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MessaggioInviato: 19/11/2009, 19:52 
Salve a tutti

e un particolare benvenuto allo studioso Nunzio Miccoli, appena arrivato nel forum, sapendo di contare sulla conoscenza documentata, da lui acquisita attraverso lunghe ricerche, della evoluzione storica e secolare della Chiesa.

“Bariona” è riferito solo da “Matteo”, il quale, non conosceva l’aramaico, non era ebreo, non conosceva l’Antico Testamento e non si recò mai in Giudea, pertanto non poteva conoscere la storia giudaica dell’epoca che “testimoniò”.
“Maestro” perché era un “Rabbino” (Rabbì) … “Gesù” era ebreo.

A proposito delle discordanze sulle “testimonianze evangeliche”, oggetto del dibattito in corso, a comprova che, oltre agli apostoli, neanche gli evangelisti sono esistiti, invio questo breve “saggio” critico a dimostrazione che lo stesso “Luca” (notare le virgolette), oltre ad essere in contrasto con gli altri redattori dei “sacri testi” arriva a contraddire se stesso dimostrando di non essere esistito come persona.
Tutti i nomi degli “evangelisti” sono pseudonimi serviti a far apparire “l’Avvento” di un “Gesù”, “canonizzato omologato” sin dall’inizio. Non doveva risultare l’evoluzione, nel tempo, di una dottrina inizialmente diversa perché sarebbe sta la prova che fu modificata da uomini e non da Dio.
Più tardi (devo aspettare che rientri mio genero per spedire un’altra foto: io faccio solo danni) invierò uno studio dove, fra l’altro, si dimostra l’inesistenza di “Matteo”.
Sia ben chiaro, la Chiesa lo sa da sempre e si è cautelata premettendo alle citazioni dei Vangeli ... “secondo” …

Atti degli Apostoli di Luca.

Il documento apre notificando ai posteri la testimonianza di san Pietro sul “tipo” di morte patita da Giuda, “il traditore”, subito dopo l’inganno a Gesù, riportando le sue testuali parole:
“«Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto poi, precipitando in avanti, si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le viscere»” (At. 1, 18).
Invece, nel Vangelo di Matteo leggiamo:
“… e Giuda, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi” (Mt. 27, 5) … e, addirittura, lo stesso Saulo, nella sua I lettera ai Corinzi (15, 4-5), così dichiara:
Cristo fu sepolto e resuscitato, il terzo giorno apparve a Cefa (Simone San Pietro) e quindi ai Dodici” …(non undici), fra i quali Giuda, che risulta sempre vivo dopo la “Resurrezione” di Gesù …
Infatti, in “Atti degli Apostoli”, il dodicesimo Apostolo, che sostituì il “traditore Giuda”, verrà nominato dopo “l’Ascensione” di Gesù in cielo avvenuta quaranta giorni dopo la “Resurrezione” (At. 1, 9) :
la sorte cadde su Mattia , che fu associato agli undici apostoli” (At. 1, 26).

E’ evidente che tali contraddittorie deposizioni dei “Santi Testimoni evangelici” su “Giuda” (se leggiamo anche quello di san Tommaso vengono fuori tre “Giuda”) non hanno alcun valore probatorio se non quello di dimostrarne la montatura, appositamente creata per fini ideologici legati a un nome che identificava l’etnia che uccise “Gesù”.
Lo stesso dicasi per la “Resurrezione” sempre ricordata dagli Apostoli agli Ebrei ed ai Pagani e “testimoniata”, come evento reale, da Luca, nel suo Vangelo, ove risulta che, appena risorto, “Cristo”… giusto il tempo di consumare una cenetta a base di pesce con gli Apostoli , e … “ alzate le mani, li benedisse e si staccò da loro e fu portato verso il cielo” … nel medesimo giorno. (Lc. 24, 12/50).
Al contrario, la “testimonianza resurrezionale”, dettata da Dio e riportata dallo stesso Luca sullo straordinario evento “storico” per la “Salvezza” di tutta l’umanità, nei suoi “Atti” così ce la racconta:
Egli (Gesù) si mostrò ad essi vivo dopo la sua passione, con molte prove (sic!), apparendo loro (agli Apostoli) per quaranta giorni…e fu elevato in alto ai loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo” (At. 1, 2/9) …

“Beati i poveri di spirito,…Beati i miti,…Beati i puri di cuore…
perché di essi è il regno dei cieli.”


