IL MONDO FIABESCO DEGLI UFO PARAFISICI
Articolo di Maurizio Baiata
Fonte: http://mauriziobaiata.net/2013/02/22/il-mondo-fiabesco-degli-ufo-parafisici/
Articolo pubblicato sul numero 47 (Settembre 2012) del mensile “X Times” diretto da Lavinia Pallotta ed edito dalla X-Publishing.
Nessuno riuscirà mai ad accertare se le verità raccontate dai cosiddetti “UFO rivelatori”, soprattutto se di fonte militare, siano vere, mezze vere, false o mezze false. L’amletico puzzle ufologico non si compone di tasselli che si incastrano perfettamente e, una volta sistemato l’ultimo, si possa dire: “Ecco, è finito. Ora sappiamo tutto!”. È il gioco delle parti, umana condizione che dovremmo accettare, consentendo a ognuno di dire la sua in base all’interpretazione personale dei fenomeni e delle loro implicazioni, senza prevaricare o emettere giudizi sulle convinzioni altrui. Ovvero, ciò che non andrebbe fatto è sostenere una tesi ostentandola come definitiva e unica accettabile, gettando le altre nel dimenticatoio, se non nella spazzatura.
Cosa del resto più che comprensibile se si tratta di contrapposizioni ben definite, ad esempio quella tra gli Ufologi e i ricercatori di frontiera da un lato, dall’altro gli scientisti, gli scettici a priori e i debunkers: le premesse e le finalità dei loro studi divergono alla luce del sole e ne rendono le posizioni inconciliabili.
Se invece questi contrasti si verificano nel magmatico ambiente al quale sembrano appartenere ricercatori operativi con premesse e finalità simili, anti-scientiste e alternative come l’Ufologia e l’Alienologia, allora la cosa non è comprensibile. La inquadrerei in una strategia che si basa su una “divisione controllata delle forze”, che fa il gioco del sistema.
Negli ultimi tempi in Italia sta cercando di riprendere piede la cosiddetta “Ipotesi Parafisica”, secondo la quale gli UFO proverrebbero da un’altra dimensione e i loro occupanti costituirebbero il “piccolo popolo”, gli esseri elementali di “Magonia”: fate, folletti, elfi, goblins, gnomi, trolls e altre creature ora leggiadre, ora mostruose, ora minuscole, ora gigantesche, comunque intrusive nel loro seppur innocuo penetrare nella nostra dimensione naturale.
Innocuo, fino a un certo punto. Antiche leggende e racconti del folklore da Oriente a Occidente le hanno dette responsabili di sparizioni di bambini e anziani, di danni alle persone, alle colture, alle abitazioni e agli animali, nonché di effetti fisici e psichici simili a quelli provocati dai moderni fenomeni di contatto alieno.
Su tale zoo semi antropomorfo inserito nel mito dei fairies di ogni epoca e Paese, studiosi rispettabili e geniali come Jacques Vallée e John Keel hanno elaborato tesi interessanti che hanno poi configurato nell’Ipotesi Parafisica, o Extra-dimensionale. Ipotesi affascinante, nella sua metafisica evanescenza, che viene usata oggi per discutere, demolire e mettere in minoranza l’altra ipotesi, più diffusa e radicata nell’immaginario collettivo, quella Extraterrestre (ETH).

Il problema è che se si professa solo l’Ipotesi Parafisica invalidando o sminuendo la consistenza della ETH, ci si dimentica di tutta la questione ufologica legata agli UFO crash e all’esistenza del cover-up mondiale; e non ci si confronta con l’analisi storica, sociale e politica della questione UFO, la più realistica e sostanziosa.
Inoltre, con ciò, nessuno spazio viene dato alla visione dell’Esopolitica, la cui forza sta in una presa di coscienza molto più ampia e le cui finalità interpreto come segue: l’Esopolitica è un movimento di pensiero individuale e collettivo che tende alla divulgazione e alla libera circolazione delle informazioni concernenti l’esistenza e la tecnologia di forme di vita extraterrestri, informazioni tenute celate alla gente e alle nazioni da un sistema di segretezza.
Chi professa la Parafisica vede la luce alla fine del tunnel associandovi l’ipotesi socio-psicologica, definita sul finire degli anni Ottanta da Jacques Vallée, l’astrofisico di origine francese considerato fra i più grandi studiosi della materia. Di fronte ai casi di rapimento, come quelli di Travis Walton e/o dei coniugi Hill, pur senza sminuirne la consistenza testimoniale, Vallée ha fornito la sua diagnosi: la mente dei rapiti sarebbe influenzata da una serie di impulsi allucinatori prodotti dall’inconscio. I rapimenti avrebbero dunque luogo in un “mondo ultra-dimensionale”, invisibile, ma reale, quello del nostro cervello. Gli esseri umani, secondo Vallée, hanno il libero arbitrio e la coscienza, ma di fronte alla possibilità di interferenze aliene (o alle loro manifestazioni ingannevoli), la nostra mente si rifiuta di accettarlo. Pertanto, i casi di rapimento devono essere trattati solo da personale qualificato, come psichiatri e psicologi. Sin qui, Vallée avrebbe ragione, non fosse per il fatto che gli psicoterapeuti che hanno avuto l’ardire di affrontare la materia non sul piano della “ricerca”, ma su quello dell’intervento terapeutico, hanno raggiunto conclusioni molto diverse. Solo per citare alcuni dei più famosi fra gli americani, Leo Sprinkle, James Harder, John Carpenter e John Mack hanno adottato l’ipnosi solo in parte come strumento di indagine, più adeguatamente, come aiuto alle persone per recuperare i loro ricordi, per far luce su un vissuto che avevano rimosso. Vallée, invece, considera l’ipnosi del tutto inadeguata, “sbagliata, irresponsabile, non scientifica e profondamente immorale”.
