LA PCR NON FA DIAGNOSI DI COVID-19
Siamo convinti che molti dei personaggi coinvolti nella “panicodemia” stiano agendo in buona fede. Tuttavia è scientificamente inoppugnabile che i numeri dei casi etichettati come “Covid-19” sono enormemente gonfiati. Non vi è alcun fondamento epidemiologico per terrorizzare l’intera umanità e imporre lockdown che fanno sprofondare miliardi di persone nella povertà e nella disperazione, fino al suicidio.
Di Torsten Engelbrecht e Konstantin Demeter
I test PCR (Polymerase Chain Reaction) non sono adatti a diagnosticare una malattia infettiva. La PCR può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere isolato in un processo separato.
Eppure i test PCR vengono usati per “dare i numeri” della Covid-19, cioè dei presunti casi e decessi associati ad un virus chiamato SARS-CoV-2. Con quei numeri i globocrati hanno trovato uno strumento micidiale per tenere in ostaggio il mondo: inculcando la falsa convinzione che una persona con tampone positivo sia infettata da un nuovo virus potenzialmente letale e assai contagioso, essi trasformano cittadini critici in pecore terrorizzate e obbedienti: è questo il più attuale e indiscutibile “effetto gregge”.
Il mantra “Testate, testate, testate…” è infondato.
Il 16 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS, in una conferenza stampa su COVID-19 esortò la comunità mondiale: “Abbiamo un messaggio semplice per tutti i paesi: testate, testate, testate” (1). Questo messaggio fu diffuso negli angoli più remoti della Terra (2, 3) al punto che la credenza nel valore dei test PCR per far diagnosi di Covid-19 ha assunto caratteristiche dogmatiche. Ma i dogmi sono espressione di fede, non di scienza.
Walter Lippmann, definito il giornalista più influente del XX secolo (4), scrisse: “Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa granché” (5). Così, in merito alla PCR, la maggioranza dogmatica la pensa allo stesso modo, tradendo perfino l’inventore della PCR il quale sosteneva che la PCR non è sufficiente a far diagnosi di infezione. In rare occasioni il mainstream concede qualcosa alle tesi “eretiche”, ad esempio il New York Times con l’articolo “La fede in un test rapido porta all’epidemia che non c’è” (6).
Manca un gold standard.
I test PCR utilizzati per “diagnosticare” la Covid-19 non hanno un gold standard di riferimento. Per chiarire: il gold standard per un test di gravidanza è la gravidanza stessa. Ma per COVID-19 non esiste nulla di simile. Alla domanda “Quanto è accurato l’attuale test PCR per far diagnosi di infezione da SARS-CoV-2?”, lo specialista in malattie infettive Sanjaya Senanayake ha risposto: “Se si propone un nuovo test per individuare lo Staphylococcus aureus nel sangue, lo valutiamo a confronto con il gold standard che usiamo da decenni: le colture ematiche. Ma per COVID-19 non abbiamo gold standard” (7). Infatti solo un virus identificato mediante isolamento, purificazione completa e coltura può fungere da gold standard, ma nessuno ha mai isolato, purificato né coltivato SARS-CoV-2.
Jessica C. Watson dell’Università di Bristol (UK), nel suo articolo “Interpreting a COVID-19 test result”, recentemente pubblicato sul BMJ, scrive che “manca un chiaro gold standard”. Poi, la Watson sostiene che, “pragmaticamente”, il quadro clinico più la PCR positiva ” è forse il miglior gold standard disponibile” (8). Osserviamo: in mancanza di oro uno può anche accontentarsi dell’ottone, ma non dica “l’ottone è forse il miglior oro disponibile”.
La logica scientifica esclude che si possa “provare” alcunché tramite tautologie, ma costituisce una chiara tautologia affermare che i test PCR possono far parte di un gold standard da utilizzare per valutare i test PCR stessi. D’altra parte, non esistono sintomi patognomonici, cioè inconfondibili, di COVID-19, come ci è stato confermato anche da Thomas Löscher, medico “ortodosso” già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Monaco di Baviera (9). E se non esistono sintomi inequivocabili per ciò che viene definito COVID-19, la diagnosi esclusivamente clinica di COVID-19 non può servire come gold standard per i test PCR.
Abbiamo perciò chiesto alla Watson come mai ha scritto che la diagnosi di COVID-19 “è forse il miglior gold standard disponibile”. Purtroppo non abbiamo avuto risposta, nonostante ripetute richieste fatte sia direttamente che tramite Rapid-Response sul sito web del BMJ (10).
Nessuna prova che l’RNA sia di origine virale
Che cosa è necessario per identificare un virus a RNA? Dobbiamo sapere da dove proviene l’RNA che troviamo coi test PCR. Sia libri di testo classici (ad es. White/Fenner. Medical Virology, 1986, p. 9) che i maggiori virologi come Luc Montagnier o Dominic Dwyer affermano che la completa purificazione delle particelle virali è prerequisito essenziale per provare l’esistenza di un virus (11). “Purificare” significa separare un oggetto da tutto ciò che non gli appartiene. Ora, va ricordato che la PCR è estremamente sensibile, cioè può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere in un processo separato. Per questo motivo abbiamo chiesto se le immagini al microscopio elettronico, esibite da vari Autori, mostrano virus completamente purificati. Nessuno ha risposto in maniera affermativa, eppure nessuno ha obiettato che la completa purificazione non fosse un passo necessario per accertare il rilevamento di un virus. Abbiamo ricevuto solo le risposte elencate nella tabella seguente.
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