I “Pastori” della Chiesa hanno sempre, intensamente, pregato Dio per avere un popolo-gregge di fedeli pecorelle, tutte riunite nel loro “ovile”, sottomesse, assidue e concordi nella preghiera, ma, evidentemente, il loro “Padreterno” non ha inteso esaudire simili pressanti e interessate invocazioni, anzi, ha “creato” uomini con una natura diffidente, sospettosa, scettica e poco docile che, quando si sentono blanditi con la promessa di vita eterna “ultraterrena” in cambio del loro assoggettamento “terreno”, d’istinto, si impuntano e, proprio per distinguersi dai “beati poveri di spirito”… preferiscono ragionare di testa propria senza sottomettersi ...

A più tardi



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MessaggioInviato: 19/11/2009, 22:48 
Cita:
Il Signor Emilio Salsi scrive:
Infatti, in “Atti degli Apostoli”, il dodicesimo Apostolo, che sostituì il “traditore Giuda”, verrà nominato dopo “l’Ascensione” di Gesù in cielo avvenuta quaranta giorni dopo la “Resurrezione” (At. 1, 9) :
“ la sorte cadde su Mattia , che fu associato agli undici apostoli” (At. 1, 26).



Atti Apostoli 1,21 "Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsaba soprannominato il Giusto e Mattia."

Ma Giacomo il Giusto il fratello di Gesù dove era nel frattempo?

E all'improvviso lo troviamo a capo della chiesa di Gerusalemme, sebbene l'evangelista Giovanni poco prima scrivesse:"Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui' (Gv. 7, 5)


Un caro saluto a tutti.


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MessaggioInviato: 19/11/2009, 23:13 
Non sono esistiti gli Apostoli
Parte V^. I fratelli Zeloti


Dagli studi condotti sinora, abbiamo provato che i più importanti Apostoli, uno dopo l’altro, vengono eliminati dalla verifica critica storiologica. Le stesse analisi ci hanno consentito di scoprire brani spuri e simulazioni apportate dagli scribi cristiani, nel corso dell’evoluzione della dottrina, sia nei sacri testi che in quelli storici.
Manomissioni, ancora in atto (come dimostrato sopra dagli esegeti genuflessi), intese ad impedire il riconoscimento dei veri protagonisti, capi del movimento zelota di liberazione nazionale giudeo, celati dietro la nuova raffigurazione “apostolica”, miti come agnelli, predicatori di pace e giustizia. Dovevano sparire i cruenti rivoluzionari della “quarta filosofia zelota”, fondata da Giuda il Galileo, che postulava un capovolgimento antischiavista nella società ebraica tramite l’eliminazione della nobiltà sacerdotale corrotta e dei privilegiati filo romani.
Erano capi farisei Zeloti, “Dottori della Legge di grande potere”, uomini coraggiosi, “fanatici nazionalisti” votati al martirio, che intrapresero una lotta, impari, per “salvare” la loro terra dal dominio pagano romano e ricostruire, su di essa, grazie all’avvento di un Messia prescelto da Yahwè, un nuovo regno giudeo destinato a durare in eterno … che, dopo la riforma “universale” cattolica, verrà chiamato “Regno dei Cieli”.
Erano cinque fratelli, discendenti da una stirpe di sangue reale, gli Asmonei, sopravvissuta per via materna alla sistematica eliminazione dello spietato megalomane Erode il Grande. Lottarono contro i suoi eredi non riconoscendo ad essi il diritto, delegato da Roma, di regnare e governare sui Giudei.
Quel diritto apparteneva a loro e lo rivendicarono con le armi ad iniziare da Ezechia, padre di Giuda il Galileo, che fu ucciso da Erode ancor prima di essere insignito come Re, nel 40 a.C., da Antonio e Ottaviano, allora Triumviri. I loro nomi, dettati dalla tradizione di stretta osservanza giudaica, sono tuttora presenti nei Vangeli e corrispondono ai fratelli di “Gesù”, gli stessi che vengono attribuiti anche ai figli delle varie “Marie”, mogli di Alfeo, Zebedeo e Cleofa, sorelle e parenti con lo stesso nome di “Maria” la madre di Cristo, tutte aventi figli, anch’esse, con gli stessi nomi.
Nomi che ritroviamo anche in alcuni Apostoli, ma non in tutti. E’ evidente il tentativo dei redattori evangelici, scoordinato fra essi, di nascondere i fratelli dietro “Apostoli”, replicati più volte, con parentele inesistenti, pertanto è necessario rileggere questi nomi riportati nella apposita tabella.







