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Stellare
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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 21/12/2015, 08:55 
ma sta cosa della putt.ana
è nata con la morale cristiana
repressiva e reazionaria,
da una parte condannavano donne e sessualità,
dall'altra ci andavano, ecc.
e parlo di preti, vescovi e cardinali,
come oggi el resto..
vizi privati, pubbliche virtù,
ecc.

da che mondo è mondo
le prostitute sono sempre state
servite e riverite..
nell'antica grecia erano sacerdotesse del culto,
ed "etere", donne colte e raffinate,
richiestissime da mercanti e filosofi..
anche socrate aveva la sua preferita.

finchè è una libera scelta
non c'è nente di male..
quando c'è costrizione
allora è un'altra cosa,
è schiavitù..



_________________
https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 22/12/2015, 16:57 
Io ho paura di snaturare il thread di TTE postando questo tipo di articoli qui, ma ritengo che per meglio argomentare la questione del femminicidio vadano ricercate le basi antropologiche e culturali che hanno portato alla definizione di tutti quei nefasti presupposti che lo rendono possibile.

Soprattutto perché ritengo questo tipo di argomenti fondamentali e base di ridefinizione di un nuovo paradigma filosofico-culturale atto a promuovere quello che in un altro thread chiamiamo "Rinascita Sociale Globale"

Le radici etologiche della violenza - La società gilanica: esigenza di sinergia tra uomini e donne

Le basi biologiche delle differenze comportamentali tra uomo e donna affondano le loro radici agli albori della Storia Naturale dell’Uomo. Il processo di sapientizzazione, responsabile dello sviluppo encefalico ed intellettivo della nostra specie, è stato determinato da un mosaico di influenze evolutive che hanno agito nelle tappe successive dell’Ominazione. Una di queste spinte selettive fu l’introduzione della carne nella dieta vegetariana dei nostri progenitori. Il vantaggio alimentare fornito dalle proteine animali si tradusse in un surplus di energie che vennero spese per migliorare le modalità di interazione con l’ambiente e con i conspecifici, determinando un progressivo arricchimento tecnologico e culturale.

Da queste considerazioni emerge l’importanza della caccia nell’evoluzione umana. La pratica venatoria è stata, sin dalle sue origini, una prerogativa maschile, motivata dalla maggiore prestanza fisica rispetto alle femmine e dal ruolo marginale della figura paterna nella cura della prole. La gestione esclusiva di una risorsa considerata vitale per la comunità da parte di una ristretta cerchia di individui, conferisce loro il potere.

Questo paradigma risulta calzante nel caso delle prime comunità di cacciatori ma può essere applicato a qualsiasi contesto storico, basti pensare al monopolio della tecnologia, delle materie prime, del petrolio e quindi della ricchezza da parte di alcune superpotenze ai nostri giorni. La supremazia viene mantenuta gerarchizzando le comunità e mantenendo l’ordine interno con comportamenti aggressivi. L’origine dell’attrazione maschile per la guerra, del culto del coraggio e della conquista può essere ricercata nell’istinto di predazione. Su tali principi si basano le società androcratiche, orientate sul modello della dominanza.

Esse storicamente hanno imposto la supremazia degli uomini sulle donne, dei sovrani sui sudditi, dell'uomo sulla Natura. A questo modello si contrappone l’ideale della società matriarcale basata sul culto della Dea Madre, ispirata a valori quali il legame con la terra e la natura, l'equilibrio ecologico, l'uguaglianza fra i sessi, la spiritualità e la pace.

La differenza sostanziale tra le due filosofie è evidente. Risulta quindi necessario fornire una spiegazione del perché le donne si rapportino alla realtà e al prossimo in maniera così diversa rispetto agli uomini. Il ruolo di madre rappresenta un elemento fortemente mitigante dell’aggressività la quale si manifesta prevalentemente come atto di difesa della prole e non come offesa.

A questo si aggiungono tutta una serie di modificazioni etologiche determinate dall’originaria divisione dei compiti. Mentre l’uomo si dedicava alla caccia, la raccolta dei frutti della terra era affidata alle femmine, in quanto rappresentava un’attività meno pericolosa che, potendo essere interrotta, si prestava bene all’allevamento dei figli. Le madri quindi, svolgevano compiti apparentemente più semplici, si muovevano all’interno dei campi-base o nelle vicinanze di questi, mentre il maschio si allontanava verso spazi più ampi per fare poi ritorno a "casa", dove era atteso ed accolto.

La funzione di cura ed accoglienza ha nel tempo caratterizzato lo stereotipo femminile, mentre l’uomo è storicamente visto come esploratore e conquistatore. E’ opportuno inoltre sottolineare che il buon esito delle battute di caccia costituiva spesso un’incognita: non sempre l’inseguimento della preda si concretizzava nella cattura. Risulta pertanto evidente che la sussistenza del gruppo si basava essenzialmente sul contributo delle donne. Alla divisione dei compiti si attribuiscono alcuni aspetti che caratterizzano l’intelligenza nei due sessi.

I maschi presentano uno sviluppo precoce delle capacità spazio-visive (intelligenza quantitativa), dal momento che per cacciare è necessario costruire utensili ed armi, coordinare il gruppo, percepire le distanze e quantificare il numero delle prede; le femmine sviluppano invece una maggiore capacità di discriminazione e una migliore memoria visiva (intelligenza qualitativa), doti indispensabili per poter scegliere i frutti maturi e ricordare i sentieri da percorrere per arrivare alle piante più produttive. Questo comportamento consente di acquisire capacità linguistiche e di mediazione superiori a quelle maschili, capacità senza le quali non ci sarebbero state socializzazione ed educazione ed il nostro successo evolutivo sarebbe stato altamente improbabile.

Circa 5000 anni fa le società nomadi dei cacciatori-guerrieri indoeuropei misero in crisi quelle degli agricoltori, sedentarie ed amanti della pace. Come conseguenza, gli ultimi duemila anni di storia del mondo occidentale hanno visto il predominio del modello sociale di tipo androcratico.

E’ universalmente nota la crisi ambientale, sociale ed economica che sta sconvolgendo il nostro pianeta e che, proprio nelle società di tipo occidentale, si traduce in una profonda crisi psicologica e spirituale. Tale crisi è stata determinata dal delirio di onnipotenza dell’uomo che, forte del potere conferitogli dalla tecnologia, ha stravolto gli equilibri naturali e demografici ponendo alla Comunità mondiale spinosi quesiti morali.

