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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 13/09/2015, 17:50 
Dalle indagini risulta che Yara aveva preso in prestito nelle biblioteca di Brembate di Sopra due libri sul bullismo:

Immagine Immagine


Ma è evidente che Yara sia stata addescata all'interno del complesso sportivo.
Tre giorni dopo tre cani molecolari vengono messi sulle sue tracce. Due, compreso Joker, un Bloodhound che arriva dalla Svizzera, seguono lo stesso tragitto: palestra - uscita dalla parte opposta alla direzione di casa Gambirasio - cantiere di Mapello. Joker punta dritto al magazzino degli attrezzi e da lì non si muove.


No... la Letizia ha tentato di far credere che Yara e Bossetti si conoscevano e che sia salita sul suo furgone e che i tre cani che hanno seguito la pista tra l'uscita sul retro della palestra ed il cantiere, erano ubriachi, come pure chi ha eseguito gli esami autopici che all'inizio avevano stabilito che la morte è avvenuta in meno di un'ora dall'uscita di casa.
Dato che quella sera la madre di Yara si ricordava esattamente cosa la bambina avesse mangiato e a che ora.

Per l'accusa gli esami autopici valgono un cacchio mentre un dna controverso e strano, ha grande valore.
Onore alla scienza [:294]



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 13/09/2015, 18:20 
tra l'altro ho sentito ieri che veniva chiamata "YARA cogliote" dai compagni di scuola ma a detta della madre le non dava peso alla cosa.

Non si direbbe visti i libri presi in prestito no? E soprattutto perchè quel soprannome così strano?



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 13/09/2015, 21:30 
Wolframio ha scritto:
A proposito di Alfano, mi ero preso degli appunti.

Angelino Alfano dal 28 aprile 2013 a Febbraio 2014, è ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio dei ministri nel Governo Letta.



Cercando di collegarli a Vincenzetti della Hacking Team

Vincenzetti, come è riuscito a stabilire un rapporto di stima con palazzo Chigi tanto da scrivere in un messaggio al generale Antonello Vitale della presidenza del Consiglio, che si era prodigato per Hacking team, «G. le sono profondamente grato. Ho un ulteriore debito verso di lei e verso il governo. Spero mi chieda presto cosa posso fare per lei»?


E considerando la parole di Umberto Rapetto, ex ufficiale della Guardia di Finanza

Un aspetto affrontato nel suo blog sul giornale online diretto da Peter Gomez anche da Umberto Rapetto, ex ufficiale della Guardia di Finanza, già inventore e comandante del Gat (Gruppo Anticrimine Tecnologico, poi divenuto Nucleo Speciale Frodi Telematiche GdF), e pure giornalista, scrittore e docente universitario, oltre che direttore Iniziative e progetti speciali di Telecom Italia.
Tra i frammenti “di questa sorta di esplosione”, spiegava “c’è chi avrebbe trovato, postato su Github, qualcosa che fa pensare ad un “child porn fabrication tool”, vale a dire un software capace di caricare file compromettenti sul computer di una persona ignara così da generare fraudolentemente elementi di prova ad esempio in una investigazione in materia di pedopornografia”.
Dopodiché aggiungeva: “Voglio sperare che non sia vero. Lo auguro a chi – in giro per il mondo – si è trovato sottoposto ad indagini e anche a chi quelle attività giudiziarie ha diretto o eseguito. Immagino chi ha urlato la propria estraneità ai fatti e si è visto condannare sotto il peso schiacciante di prove inconfutabili. Non ci voglio pensare. Mi domando “cosa è vero? cosa è falso?”. Possibile che proprio nessuno abbia immaginato che certi ‘programmini’ potessero avere una backdoor in grado di permettere al produttore di conoscere le modalità (destinatario incluso) di impiego della così portentosa applicazione?”.


Questo potrebbe benissimo spiegare molte cose sul computer di Bossetti.
Sopratutto leggendo la mail del Ceo della Hacking Team
Da: David Vincenzetti [mailto:d.vincenzetti@hackingteam.it]
Inviato: martedì 17 giugno 2014 12:22
A: Alberto Trombetta; Marco Pinciroli; Claudio Giuliano; Emanuele Levi; Stefano Molino; Giancarlo Russo
Oggetto: Il caso YARA



Naturalmente non posso dirvi molto. Naturalmente non conosco i dettagli. Ma, come e’ già successo numerose volte in passato per casi celeberrimi e molto piu’ grandi di questo, il merito del successo di questa indagine va a una certa tecnologia investigativa informatica prodotta da un’azienda a noi molto nota.



Insomma: ci hanno appena chiamato i ROS di Roma. Per complimentarsi e ringraziarci.





Comunque se sospetto che Alfano ha fatto la sua parte nell'infangare le indagini e siccome lo stesso Alfano si sentiva cosi sicuro nell'annunciare l'arresto dell'assassino di Yara, il collegamento lo vedo in questi appunti che mi ero preso.


Non mi sembra che nulla di tutto questo dimostri un infangamento delle indagini (con tutto il male possibile che penso di Alfano).

Da questi appunti risulta solo la gratitudine di un lavoratore per l' opportunità offerta. Il resto è nella fantasia. Se vogliamo ipotesi, ma priva di qualunque elemento oggettivo.

Che esista la possibilità di inserire file compromettenti nel computer di chi si desidera l' ho sempre dato per scontato, ma questo non significa che sia successo con Bossetti.

MaxpoweR ha scritto:
tra l'altro ho sentito ieri che veniva chiamata "YARA cogliote" dai compagni di scuola ma a detta della madre le non dava peso alla cosa.

Non si direbbe visti i libri presi in prestito no? E soprattutto perchè quel soprannome così strano?


Questo potrebbe come non potrebbe essere rilevante. Di ragazzi con soprannomi strani ce ne sono a volontà.

E il bullismo mi sembra una cosa differente e indipendente dalla sorte toccata a Yara.

Wolframio ha scritto:
che sia salita sul suo furgone e che i tre cani che hanno seguito la pista tra l'uscita sul retro della palestra ed il cantiere, erano ubriachi, come pure chi ha eseguito gli esami autopici che all'inizio avevano stabilito che la morte è avvenuta in meno di un'ora dall'uscita di casa.


Questo invece è interessante.

Ma al cantiere lavorava Bossetti.


Per cui si può benissimo pensare che sia coinvolto e che il parziale depistaggio serva ad addossare a lui tutta la colpa nascondendo il fatto che il suo ruolo fosse solo attirarla nella trappola dove l' attendevano i mandanti.