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Dopo aver dimostrato che tre figli di Giuda il Galileo:

Giuda detto Theudas, fu falsificato in Taddeo (Taddaios i greco e Taddaeus in latino); venne ucciso dal Procuratore romano Cuspio Fado nel 45 d.C.;
Giacomo, replicato in figlio di “Alfeo”, “Zebedeo” e “Cleofa”; fu detto il “il Giusto”, “il Maggiore”, “il Minore” e “il Piccolo” (il vangelo con scritto “il Grande” era troppo “piccolo” e fu buttato via);
Simone detto Kefaz, alias “Simone lo Zelota”, alias “Simone il Cananeo”, alias “Bariona”, alias “Bar Iona”, alias “san Pietro”: era il patriota, capo guerrigliero che, già ricercato all’epoca di “Gesù”, dopo oltre dieci anni di latitanza e di caccia spietata da parte dei Romani sarà catturato e ucciso, assieme al fratello Giacomo, dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro, nel 46/48 d.C..

Nella tabella notiamo che l’Apostolo Matteo non esiste nel Vangelo di Giovanni … è impossibile, non ha senso: se fosse stato uno dei “Dodici” avrebbe dovuto riferirlo anche Giovanni.
Nel vangelo di Matteo (lui stesso) si dichiara “Pubblicano” … altra assurdità.
I Pubblicani riscuotevano i tributi dovuti all’Imperatore, pertanto gli altri “Apostoli” zeloti e sicari, aderenti alla “quarta filosofia zelota contro la tassazione di Roma”, ideata da Giuda il Galileo, lo avrebbero ucciso senza pensarci su due volte; sarebbe stato un loro nemico ideologico, un obiettivo da eliminare:
“…e (gli Zeloti) non indietreggeranno di fronte allo spargimento di sangue che potrà essere necessario” (Ant. XVIII 5, 6).
Matteo è un falso protagonista. L’evangelista che si dette quel nome, molto tempo dopo i fatti descritti, operò al solo scopo di rendere più credibile la testimonianza su Cristo facendo apparire di essere un Apostolo interprete di quelle vicende.

In realtà il redattore di questo vangelo in greco, ripreso da un vangelo primitivo originale che fu tradotto, non poteva essere un giudeo, padrone dell’aramaico, perché non comprese il vero significato di “cananeo” e lo lasciò in forma ellenizzata riferito a “Simone”.
L’accostamento prospettico con il vangelo di Luca non lascia equivoci.
Che l’evangelista “Matteo” non sia stato un ebreo, né mai vissuto in Giudea, è dimostrato in altri molteplici passaggi del suo Vangelo, soprattutto sulla “Natività” (ci arriveremo), in cui dimostra di non conoscere i luoghi, la storia giudaica dell’epoca di Cristo e l’Antico Testamento.

Attraverso contraffazioni delle traduzioni nelle varie lingue e la manipolazione dei termini originali (abbiamo su riportato l’esempio mostrando le fotocopie dei Vangeli), molti appellativi furono “ritoccati” per celare le vere identità dei fratelli Zeloti dietro santi “Apostoli”, sino a “replicarli” per raggiungere il numero di “Dodici” come fecero dire a “Gesù”:
“…siederete anche voi (gli Apostoli) su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”.
Ma neanche tale numero, pure di valenza assoluta e vincolante in quanto “profetato” dallo stesso “Gesù”, verrà rispettato dagli evangelisti. Gli Apostoli destinati a sedere sui “dodici troni” nell’alto dei cieli, elencati nei Vangeli canonici e negli “Atti”, sommati, diventano “sedici”.
In particolare troviamo replicati: Simone detto Pietro con Simone lo zelota o Simone il cananeo; Giacomo il Maggiore con Giacomo il Minore; Giuda detto Taddeo (Tèuda) con Giuda detto Toma (San Tommaso) e con Giuda iscariota (l’aggettivo è una contraffazione di “sicario”).
I Vangeli, volutamente, non spiegano il significato di “iscariota”; termine trascritto dai copisti in modi diversi per mascherarne l’ideale zelota.