La Bioetica Globale può fornire un valido supporto per la risoluzione di queste problematiche. La riconciliazione tra Uomo e Natura risulta pertanto necessaria ed urgente. Poiché l’Umanità si compone di una metà femminile e di una maschile, omettere le esperienze, i bisogni, i problemi e le aspirazioni di una di esse nello studio della società, causa gravi distorsioni che si ripercuotono sulla famiglia, la religione, l’istruzione, la politica e l’economia.

E’ quindi auspicabile l’avvento di una società gilanica, detta anche della partnership, in cui si realizzi una fattiva collaborazione tra uomini e donne sia nella sfera privata che in quella pubblica. Nella storia le spinte gilaniche sono state totalmente o parzialmente riassorbite dal sistema androcratico ma l'attuale crescente numero di donne e uomini che si impegnano per la pace, l'ambiente, la giustizia e l'uguaglianza sociale fa sperare che questo modello possa essere applicato con successo.

http://www.heliosmag.it/MED/GILANIA.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 02/01/2016, 15:44 
Se la Natura è Madre, l'umanità si è macchiata del crimine più indicibile... ha ucciso e sta uccidendo la sua stessa madre...

Lo stupro, l’abuso, la violenza perpetrata ogni giorno sulla Crosta di Madre Terra, per mano dell’uomo, è l’apice manifesto di una società che alberga altrove, una società senza dimora, una società che ha abbandonato la sua storia.

Come Vandana Shiva anche io ho più volte sostenuto che lo stupro della Terra e lo stupro delle donna sono intimamente connessi.

L’idea di una crescita illimitata in un mondo limitato può mantenersi solo attraverso il furto delle risorse del debole da parte del potente. E il furto di risorse, essenziale per la crescita, crea una cultura dello stupro: lo stupro della terra, delle economie locali autosostenibili, lo stupro delle donne.

Dobbiamo cambiare il paradigma dominante: porre fine alla violenza contro le donne significa anche superare l’economia violenta a favore di economie pacifiche e non violente, capaci di rispettare le donne e il Pianeta.

http://www.solaris.it/indexprima.asp?Articolo=1961



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 02/01/2016, 18:19 
Atlanticus81 ha scritto:
Io ho paura di snaturare il thread di TTE postando questo tipo di articoli qui

Non snaturi proprio nulla amico mio.... [;)]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 14/01/2016, 19:39 
Mettetevi il cuore in pace... quanto segue è il risultato di 6000 anni di cultura di dominio e prevaricazione... Non li riconoscerete gli Elohim dei giorni nostri in questi fatti?!

Stupri su minori in Brasile: italiani primi

...

Un uomo benestante che stupra un bambino povero. Un uomo del primo mondo che stupra un bambino del terzo. A pensarci bene è quello che fanno i funzionari del Fondo Monetario Internazionale tutti i giorni senza neanche slacciarsi la cravatta.

...

http://www.gennarocarotenuto.it/316-stu ... ani-primi/


Cosa c'entra con il "femminicidio" chiederete...

C'entra c'entra... perché quando l'elemento "femminile" venne estirpato dall'introduzione antropologica di divinità guerriere maschili fallocentriche e fallocratiche si diede adito al principio secondo il quale QUALCUNO ha POTERE su QUALCUN'ALTRO.

E non ci fu più "ama il prossimo tuo come te stesso"...

E questo vale sia a livello micro che a livello macro come giustamente sottolinea l'articolo... come in alto così in basso oserei quasi dire.



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 25/01/2016, 15:23 
Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale

Che fine hanno fatto la rivoluzione sessuale e l'emancipazione delle donne? Dopo pochi decenni quella che sembrava un'inarrestabile spinta verso la parità dei generi è stata contraddetta da una brutale contro-spinta. Come testimonia un'attualità segnata da frequenti ed efferati episodi di violenza contro le donne, in crescita in Italia e nel mondo.

Sotto la spinta della globalizzazione, quel potere patriarcale che in Occidente sembrava destinato a un irreversibile declino è tornato prepotentemente sulla scena. E fa strage di donne: 14.000 donne uccise annualmente nella Russia post-sovietica, 1.800 donne ammazzate in un biennio in Pakistan per "motivi d'onore", oltre 400 donne messicane impunemente assassinate nell'ultimo decennio a Ciudad Juí¡rez...

Quasi un genocidio, anzi un ginocidio, che rimanda a un atavico giudizio sull'inferiorità femminile (spesso veicolato dalle grandi religioni istituite) e al desiderio maschile di controllare il corpo delle donne limitandone la sessualità e la vita sociale. Non è dunque un caso che la grande maggioranza di questi delitti senza castigo avvenga proprio tra le mura domestiche e per mano di familiari.

Immagine

Daniela Danna (Milano, 1967) insegna presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Milano.

http://www.eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=211



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 05/02/2016, 10:01 
Il non accorgersi di questo aspetto della società e/o ritenerlo irrilevante è, a mio modo di vedere, persino INQUIETANTE...

“SPOSATI E SII SOTTOMESSA”

Oggi veniamo a sapere, dalle colonne dei principali quotidiani, che palpeggiare sul luogo di lavoro le parti intime di colleghe non consenzienti, non costituisce reato.

A stabilirlo è stata la sentenza del Tribunale di Palermo, che ha assolto il 65enne Domenico Lipari, impiegato all'Agenzia dell'Entrate, denunciato da due colleghe per, appunto, palpeggiamenti e molestie. Assolto non per non aver commesso il fatto (Lipari ha sempre confermato di aver palpeggiato le due donne), ma proprio perché “il fatto non costituisce reato”. Motivazione della sentenza: “il gesto è da ritenersi come inopportuno e immaturo atteggiamento di scherzo”.

No, non ho fatto alcun errore di battitura, è andata proprio così: il Tribunale ha ritenuto un 65enne “immaturo”.

Contemporaneamente, a Latina, una donna di 42anni è stata denunciata dal marito e rinviata a giudizio per “maltrattamenti in famiglia”. Nello specifico, i maltrattamenti consisterebbero nel fatto che la donna “non effettuava con regolarità le pulizie di casa” e “non preparava la cena al marito”. Il processo, in questo caso, deve ancora iniziare, ma dal rinvio a giudizio veniamo a sapere che una donna può finire in tribunale – e rischiare una condanna da due a sei anni – se non prepara manicaretti al consorte e non gli fa trovare ogni giorno la casa linda e splendente.

Per entrambi i casi, sui social, pioggia di truci commenti di maschi entusiasti.

Per la storia di Palermo, cito in ordine sparso: “e che vuoi che sia una pacca sul culo”; “poi ste troie vengono a lavorare vestite in un modo che le palpate te le tirano via dalle mani”; “tutta sta storia per una tastata di tette”; “la sentenza è giusta: ste donne hanno rotto il cavolo”. E via dicendo.

