sotto forma di “tributo”. Nel 260 d.C. Atene fu saccheggiata dai Goti, che castigarono i Greci per aver trascurato le arti della guerra e aver letto troppo. La piccola parte di libri rimasti fu decimata dall’Imperatore bizantino Giustiniano, che decretò l’anatema contro tutte “le ricerche filosofiche in contrasto con la dottrina cristiana”.

Senza dubbio il centro culturale più famoso del mondo classico fu la Biblioteca d’Alessandria. I suoi enormi archivi erano divisi e ospitati in differenti parti della città, e i luoghi più rilevanti erano il Tempio delle Muse e il Serapeum. Essa fu fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C. e, al culmine dei suoi 500 anni d’esistenza, la collezione dei suoi testi contava oltre 500.000 rotoli, con un indice di 20.000 autori. Poiché la città si trovava al crocevia di traffici fiorenti tra l’Occidente e l’Oriente, la collezione raccoglieva testi provenienti non solo dall’Egitto, da Roma e dalla Grecia, ma anche da Babilonia, dall’India, dalla Persia e persino dalla Cina.

Nel corso del tempo, tuttavia, varie sezioni della Biblioteca subirono diverse distruzioni, sino a che poco rimase. Il primo disastro avvenne nel 48 a.C., quando Giulio Cesare incendiò la flotta nemica nel porto della città, e il fuoco si diffuse agli edifici circostanti, distruggendo un terzo della Biblioteca. Per conquistare i favori di Cleopatra, Marco Antonio saccheggiò la Biblioteca di Pergamo, Asia Minore, che conteneva 200.000 volumi, e li portò ad Alessandria per ricostituire il fondo bibliotecario. Nel 213 d.C. l’imperatore Caracalla attaccò la città, che si era ribellata, e poi ancora nel 273 Alessandria subì una parziale rovina da parte di Aureliano e nel 296 Dioclezian assediò il porto e ne bruciò diversi quartieri. In ciascun evento, gli archivi subivano lenti ma drammatici salassi e distruzioni. Il colpo finale intervenne nel 391, quando il vescovo locale, Teofilo, lanciò una crociata contro il Serapeum e lo distrusse, pretendendo che vi si svolgessero azioni di stregoneria e magia nera. Nella sua ignoranza, la folla bruciò rare edizioni del canone biblico.

Quando i musulmani invasero l’Egitto nel 640, i rimanenti volumi (poche centinaia) furono distrutti. Dopo che un esercito di traduttori arabi li aveva riprodotti, come poteva, per portarne le copie a Baghdad, gli ultimi rotoli originali furono bruciati per riscaldare le terme d’Alessandria.

Nel 330 a.C., Alessandro Magno distrusse totalmente la città di Persepolis, già capitale del grande Impero Persiano. Nel Palazzo di Dario e di Serse c’era un gruppo di sale chiamato “la Fortezza delle Scritture”. I conquistatori greci raccontarono che quella parte della biblioteca consisteva di 200.000 righe scritte in caratteri d’oro su 5200 pagine fatte di pelli bovine. Le ricerche archeologiche hanno messo in luce la resenza d’uno strato di circa 60 cm di terra bruciata, tutto ciò che è rimasto dei sigilli delle migliaia di rotoli ridotti in cenere e soffiati via dal vento dei secoli. Così si persero gli originali delle opere degli Zoroastriani, incluso lo Zoromaster, considerato come il Libro dei Libri.

I Romani, nonostante le loro pretese di preservare le arti e le lettere dei loro predecessori greci, mostrarono una speciale intolleranza per la parola scritta, durante le loro conquiste attraverso il Mediterraneano, l’Europa e il Medio Oriente. Nel 181 a.C., quando si scoprì a Roma la biblioteca sepolta del re Numa, essa fu prontamente bruciata perché conteneva libri di filosofia. Nel 146 a.C. i Romani distrussero totalmente Cartagine in un olocausto durato diciassette giorni, e ridussero in cenere anche la sua ampia collezione di libri (mezzo milione di volumi). Un incendio, scoppiato a Roma nell’83 a.C., distrusse le ultime 2000 opere originali degli Oracoli Sibillini. Qualche decennio dopo, Giulio Cesare ordinò la distruzione delle biblioteche dei Druidi celtici attraverso tutta la Gallia, che si ritiene comprendessero 100.000 rotoli di pergamena. Nel 12 a.C. Augusto ordinò di bruciare pubblicamente nel Foro oltre 2000 opere “superstiziose”.