Apostoli con nomi inventati, parolacce, come “Taddaios” (Taddeo) o “Petros” o “Petrus” (Pietro), inesistenti sia in greco che in latino, nel I secolo, semplici aggettivi qualificativi fatti passare per nomi…come:
“san Bartolomeo” ovvero “bar tolomeo” che vuol dire “figlio del valoroso”… o anche il fantomatico fratello di Simone... “Andrea”, aggettivo equivalente a “vigoroso” o “gagliardo” dal greco “andreas”, pertanto: “vigoroso, fratello di Simone”… o ancora “san Tommaso” dall’aramaico “toma” che significa “gemello” o dal greco “didimo” anch’esso equivalente a “gemello”… sino al punto di inventarsi un nome, addirittura, composto di due aggettivi “Tommaso detto anche Didimo” (Gv. 11, 16), che vuol dire “gemello detto anche gemello”, privo di alcun significato…
Aggettivi trasformati in nomi greci affibbiati a degli Ebrei, assurdità storica, impossibile essere avvenuta, perché in Palestina i Greci erano nemici dei Giudei e in guerra tra loro nel I secolo… Aggettivi che, col trascorrere dei secoli, grazie all’ignoranza dei fedeli sul vero significato originario, verranno accettati e adottati come “nomi” di persone.
Nelle opere di Giuseppe Flavio vengono riportati centinaia di nomi ebraici ma, all’epoca di “Gesù”, eccezion fatta per un fratello e un figlio di Erode il Grande (che, come Procuratore di tutta la Siria, per esigenze politiche e fiscali doveva mostrarsi “disponibile” verso la cultura ellenistica), nessun giudeo risulta aver adottato il nome “Filippo”, pertanto, durante la sua Udienza Generale tenuta il 14 Giugno 2006, Benedetto XVI…dichiarando ai fedeli che all’epoca di Cristo:

in Galilea, la lingua e la cultura greche sono abbastanza presenti”, ribadito nella Udienza generale del 6 Settembre 2006 “Benché Filippo fosse di origine ebraica, il suo nome è greco, come quello di Andrea, e questo è un piccolo segno di apertura culturale da non sottovalutare

sic!…ha mentito con uno scopo ben preciso: giustificare il paradosso evangelico di “battezzare” con un nome e un aggettivo greco due Apostoli ebrei “Filippo” e “Andrea”; gli “atti” dei quali sono talmente insignificanti (nei Vangeli devono “testimoniare” solo il proprio nome) che la Chiesa, consapevole della loro nullità, dovrà porvi rimedio nel Medio Evo inventando delle “tradizioni” su entrambi.
Nelle sue “udienze” Joseph Ratzinger può raccontare ciò che vuole ai “beati poveri di spirito” ma, per la Storia, due ebrei del popolo che si fossero “aperti alla cultura ellenistica”, cioè pagana … nel I secolo in Galilea, enclave di focosi giudei, sarebbero stati fatti a pezzi …

In ultima analisi, la finalità dottrinale di creare gli “Apostoli” fu dettata dalla necessità, messa in atto da ignoranti in storia e cultura giudaica, di nascondere nel “mucchio” i cinque fratelli zeloti e si ricollega alla necessità di replicare più “Marie”, sorelle e cognate di Maria, per farli diventare “cugini”.
Tale incoerenza religiosa, riscontrata nei testi “sacri”, dimostra il tentativo scoordinato degli autori di inventare nomi falsi, senza alcuna base storica documentabile, al fine di celare i cinque fratelli, l’esistenza dei quali trova effettivo riscontro comparando gli “Atti” con gli scritti di Giuseppe Flavio, al contrario degli “Apostoli”.

Secondo quanto riferito da Luca, i seguaci della dottrina di “Gesù”, in tre decenni, si erano moltiplicati e diffusi nelle province mediterranee dell’Impero … grazie alle dimostrazioni di miracoli straordinari fatti dagli “Apostoli”… dei cui nomi non esiste traccia in alcun documento degli scrittori d’epoca.
L’unico “attestato” (uno storico non potrà mai basarsi su un “documento” fideista come il Vangelo) che avrebbe dovuto comprovarne le gesta, oltre all’esistenza, è costituito dagli “Atti degli Apostoli”, ma, da quanto abbiamo constatato - dopo avere individuato le falsificazioni apportate dall’evangelista per rendere credibili i suoi “santi personaggi” - tale documento, in realtà, diventa la prova che i “Dodici” sono soltanto un numero di valore simbolico religioso; una creazione letteraria per far apparire che il “cristianesimo”, diffuso da loro, era presente sin dal I secolo al fine di “dimostrare” che Gesù era venuto e si era sacrificato per salvare gli uomini dalla morte.