Per quella di Latina, sempre in ordine sparso: “io avrei fatto di peggio, l'avrei ammazzata”; “era ora”; “si merita quindici anni, sta stronza”. Cito anche due commenti di donne: “del resto è venuta meno al suo compito”; “il marito ha soltanto voluto riconoscere un suo diritto sacrosanto”.

Intanto, ci ricorda un bellissimo articolo di Michela Murgia apparso oggi su “Repubblica”, dall'inizio del 2016 contiamo una vittima ogni tre giorni per femminicidio. Tra le tante, la donna morta a Catania strangolata dal marito davanti al figlio di quattro anni, la ragazza incinta di nove mesi e ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco, la donna che proprio ieri è stata decapitata dal marito. Su di loro, il silenzio.

Per non contare le innumerevoli vittime di stupro, sulle quali no, non regna il silenzio. Regna al contrario il dubbio. Il dubbio strisciante, nell'opinione pubblica, che sia colpa loro, delle vittime: troppo discinte, troppo provocanti. Troppo donne.

Nel primo pomeriggio di sabato scorso, al Circo Massimo, durante il Family Day, al momento clou della manifestazione, è salita sul palco la giornalista, scrittrice e blogger Costanza Miriano, autrice del best-seller “Sposati e sii sottomessa”. Un libro che esorta le donne di tutto il mondo a riprendere il proprio ruolo naturale, che è quello, appunto, di totale sottomissione all'uomo: “Rassegnati, ha ragione lui – scrive l'autrice – obbediscigli, sposalo, fate un figlio, trasferisciti nella sua città, perdonalo, fate un altro figlio”.

Il libro ha venduto 150mila copie. Vale a dire lo stesso numero di copie che otteniamo sommando cinque (cinque!) recenti pubblicazioni che denunciano la violenza sulle donne, si interrogano sul ruolo delle donne e, soprattutto, denunciano lo strisciante e incredibile maschilismo che ancora permea la nostra società: “Ferita a morte” di Serena Dandini, l'antologia “Questo non è amore” edita da Marsilio, “Regina Nera” di Matteo Strukul, “Sebben che siamo donne” edita da Derive&Approdi e “Mia per sempre” di Cinzia Tani.

Dal palco del Family Day, la Miriano ha gridato: “Riprendiamoci questo ruolo che stiamo dimenticando per emanciparci, torniamo a essere vere donne capaci di accoglienza, e se lo faremo i nostri uomini torneranno a essere capaci di grandezza”.
L'hanno applaudita, entusiasti, due milioni di persone. Un numero imprecisato l'ha applaudita da casa. Nessuno, a quanto risulta, si è scandalizzato.

Chissà perché l'opinione pubblica insorge contro la “segregazione” e la “sottomissione” della donna solo quando si parla di Islam.

Forse sarebbe il caso, noi uomini per primi ma anche molte, moltissime (troppe) donne, ogni volta che denunciamo il velo, le lapidazioni, l'orrenda, spietata e inaccettabile condizione in cui l'intero universo femminile viene tenuto in tantissime aree del mondo, ci ricordassimo di guardare anche tra le pieghe del nostro amato “mondo libero”.

Un mondo che, spesso e volentieri, si rivela paritario solo formalmente. Ma che nella pratica resta ferocemente e spietatamente machista e maschilista.

E sarebbe il caso di cambiarlo davvero, questo nostro amato “mondo libero”.
Cambiarlo una volta per tutte.

Sono stanco di vergognarmi per essere un uomo.

Riccardo Lestini


Mi permetto di riportare le parole di una mia carissima amica con la quale sto collaborando su alcuni progetti a commento di quanto sopra e che ritengo conciliarsi con l'argomento del thread.

Cita:
Devo fare una importante premessa: io credo nella totale parità fra esseri umani, ovvero - non mi interessa essere uomo o donna, ateo o religioso, bianco o nero, vecchio o giovane, operaio o professore, ricco o povero, etero, bisex, omosessuale è così via: - non mi interessa: TUTTI nascono con gli stessi diritti e con i doveri relativi a ciò che sceglieranno per se stessi. TUTTI.

Non c'è differenza: il genio si trova fra gli Africani come fra gli Americani e parimenti il ******** salta fuori dall'Islamico come dal Buddista. TUTTI ABBIAMO IL DIRITTO NATURALE DI REALIZZARE LA NOSTRA VERA VOLONTÀ.

Questo è un principio illuminista a cui non verrò mai meno.

Devo inoltre premettere che credo fortemente che la realizzazione di moltissime persone transiti dalla libertà di potersi realizzare anche al di fuori di un classico matrimonio con figli. Dico ANCHE poiché vi sono molti esseri umani che trovano la propria inalienabile Gioia al di fuori di questo parametro: che siano o meno la maggioranza non mi interessa - poiché SONO vanno rispettati: TUTTI HANNO I MEDESIMI DIRITTI.

Ciò detto, è fondamentale fare chiarezza su un aspetto fondamentale della questione della donna che raramente viene messo in luce: parlo del fatto che l'idea di donna-madre-moglie-casalinga deve essere RIGOROSAMENTE scisso dall'idea della sottomissione della donna.

In che senso? Nel senso che non in tutte le società la "divisione dei ruoli" è stata sinonimo di sottomissione di uno dei due generi, poiché non sempre è stata divisione di "ruoli" ma divisione di "compiti", che è diverso...

Il discorso è complesso e delicato: cercherò di spiegarmi meglio.

La "divisione dei ruoli" nasce come "divisione dei compiti": poiché è più facile per me, maschio, uccidere un nemico nerboruto o correre dietro a un cinghiale, scelgo di occuparmi PREVALENTEMENTE di questo; poiché è più facile per me, donna, organizzare le attività del villaggio e occuparmi della raccolta e della semina, scelgo di occuparmi PREVALENTEMENTE di questo. Così ceneremo con cinghiale, pane e frutta e mentre una parte del villaggio difende fisicamente i confini, l'altra parte lo organizza e lo educa a partire dalla figliolanza.

Questa, appena descritta, è una logica, pacifica e sensata "divisione di compiti", all'interno della quale non vi è una sopraffazione o una sottomissione. E soprattutto non vi è una idea aprioristica di divisione a prescindere.

Vi sono alcune tribù indie nelle quali TUTTE le donne - proprio perché si occupano prevalentemente della prole e della casa - vengono inserite nel Concilio degli Anziani a deliberare sulle decisioni del villaggio insieme ad alcuni saggi maschi.