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Per quanto possa essere buia la notte sulla Terra, il sole sorgerà quando è l' ora, e c' è sempre la luce delle stelle per illuminarci nel cammino.

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Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 13/09/2015, 22:26 
Aztlan ha scritto:
Ma al cantiere lavorava Bossetti.

Per cui si può benissimo pensare che sia coinvolto e che il parziale depistaggio serva ad addossare a lui tutta la colpa nascondendo il fatto che il suo ruolo fosse solo attirarla nella trappola dove l' attendevano i mandanti.


Per tua conoscenza il Bossetti non lavorava nel cantiere di Mapello dove i cani hanno fiutato le tracce di Yara, li ci lavorava il marocchino e proprio quella sera.
Bossetti lavorava nel cantiere di Palazzago. Interessante no?


Aztlan ha scritto:
Da questi appunti risulta solo la gratitudine di un lavoratore per l' opportunità offerta. Il resto è nella fantasia. Se vogliamo ipotesi, ma priva di qualunque elemento oggettivo.
.


Ma di che opportunità offerta parli?
Mi pare che sei tu che lavora di fantasia, informati bene sul perchè il Vincenzetti si sentiva in debito verso il Generale della presidenza del consiglio, prima di rispondere a vanvera.


Aztlan ha scritto:
Che esista la possibilità di inserire file compromettenti nel computer di chi si desidera l' ho sempre dato per scontato, ma questo non significa che sia successo con Bossetti


Che non sia successo è solo un tuo parere.

Mentre io per arrivare alle mie conclusioni ci ho ragionato sopra in base ai seguenti elementi:

1- Il computer di Bossetti è stato hackerato molto prima dell'arresto, a che scopo se non per ficcarci elementi di prova?.
Se poi tanto:
2- il computer di Bossetti viene in seguito sequestrato dopo il suo arresto per l'esame forense?

3- Avevano già il suo presunto DNA, bastava che lo arrestassero e sequestrare il suo Pc senza bisogno di hackerarlo molto tempo prima.

Ti pare che rientri tutto nella norma senza sentire puzza di un gioco sporco?.


Aztlan ha scritto:
Questo potrebbe come non potrebbe essere rilevante. Di ragazzi con soprannomi strani ce ne sono a volontà.

E il bullismo mi sembra una cosa differente e indipendente dalla sorte toccata a Yara.


Allora mi spieghi perchè Yara ha preso in prestito dei libri sul bullismo per degli innoqui sopranomignoli che a detta della madre "le scivolavano addosso anche perché non capitava solo a lei"
Immagine ed in particolare proprio questo libro?



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 13/09/2015, 23:07 
Ti invito a leggere qui sotto e poi dimmi se non è possibile la pista del bullismo anche commesso da ragazze,magari che credeva amiche.


MASSIMO BOSSETTI: QUASI SICURAMENTE INNOCENTE

Questo caso di Yara Gambirasio è forse tra i più intricati di questi ultimi anni, tanto è vero che molte informazioni reali sono state ignorate o dimenticate volutamente, questo solo ed esclusivamente perchè sul corpo di Yara sono state trovate tracce di DNA, che al contrario di ciò che pensa l'opinione pubblica, sono tracce molto molto dubbie. Per verificare tutto ciò è sufficiente leggere la relazione dei RIS, cosa che nessuno ha voglia di fare, poichè è molto più comodo leggere un titolo assurdo in prima pagina. Vediamo quindi di spiegare nei minimi dettagli perchè Massimo Bossetti è probabilmente innocente.

IL RAPIMENTO A SCOPO SESSUALE

Non è assolutamente vero che questo delitto sia di matrice sessuale. Infatti sul corpo di Yara non è stato riscontrato il benchè minimo indizio di matrice sessuale. Secondo punto: i cani molecolari sono arrivati sino al cantiere di Mapello, di conseguenza Yara non è stata rapita a Brembate, non è stata fatta salire su un'auto o mezzo chiuso, bensì è arrivata al cantiere di Mapello a bordo di uno scooter, con probabilità del 99%, poichè se altrimenti fosse, i cani non sarebbero stati in grado di seguire alcuna traccia. Ricapitolando, i motivi per i quali Yara non è stata rapita e fatta salire su di un mezzo chiuso a Brembate sono 3.
1°: se fosse stata caricata in auto, i cani molecolari non avrebbero segiuto nessuna traccia, in nessuna direzione.
2°: se si fosse avviata verso casa e rapita successivamente, non nei pressi della palestra, i cani avrebbero seguito la traccia verso nord(verso casa sua) sino al punto del rapimento.
3°: punto più importante; i cani hanno seguito la traccia di Yara verso sud, verso il cantiere di Mapello, quindi, se la traccia c'è e comincia dall'uscita della palestra per continuare immediatamente verso sud (verso Mapello), Yara è salita sicuramente su uno scooter (mezzo aperto che lascia la traccia)!

Da notare anche che dal cantiere di Mapello in poi, i cani molecolari non percepiscono la benchè minima traccia di uscita dal cantiere di Yara, il che vuol dire che solo dal cantiere in poi Yara è stata trasportata con un mezzo chiuso.

IL DNA

Negli ultimi mesi è ormai famosissima la frase "il dna non vola", diventata quasi un tormentone possiamo dire, MA il DNA può essere facilmente trasportato da un corpo all'altro, e credeteci che è molto ma molto più facile di quel che tutti quanti possiate pensare. Ognuno di noi OGNI GIORNO lascia il proprio DNA ovunque, ma non entriamo nei particolari, diciamo solo che questo vale per tutti, figuriamoci per una persona che soffre di epistassi, tra gocce di sangue in terra, sul cantiere dove lavora, o sui numerosi fazzoletti buttati nei bidoni della spazzattura, completamente imbevuti di sangue. Questa pista "ufficiale" che si sta seguendo è completamente sbagliata, poichè i fatti sono ben diversi dal solito maniaco sessuale, al quale sembrerebbe proprio non importi nulla della sessualità di Yara!