La “documentazione” sull’esistenza degli “Apostoli” proviene solo da asceti cristiani, Padri Fondatori della Fede da essi propugnata ed Episcopi Venerabilissimi…tutti “testimoni” della “veridicità” della propria dottrina, i cui manoscritti sono copie edite secoli dopo di loro … pertanto, epurate ideologicamente.
Gli Apostoli degli scritti neotestamentari, semplicemente, non sono mai esistiti; così si spiega perché i nominativi dei fratelli corrispondevano solo ad “alcuni” di loro: oltre ai “fratelli”, dei quali stiamo per rivelare i rimanenti, non vi furono “altri”…“Apostoli”.

I nomi di stretta osservanza giudaica riferiti nei Vangeli, accreditati a “fratelli”, “adottati” da molte (ne risultano sei), troppe, “Marie”, sorelle, parenti e amiche della “Maria” madre di “Gesù” sono: Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe…cui vanno aggiunte due o più “sorelle”.
Per contro, riportiamo la lista totale dei “Sedici” Apostoli, non “Dodici”, che chiunque può riscontrare, con una semplice addizione, nei citati libri del Nuovo Testamento.
Tale criterio non è condiviso dai preti che, dai loro pulpiti durante le prediche, si guardano bene dal contarli tutti insieme evitando di entrare nel merito di queste “sacre” contraddizioni.

Tutti gli Apostoli: Simone Kefaz detto Pietro; Andrea; Giacomo di Zebedeo; Giovanni fratello di Giacomo; Filippo; Bartolomeo; Matteo; Tommaso detto Didimo; Giacomo di Alfeo; Giacomo di Cleopa o Cleofa (che la Chiesa vorrebbe accorpare con Alfeo), Taddeo; Simone lo Zelota o il Cananeo; Giuda Iscariota; Giuda fratello di Giacomo; Natanaele di Cana; il “Discepolo che Gesù amava” (secondo la Chiesa è Giovanni); Mattia; Saulo Paolo.
Rendendosi conto che sono troppi, gli esegeti genuflessi ipotizzano (sic!) che Alfeo, e Cleopa (Cleofa) siano la stessa persona: poverini…vanno capiti anche loro.
Devono pur giustificare i profondi studi fatti con qualche risultato.


http://www.vangeliestoria.eu/index.php


Ultima modifica di Emilio Salsi il 19/11/2009, 23:16, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 19/11/2009, 23:53 
Bravo Giovanni,

ha fatto centro! Le eccelse menti, ispirate da Dio, lo dovranno "creare" in seguito per "tappare" un vuoto pericoloso provocato dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro. L'altro "martire", Simone, suo fratello, lo faranno evadere dal carcere con l'aiuto di un ... angelo inviato da Dio per diventare il primo Vescovo "assiso sul trono di Roma".
Questa è la "divina" storia ecclesiastica.


Ultima modifica di Emilio Salsi il 19/11/2009, 23:56, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 21/11/2009, 22:21 
Non sono esistiti gli Apostoli

VI^ Parte: Giovanni

Abbiamo sopra dimostrato le contraffazioni apportate nei “sacri testi” ed alla storia, da parte degli scribi cristiani, allo scopo di celare i veri protagonisti dei vangeli primitivi, entro i quali, gli Esseni, in virtù della loro gnosi (una “conoscenza di Dio” già elaborata dal filosofo ebreo Filone Alessandrino morto nel 45 d.C.), raffigurarono un nuovo “Messia Salvatore” dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte di Tito nel 70 d.C..
I “Profeti” esseni avevano incitato i Giudei a combattere contro i Kittim pagani di Roma illudendoli, con i loro vaticini, che Dio sarebbe venuto in loro aiuto:

“Scomparirà la dominazione dei Kittim facendo soccombere l’empietà e non rimarrà alcun rifugio per tutti i figli delle tenebre …Nel giorno in cui i Kittim cadranno vi sarà un combattimento grande e una strage al cospetto del Dio di Israele; giacché questo è il giorno da Lui determinato da molto tempo per la guerra di sterminio dei figli delle tenebre” (Rotolo della Guerra).