Nell’anno 57 la grande biblioteca di Efeso fu trasformata in un rogo funereo dai primi cristiani, diretti dall’apostolo Paolo. Nel 64, l’incendio di Roma sotto Nerone distrusse grandi archivi di manoscritti privati, provenienti da ogni parte dell’Impero. Tra il 188 ed il 191, diversi attacchi clandestini istigati dai cristiani furono sferrati ai santuari e ai ripostigli pagani di Roma, e tra questi si include l’incendio della biblioteca del Tempio di Giove. Nel 303, per reazione, Diocleziano ordinò di raccogliere e distruggere tutti gli scritti dei cristiani e degli ebrei. Sessant’anni dopo l’imperatore Gioviano razziò la grande Biblioteca di Antiochia, e nel 371 Valeriano spinse gli abitanti della città a dare alle fiamme tutti i rimanenti libri non cristiani. Infine, nel 546, gli Ostrogoti saccheggiarono Roma e ciò che era rimasto degli scritti, sia classici sia cristiani, fu perduto per sempre.

Nell’Europa medievale la repressione brutale della Chiesa contro l’eresia religiosa e altri movimenti intellettuali, soprattutto attraverso l’azione dell’Inquisizione, condusse alla distruzione di decine di migliaia di volumi insostituibili di origini latine, greche ed ebraiche. Le persecuzioni contro Ebrei, Catari, Albigesi e Anabattisti, insieme a scienziati, filosofi e studiosi secolari, furono accompagnate dalla generale scomparsa di tutte le loro opere in roghi benedetti.

La nascita dell’Islam e il periodo delle Crociate servirono solo a peggiorare la situazione, perché le ondate di conflitti tra i cristiani e i musulmani sconvolsero molti paesi, distruggendo le biblioteche degli uni e degli altri. Tra il 614 ed il 644, gli Arabi e i loro alleati furono responsabili della distruzione dei maggiori archivi fi Gerusalemme, Ctesifonte, Gandeshapur e Cesarea, così come delle copie “erronee” del loro stesso Corano, ovunque si trovassero, nei territori da loro conquistati. Più tardi, la Biblioteca dei Califfi a Cordoba fu razziata da Almanzor nel 980; la grande collezione di Baghdad fu decimata nel 1059; gli Archivi dei Califfi al Cairo furono saccheggiati nel 1068; i libri di Tripoli subirono le distruzioni dei Crociati nel 1192; e la Bibliotheca Byzantina di Costantinopoli soffrì terribili danni per mano dei Franchi nel 1204. Un’altra tragica ondata di bibliocidio sopravvenne con gli invasori Mongoli nel sec. XIII. Nel 1258, nella sola Baghdad, essi distrussero trentasei biblioteche. L’evento più devastante fu la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi, nel 1453. Là si trovava l’ultimo rifugio delle ampie collezioni di manoscritti che si erano salvati, nel flusso incrociato di distruzioni, da entrambe le direzioni.

In Europa, i sec. XV e XVI conobbero il Rinascimento e la Riforma, e le divisioni politiche e religiose causarono ovunque nuovi attacchi alle raccolte librarie. Ricchi signori spendevano fortune per crearsi biblioteche private con edizioni rare e care, solo per vederle cadere nell’oblio quando i loro proprietari erano allontanati dal potere. Durante le guerre religiose, Cattolici e Protestanti si facevano vanto del reciproco saccheggio di archivi e biblioteche, in chiese, cattedrali, abbazie e monasteri, con il fine di fare giustizia delle credenze “corrotte”. Persino l’invenzione dei caratteri mobili, che moltiplicò enormemente la produzione di libri, contribuì in realtà alla perdita delle opere originali scritte a mano, perché, quando venivano mandati alle tipografie per la copia, gli originali erano spesso distrutti o venduti per profitto, come materia prima da riciclare.