GLI SMS E L'INCOMPATIBILItTA' CON GLI ORARI

Yara riceve un sms dall'amica esattamente alle ore 18:25 mentre si appresta ad uscire dalla palesta, esce esattamente dalla palesta alle 18:30, non risponde subito all'sms arrivato 5 minuti prima, ma lo fa esattamente e tranquillamente alle ore 18:44, cioè lo fa quando ipoteticamente dovrebbe essere tra le grinfie del suo aggressore. L'amica risponde a questo sms di Yara esattamente alle 18:49...in questo momento il cellulare di Yara è agganciato alla cella di Mapello, quindi capite bene che non solo i cani ci dicono che è stata al cantiere, ma anche la rete telefonica. Nel momento che il cell di Yara riceve l'sms delle 18:49, il cell viene spento. Non ci siamo assolutamente con i tempi, poichè se Yara fosse stata rapita alle 18:30, ma facciamo anche alle 18:35, come avrebbe potuto rispondere all'amica alle ore 18:44? Ovviamente non era con questo fantomatico maniaco, bensì era con chi lei conosceva bene, i quali l'hanno poi portata al cantiere di Mapello, IN SCOOTER!

LE TESTIMONIANZE IGNORATE MA MAI SMENTITE

Ora parliamo delle testimonianze che sono state completamente ignorate dal PM, semplicemente perchè il tutto non coincideva con l'ipotesi prima, cioè la pista del maniaco sessuale solitario (che come si sa e ricordiamo, Yara non ha subito il benchè minimo abuso sessuale).
Ma vediamo di quali testimonianze si tratta.
La sera del 26/11/2010 intorno alle ore 19:00, una signora sta parlando nei pressi di Brembate con sua figlia tramite walkie talkie, ad un certo punto ecco che arriva un'interferenza da altri walkie talkie, con una voce che dice esattamente: " CE L'HO, L'HO PRESA, LA PORTIAMO LA' ". Questo esattamente la sera stessa e alla stessa ora in cui fu rapita Yara. Tale frase viene confermata anche dalla figlia di questa signora. Sicuramente potrebbe trattarsi di una coincidenza, ma allora perchè questi 3 tizi (essendo matematicamente 3 persone da quella frase), visto che certamente hanno saputo questa notizia, nessuno di loro si è fatto vivo? Quanto meno per togliersi di dosso il rischio di essere ricercati per tutt'altra cosa. In 4 anni il silenzio totale e sembra ovvio fosse gente del paese, visto che col walkie talkie non si comunica a chilometri.

Ora veniamo ad un altra importante testimonianza anch'essa messa da parte per lo stesso motivo, non coincideva col maniaco sessuale.
Alla redazione di un giornale ( l'eco di Bergamo) arriva una lettera anonima di un signore che dice di essere stato nei pressi del campo di Chignolo d'Isola la sera del 26/11/2010, esattamente alle ore 19:00. Dice di essere stato titubante un mese prima di scrivere la lettera, in quanto questo signore si trovava là in compagnia di una prostituta.
Qui il testo della sua testimonianza:

“La donna mi ha portato nello spiazzo esattamente di fronte al campo. C’era buio, serata abbastanza fredda e da poco aveva smesso quel mezzo nevischio/pioggia. Avvicinandomi al limite della strada notiamo che non ci sono auto in zona, ma due scooter parcheggiati di traverso: non mi sembrano scooter grandi, da patente, anche se non me ne intendo di moto, sono scooterini da ragazzi. Non ricordo il colore, penso fossero neri, al massimo blu scuro o grigio scuro. C’è un casco a terra e uno sulla sella. Con i fari per pochi secondi ho fatto luce nel campo dove ho visto, anzi abbiamo visto, delle figure che si allontanavano o meglio si addentravano nel campo. Sembravano litigare, o forse scherzavano, e avevano fretta. Ho solo due certezze: che erano tre e che erano le 19 in punto del 26 novembre. Mi attribuisco solo un mese di senso di colpa, volevo e dovevo scrivere o parlare dal giorno del ritrovamento. Ho riconosciuto subito in tv il posto, anche se l’avevo visto al buio, ma per conferma con punti di riferimento come il capannone e la discoteca ci sono tornato di giorno e vi assicuro che quel 26 novembre ero lì”.

Secondo il misterioso testimone, quindi, potrebbe trattarsi di tre ragazzi, forse Yara e i suoi due assassini? La coppia, proprio a causa della presenza di queste tre persone, avrebbe quindi deciso di appartarsi in un altro posto, a circa un chilometro da quel campo di via Badeschi. Questo signore inoltre ha fornito agli inquirenti il nome della prostituta, per dare appunto la conferma che non raccontava fantasie. La domanda è: che ci facevano 3 ragazzini agitati che correvano verso il centro del campo di Chignolo, al buio pesto e con un freddo che si aggirava intorno agli zero gradi? Laddove ci sono solo sterpaglie??? Tutto questo la sera del 26 novembre 2010 alle ore 19:00 in punto.

Un'altra testimonianza interessante è quella di un signore che esattamente alle 18:30 del 26/11/2010 dice di aver visto Yara fuori dalla palestra, parlottare con delle amiche. Questo termine "parlottare" fa pensare ad una specie di discussione. Anche questa testimonianza sembra essere stata completamente ignorata. Ma la domanda è: dove sono queste ragazze? Perchè nessuno le va a cercare per capire cosa sia successo, e soprattutto per interrogare le ultime persone che l'avrebbero vista?!