Purtroppo …“lo sterminio” venne perpetrato dai Romani, pertanto il “Messia Salvatore” dei Giudei non poteva più corrispondere ad un “Figlio di Dio” descritto dagli Esseni, con profezie visionarie apocalittiche, come un “Dominatore del Mondo”; allora, anziché ammettere il fallimento delle loro profezie, con una “trovata geniale”, addebitarono la colpa, delle rovine e dei lutti, al mancato riconoscimento del “Salvatore” Jeshù a da parte degli Ebrei: il Messia, atteso con anelante fede da loro durante il primo secolo…l’Unto, prescelto da Jahwè, era già venuto, ma non fu riconosciuto come tale dal Suo popolo.
Nella Legge dei Padri ancestrali, fra le tante, gli Esseni scelsero una “profezia” di Isaia (53, 1) cui ispirarsi:

Egli, dopo essere passato fra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello

lo riconobbero in un sacerdote di nome Giovanni, figlio primogenito del potente fariseo, Dottore della Legge, Giuda il Galileo, discendente dagli Asmonei, una stirpe di sangue reale che fu spodestata da Erode il Grande e fondatore della setta degli Zeloti il 6 d.C..
Una stirpe che, per diritto, rivendicava il trono dei Giudei.
Nel corso del conflitto, intrapreso nel 34 d.C. da Artabano III Re dei Parti contro la Roma imperiale di Tiberio, durato sino agli inizi del 37 d.C., Giovanni, figlio primogenito di Giuda il Galileo, con i suoi fratelli capi Zeloti, nel 35 d.C., mentre era in corso una gravissima carestia, dopo aver annientato la guarnigione militare romana di stanza a Gerusalemme, prese il potere facendosi proclamare Re dei Giudei e Sommo Sacerdote.
Sarà il Console Lucio Vitellio, con un mandato imperiale che gli conferiva pieni poteri su tutte le forze romane d’Oriente, a portarsi con le sue legioni in Gerusalemme, 600 km a sud di Antiochia, per la Pasqua del 36 d.C. e, dopo aver sottomesso nuovamente la Città Santa al dominio di Roma, giustizierà Giovanni, il sedicente Re dei Giudei.
Gli Ebrei, in ottemperanza alla Legge, seguendo i capi Zeloti, continuarono, incessantemente, la lotta contro il dominio pagano, sino al martirio. Nel periodo storico successivo alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.), dopo la sconfitta e il massacro etnico da parte dei Romani, e dopo le persecuzioni degli ebrei in molte città orientali dell’Impero, si aprì una crisi di identità religiosa che coinvolse l’intera diaspora ebraica e spinse gli Esseni a riformare il proprio credo.
Il processo di revisione ideologica, nei decenni successivi a tale catastrofe, lentamente, porterà l’ecumene degli Esseni a scomparire grazie alla mutazione della dottrina, sino al punto che la Storia non registrerà più la loro presenza ... viceversa, testimonierà l’Avvento del “Cristianesimo”.

Ma fu solo dopo la catastrofica guerra giudaica che gli Esseni avviarono un processo di revisione messianica che originerà il Cristianesimo come lo conosciamo oggi.
Ecco perché nei numerosi manoscritti ritrovati a Qumran, nascosti il 67 d.C. nelle grotte, non si citano i Santi protagonisti evangelici con le opere straordinarie e miracolose da essi effettuate e propagandate nei Vangeli oggi conosciuti; ecco perché nei rotoli e nei frammenti più grandi e significativi non si parla di “Gesù Cristo”, “Vergine Maria”, “san Giuseppe”, “Apostoli con lingue di fuoco sulla testa”, “miracoli”, “Episcopi assisi sul trono di Gerusalemme” o l’insulso “Concilio paolino di Gerusalemme” … niente di tutto ciò risulta dalla enciclopedica testimonianza essena … perché ancora non erano stati inventati.

Dipende solo dalla nostra capacità ricercare i veri personaggi di cui si parla nei documenti successivi del Nuovo Testamento. Chi furono gli “Apostoli” e l’uomo, chiamato “Gesù”, crocifisso da Ponzio Pilato? … Fu veramente crocefisso dal Prefetto romano? Perché i Vangeli, gli “Atti”, le “Lettere”, e la dottrina cristiana tutta, ci dicono che Pilato non aveva colpa?
Tre “Apostoli Profeti sobillatori” li abbiamo ritrovati nella storia … e non facevano miracoli, ma furono uccisi dai Romani; quindi dobbiamo cercare i rimanenti, non fra i Santi, ma…tra gli uomini normali.
Cioè fra quei mortali che, nel I secolo, in Palestina, si resero protagonisti di gesta il cui ricordo, pur se riportato attraverso mistificazioni e con finalità diverse dalla Chiesa, è rimasto tuttora nei documenti neo testamentari insieme ai loro nomi.
Sono quei nomi, quelle imprese, quei luoghi e quelle date, ove si originarono, che noi ci accingiamo a ricercare nella documentazione storica, non fideista, ad oggi pervenutaci.