Nel sec. XVI avvennero anche le spedizioni dei conquistadores spagnoli nel Nuovo Mondo, agli ordini di Cortez e Pizarro, che spazzarono via in modo rapido e completo le civiltà di Aztechi, Maya ed Inca. Al loro seguito sopraggiunse l’Inquisizione, a sradicare ed eliminare tutti gli scritti originali indigeni. Nel 1539 la Chiesa del Messico ordinò la distruzione di tutti i Codici aztechi; nel 1561, i misionari iniziarono nello Yucatan la sistematica devastazione di tutti i geroglifici Maya, su pietra o su pergamena. glyphs, Gli Incas peruviani non avevano testi scritti, ma possedevano pittogrammi a carattere religioso e una loro caratteristica forma di archiviare le informazioni con cordicelle e nodi, chiamati quipu. Il Concilio Ecclesiasico di Lima nel 1583 decretò l’anatema e ordinò la distruzione di tutte le icone religiose e degli archivi di quipu attraverso tutto il territorio dell’antico impero andino.

Le sorti della pagina scritta non furono molto migliori nell’Estremo Oriente. Nel 213 a.C. l’Imperatore cinese Qin Shi Zheng annunciò che la storia cominciava in quel momento e ordinò di bruciare tutti i libri, con l’unica eccezione dell’I Ching, il Libro dei Cambiamenti, che riteneva benefico. Dopo la sua morte, si cercò di ritrovare i volumi che erano stati segretamente nascosti, per restaurarli in una nuova Biblioteca Imperiale. Ma il periodo di rinascita fu breve: nel 207 a.C., durante la lotta tra rivali contendenti al trono, la capitale subì tre mesi di devastazioni, e i libri che si erano salvati fecero la stessa fine degli altri.

Il secondo grande disastro letterario della storia cinese avvenne nell’anno 23 d.C., quando l”usurpatore Wang Mang devastò nuovamente la Biblioteca Imperiale, che conteneva oltre 13000 opere. Anche dopo che la capitale fu spostata, durante la Dinastia Han, lo stesso destino si accanì sulle opere scritte nel 190. Si salvarono settanta pacchi di libri, che però furono dati alle fiamme nel 208. Nel 311 oltre 3000 rotoli furono recuperati, ma poi caddero nelle mani dell’Imperatore Yuan Liang che li mandò al rogo.

Ai tempi della Dinastia Siu, fu costruito il magnifico Palazzo Yang ch comprendeva una Sala delle Scritture. Nel sec. VIII l’Imperatore Xuanzong aggiunse 2600 titoli in 48000 rotoli alla già ricca collezione. Ma nel 1281 i conquistatori mongoli ordinarono che tutte le opere letterarie fossero raccolte e date alle fiamme. Più tardi, nel 1597, anche la biblioteca della famiglia Qi, la più importante collezione della Dinastia Ming, fu sconvolta dalle fiamme.

Le fortune delle successive dinastie salivano e cadevano, e i loro archivi, ora distrutti, ora venduti, si disperdevano. Nel 1900, la rivolta dei Boxer agevolò il saccheggio delle opere letterarie cinesi da parte di Europei ed Americani. Le guerre nazionalistiche che seguirono causarono altri danni, e culminarono nella distruzione di alcune raccolte sopravvissute sotto i bombardamenti giapponesi, nel 1932.

Ciò che era avvenuto impallidisce, però, di fronte alla totale distruzione di ogni libro esistente durante la Rivoluzione Culturale, ordinata dal Presidente Mao negli anni 1970. La “pulizia” fece correre all’indietro la scienza e le arti di diversi decenni, e solo ora la gente comune comincia ad apprendere nuovamente la ricchezza dell’antica saggezza. Ironicamente, proprio la letteratura che era stata rubata e portata in Occidente alla fine del secolo precedente è servita come stimolo e supporto per la restaurazione.

