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barionu ha scritto:
Per intenderci , nel Tanakh , il VT l' inferno non esiste. Esiste lo sheòl , ma non è l' inferno .
e la geenna , ma non è l' inferno .
zio ot
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barionu ha scritto: Cita:
Il termine "Inferno" è utilizzato nella traduzione italiana della Bibbia: Lc 16,23 ; 2Pt 2,4 ; Ap 6,8 .
Ma il termine greco originale è Ades , e solo nel NT .
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La parola inferno nasce dalla parola latina inferus precristiana "luoghi bassi", Infernus.
E assume il significato attuale solo nel XIII secolo ( De Mauro )
zio ot
Qualche buon dizionario biblico/teologico può chiarire l'uso dei termini.
Qualche nota di ricerca:
Sheol è parola di origine sconosciuta che designa le profondità della terra, dove i morti discendono e dove i buoni e i cattivi confusi insieme hanno una tetra sopravvivenza, dove Dio non viene lodato.
Tuttavia la potenza del Dio vivo si esercita anche in questo soggiorno desolato.
[b][b]La dottrina delle ricompense e delle pene d'oltretomba e quella della risurrezione, preparate dalla speranza dei salmisti, appaiono chiaramente solo alla fine dell'AT, Sap 3-5 (in connessione con la fede nell'immortalità, cf. Sap 3,4); 2 Mac 7,9; 12,38.[/b][/b]
Fonte: Bibbia di Gerusalemme.Dal sito Treccani:Ades corrisponde nei Settanta alla traduzione dell'ebraico Sheol[], sede dei defunti, buoni e cattivi (tradotto nella Vulgata come infernus, inferi, inferus; At. 2, 24-31; Sal. 94, 17; Mt. 16, 18; Is. 38, 10), a volte la morte stessa (Os. 13, 14), vinta (Ap. 1, 18; 1 Cor. 15, 55); l'A., nudo dinanzi all'Onnipotente (Gb. 26, 5-6), sarà costretto a rendere i morti nel momento della risurrezione [] (Ap. 20, 13-14). Sono spesso ricordate le porte (Sal. 9, 14; 106, 16; 107, 14-16; Is. 45, 2; Sap. 16, 13) che racchiudono il regno dell'oscurità (Gb. 10, 21-22; 38, 17; Sal. 88, 7-13), situato nel profondo della terra (Sir. 51, 5-6), mostro insaziabile (Ab. 2, 5) e abisso divorante (Gb. 26, 5; Is. 38, 17-18); si narra inoltre della predicazione di Cristo agli spiriti 'in prigione' (1 Pt. 4, 6).
A. è anche associato, confuso e identificato con l'inferno, soprattutto a partire dal Nuovo Testamento (Lc. 16, 19-31), nel quale fu accolto il concetto (Is. 50, 11; 66, [44]) di un destino differenziato per i morti nell'oltretomba, secondo i meriti; dopo la risurrezione, l'ade verrà sostituito dall'inferno in senso stretto, la Geenna della sofferenza eterna (Ap. 20, 9-14).
Il cristianesimo medievale ereditò dal Nuovo Testamento (in particolare Mt. 25 e Ap. 20) la prospettiva del castigo eterno nell'aldilà per i non battezzati e per i cristiani morti in stato di peccato mortale. Questa nozione si affermò non senza difficoltà e S. Agostino dovette dedicare il libro XXI del De civitate Dei alla difesa del concetto dell'eternità delle pene infernali. Chiaramente stabilito questo punto, la dottrina dell'i. rimase stabile nel corso del Medioevo, tranne per quel che concerne la sorte delle anime prima del Giudizio universale, oggetto di una divergenza tra i greci e i latini, dal momento che l'evoluzione teologica di questi ultimi, avviata alla fine del sec. 12° e confermata nel secondo concilio di Lione del 1274, condusse ad ammettere l'accesso immediato delle anime al paradiso supremo o nel fuoco materiale dell'inferno. Per il resto, i teologi erano unanimi nel distinguere due tipi di pena: la privazione di Dio era la principale, mentre la pena dei sensi veniva evocata attraverso il fuoco, cui si possono aggiungere i vermi, il freddo e le tenebre. I chierici riconoscevano in qualche caso una maggiore varietà - nove pene infernali sono elencate nell'Elucidarium (III, 14; PL, CLXX, coll. 1166-1168) di Onorio Augustodunense -, soprattutto nella predicazione che, attraverso gli exempla, comprendeva talvolta il racconto di visioni dell'aldilà, genere assai più propizio alla descrizione dettagliata dei supplizi (Baschet, 1993).