LE FERITE SUL CORPO DI YARA

Dai risultati dell'autopsia sappiamo con certezza che Yara ha subito 13 colpi, tutti colpi sferrati con scarsa forza, come se la mano non appartenesse ad un uomo con discreta forza fisica. Basti solo analizzare che il colpo ricevuto alla nuca ha solo forse provocato lo svenimento, visto che probabilmente non ha causato nemmeno quello. Tutti i colpi subiti non hanno profondità maggiore di 2 mm, il che esclude categoricamente che Yara sia stata colpita con un coltello, in quanto non esiste coltello al mondo con lama tanto corta. E nemmeno è possibile che l'aggressore colpendo ripetutamente durante una collutazione, mentre la vittama ovviamente cercava di difendersi, abbia avuto l'accortezza di non affondare mai oltre i 2 mm i colpi sferrati con un coltello. Quindi Yara non è stata colpita con un coltello. Si era pensato ad un taglierino, ma anche questa ipotesi è da scartare per i seguenti motivi: colpendo una persona in movimento con un taglierino, è impossibile che nessuna ferita si estenda anche leggermente oltre i 2 cm in lunghezza, in quanto il taglierino essendo affilato, non causerebbe solo la profondità della ferita, ma anche ed evidentemente un allungamento dello squarcio, sicuramente maggiore dei 2 cm di lunghezza riscontrabili in tutte le ferite, soprattutto quando un corpo è in movimento in una collutazione mentre la vittima tenta di difendersi. Yara fu colpita con altro oggetto, probabilmente un qualcosa recuperato per caso nella casupola del cantiere di Mapello, dove come già detto, fu trasportata a bordo di uno scooter. Perchè non può essere stato un adulto a colpire ripetutamente Yara? Tutte le ferite riportare sono in realtà di lieve entità (ricordiamo che Yara non è morta a causa delle ferite, bensì successivamente in quanto abbandonata in luogo dove la temperatura in serata scese abbondantemente sotto lo zero), un uomo adulto e soprattutto un uomo con non indifferente forza fisica (tipo un muratore) non avrebbe avuto bisogno prima di tutto, di colpire Yara per 13 volte, ma anche ammettendo che l'abbia fatto, questo non è assolutamente compatibile con le ferite riportate, in quanto un uomo adulto avrebbe sicuramente causato ferite ben più gravi, per non parlare del colpo alla nuca, che come già detto fece solo svenire Yara. I colpi ricevuti da Yara esistono, sono reali, ma solo una mano con scarsa forza fisica avrebbe potuto produrre ferite come quelle riportate sul corpo di Yara. Anche sul collo furono trovati segni di strangolamento, ma sappiamo che Yara non è morta per strangolamento o soffocamento. Molto difficile che un uomo aduto con notevole forza fisica, non riesca a strangolare una ragazzina esile di 13 anni, sembra quasi assurdo, visto che molti uomini uccidono per strangolamento donne adulte grandi e grosse. Ma quei segni sul collo fanno anche pensare che Yara anzichè essere stata presa al collo con le mani, sia invece stata trattenuta con la forza da dietro, cinturata al collo con un braccio (come solitamente si fa tra ragazzi durante una collutazione), mentre un'altra persona (o persone) infieriva su di lei. Questo giustificherebbe i segni sul collo. Fatto sta che tutto questo esclude categoricamente l'aggressione di un adulto, e soprattutto, anche da ciò precedentemente detto, esclude assolutamente il rapimento a scopo sessuale. Inoltre dall'autopsia è stato stabilito che sul corpo di Yara furono ritrovati 2 cidici genetici, uno maschile ed uno femminile.

CONCLUSIONI

Ci sarebbero molti altri particolari da evidenziare, ma al momento ci fermiamo a questi. Tutto ciò che avete letto sono informazioni reali, in mano a suo tempo agli inquirenti e successivamente pubblicate dalle maggiori testate (le quali potere trovarle tranquillamente in rete). Perchè queste informazioni sono le più attendibili? Perchè queste sono tutte informazioni, indizi, ricavati pochi giorni dopo la sparizione di Yara e nei giorni successivi al ritrovamento del corpo. Purtroppo questo caso ora come ora si è trasformato in una soap opera, dove ogni giorno saltano fuori elementi che in 4 anni nemmeno gli inquirenti si sognavano. Tutto questo probabilmente per depistare, in quanto certe notizie odierne sono davvero incredibili per la loro assurdità. I veri indizi sono solo ed esclusivamente ciò che avete appena letto.

Redazione FlashNews 48

24/10/2014

Source: Massimo Bossetti: quasi sicuramente innocente


Qui si stà coprendo qualcuno e non è certo qualche mafioso o massone, ma piu semplicemente la figlia o il figlio di qualcuno vicino a chi indaga oppure parente di qualche personaggio intoccabile.

Ma se a te fà piacere che il Bossetti sia implicato in questa storia senza valutare altre piste, continua pure.
Tanto io è dall'inizio che lo ritengo innocente ed ogni giorno che passa sempre di più [:)]



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MessaggioInviato: 13/09/2015, 23:21 
setta


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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 14/09/2015, 03:01 
alla luce di quanto emerso non credo ad una setta penso piuttosto al figlio\i di qualcuno influente nel paese che magari può aver causato la morte di Yara in un eccesso di bullismo.Magari nelle forze dell'ordine e quindi con la possibilità di manipolare le prove...



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MessaggioInviato: 14/09/2015, 11:37 
MOD: Cancellato (per richiesta dell'autore)


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MessaggioInviato: 14/09/2015, 17:54 
Luca Telese per ''Libero Quotidiano''

«Sa che cosa c’è? Non so cosa risponderle: non mi ricordo». Silvia Brena è bella. Ma Silvia Brena è terribilmente evasiva. Silvia Brena sorride e allarga le braccia, sul banco dei testimoni del Tribunale di Bergamo, e tutti i riflettori si stringono su di lei. Se in questo processo non fossero vietate le riprese televisive, oggi sarebbe già diventata una star dei programmi del pomeriggio. È la quindicesima volta consecutiva che Silvia ripete di non ricordare quello che lei stessa aveva testimoniato agli agenti. Gli avvocati Paolo Camporini e Claudio Salvagni la stanno sottoponendo a un quarto grado di quelli che nemmeno Perry Mason.

La domanda è una di quelle importanti: «Ricorda di essersi scambiata un messaggio con suo fratello, alle 18.35?». Risposta: «No». Domanda: «E ricorda di averlo cancellato subito dopo?». E lei: «No, non ricordo». Domanda: «Ma non è strano che sia lei che suo fratello abbiate entrambi cancellato solo quello?». Risposta: «Sì, forse. Ma se io non ricordo….». Le chiedono: «Ricorda di aver visto Yara, seduta in palestra?». «Se l’ho detto doveva essere così».

Ancora gli avvocati: «Ma si ricorda almeno di aver detto di aver ricevuto delle avances in palestra?». «No, non ricordo». Salvagni cela nei toni garbati uno moto di stizza: «Ma come può aver dimenticato? Le leggo la sua deposizione!». E allora lei: «Ah, sì, adesso che me lo dice, mi ricordo». Si ricorda di aver pianto, a casa, la sera della scomparsa, come ha raccontato suo padre?

«No, non ricordo. Ma se lui l’ha detto è possibile». È come un giallo, un mistero, ma anche come un film. È come un labirinto in cui si perde, come una lavagna cancellata. Le amiche di Yara, le sue compagne di palestra. Tutte carine, tutte sveglie, tutte capaci di esprimersi in un italiano compito, forbito, prive di qualsiasi inflessione dialettale.

Sono l’altra faccia di questo processo: nulla a che vedere con la bergamasca tribale, segreta, talvolta torbida, rivelata dall’inchiesta: sono perfette, si assomigliano, potrebbero essere uscite dal casting una serie americana, hanno i capelli giusti, gli occhi che brillano, un look acqua e sapone. Solo che c’è anche questo dettaglio: dicono tutte di non ricordarsi nulla.