Perché, allora, una divisione di compiti è diventata una divisione di RUOLI con carattere di sottomissione/prevaricazione?

Perchè, purtroppo, il naturale e progressivo corso della storia e dell'economia ha determinato uno SVILUPPO del tradizionale compito del maschio in senso di "detenzione dei mezzi di produzione" (in sostanza, se prima ero quello che portava a casa il cinghiale, adesso sono quello che porta a casa il Dio Denaro = sono più importante di te); mentre il compito della donna si è progressivamente svuotato, incancrenito e, soprattutto, si è allontanato dal suo originario valore effettivo è quantificabile (in sostanza, se prima ero quella che si occupava dell'agricoltura, dell'educazione e dell'organizzazione della comunità, adesso sono quella che sta a casa ad aspettare che il Signore torni con il mio unico mezzo di sopravvivenza, cibo e soldi. Ergo, io sono una schiava).

Cosi, evolvendosi la civiltà patriarcale in senso storico, e scomparsa l'economia di villaggio, l'uomo - che era FUORI casa - ha diversificato i suoi compiti impadronendosi delle redini economiche, religiose e politiche della società; il suo compito si è così reso più complesso e obiettivamente importante; la donna - che era DENTRO casa - ha invece impoverito sempre di più il suo ruolo, cedendo al maschio sempre più terreno e circoscrivendosi cosi al l'occupazione e al servizio di famiglia e figli; il compito femminile ha così perso il senso originario ma anche il valore originario, e si è trasformato in un compito di fatto servile ed elementare. Di poco pregio, assimilabile a quello della servitù e per il quale non occorre alcuna dote.

In questo lento ma inesorabile cambiamento, anche il significato originale della divisione dei compiti é naturalmente andato perduto ed è stato rimpiazzato dall'idea di una divisione aprioristica di ruoli tali per cui la donna - essendo incapace di fare altro - può SOLO figliare e servire, mentre il maschio - più forte, intelligente - manda avanti il mondo.

Se, infatti, l'uomo non avesse evoluto una struttura sociale di tipo patriarcale, con il conseguente svilimento del compito femminile, al venir meno delle condizioni iniziali di divisione dei compiti sarebbe venuta meno la stessa divisione dei compiti: in parole povere, nel momento in cui il cinghiale non lo devo ammazzare ma lo trovo al mercato, non ha più senso che sia il maschio a portarlo a casa; nel momento in cui l'economia o la spartizione territoriale sono decise in sede di consiglio e non più a mazzate in testa, non ha più senso che sia il maschio a farsi avanti mentre la donna difende la prole e il nido: maschio, femmina, prole e anziani si riuniscono a discutere alla pari.

Questa divisione di compiti è però sfociata, come illustrato, in divisioni di ruoli e, quindi, la minorità fisica della donna è stata subdolamente equiparata a minorità mentale e animica, affinché l'uomo potesse - al venir meno di determinate condizioni - CONTINUARE a detenere INNATURALMENTE il controllo sulla sfera comunitaria ed economica della vita.

Per questo, spiacente per il Family-Day, da un punto di vista strettamente antropologico (nonché biologico) È PROPRIO LA FAMIGLIA CLASSICA della società patriarcale ad essere contro-natura!

E non il contrario.

C.Z.


Dai commenti successivi ben si evince come la struttura patriarcale si sia ben consolidata anche, e forse soprattutto, attraverso la forma-pensiero dominante definita da religioni e filosofia (ahimè). Non è un caso se ritengo oggi il Vaticano l'istituzione tutelare del "patriarcato" in Occidente... Non esisterebbe infatti sistema economico né socio-politico se lo stesso non si fondasse su una base culturale, filosofica e anche, passatemi il termine, "spirituale" in grado di influenzare il pensiero comune determinando l'idea di ineluttabilità e di assolutismo dell'attuale status quo.

E' altresì vero però che il misogino Aristotele è diventato fondamentale nel pensiero occidentale per l'esaltazione che la Chiesa delle origini fece del suo pensiero. Nell'antica grecia abbiamo esempi di donne pensatrici molto importanti Aspasia di Mileto della scuola, Diotima, sacerdotessa di Mantinea ricordata da Platone nel "Simposio" in cui Socrate dice di aver appreso da lei la teoria dell’amore. Ipparchia, paragonata addirittura a Platone... forse vale la pena ricordare una frase di Kant:

"Tutto ciò che è stato scritto dagli uomini sulle donne deve essere ritenuto sospetto dal momento che essi sono ad un tempo giudici e parti in causa"



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MessaggioInviato: 07/02/2016, 12:51 
La cultura dello stupro non è quello che pensate

Nel marasma di informazioni che riceviamo quotidianamente, un termine che ultimamente si sta ripetendo spesso tra stampa e opinione pubblica è quello della “cultura dello stupro”. Il problema è che, come succede per molti lemmi presi in prestito dalla letteratura di settore e trasportati in quella divulgativa generalista, non è chiaro a tutti cosa si intenda con questa perifrasi e il suo utilizzo finisce per generare dibattiti estenuanti, privi della minima cognizione di causa.

Che senso ha parlare di pere e mele, se non si è d’accordo sul macro-contesto di frutta? Nessuno, ovviamente. Eppure, non si può neanche pretendere che certi argomenti restino in una scatolina asettica in balia solo dei più criptici teorici: vanno date in pasto a tutti, nella speranza che suscitino per lo meno un promettente “ma che vuol dire?”

Che cosa si intende allora per cultura dello stupro? Da dove arriva questo termine e come si applica al mondo in cui viviamo oggi? Qual è il filo che lega Ovidio, Robin Thicke e i fatti di Colonia?

Immagine

“Il patriarcato fa leva su una forma di violenza di specifica natura sessuale e che prende forma completamente nel’atto dello stupro. [...] Nello stupro, le emozioni di aggressione, odio, disprezzo e il desiderio di spezzare o violare la personalità, assumono una forma appropriata alle politiche sessuali.”

Il concetto di “rape culture”—o, appunto, cultura dello stupro—viene coniato all’interno della letteratura femminista degli anni Settanta, corrente di pensiero che sposta l'analisi delle disparità sociali di genere sul piano specifico della sessualità e della sua interpretazione politica. Nel 1970, Kate Millett scrive il testo "Sexual Politics," come critica al patriarcato nella società e nella letteratura occidentale. In altre parole, introduce l'idea di una cultura patriarcale, che esercita il proprio dominio politico tramite una repressione della sessualità femminile. La cultura dello stupro definisce quindi un tipo di violenza di genere endemica e sistematica, al punto da far parte del tessuto culturale di una determinata società; Un tipo di violenza che non è incidentale, ma politica e normalizzata: dalle società in cui lo stupro non è considerato un reato a quelle in cui, nonostante lo stupro sia riconosciuto come un crimine dalla legge, viene sminuito, condonato e giustificato regolarmente.