In un’intervista rilasciata a Linda J. Strand e pubblicata nel libro Dimensions (Ballantine Books, 1988), Vallée afferma con veemenza: “La cosa più tragica in questi casi, ovviamente, è che i dati reali potrebbero andare persi per sempre. Anche se condotta da un professionista, l’ipnosi regressiva produce ricordi della prima trance, piuttosto che ricostruire l’evento stesso. Tutti gli inquirenti non fanno altro che inquinare la mente del testimone”.
Per essere uno scienziato di frontiera, qui è proprio Vallée a denotare una mente poco aperta. Ed è strano sia stato proprio Vallée ad aver ispirato Steven Spielberg per creare la figura di un personaggio chiave di “Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo”, quella dello scienziato Claude Lacombe interpretato da Francois Truffaut.
Strano sia lo stesso Lacombe che dice “Io la invidio” a Roy Neely (Richard Dreyfuss) nel magico finale del film, quando Ron si appresta a entrare nell’astronave aliena che lo porterà per sempre lontano da noi. Cosa avrebbe avuto da invidiare il Vallée/Lacombe al Neely/Dreyfuss se in realtà agli ET (sotto qualunque struttura biologica possano manifestarsi) non avesse creduto?
È nel passo successivo, quello dell’interpretazione del fenomeno che Vallée si distacca dalla Ipotesi Extraterrestre, giudicandolo fenomeno ingannevole, usato come sistema di controllo da “altri esseri” che rispondono ai dettami di un demiurgo cosmico. Il potere illimitato di questo divino artefice consentirebbe di proiettare le ombre e la luce della verità nella testa di chiunque. Siamo nel campo magico e suggestivo dell’introspezione filosofica.
Mi chiedo dunque se alla piccola Frankie Rowe (nella foto in basso), la storia che una mattina del Luglio 1947 le raccontò il padre, Dan Dwyer, tenente dei Vigili del Fuoco di Roswell, fece l’effetto di una fiaba con protagonisti elfi e folletti, anziché con esseri extraterrestri precipitati. E chissà cosa poteva elaborare il suo piccolo cervello dodicenne nel toccare un frammento dell’astronave che il padre le mostrò? Forse, che veniva da una contrada nella verde valle degli Hobbit? Ho incontrato Frankie Rowe nel 2009 a Roswell. È stata cortese nel rispondere a un paio di domande che le ho rivolto nel bel mezzo del Museum of Roswell, nel via vai di gente. Quello che il padre riferì a lei e alla sorella Helen non aveva nulla di fiabesco. Quando Dan giunse sul posto con suoi colleghi, a una trentina di miglia da Roswell, ciò che si trovarono davanti non fu un velivolo terrestre, ma un “disco volante” di cui raccolsero alcuni rottami. Accanto all’oggetto c’erano due contenitori di plastica con dei corpi e uno degli esseri che camminava. Fervida, la fantasia “magoniana” della piccola Frankie Rowe, vero? A tal punto da inventare, pescandolo dall’immaginario mondo delle fiabe ufologiche, nella sua dichiarazione giurata (affidavit) firmata il 22 Novembre 1993, di essere stata minacciata da un ufficiale che si presentò all’abitazione dei Dwyer alcuni giorni dopo l’incidente e le disse, scandendo le parole picchiettando un manganello sul palmo della mano, che se avesse parlato loro lo avrebbero saputo e che, semplicemente, doveva dimenticare tutto, altrimenti la sua famiglia avrebbe fatto una brutta fine.

I ricercatori UFO che preferiscono omettere o soprassedere testimonianze di questo livello sono di due tipi. Il primo caratterizza individui che, dicendosi esperti ufologi, tendono esclusivamente all’analisi scientifica del fenomeno. Per loro, l’aspetto politico (il cover-up fa parte della politica dei governi implicati) non fa altro che interferire con il loro campo di azione, ovvero il rilevamento strumentale dei dati e la loro collocazione in un bel casellario di casi studiati. In altri termini, è inutile perdere tempo con le testimonianze, perché ciò che conta è produrre le prove dell’esistenza del fenomeno UFO. Il che ci riporta indietro di almeno 65 anni, a prima di Roswell.
Il secondo tipo preferisce puntare l’attenzione sulla dimensione eterica degli avvistamenti e sulla consistenza altrettanto eterica degli esseri. In questa maniera, si ottengono due risultati. Basandosi sul presupposto che tali esseri non provengono dallo spazio esterno e non viaggiano a bordo di astronavi le cui prestazioni surclassano qualunque velivolo costruito da forze aeree terrestri, si rende il problema UFO/ET avulso da ogni contesto di difesa nazionale. Quindi, gli ufologi parafisici non devono temere alcuna ritorsione da parte dei servizi segreti, ai quali oggettivamente delle fatine e degli elfi non gliene può fregare di meno. E possono tranquillamente continuare a discettare di fiabe, miti e leggende di altri tempi e di altre dimensioni.
Se il fine ultimo della Ufologia Parafisica è quello di mettere gli ufologi pro ETH in cattiva luce in nome di una ricerca illuminista e di alto livello intellettuale – il cui spessore potrebbe rivelarsi solo nozionistico – a mio avviso viene meno quel principio di unità di intenti che la vera Ufologia dovrebbe perseguire.