Silvia Brena ha un sorriso solare, disarmante, che non corrisponde con l’espressione corrucciata del suo viso, a tratti terreo e pietrificato. Silvia in tribunale a Bergamo usa quel sorriso come un soldato spartano incastrato in una falange userebbe il suo scudo: per proteggersi. Silvia è una delle testimoni chiave che sfilano tra il pomeriggio e la sera della seconda giornata del processo per il delitto Yara. Silvia è l’unica persona - oltre a Massimo Bossetti - che ha lasciato il suo Dna sui vestiti di Yara.

Sulla manica del giaccone, per l’esattezza. Tutte le testimonianze dicono che quando lei è entrata in palestra Yara non aveva la giacca, lei non ricorda di averle parlato, e dice di essere andata in un altro piano a fare degli esercizi. Ma allora quel Dna da dove arriva? «Non lo so».

È un processo strano, quello di Bergamo: la mattina di venerdì si faceva a pugni per entrare in aula, il recinto dei giornalisti era affollato, le parabole dei tiggì hanno fatto gli straordinari per coprire le testimonianze del padre e della madre. Ma quando dopo una maratona devastante iniziano a sfilare le amiche e le ex compagne di corso di Yara, a sentirle non c’è quasi più nessuno. Ecco Daniela Rossi, una delle maestre: «Quando la mamma di Yara mi chiamò la prima volta non mi sono preoccupata, pensavo che Yara si fosse fermata a salutare qualcuno».

Ecco una ex compagna, Ilaria Ravasio, due di loro sono ancora minorenni. Durante l’udienza la testimonianza della Brena diventa il pretesto per un corpo a corpo tra legali e presidente della corte degno di un capitolo di Grisham: «Signorina Brena, vorrei chiederle. Lei ha usato la macchina tornando a casa?». E la presidente: «Avvocato Salvagni, questa domanda non è attinente!». E il legale di Bossetti: «Mi oppongo, signor presidente: se non è attinente la testimonianza dell’istruttrice di Yara, che cosa lo è?». Risposta: «Allora faccia domande su Yara, non sul privato della teste». Mugugno: «Allora riformulo: Signorina Brena, dopo aver lasciato Yara, che mezzo ha usato per uscire…?».

E si continua così, con toni da legal thriller, ma con l’inesorabile consequenzialità di ogni mossa, come se si trattasse di una partita a scacchi. Avevo letto le testimonianze rese nel 2010 da Silvia e dalle altre ragazze. Ma fino a che non ho sentito il racconto della mamma di Yara, e fino a che non le ho viste in Aula, non avevo capito quanto potessero essere importanti. Intanto c’è un dato anagrafico: leggevi maestra, nei fascicoli, ma solo con il processo capisci che le «maestre» non erano donne fatte, ma ragazze di diciotto-venti anni, che imparavano dai grandi e insegnavano alle piccole. Oggi le amiche di Yara sono appena diventate maggiorenni, e hanno l’età che il giorno del delitto avevano le loro istruttrici: anche Yara oggi avrebbe diciotto anni.

Le prime e le seconde, e la media tra ieri e oggi è il punto medio di una generazione. Mi colpisce moltissimo anche la testimonianza di Martina Dolci. Ha diciotto anni, uno sguardo spaurito da cerbiatta. Martina in questo processo è un teste decisivo perché è lei che ha ricevuto l’ultimo messaggio di Yara, l’ultimo contatto in vita. La mattina mamma Maura Panarese, la signora Gambirasio aveva descritto il legame di ferro di queste tre amiche, che con regolarità sorprendente mangiavano insieme, andavano in palestra insieme, giocavano insieme, partecipavano alle gare insieme. L’avvocato Camporini chiede a Martina: «Ricorda di aver ricevuto il messaggio di Yara?».

E alllora anche lei allarga i suoi occhi stupiti da cerbiatta: «No, non ricordo». Mi chiedo: ma come è possibile? L’evento più grande e terribile della sua vita, dimenticato così? «Ricorda se Yara aveva degli amori, se parlava di ragazzi?». E lei: «Veramente noi parlavamo poco di cose private, solo di ginnastica». L’avvocato è incredulo: «Ma non eravate amiche per la pelle?». E lei: «I nostri rapporti dipendevano soprattutto dalla ginnastica».

È a questo punto del pomeriggio che mi chiedo: hanno solo paura o nascondono qualcosa? Anche Laura Capelli era stata una maestra di Yara, anche lei ha oggi venticinque anni. È lei che aveva avvisato Silvia Brena, quella sera. Anche Laura è carina, seria, scrupolosa. Ma a tratti anche lei non ricorda bene: «Capisce, è passato tanto tempo». Le chiedono: «Ricorda che il fratello della Brena frequentasse il centro?». Risposta: «No, assolutamente». Allora l'avvocato Camporini si spazientisce: «Ma come? Se nella testimonianza aveva detto che aveva lavorato al bar!».

E lei: «Ha ragione, avevo dimenticato». La mattina, la signora Gambirasio aveva rivelato una circostanza incredibile: la tata di Yara, che le dava una mano a casa, e che nel tempo era diventata una delle sue migliori amiche, era la signora Aurora Zanni. Ma la signora Zanni era anche la moglie del cugino di Giuseppe Guerinoni, l’autista che nel 1969 aveva avuto una storia con Ester Arzuffi. Guerinoni è il padre naturale di Massimo Bossetti.

Fa un po’ di impressione scoprire che il figlio di Aurora, Damiano, all’epoca ventenne, fosse un habituè della casa dei Gambirasio. Il ragazzo nei giorni del delitto era nel Mato Grosso, ma frequentava un luogo cruciale di questo delitto, la discoteca «Sabbie mobili». Sarebbe sua la traccia di Dna da cui si è risaliti alla Arzuffi, e quindi a Bossetti. Anche Silvia Brena in aula ripete: «Frequentavo la discoteca Sabbie mobili».

Il corpo di Yara è stato ritrovato nel campo di Chignolo, esattamente di fronte alla discoteca. Chiedono alla Brena, ancora una volta: «Si ricorda dove è stato ritrovato il corpo di Yara?». La risposta, so che non ci crederete, è: «No, non mi ricordo». Ho ascoltato con attenzione la mamma di Yara. Mentre parla Silvia ripenso alle sue parole. Sono rimasto stupito dal rigore della signora Maura, dalla sua meticolosità, dalla sua precisione.