Il primo caso—quello che riguarda paesi in cui lo stupro non è riconosciuto come un crimine—non è ciò che ci interessa analizzare in questo momento, banalmente perché non riguarda la cultura in cui viviamo tutti noi; la violenza sessuale, in Italia come in tutti i paesi occidentali, è punita per legge. Il problema, come in molte questioni politiche e legali, è il passaggio alla pratica. Ecco perché è il secondo caso a interessarci, quello più subdolo.

Il concetto di cultura dello stupro, abbiamo detto, è stato formulato all’interno della corrente di pensiero del femminismo di seconda ondata, un momento specifico del femminismo che discute la sessualità femminile su un piano politico, e che mette radicalmente in discussione i ruoli sociali di genere. Vale a dirsi, tutte quelle regole e definizioni strette come corsetti ottocenteschi che ci siamo imposti per chissà quale motivo—non è vero, i motivi sono stati teorizzati ampiamente, ma non mi lancerò in questa digressione ora—e che hanno tenuto separati i “doveri” delle donne da quelli degli uomini per secoli, finché la bolla non si è decisa ad esplodere e siamo arrivati alla rivoluzione dei sessi.

Questo è il macro-contesto che dobbiamo riconoscere per poter parlare delle presenti tematiche in modo sensato: è da circa cento anni che i ruoli di genere tradizionali subiscono una picconata dopo l’altra, cosa che, da un lato, ci sta faticosamente e finalmente portando a una società più equa—pensate alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso avvenuta quest’anno in tantissimi paesi, per dirne una—dall’altro comporta tutta una serie di risacche reazionarie secondo cui la rivoluzione dei generi sarebbe alla base di ogni male sociale, e che reiterano discorsi sessisti radicati più profondamente di quanto ci piace pensare.

Queste risacche sono giustificate dal fatto che determinati stereotipi, per quanto possano essere stati criticati, sono tutt’altro che superati. La corrente di pensiero che 40 anni fa ha teorizzato l’esistenza di una cultura dello stupro sostiene che la nostra sia ancora una società in cui il rispetto dovuto a un uomo è direttamente proporzionale alla sua forza e alla sua aggressività sessuale e personale, mentre per le donne è doveroso essere remissive, sia sessualmente che socialmente. Volendo essere molto pratici, l'esempio più immediato è quello delle riviste che sbrodolano consigli su come essere un vero uomo, un uomo migliore—dove “migliore” fa riferimento a un mix di prestanza fisica, rigore caratteriale e benessere economico—su come conquistare un uomo senza “spaventarlo” o su cosa intenda davvero una donna quando dice “no”.

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“Se una donna dice ‘no’, intende ‘forse’; se dice ‘forse’ intende ‘sì’; e se dice ‘sì’, non è una donna.” L’ansia. via
L’interpretazione del “no” di una donna sembra essere talmente difficile per certe persone, che qualcuno ha pensato fosse meglio risolvere il problema con una app. Per determinare il consenso di una persona ci affidiamo più volentieri a un mentore meccanizzato, che all’opinione di chi si trova effettivamente lì con noi. In altre parole, pur di evitare il dialogo e l’empatia tra esseri umani, arriviamo a delegare la questione alla burocrazia.

Ancora, pensate al giudizio comune associato a una ragazza che vive la propria sessualità in modo esplicito e disinibito—è promiscua, non tiene a se stessa, lo fa per guadagnarci qualcosa, nessun uomo la prenderà mai sul serio. La pretesa di un’interpretazione della sessualità femminile altra da “sono emeriti cavoli suoi” è propria di una cultura che considera ancora il corpo di una donna come proprietà altrui, il cui valore è inversamente proporzionale al “consumo” che si fa di esso.

Se pensate che il mio discorso non sia al passo coi tempi, che le cose siano diverse ora, che le donne occidentali siano ormai completamente emancipate, vi ricordo che il succo dell’educazione sessuale che ho ricevuto nelle laicissime scuole che ho frequentato era sempre lo stesso—tienitela stretta, meglio se fino al matrimonio—e che proprio nell’ultimo anno, il tentativo di portare nelle scuole un’educazione sessuale progressista è stato accolto molto duramente non solo dalle famiglie cattoliche più rigorose e dalle fazioni politiche di estrema destra, ma anche da docenti di scuole pubbliche.

Guarda su youtube.com

South Park, come sempre, centra il punto in pieno.

Per fare un esempio più “istituzionale”, prendiamo le affermazioni dell’ex ministro Giovanardi fatte un paio di anni fa, in riferimento alla violenza di gruppo su una minorenne, avvenuta a Modena: il suo discorso verteva sul fatto che non possiamo indignarci per una violenza del genere se lasciamo che il sesso per i giovani sia “semplice divertimento” e non un atto limitato a contesti di “amore e rispetto”. Il fatto che Giovanardi contrapponga il divertimento al rispetto è il vero problema di questa dichiarazione, come se la presenza di uno significasse l’assenza dell’altro, come se il piacere nel sesso fosse possibile solo in presenza di un sentimento d’amore beato quanto raro—da qui la necessità di confinare l’atto carnale a tali situazioni. La violenza è generata sì da una mancanza di rispetto, ma la faccenda non ha nulla a che vedere con una visione del sesso più aperta e priva di moralismi. Ha a che vedere con un’idea del corpo altrui come di qualcosa di cui è legittimo appropriarsi. Tutto un altro paio di maniche.

Sempre in Italia, nonostante la violenza sessuale sia punita come delitto contro la libertà personale, la sfiducia nelle istituzioni porta la maggioranza delle vittime a non denunciare i colpevoli. Nel 2003, la sentenza di un caso di stupro su una minore decretò che, poiché la vittima aveva già avuto rapporti prima dell’abuso, questo costituisse un trauma meno grave, perché i danni ricevuti sono “più lievi” se si è già attivi sessualmente.