Giovanni

Al punto in cui siamo giunti con la ricerca, gli avvenimenti letti ci hanno consentito di individuare tre dei cinque figli di Giuda il Galileo. Tutti personaggi evangelici di primo piano appartenenti al movimento rivoluzionario zelota antiromano di cui loro padre ne fu promotore.
Al pari dei comuni mortali, tutti furono giustiziati nel corso della lotta patriottica che intrapresero, coraggiosamente e caparbiamente, per liberare la loro terra dalla dominazione pagana in adempimento alla Legge tramandata dagli antichi padri.
Il personaggio che dobbiamo cercare nella documentazione storica, Giovanni, sappiamo che avrebbe dovuto essere protagonista, lui per primo, di gesta che, ideologicamente, furono coerenti sia a quelle dei suoi fratelli, morti dopo di lui, sia a quelle del potente “Signore” di Gamala, loro “Padre”: Giuda il Galileo.
Il Vangelo di Giovanni così inizia:

“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni...
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto.”
(Gv. 1, 6-11)

Questo “Giovanni” del Vangelo di “Giovanni” non può essere “Giovanni detto il Battista”. La storia ci dice che il Battista aveva un solo nemico: Erode Antipa il Tetrarca. Fu lui ad ucciderlo … proprio perché il popolo lo aveva accolto con troppo favore:

“Quando la gente si affollava intorno a lui, essendo i suoi sermoni giunti al più alto grado, Erode si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a forme di sedizione … a motivo dei sospetti di Erode, fu portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte (Ant. XVIII, 118).

Nei Vangeli si equivoca volutamente e spesso fra Giovanni Battista e “Gesù”, sovrapponendo le due figure ideologiche, fino al punto che san Luca inizia la sua novella con la “nascita” di “Giovanni … Egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti
(Lc. 1, 13/15).
Chi non poteva bere vino era un “Nazireo”, e capiremo poi cosa c’entra con “il Salvatore Giovanni”.
Lo stesso Vangelo inizia narrando prima la nascita di “Giovanni”, poi quella di “Gesù”… come se quella di “Gesù” sia stata aggiunta dopo, inoltre, ci descrive una relazione intermaterna di un feto:
Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo” (Lc. 1, 41).
L’evangelista riferisce che “Giovanni”, ancora nel grembo di “Elisabetta”, quando arriva Maria la “riconosce o la percepisce” come sua madre, ma ... essendo fisicamente impossibile che, nel 6 a.C. (secondo la datazione della Chiesa), Luca abbia potuto poggiare l’orecchio sul ventre di Elisabetta, ci siamo sforzati di immaginare il Padreterno, quando, “dall’Alto dei Cieli”, si chinò per suggerire, nell’orecchio del Santo, questo particolare del “sussulto” del feto nell’interno di un grembo materno, obbligandolo a tramandarlo ai posteri “credenti”… “poveri di spirito e…beati” …
Può sembrare inverosimile ma, per riuscire a far passare come vere sciocchezze simili, i Padri, fautori di questa “teologia”, conoscevano bene il livello culturale dei “fedeli greggi di pecorelle smarrite da ricondurre nell’ovile”.

Nel Protovangelo di Giacomo leggiamo:
Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo prese e salì sulla montagna (22, 3). Erode cercava Giovanni…e disse loro: « è Giovanni colui che regnerà su Israele »” (23, 1-2).

In questo Vangelo, un manoscritto più antico dei Codici Vaticano e Sinaitico, perché Erode avrebbe dovuto perseguitare “Giovanni” se non era destinato a divenire “Re dei Giudei”? … diritto che spettava alla stirpe degli Asmonei?… e, di quale “montagna” poteva trattarsi se non quella di Gàmala? … la patria di Giuda e dei suoi figli: Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe.
Procedendo con lo studio, potremo stabilire che il primitivo “Vangelo di Giovanni”, degli Esseni, non era un manoscritto fatto da “Giovanni”, ma narrava di “Giovanni”.
Il “Giovanni” che cerchiamo nella storia, fu un personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor più dei suoi “fratelli”; ma non fu nominato insieme a loro, nei Vangeli di Marco e Matteo, perché lui era il vero “soggetto”: venne chiamato "costui" ...
Anche lui fu promotore di imprese uguali alle loro, imprese di capi guerriglieri integralisti, di “Apostoli Profeti sobillatori”, di “fanatici nazionalisti” , di ... Zeloti

A presto ...