Ad un certo punto, durante la deposizione, si finisce a parlare - perché nei processi capita anche questo - della biancheria intima di Yara: «Ricorda quale reggiseno indossasse?», chiede l’avvocato Camporini. E la presidente: «Ma avvocato, come pretende che si ricordi? Anche io ho una figlia, so di cosa parlo!».

E la madre di Yara, impassibile: «Mi permetta, presidente, ma ricordo benissimo che era un reggiseno rosa, sportivo, reagalatole dalla zia». A questo punto l’avvocato è incuriosito: «E come fa ad esserne sicura?». Risposta: «Ho comprato io tutta la biancheria di Yara. Erano pochi capi. E quando quella mattina ho visto quel rosa, ho capito che aveva scelto quello». Faccio un altro esempio. La madre di Yara racconta di essere entrata in allarme già alle 18.45: «Io le avevo detto di tornare alle 18.30. Lei voleva tornare più tardi. Le ho detto: allora alle 18.45. Non avrebbe mai potuto tardare senza informarmi».

E il percorso del ritorno: «Le avevo detto quale strada fare, incrocio per incrocio. E le avevo raccomandato di passare sul lato del marciapiede dove sono i lampioni, quello con più luce». Allora la presidente le dice: «Ma mica può essere sicura che lo facesse…». E la signora Maura: «E invece lo sono. Le spiego. Quando tornavo da fuori, se era nell’orario in cui Yara rincasava, facevo quel percorso con la macchina, proprio per incrociarla: nel 99% dei casi la trovavo proprio lì».

Poteva accadere una cosa così a una madre come questa? Mentre passano le ore, e sfilano i testimoni, mi viene in mente questo mondo dove Yara è cresciuta. Regole e orari, una madre straordinaria, affettuosa, ma attentissima. Mamma Maura dice: «A catechismo non ci era voluta andare più per una sua scelta. La palestra era un luogo sicuro». Aggiunge: «So che qualcuno la prendeva in giro per l’apparecchio. Ragazzate. Mi pare che la chiamassero “Coyote”. Ma non erano cose serie».

Gli avvocati, però, trovano, spulciando in biblioteca, che Yara aveva preso in prestito due libri sul bullismo (uno si intitola «Brutta», la storia di una figlia angosciata da una madre oppressiva). Lei rimane stupita: «Non li avevo visti». Il signor Gambirasio piange e fa piangere tutti quando racconta con una voce bellissima che si arrochisce e si incrina: «Era il collante, il sale di questa famiglia, aveva l’argento addosso! Tu le chiedevi un bicchier d’acqua, e lei te lo portava facendo la ruota».

E ride, e piange, e non c’è soluzione di continuità. Piange e singhiozza soprattutto quando è costretto a ripercorrere il suo girovagare disperato per le strade, e gli precipita addosso l’angoscia di quella sera. Non vuole crollare.

Si ferma. La presidente lo aiuta con una domanda. Ma lui piange di nuovo. Racconta, però, c’è la strada era bloccata per dei lavori. Molti non si accorgono delle conseguenze di questa battuta, ma la pm Ruggeri e gli avvocati sì. Se c'erano i lavori com’è possibile che Bossetti girasse in tondo con il suo furgone “da predatore?”. Quella frase, tra le lacrime, ha incrinato un teorema dell’accusa.

È un processo così, intricato come un sudoku. Dietro ogni dettaglio c’è una conseguenza, dietro ogni lacrima c’è un colpo di scena. Ma la vera notizia sono queste ragazze che sembrano saltate fuori da un altro mondo, da un film come “Il giardino delle vergini suicide”, di Sofia Coppola, queste ragazze belle e smemorate, che forse tacciono solo per prudenza, ma che forse nascondono qualcosa.

Yara era una tredicenne che stava esplodendo nella sua vitalità, e che è entrata in contatto in palestra con il mondo dei grandi. Forse in palestra ha trovato il bandolo che l’ha portata fuori dal sentiero sicuro della sera? Forse la discoteca Sabbie mobili era l’epicentro della vita, ma anche un porto di mare? L’unico ufo, in questa giornata, l’unico che non ha legami con questo mondo, paradossalmente, è Massimo Bossetti. L’unica cosa sui cui le amiche di Yara rispondono tutte la stessa cosa, senza amnesie, e guardandolo negli occhi: «Non lo abbiamo mai visto».

È incredibile anche il chiasmo che lega le due famiglie, i Gambirasio e i Bossetti: due madri che comandano ogni cosa, due padri che lavorano, portano i soldi, e tornano nei cantieri dal weekend delegando alle moglie, come dice Fulvio, «L’amministrazione della famiglia».

Mentre l’udienza sta per finire ripenso al racconto di Silvia Brena. Quella sera, racconta, dopo aver pianto ed essersi disperata, era andata in oratorio fino alle 23.00. Poi era andata a bere al pub “Agadà”. Poi, a sentire i racconti, aveva pianto di nuovo, tutta la notte. Forse un percorso normalissimo, per certe ragazze di questa generazione: disperazione a intermittenza.

Forse dietro questi silenzi e questi omissis c’è un’ombra, un sospetto indicibile, qualcosa che noi non sappiamo. È sera: seguo Silvia nel tribunale mentre accompagnata da un poliziotto esce percorrendo i corridoi, e rimango colpito da un piccolo colpo di scena. Silvia arriva in una stanzetta in cui ci sono tutte le altre amiche che dopo aver testimoniato l’hanno aspettata: cinque ragazze, le ex compagne e le ex istruttrici. Escono, varcano il portone, rispondono «No comment» ai giornalisti appostati con la sicurezza che potrebbe avere Belen Rodriguez. Salgono le scale di un parcheggio, e se ne vanno tutte insieme, portandosi dietro tutti i dubbi di questo enigma.


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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 14/09/2015, 18:08 
...quanto mai strano che quelle che erano le sue colleghe/amiche di palestra abbiano una amnesia congenita,e nessuna ricordi quei momenti...........come solito sara' una di quelle vicende italiche in cui non si giungera' a nessun risultato,magari sara' condannato qualkuno x qualke indizio.................... [:294] [:293]


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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 14/09/2015, 19:45 
Luca Telese è uno dei pochi giornalisti rimasti in aula dall'inizio alla fine, mentre agli altri giornalai interessava solo nutrirsi del dolore dei genitori ma di informare il pubblico sul vero succo del proccesso se ne sono disinteressati bellamente, tanto loro la sentenza di condanna a carico del Bossetti l'hanno già emessa con gli iniziali articoli spazzatura.
Bravo Luca Telese [:)] un ottimo articolo da vero giornalista, continua così



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 14/09/2015, 21:00 
E che dire dei preti e vescovi che per me sanno la verità perchè il colpevole o i colpevoli si sono confessati da qualche prete e avrebbe detto dove avevano nascosto il corpo di Yara.....