Uno dei temi ricorrenti negli studi sulla cultura dello stupro riguarda l’attribuzione di una responsabilità totale o parziale alla vittima stessa di un abuso (altrimenti detto, victim blaming): le polemiche che scaturiscono ogni volta sui vestiti indossati da una persona che ha subito una violenza sono un esempio ridondante della cosa. “Se l’è andata a cercare,” è il ritornello che compare un po’ ovunque, come se, per evitare uno stupro, esistesse una formula matematica che qualche poveretta non ha ancora studiato. Allo stesso modo, anche il fatto di avere una vita sessuale attiva diventa una colpa e, contemporaneamente, un’attenuante per l’aggressore. Si legittima insomma un discorso implicito secondo cui, di nuovo, il sesso svilisce una donna, mentre l’integrità fisica diventa troppo spesso sinonimo di integrità morale.

L’idea di una violenza sessuale legittima, d’altronde, fa effettivamente parte delle radici della nostra cultura da sempre. Nell’Ars Amatoria, Ovidio spiega come le ragazze amino essere forzate al rapporto, perché la cosa fa parte dei meccanismi di seduzione. Un concetto su cui ancora sbattiamo la testa, grazie agli illuminati consigli forniti dalle riviste che ripropongono allo sfinimento il paradigma gatto-topo come unica dinamica seduttiva possibile.

Il sessismo—legato ovviamente a doppio filo con questa teoria—costella svariati aspetti della cultura pop in cui siamo immersi.

Tornando su un piano più internazionale, negli ultimi anni sono stati associati alla rape culture diversi casi, in cui comportamenti sessuali aggressivi o l’uso di termini sessisti sono apparsi all’interno di istituzioni—politiche o culturali—che dovrebbero condannarli.

L’avvocato di Donald Trump—candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali—ha dichiarato, in seguito alle accuse di violenza formulate dalla ex-moglie di Trump, che all’interno di un matrimonio lo stupro non possa esistere. Questo assunto ha le sue radici nel concetto—proprio della cultura occidentale—di dovere coniugale, per cui il sesso è un diritto che una persona ha facoltà di esercitare sul proprio coniuge. Lo stupro maritale è diventato illegale negli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni Settanta, ma non in tutti gli stati prima del 1993: la definizione di sesso come diritto assoluto all’interno di una coppia legata per via istituzionale, relega un corpo allo stato di bene materiale di cui fruire, in quanto merce “acquistata."

Questa visione del corpo (soprattutto di quello femminile) come soggetto a una proprietà altrui è ribadito anche dalle congreghe pro-vita: il diritto all'aborto è ancora un argomento molto discusso e in alcuni casi non ancora riconosciuto, tanto che un legislatore degli Stati Uniti nel 1990 è arrivato a dire, “se le donne hanno il diritto di abortire, perché gli uomini non dovrebbero poter imporsi su di loro con la forza? Almeno la ricerca di libertà sessuale di uno stupratore non porta (nella maggior parte dei casi) alla morte di nessuno.”

Per quanto a simili affermazioni possano seguire scandali nell’opinione pubblica e scuse ufficiali, offrono uno scorcio esplicativo su una forma mentis che è tutt’altro che estirpata e che dà, forse, il diritto di parlare di una effettiva cultura dello stupro.

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Il sessismo—legato ovviamente a doppio filo con questa teoria—costella svariati aspetti della cultura pop in cui siamo immersi. Dalla musica italiana, al cinema passando per la letteratura e le serie televisive: opere dal grande successo internazionale come Twilight e 50 Shades of Grey reiterano il mito della vergine pura—e quindi degna—e di una violenza impari sul piano della sessualità che è necessaria al mantenimento di una relazione. Il fatto che questi casi siano normali agli occhi di un pubblico di massa, il fatto che percepiamo una forma di violenza sessuale in modo romantico o semplicemente accettabile rientrano nella definizione stessa di rape culture.

Blurred Lines di Robin Thicke, fino a qualche anno fa in rotazione nelle radio, ha scatenato un polverone considerevole sia per il contenuto del video della canzone—in cui modelle completamente nude sono assoggettate a uomini completamente vestiti—sia per il testo, il cui titolo di per sé è un rimando palese a quella difficoltà di cui parlavamo prima, per cui sembra che per gente come Thicke sia impossibile comprendere le dinamiche basilari del consenso sessuale (NO=NO). Il testo prosegue rinforzando l’idea che il sesso sia qualcosa con cui si addomestica una donna (che è un animale), qualcosa che lei non sa di volere finché non le viene somministrato, qualcosa che fa anche un male cane. Una sfilza di concetti progressisti, insomma. Thicke è stato accusato di promuovere una visione malsana e giustificatoria, mentre alcuni suoi difensori sostenevano che il video fosse effettivamente liberatorio per la figura femminile.

Il punto da chiarire qui è che una donna nuda, di per sé, non è né liberatoria né oggettificata. Ciò che determina la differenza tra un caso e l’altro è il discorso intorno al suo corpo. Ci sono video che esaltano pienamente la sessualità femminile e queer, anche in modo estremamente esplicito. Ci sono video che parlano della sua oggettificazione in modo provocatorio e critico. Ci sono video, come quello di Blurred Lines, che restano problematici nel contesto di una cultura—quella americana—che è ben lungi dal dichiarare la violenza di genere un problema passato. Ecco perché, se ragioniamo secondo il paradigma della cultura dello stupro, questo video non è solo una questione di cattivo gusto.

La cultura dello stupro è stata evocata anche in altre vicende: Elliot Rodger, responsabile del mass-shoting di Isla Vista, prima di commettere il massacro aveva pubblicato un video su YouTube e redatto un manifesto in cui attribuiva la responsabilità della propria miseria alle donne che lo avevano respinto—negandogli l’esperienza sessuale che sarebbe stato suo diritto fare—e in cui dichiarava intenti punitivi nei confronti del genere intero. Sono almeno tre i fattori in questo discorso che è possibile ricondurre al paradigma della rape culture: il primo, è l’idea che il sesso sia un diritto da esigere. Il secondo, che sia una responsabilità femminile risolvere la frustrazione sessuale maschile e diritto di un uomo punirne il mancato assolvimento. Il terzo, che il valore di un uomo nella società sia proporzionale alla sua esperienza sessuale. Una cultura che condona lo stupro come meccanica sociale “naturale”—perché il sesso è visto come un atto di conquista violenta e il corpo dell’altro come un bene di cui si può disporre a piacimento—è anche una cultura che promuove una visione della mascolinità esagerata e stereotipica, tossica, che non accetta l’evoluzione dei ruoli di genere in corso e la cui degenerazione è forse individuabile in esempi come quello di Rodger.

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Ancora, nel 2014 Twitter e il mondo della stampa videoludica sono stati monopolizzati dal #GamerGate, un caso in cui una facciata di plausibilmente sincero interesse per l’eticità nel giornalismo è stata grandemente strumentalizzata da un rancore di matrice sessista, con lo scopo di attaccare le donne (e non solo) coinvolte in modo critico nell’industria dei videogiochi.