In Europa, la Rivoluzione industriale e tecnologica del sec. XVIII intensificò in progressione geometria sia l’accumulazione, sia la massiccia distruzione della conoscenza in forma scritta. Le stesse macchine che producevano milioni di libri producevano anche fucili, cannoni, carri armati, aerei, bombe e missili. La produzione e la diffusione delle nuove armi stimolava e incentivava le guerre, le dittature, le purghe politiche e degli intellettuali, sia nella Germania nazista, sia nella Russia comunista, e le due guerre mondiali, con altre dozzine di conflitti regionali, causavano distruzioni mai viste prima.

In questi contesti sempre più meccanizzati e sofisticati tecnologicamente, la maggior perdita si è verificata dà dove il sapere era concentrato: nelle università, nelle scuole, nei musei e naturalmente nelle biblioteche, sia pubbliche, sia private. Ciò che aveva richiesto vite intee per essere raccolto e valorizzato, poteva scomparire in un singolo atto di terrorismo o di guerra, o in un grave incidente. Particolarmente nefasto è stato l’impatto delle moderne tecnologie su ciò che rimaneva di antiche società e culture indigene. L’invasione e l’occupazione del Tibet da parte della Cina negli anni 1950, l’incursione dell’imperialismo commerciale europeo nell’America del Sud e in Africa negli anni 1970 e 1980, l’imposizione del fondamentalismo religioso nelle repubbliche dell’Asia Centrale e nell’Afghanistan nel corso degli anni 1990. In simili casi, dalle lamaserie dell’Himalaya, dalle culture tribali dell’Amazzonia e del Congo, sino agli antichi templi–caverna Buddisti delle steppe asiatiche, ampie raccolte di tradizioni scritte e/o orali andarono disperse o volontariamente distrutte. In luoghi remoti del pianeta, le ultime vestigia di lontane memorie vengono sottratte all’Umanità. Se non si riuscirà ad invertire il processo del tragico olocausto, si perderanno per sempre le ultime tracce di un importante patrimonio, che ricorda le nostre origini.

Le prospettive di preservare e salvaguardare le conoscenze del nostro passato non sono migliorate. I computer hanno prevalso nel campo delle raccolte d’informazioni, con Internet e World Wide Web.

L’aspetto positivo di ciò è la circolazione d’una quantità indescrivibile di dati e nozioni d’ogni tipo, che arrivano in ogni istante in ogni angolo del mondo e possono essere ricevute su un PC o su un telefono cellulare.

L’altra faccia della questione risiede però nella fragilità stessa del mezzo di comunicazione. Tutti i dati e le informazioni circolano su supporto elettronico nel cibersspazio. Basta girare un interruttore per renderli inaccessibili, come inesistenti. Le nozioni possono essere stampate, ma anche per far ciò è necessaria l’energia elettrica. La nostra quasi totale dipendenza dall’energia elettrica rende la nostra civiltà particolarmente vulnerabile, e in fin dei conti si dimostra un fallimento.

Mentre possiamo guardare i nostri antenati come “primitivi” perché usavano ossa, argilla, pietra, pelli d’animali e carta per registrare le loro conoscenze, essi avevano per lo meno un mezzo reale e materiale per risorgere quando le loro conoscenze erano soggette a distruzione. Invece, se la nostra rete totale di energia dovesse fallire per un sabotaggio o un disastro, una guerra o un cataclisma naturale, le intere basi dei governi, degli affari, dell’istruzione, della difesa, della ricerca scientifica e delle comunicazioni verrebbero improvvisamente a mancare.

Se - a causa d’una tale catastrofe - la produzione dell’elettricità attraverso il mondo non potesse essere ripristinata, non rimarrebbe proprio nessuna traccia della nostra civiltà.