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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 19/09/2015, 16:14 
Yara, in aula l'aeromodellista che ha ritrovato il corpo: "Un uomo mi guardò per 15 minuti"

Ilario Scotti scoprì il cadavere e rimase sul posto attendendo la polizia. "C'era una persona al bordo del campo. Mi fissava e se ne andò quando sentì le sirene". In aula anche la sorella di Yara: "Non aveva contatti con persone più grandi"

Source: Yara, in aula l'aeromodellista...per 15 minuti" - Repubblica.it

E con l'udienza di ieri la ricostruzione della Letizia che vuole un rapporto di conoscenza tra Yara e Bossetti e che la stessa sia salita sul suo furgone, và a farsi friggere.
Fino ad oggi dalle testimonianze sentite nelle precedenti udienze non esiste prova che Yara abbia lasciato il centro polisportivo con le sue gambe. Vedremo nelle prossime udienze cosa emergerà.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 19/09/2015, 21:04 
Yara, colpo di scena in aula: i tempi del delitto non tornano


Il colpo di scena della seconda giornata del processo Gambirasio, arriva nel tribunale di Bergamo quando meno te lo aspetti. Arriva in maniera quasi casuale, dopo un fitto batti e ribatti, quando la sorella di Yara, Keba, risponde alle domande degli avvocati dicendo: «Era nato un battibecco, per modo di dire, su chi tra noi due avrebbe dovuto portare la radio in palestra». L' avvocato Camporini le chiede: «Da quando?». Keba prende un respiro, ci pensa: «Da tanto. Ma non mesi… Meno di una settimana… diciamo… tre giorni». E, incalza l' avvocato, «quando si è risolto il dilemma?». «Quello stesso pomeriggio».

Come per tutti i particolari di questo processo, anche il minimo dettaglio ha grandissime conseguenze sulle ipotesi e sull' impianto accusatorio di tutta l' indagine. È così anche stavolta. Nello stesso giorno, infatti, il perito dell' accusa, Mattia Epifani, racconta che Yara non aveva accesso a nessun social network. Che non aveva profili Facebook. Che quel giorno non c' è stato traffico, telefonate o sms dal suo cellulare. Sintesi: «Non abbiamo trovato prove di comunicazioni con soggetti terzi». Un bel problema. Keba aggiunge anche che subito dopo questa discussione, dopo pranzo, Yara non ha parlato con nessuno, ed è rimasta a casa a fare i compiti, nella stanza che condivide con lei. La conseguenza di quella discussione, in apparenza innocente, tra due sorelle che vogliono andare in palestra, e una madre chiamata a dirimere la questione, la capisco solo dopo un po'. Ancora Keba: «Non abbiamo detto a nessuno che sarebbe andata lei». Ma allora, se non ci sono sms, mail, telefonate, vuol dire che nessuno fuori della famiglia Gambirasio poteva sapere che Yara sarebbe stata in palestra, né tantomeno a che ora sarebbe uscita da lì. Cade l' idea dell' appuntamento, cade, di conseguenza, l' idea che conoscesse il suo assassino. Eppure gli inquirenti ne sono così convinti che l' unico capo di imputazione che hanno risparmiato a Bossetti è «sequestro di persona». Yara sarebbe salita in macchina di sua spontanea volontà, e la perizia sulle fibre dei sedili presenti sui suoi leggings prodotta dall' accusa, proverebbe addirittura che è rimasta seduta «in posizione eretta», senza dimenarsi. Ma Bossetti come avrebbe potuto sapere quello che era stato deciso nella famiglia Gambirasio, se nulla era uscito dalla porta della casa di Brembate?

Quella di ieri, apparentemente, sarebbe dovuta essere una giornata di interrogatori calma, senza colpi di scena. E invece, come per magia, a fine giornata, mille informazioni si compongono nel taccuino, regalando diverse sorprese. E - per un nonnulla - la tensione tremenda che sempre aleggia in aula esplode, regalando meravigliose contese da trial movie. Come quando, proprio discutendo della perizia sul telefonino di Yara,l' avvocato Camporini prova a chiedere al tecnico: «Questo telefonino che funzioni ha?». La Ruggeri salta sulla sedia come un puma: «Mi oppongo, signor giudice, non pertinente! Il mio perito ha lavorato sul contenuto del telefonino, non sul telefonino!». Camporini risponde con una flemma quasi ostentata: «Vostro onore, sono consapevole che qualcuno possa non capire, ma la difesa spiegherà solo alla fine il perché, e l' estrema importanza di alcuni elementi». La Ruggeri: «Ehhh…». Camporini: «Non glielo anticipo: pazienti…». Qui, sorprendendo tutti, la Ruggeri vede rosso e alza la voce: «Io non capisco perché l' accusa debba girare tutte le sue carte, e la difesa pretenda di mantenere ogni cosa coperta!». Camporini gongola: «Sarà una sorpresa, eh eh». La pm è furibonda, ricorre al sarcasmo: «E certo, come no?
Adesso salterà fuori che Yara ha fotografato il suo assassino e lo scoprono loro».


Sono seduto proprio alle spalle dei banchi delle parti. Per un attimo mi perdo nella meraviglia dei dettagli. La difesa è decisamente dandy: Camporini, scarpe Duilio in pelle a tre colori; Claudio Salvagni calzini monotinta con ranocchie verdi fosforescenti. La Ruggeri, invece, sbarazzina: sotto la severità della toga e la gorgiera di pizzo bianco, pantaloni a pinocchietto verde pisello. Un conflitto antropologico, una tempesta perfetta, incomunicabilità tra pop-inquisizione e difensori liberal-chic.
Anche Keba Gambirasio, come tutte le ragazze di questa storia, è una ragazza bella.