Quando nel 2014 sono affiorate in rete centinaia di foto private trafugate dai profili iCloud di alcune celebrità, il discorso dominante per quell’occasione—oltre al parere privo di logica di un mio conoscente, secondo cui “se lo meritano perché sono ricche”—è stato “se non vuoi che qualcuno le trovi, non scattare foto di nudo” che, come al tempo ha sottolineato l’attrice e autrice Lena Dunham, suona terribilmente come “se non vuoi che ti mettano le mani addosso, non indossare una gonna.” Il problema è che il discorso della Dunham cerca di evidenziare la pochezza di un argomento paragonandolo a una situazione che dovrebbe essere scontata, ma che non lo è. Così, la critica mossa dalla Dunham, non condivisa da una massa che ha ancora grossi problemi di slut-shaming, cade con un tonfo sordo, rivelandoci anche qualcosa in più: non parliamo tutti la stessa lingua quando si tratta di violenza di genere.

Per parlare di dinamiche socio-culturali in maniera sensata, è necessario arrivare a un accordo comune su termini e strumenti. Ci vuole una auto-consapevolezza culturale, che, per esempio, non si illuda che la violenza sessuale e la violenza di genere siano retaggio soltanto di paesi lontani—la cui teorizzazione come “cultura dello stupro” sia solo furbamente strumentalizzata per fomentare forme di razzismo, come è stato per le vicende di Colonia di questo mese.

Il che non significa accettare una teoria a priori—una delle critiche principali mosse al concetto della rape culture, per esempio, è l’idea che la responsabilità dello stupro sia delegata eccessivamente a un sistema di norme culturali, che rende più difficile una persecuzione giudiziaria specifica. Che è qualcosa su cui vale la pena riflettere.

Non è necessario avere la stessa opinione su qualcosa, ma ammettere l’esistenza di un problema è il primo e più fondamentale passaggio per aprirsi alla sua interpretazione, anziché a disquisizioni sterili un commento sui social dopo l’altro. La nostra cultura è una cultura che giustifica—in modo esplicito o implicito—la violenza sessuale? Che ne nega spesso l’esistenza? Che ne fa ricadere la responsabilità sulle vittime? Quel che è certo è che è possibile individuare un elenco inquietante di esempi in cui sembra proprio che sia così.

http://motherboard.vice.com/it/read/che ... llo-stupro



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 07/02/2016, 12:57 
Consiglio anche la lettura di questo articolo....

Se ti stuprano è perché te lo meriti (?)
http://www.confessionidiunamente.com/20 ... lo-meriti/



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 12:48 
Oggi ci scandalizziamo giustamente per le mutilazioni genitali femminili adottata e praticata in molte società dell'Africa, della penisola araba e del sud-est asiatico.

Sappiamo tutti che i rapporti sessuali, attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva), che in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Le puerpere, le vedove e le donne divorziate sono sottoposte a reinfibulazione con lo scopo di ripristinare la situazione prematrimoniale di purezza. I rapporti diventano dolorosi e difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. L'asportazione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni è praticata con lo scopo di impedire alla donna di conoscere l'orgasmo derivante dalla stimolazione del clitoride, riservandolo al solo atto sessuale.

Non è anche questo una accezione possibile del termine FEMMINICIDIO?! Ovvero colpire una donna soltanto perché tale?

E non pensate che sia una questione che non riguardi anche la nostra cultura.

Alla metà del XVI secolo un professore di anatomia veneziano di nome Matteo Realdo Colombo incappò in una misteriosa protuberanza tra le gambe di una paziente, di nome Inès de Torremolinos, protuberanza che, se veniva toccata delicatamente, aumentava di dimensioni e produceva nella donna strani spasimi nervosi.

Dopo aver esaminato decine di altre donne, Colombo riferì con orgoglio al preside della Facoltà di Medicina la scoperta della clitoride.

Come narrato nel libro di Jonathan Margolis in O:storia intima dell'orgasmo il professore fu ricompensato di lì a pochi giorni con l'arresto e fu messo sotto processo con l'accusa di eresia, blasfemia, stregoneria e satanismo e i suoi manoscritti furono confiscati.

Con l'avvento della Santa Inquisizione, qualche decennio più tardi, il clitoride fu soprannominato “il capezzolo del diavolo” e se una donna o una ragazza fosse stata scoperta ad averne uno insolitamente grande, questo era sufficiente per farla condannare al rogo come strega.

Sembrano passati centinaia di anni dall'orrore dell'Inquisizione, eppure, prima ancora della guerra alla droga, al terrorismo, o al cancro, molte delle risorse della nostra opulenta società patriarcale post-agricola sono investite nella guerra alla libertà e al desiderio sessuale, in particolare a quello femminile.

E' una guerra che dura da migliaia di anni ed è forse la madre di tutte le guerre, e non può neppure essere vinta, perché il nemico dichiarato è una forza della natura, è come combattere la legge di gravità, o i cicli lunari o lo scorrere del tempo.

Ed è ancora una volta la donna a sostenere i costi più elevati di questo assurdo conflitto e a dover reprimere la naturale tendenza verso una sessualità libera e soddisfacente.

Quelle poche donne che hanno avuto il coraggio di rinunciare alla schiavitù del decoro e della pudicizia socialmente imposte sono state e sono tutt'oggi umiliate, insultate, abbandonate, picchiate e uccise dai loro compagni, separate dai loro figli, bandite, bruciate come streghe, patologizzate come isteriche, sepolte fino al collo nella sabbia del deserto e lapidate.

Nel trattato Psychopatia Sexualis pubblicato nel 1886 il neurologo tedesco Von Krafft-Ebing dichiara: “Se la donna è normalmente sviluppata mentalmente e bene educata, il suo desiderio sessuale è scarso. Se così non fosse il mondo intero diventerebbe un bordello e il matrimonio e la famiglia impossibili!”

Articolo ampiamente tratto dal libro In principio era il sesso di Christopher Ryan e Cacilda Jethà


Non la vedete l'opera del patriarcato in questo tipo di ragionamenti?

Non lo vedete l'effetto nefasto che ha prodotto nel mondo a livello antropologico-culturale tale per cui alcuni nemmeno sono più in grado di riconoscerlo nei propri comportamenti quotidiani e/o atteggiamenti?



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 13:09 
sulla CIRCONCISIONE
nulla da dire?