Nell’ebraismo, dove l’idea della vita ultraterrena è vaga, i trapassati, ridotti a pallide ombre, si raccolgono nello Sh[]. Questa primitiva concezione si affina nella letteratura profetica, specie nell’età successiva all’esilio; e nell’età dei Maccabei, insieme all’idea della resurrezione, si fa avanti la concezione di un diverso stato dei giusti e dei reprobi dopo la morte. Nella predicazione di Gesù, alla Geenna, luogo di dannazione, e al «fuoco eterno» si contrappone lo stato felice dei giusti nel regno di Dio (discorso escatologico in Matteo 25, 31-46); e in tutto il cristianesimo primitivo dalla tensione apocalittica esce rafforzata la credenza nei due regni ultraterreni, entrambi sempiterni: di uno è re Satana (Apoc. 9, 12), mentre l’altro è proprio dei giusti. Questa fede, già attestata in tutta la letteratura subapostolica e nei primi apologeti, trovò l’opposizione di Origene, la cui dottrina, che riteneva contrastante alla bontà divina l’eternità delle pene, fu condannata nella Fides Damasi (500 circa), e successivamente nei concili Costantinopolitano II (553), Costantinopolitano III (680-681) e Niceno (787).
Geenna: [] nell’apocalittica giudaica e nel Nuovo Testamento, luogo di eterna dannazione, inferno. Prende nome da una valle a SO delle porte di Gerusalemme, oggi detta [], che fu segnata di anatema dal re Giosia per essere divenuta sede del culto di Moloch, che imponeva la pratica di bruciare in olocausto i bimbi dopo averli sgozzati. La valle fu quindi adibita a scarico dei rifiuti della città e a luogo dove gettare le carogne delle bestie e i cadaveri insepolti dei delinquenti, che venivano bruciati per distruggere i resti e come elementare provvedimento d’igiene.
- - -Per quanto la topografia degli inferi sia rimasta sempre, nella poesia greca antica, piuttosto indefinita, si possono tuttavia identificare due concezioni, notevolmente diverse, di essa: secondo l'una, la più antica e la più frequente (Iliade, IX, v. 568; XXII, v. 482; XX, v. 61), l'oltretomba veniva localizzato nel più profondo della terra; secondo l'altra, invece, posteriore e meno frequente (Odissea, X, v. 508 segg.; forse anche Esiodo, Teogonia, v. 767 segg.), nelle lontane regioni dell'Occidente, in un'isola dell'Oceano, ove regna eterna la notte, o, più precisamente anche, nel paese abitato dal popolo - miticamente elaborato su basi storiche - dei Cimmerî (Odissea, XI, v. 13 segg.).
Nulla la Chiesa ha definito sul luogo dell’i., pensato sempre come stato spirituale e non come luogo, ma non sono mancati coloro che hanno cercato una precisa collocazione cosmologica. Per la teologia cattolica attuale, l’i. è lo stato di dannazione, intesa come definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio e con i beati, come conseguenza di una morte in peccato mortale, senza pentimento e senza fiducia nella misericordia divina.
---NB: zio ot, la ricerca che ho fatto a seguito del tuo post mi ha permesso di rilevare alcuni errori di stampa nella numerazione dei versetti citati nella nota 16,33 p.292 della Bibbia di Gerusalemme, 14a edizione 1996.
Anche i diavoli ...
servono.
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