Mentre parla, seduta in equilibrio sulla punta della sedia, mentre si morde le labbra nei momenti morti, provo indovinare il colore dei suoi occhi, a metà tra il verde chiaro e il grigio. Il perfetto taglio delle arcate sopracciliari regala luce allo sguardo. Anche Keba dice di non ricordare molte cose. Si dimentica addirittura che negli interrogatori aveva indicato un fidanzatino: «Io e mia sorella non parlavamo molto di queste cose». Però, quando Camporini le dice che lui, «maggiore» come lei doveva sorvegliare il proprio fratello, Keba rivela: «Le guardavo il diario per controllare se aveva fatto i compiti». E Bossetti? Lo riconosce, per caso? «Mai, mai… mai visto no». Alla domanda su perché abbia cambiato il suo account sul computer proprio la mattina dopo la scomparsa, Keba scuote il capo: «Non lo so. Non ricordo». Anche il dettaglio sugli autobus diventa importante: «Per andare a scuola - dice la sorella di Yara - prendevamo quelli di linea blu. I più vecchi avevano i sedili di pelle rossa. Gli altri di stoffa… grigia». Gli avvocati di Bossetti si scambiano sguardi soddisfatti: i sedili di stoffa, infatti, possono giustificare le fibre. Ma il tempo della battaglia su questo elemento di prova deve ancora venire. Quando entra Matthias Foresti, il cosiddetto «fidanzato di Yara», mi domando perché l' accusa lo abbia convocato. È un ragazzo molto carino, con il viso regolare, un ciuffo fantastico. Racconta che lui e Yara hanno avuto «una simpatia un po' accesa» (risate in sala), ma che (per un anno!) questa relazione si è potuta sviluppare «solo per telefono». Come mai? «Le chiedevo "Dove ci vediamo?", e lei mi rispondeva: "Mia madre non mi lascia uscire"».

Fabrizio Francese, l' ultimo uomo che ha visto Yara viva, è il testimone che ogni inquirente sogna di incontrare. Preciso, meticoloso, esibisce una memoria di ferro, e se c' è qualcosa che non torna sa spiegare perché. La sua precisione sposta anche ora la datazione del delitto di Yara, e forse avrà delle conseguenze. Ecco perché. Francese sta tornando da Milano, in treno. Arriva alla stazione alle 18.24. Perché? «Perché ricordo che sono partito alle 17.39». Ricorda di aver ricevuto una chiamata della compagna alle 18.34. Perché? «Perché mi chiedeva se riuscivo a prendere la bambina in palestra, ho guardato l' ora». E perché? «Dovevo capire se facevo in tempo ad arrivare. Ero nel parcheggio, ho detto sì». E allora prende la macchina corre in palestra. Parcheggia lontano: «Ci avrò messo in tutto dieci minuti. Non vedo nessuno, non incontro nessuno, entro dall' ingresso principale.
All' altezza di un colonnino di cemento del corridoio incrocio Yara». È sicuro: «Sicurissimo. La conoscevo». Come mai? «L' avevo conosciuta alle gare». E che succede? «Le faccio: "Ciao Yara!". Anche lei mi saluta. O meglio, voglio essere preciso. Mi risponde con un sorriso. Aveva il passo spedito di chi sta andando da qualche parte».

Perché è molto importante questa testimonianza? Perché ci dice che «Alle 18.44 Yara è ancora lì». Salto sul taccuino, fino alla testimonianza del poliziotto che raccoglie la denuncia di papà: «L' ultimo aggancio del cellulare è alle 18.55, a Brembate, in via Ruggeri». Penso all' inchiesta, alla perizia sui furgoni secondo cui Bossetti sarebbe corso fino a Chignolo (almeno 45 minuti andare e tornare), e faccio due conti. Secondo l' accusa era alla stazione di servizio alle 18.40, avrebbe dovuto caricare Yara pochi minuti dopo, uscire da Brembate non prima delle 19.00, andare e tornare in venti minuti a viaggio.
Quindi gli restano solo venti minuti per uccidere Yara nel campo di Chignolo. E qui tutto si incastra con l' aspetto più interessante della testimonianza di Ilario Scotti, l' aeromodellista che ritrova il corpo di Yara. Scotti è un altro bergamasco fantastico: dice solo quello di cui è certo. Ma conosce benissimo quel campo.

Tutti restano colpiti dal dettaglio pittoresco del «guardone» che rimane a fissarlo un quarto d' ora, da lontano, quando trova il corpo, «e fugge via quando sente le sirene». Ma su questo forse ha ragione la Ruggeri: «Non mi pare un comportamento furbo - dice mentre mette via la toga - per un assassino». Scotti, però, dice un' altra cosa. In tre mesi è stato a Chignolo non meno di dieci volte. Scopre Yara solo perché deve recuperare un suo aeromodello bianco e rosso caduto nel campo. È la seconda volta che gli succede, e deve fare una fatica incredibile per ritrovarlo. Perché? «Perché in quella stagione c' erano cespugli irti e pieni di aculei, era impossibile avanzare dritti». E quindi? «Ho dovuto fare diverse serpentine per aggirare gli ostacoli». Ha impiegato quasi dieci minuti per fare i duecento metri che lo separavano dal suo aereo: «Solo dopo averlo recuperato ho visto il corpo». Quindi Bossetti in una sola ora avrebbe dovuto immobilizzare Yara, andare a Chignolo, portare il corpo in mezzo a quei rovi, mutilarlo in modo osceno, correre per tornare indietro entro le 20.00.

La testimonianza di Ippoliti fa cadere l' ipotesi che Yara sia arrivata lì con le sue gambe. Ne porterebbe i segni, come minimo, sui vestiti. Il tempo, adesso è un elastico: più si ritarda la partenza, meno tempo c' è per uccidere e tornare alle 20.00. La prova delle fotocamere che deve incastrare Bossetti, potrebbe diventare, per paradosso, il suo alibi.
Le testimonianze aiutano Bossetti Yara, colpo di scena in aula I tempi non tornano più.

di Luca Telese

Source: Yara, colpo di scena in aula: ...o - Italia - Libero Quotidiano


[:264] Andrà a finire come sotto sotto mi sono sempre auspicato, che il processo si ritorcerà contro la Letizia



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 Oggetto del messaggio: Re: Il caso di Yara Gambirasio
MessaggioInviato: 19/09/2015, 21:43 
Wolframio ha scritto:
Ti invito a leggere qui sotto e poi dimmi se non è possibile la pista del bullismo anche commesso da ragazze,magari che credeva amiche.

Oppure invidiose e competitive ...
Nell'ambiente della ginnastica a corpo libero le atlete sono terribili, competitive e cattive fra loro ... difficile trovare amiche in quell'ambiente
Forse tale aggressività è esplosa in una violenza inaspettata, considerando che il corpo è stato spostato potrebbero esserci di mezzo i genitori della ragazza/e coinvolte
Una situazione non tanto diversa da quella di Sara Scazzi
Tuttavia la pressione sarebbe altissima nelle case di queste persone ... strano che non sia crollato nessuno

La pista satanica non la accantonerei, succedono cose strane da quelle parti


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