è l'omologa della infibulazione,
impedisce(o rende piu difficile)
all'adolescente di smanettarsi..
(il prepuzio se esiste avrà una sua funzione,
no?)

niente da dire?



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 13:15 
Atlanticus81 ha scritto:
Oggi ci scandalizziamo giustamente per le mutilazioni genitali femminili adottata e praticata in molte società dell'Africa, della penisola araba e del sud-est asiatico.

Sappiamo tutti che i rapporti sessuali, attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva), che in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Le puerpere, le vedove e le donne divorziate sono sottoposte a reinfibulazione con lo scopo di ripristinare la situazione prematrimoniale di purezza. I rapporti diventano dolorosi e difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. L'asportazione totale o parziale degli organi genitali femminili esterni è praticata con lo scopo di impedire alla donna di conoscere l'orgasmo derivante dalla stimolazione del clitoride, riservandolo al solo atto sessuale.

Non è anche questo una accezione possibile del termine FEMMINICIDIO?! Ovvero colpire una donna soltanto perché tale?

E non pensate che sia una questione che non riguardi anche la nostra cultura.

Alla metà del XVI secolo un professore di anatomia veneziano di nome Matteo Realdo Colombo incappò in una misteriosa protuberanza tra le gambe di una paziente, di nome Inès de Torremolinos, protuberanza che, se veniva toccata delicatamente, aumentava di dimensioni e produceva nella donna strani spasimi nervosi.

Dopo aver esaminato decine di altre donne, Colombo riferì con orgoglio al preside della Facoltà di Medicina la scoperta della clitoride.

Come narrato nel libro di Jonathan Margolis in O:storia intima dell'orgasmo il professore fu ricompensato di lì a pochi giorni con l'arresto e fu messo sotto processo con l'accusa di eresia, blasfemia, stregoneria e satanismo e i suoi manoscritti furono confiscati.

Con l'avvento della Santa Inquisizione, qualche decennio più tardi, il clitoride fu soprannominato “il capezzolo del diavolo” e se una donna o una ragazza fosse stata scoperta ad averne uno insolitamente grande, questo era sufficiente per farla condannare al rogo come strega.

Sembrano passati centinaia di anni dall'orrore dell'Inquisizione, eppure, prima ancora della guerra alla droga, al terrorismo, o al cancro, molte delle risorse della nostra opulenta società patriarcale post-agricola sono investite nella guerra alla libertà e al desiderio sessuale, in particolare a quello femminile.

E' una guerra che dura da migliaia di anni ed è forse la madre di tutte le guerre, e non può neppure essere vinta, perché il nemico dichiarato è una forza della natura, è come combattere la legge di gravità, o i cicli lunari o lo scorrere del tempo.

Ed è ancora una volta la donna a sostenere i costi più elevati di questo assurdo conflitto e a dover reprimere la naturale tendenza verso una sessualità libera e soddisfacente.

Quelle poche donne che hanno avuto il coraggio di rinunciare alla schiavitù del decoro e della pudicizia socialmente imposte sono state e sono tutt'oggi umiliate, insultate, abbandonate, picchiate e uccise dai loro compagni, separate dai loro figli, bandite, bruciate come streghe, patologizzate come isteriche, sepolte fino al collo nella sabbia del deserto e lapidate.

Nel trattato Psychopatia Sexualis pubblicato nel 1886 il neurologo tedesco Von Krafft-Ebing dichiara: “Se la donna è normalmente sviluppata mentalmente e bene educata, il suo desiderio sessuale è scarso. Se così non fosse il mondo intero diventerebbe un bordello e il matrimonio e la famiglia impossibili!”

Articolo ampiamente tratto dal libro In principio era il sesso di Christopher Ryan e Cacilda Jethà


Non la vedete l'opera del patriarcato in questo tipo di ragionamenti?

Non lo vedete l'effetto nefasto che ha prodotto nel mondo a livello antropologico-culturale tale per cui alcuni nemmeno sono più in grado di riconoscerlo nei propri comportamenti quotidiani e/o atteggiamenti?


Solo un cieco non vedrebbe il disegno misogino partorito dal patriarcato.
E' vergognoso sapere che fino a 200 anni fa non vi era cultura anatomica del corpo femminile.
Ma anche Oggi non stiamo messi meglio perchè, nella maggior parte dei casi, a far conoscere l'anatomia femminile ai giovanissimi sono i film pornografici.



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 13:22 
mik.300 ha scritto:
sulla CIRCONCISIONE
nulla da dire?

è l'omologa della infibulazione,
impedisce(o rende piu difficile)
all'adolescente di smanettarsi..
(il prepuzio se esiste avrà una sua funzione,
no?)

niente da dire?


Caro mik la circoncisione è stata inventata dal maschio e si pratica sul maschio
l'infibulazione e la clitoridectomia sono state inventate dal maschio e si praticano sulle femmine..ti dice nulla?
Non mi pare che la circoncisione, a parte la difficoltà a masturbarsi(?), porti all'anorgasmia, alle infezioni (anzi è considerata norma igienica)dell'apparato genito-urinario, e all'impossibilità di praticare sesso..



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 14:19 
shighella ha scritto:
Caro mik la circoncisione è stata inventata dal maschio e si pratica sul maschio
l'infibulazione e la clitoridectomia sono state inventate dal maschio e si praticano sulle femmine..ti dice nulla?
Non mi pare che la circoncisione, a parte la difficoltà a masturbarsi(?), porti all'anorgasmia, alle infezioni (anzi è considerata norma igienica)dell'apparato genito-urinario, e all'impossibilità di praticare sesso..


Paragonare circoncisione e infibulazione è un tentativo ridicolo finalizzato esclusivamente a non ragionare su quanto esposto...

Se e quando si deciderà di tagliare il pisello dei maschi ne riparleremo Mik...



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 Oggetto del messaggio: Re: Femminicidio, l'uomo con la clava colpisce ancora
MessaggioInviato: 24/02/2016, 14:21 
mik.300 ha scritto:
sulla CIRCONCISIONE
nulla da dire?

è l'omologa della infibulazione,
impedisce(o rende piu difficile)
all'adolescente di smanettarsi..
(il prepuzio se esiste avrà una sua funzione,
no?)

niente da dire?


da wikipedia
"La procedura è più spesso eseguita per motivi religiosi o preferenze personali,[1] ma può essere indicata anche per scopi terapeutici e di profilassi. È infatti considerata una opzione per il trattamento della fimosi patologica, della balanopostite refrattaria[2] e per le infezioni croniche delle vie urinarie"

da quando l'infibulazione ha scopi terapeutici o viene praticata per preferenza personale?



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