Il poco che si potrebbe ricordare degli archivi computerizzati dovrebbe nuovamente essere affidato a pagine scritte, raccolte in libri, e ricomincerebbe il processo di riaccumulazione delle conoscenze. Ma, come sempre, ancora una volta tali conoscenze potrebbero essere viste come pericolose, perché invise a qualcuno per ragioni di potere politico, religioso o sociale, e di nuovo si porrebbe il problema di salvarle dalla distruzione.

La domanda con cui concludiamo è: quanto a lungo l’umanità continuerà a distruggere il suo stesso passato?

http://www.forgottenagesresearch.com/lo ... ction-.htm

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=344

E purtroppo la distruzione continua! [8]



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Atlanticus81 ha scritto:

Credo che questo possa aiutare nel tentativo che stiamo facendo di tirare le fila nella speranza di riuscire a individuare chi siano e che aspetto avessero questi "Antichi Dei" tra Elohim, Nephilim, Vigilanti, RH-, Aplogrupo X e "Rossi" (o Rutili)

Gli Dei del Mare di Gobi

Il ritrovamento in Asia di mummie dalla pelle bianca e di gallerie sotterranee lunghe centinaia di chilometri, potrebbe confermare l'esistenza in passato di una civiltà progredita: la mitica Mu delle leggende polinesiane?

Il deserto di Gobi è la seconda area più arida del pianeta, dopo il Sahara. Il più grande deserto asiatico si estende tra i territori di Cina e Mongolia, occupando un'area vasta come l'Europa Occidentale. Un vero mare di sabbia… Peccato che leggende antichissime e ritrovamenti fossili ci raccontino una storia diversa da quella che compare sui manuali di archeologia.

Sì, perché il Gobi in realtà migliaia e migliaia di anni fa era un mare, anzi un oceano interno più vasto del Mediterraneo......

In effetti fino a pochi secoli fa, come dimostrano le foto del satellite Landsat, esistevano pozze d'acqua e fiumi, un ecosistema umido ricco di fauna anche gigantesca che prosperava grazie alle notevoli riserve idriche che ora sono sotterranee oppure prosciugate.

Tutta questa magica ma anche mistica terra abbonda di narrazioni, come quella del leggendario generale e guerriero Ban Chao che "poteva camminare nel cielo e scatenare fulmini verdi" e che è sepolto, "accanto all'Uomo di Giada", nel deserto del Takla Makan, uno dei deserti più misteriosi e pieni di insidie al mondo dove gli abitanti del luogo raccontano che dimorino i "demoni del cielo". Questo antico popolo avrebbe in seguito viaggiato e istruito il resto del mondo erigendo villaggi e città in Europa e in tutto il mondo. Non c'era quindi ragione di stabilirsi nel bel mezzo di un deserto tra i più inospitali del pianeta; il ritrovamento poi delle gallerie e dei resti di città antichissime avvalorano le ipotesi che qui un tempo lontano il clima e il territorio erano totalmente diversi da come appaiono oggi.




Leggi un po' la fine che ha fatto il Mar d'Aral...

http://it.wikipedia.org/wiki/Lago_d'Aral

Fattore umano anche allora?
Non lo escluderei...



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Quello che una volta doveva essere il "Mar di Gobi", secondo te Rigel, si sarebbe prosciugato a causa di una intensa attività agricola e, perché no, industriale?

Ipotesi certamente non da escludere e che presuppone l'esistenza di una civiltà tecnologicamente avanzata in tempi remoti che poi sarebbe stata costretta a spostarsi con il prosciugamento del mare interno e il conseguente cambio climatico inevitabile con la scomparsa di una tale massa d'acqua, che ha trasformato una zona fertile in un desolato deserto.

Siamo propensi a credere che i cambi climatici siano stati globali. Possiamo invece iniziare a pensare a cambi climatici locali connessi a una modificazione del territorio, naturale o artificiale.

Anche il clima europeo cambierebbe totalmente se il Mediterraneo dovesse prosciugarsi, per un motivo o per un altro, costringendo buona parte della civiltà occidentale a un riadattamento notevolmente traumatico...

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