Matteo Salvini, analisi di un fenomeno mediatico e politico Scritto da Claudio Bollentini
A giugno comincia l’estate e con lei prende avvio il grosso del programma delle feste leghiste, anticipate dal raduno di Pontida, immancabile ed imperdibile appuntamento cult per le folle padane. E’ l’occasione per guardare da un’altra angolazione l’universo della Lega Nord, o meglio dal di dentro, un fenomeno che sembrava destinato all’estinzione dopo il recente periodo degli scandali e il declino di Umberto Bossi e che invece ha ritrovato insperato vigore con l’ascesa di Matteo Salvini. Sono feste e raduni a sfondo politico, ma in realtà l’obiettivo è un altro. Il canovaccio principale, in parte inalterato da decenni, rispetta i canoni delle feste da strapaese e dell’amicizia intorno alla tavola e, solo o quasi come un contorno, sono inseriti momenti di riflessione e analisi politica. Certamente non mancano mai i comizi, le tavole rotonde e i convegni, c’è sempre l’occasione per incontrare facilmente amministratori locali, parlamentari e quadri di partito, ma il piatto forte è più impalpabile e ha a che fare con rodate tecniche di comunicazione politica inalterate da sempre nonostante i cambiamenti di scenario e di leadership. Una comunicazione grezza e rozza quanto si vuole, che sconfina il più delle volte nel cattivo gusto o nel politicamente scorretto, con demagogia e populismo a volontà, ma ben orchestrata, voluta e sicuramente efficace. Eppure negli anni di acqua sotto i ponti ne è passata, eccome! Da Bossi a Salvini è cambiato il mondo ed è completamente cambiata la Lega. La sceneggiatura bossiana prevedeva un grande ricorso a valori e identità per cementare l’unità dei seguaci-elettori del Nord, un patrimonio variegato e ben amalgamato di storia, cultura, lingua, tradizioni, ma anche ricostruzioni e revisioni storiche pretestuose e fantasiose piegate alle esigenze di bottega. Di quel mondo è rimasto poco, tranne una certa coreografia di persone, gadget e slogan ancora ben visibili nelle feste padane. Il messaggio di Salvini è invece prettamente politico e movimentista, ha a che fare con le tecniche della comunicazione politica e della persuasione, un format di marketing ben studiato a tavolino. Non di alto livello per i contenuti, mai approfondito ed analizzato nello specifico, sempre alla stadio superficiale, non per eventuali mancanze o impreparazione del leader, ma per esigenze di immediatezza, per carpire velocemente attenzione e quindi consenso, una nuova forma di movimentismo il più delle volte solamente costruibile su questo livello di contenuti. Il pubblico va stordito, non entusiasmato, si nega la rabbia con la rabbia, si combatte la paura agitando la paura, si predica la calma urlando. Il tutto con voce impostata, felpe, gadget e icone utilizzate come vessilli per la battaglia. Avendo cura di stimolare gli appetiti di tutti senza soddisfarne uno, da nord a sud, da destra a sinistra. E con logica settaria, o con me o contro di me. E chi è con me o contro di me cambia alla bisogna, alleanze variabili sotto l’egida esclusiva del pragmatismo e del risultato. E il giochino meglio riesce più il messaggio è allo stadio primordiale. Nessuno chiede risposte, ma si vogliono ascoltare le domande che chiunque si pone di fronte ai problemi e ai drammi del mondo d’oggi. Salvini è un animale politico, non esiste intorno, come una certa vulgata vuol far credere, uno stuolo di spin doctor o consulenti vari, i quali, se ci sono, sono allo stadio di semplici esecutori, smanettoni e galoppini del web, semplici addetti stampa e portatori d’acqua. Una controprova? Prendete un periodo qualsiasi, per esempio il mese di giugno, e vedrete che non c’è uno straccio di discorso preparato, un intervento stereotipato, nulla che faccia pensare a ghost writers e assistenti dietro le quinte. Se guardiamo ai contenuti, questi sono vicini al nulla, sparati lì in modo volutamente grezzo. Un leit motiv noiosamente ripetuto all’infinito se non ci fossero le esigenze dello spettacolo. Si parla in un modo in uno studio televisivo, in un altro sul pratone di Pontida o a della gente intenta ad addentare una salamella.
Di fronte al profluvio di luoghi comuni ben confezionati e il più delle volte sconnessi l’uno dall’altro, di fronte a chi riesce a farsi capire senza dire niente, di fronte alla banalità di certe proposte (chi non vorrebbe le tasse al 15% ?) colpisce e imbarazza la stupidità e l’insipienza della sinistra. Per l’ennesima volta snob e superba, depositaria di una presunta superiorità morale e culturale, derubrica il fenomeno leghista e il suo leader alle parodie di Crozza o alla figura di Cetto Laqualunque. Ma cosa pretendere da una sinistra che non ha ancora capito la questione settentrionale, che è vittima di ideologie e che non riesce a scrollarsi di dosso il guscio catto-comunista, che non riesce ancora a capire i vantaggi delle autonomie locali, che è sempre di più vittima delle oligarchie europee? Nulla. Solo insulti per il momento. E quindi Salvini troverà praterie sconfinate di fronte a sé e un interrogativo che chiunque capisce di comunicazione e marketing politico prima o poi deve porsi: come trasformare un progetto di comunicazione in un programma politico?
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