http://www.vangeliestoria.eu/index.php


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MessaggioInviato: 22/11/2009, 03:31 
Cita:
Il Sig. Emilio Salsi scrive:

Purtroppo …“lo sterminio” venne perpetrato dai Romani, pertanto il “Messia Salvatore” dei Giudei non poteva più corrispondere ad un “Figlio di Dio” descritto dagli Esseni, con profezie visionarie apocalittiche, come un “Dominatore del Mondo”; allora, anziché ammettere il fallimento delle loro profezie, con una “trovata geniale”, addebitarono la colpa, delle rovine e dei lutti, al mancato riconoscimento del “Salvatore” Jeshù a da parte degli Ebrei: il Messia, atteso con anelante fede da loro durante il primo secolo…l’Unto, prescelto da Jahwè, era già venuto, ma non fu riconosciuto come tale dal Suo popolo.
Nella Legge dei Padri ancestrali, fra le tante, gli Esseni scelsero una “profezia” di Isaia (53, 1) cui ispirarsi:

“Egli, dopo essere passato fra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello”




Questa ricostruzione storica viene confermata anche negli Atti degli Apostoli 8.32, inserita nel brano in cui Filippo battezza un funzionario etiope.

"Filippo battezza un funzionario etiope. - 26 Un angelo dei Signore parlò a Filippo e disse: «Alzati e va' verso il mezzogiorno, suila strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27 Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etiope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28 stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va' avanti e accòstati a quei carro». 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo? ». 31 Egli rispose: « E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32 Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:

Come una pecora egli fu condotto al macello

e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.


33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla?

Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.

34 Rivolgendosi a Filippo, l'eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35 Filippo, prendendo la parola e partendo da quei passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù . 36 Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c'era dell'acqua e l'eunuco disse: «Ecco, qui c'è dell'acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato? ». [37] 38 Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò. 39Quando risalirono dall'acqua, lo Spirito dei Signore rapii Filippo e l'eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada .40Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa."

Il versetto 8,37 non viene riportato nella nuova versione ufficiale della CEI ;
però il versetto omesso nei manoscritti migliori e più antichi riporta: 'E Filippo disse: 'Se crederai con tutto il tuo cuore, nulla te lo impedirà'. E questi rispose: Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio.
Ciò significa che tale versetto era stato inserito successivamente.

Ecco perchè è stato tolto, era troppo evidente l'aggiunta falsaria.
Un caro saluto.


Ultima modifica di Giovanni dalla Teva il 22/11/2009, 04:05, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 22/11/2009, 09:31 
Carissimi e grandiosi amici miei, ho sempre detto che leggervi è un piacere, perche le esposizioni che fate sono accompagnate dal 95% di possibili verità. Io in tutti i miei post odierni e passati ho sempre rimarcato, che gli scavi archeologici dovevano essere indirizzati all'inizio della favola patristica, perche è lì che c'è tanta verità occultata.
Io se voglio conoscere-sapere se la casa-religio ha consistenza-verità, vedo se le fondamenta della casa-religio possono sorreggerla da eventuale sisma. (Le fondamenta-l'inizio)
Noi tutti ricercatori saremo il terremoto che farà cadere su se stessa, questa casa-religio, costruita con sabbia e menzogne.
Il compito ora sarà la divulgazione delle risultanze raggiunte.
Su questo bisogna spenderci.

Un caro saluto a tutti gli amici ICI. Cecco


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MessaggioInviato: 22/11/2009, 12:02 
Giovanni,
ha rifatto centro! Fu il Cascioli a consigliarmi di sottoporle il dattiloscritto, prima di darlo alle stampe, quale esperto conoscitore di escatologia evangelica.
C'è anche un altro aspetto da considerare.
Per le loro profezie, gli Esseni si ispirarono a molti Profeti dell'Antico Testamento, riportandole nei rotoli.
Essi si richiamarono a Isaia più volte ma ... non risulta il passo che stiamo trattando.
La risposta viene spontanea: per loro, il Messia, doveva essere un emulo di Davide, e ancora più potente, per distruggere i Kittim romani.
Fu l'olocausto subìto a far loro cambiare politica, o meglio, "vaticinio".
Il rischio era soprattutto per i capi sacerdoti, i Maestri o "Ispettori"; sapevano che Vespasiano non scherzava.
Ne derivò una scelta più "igienica" rivolgendosi ad "ispirazioni" più miti: il messianismo gesuita dell'Agnus Dei di Isaia.

Presto riprendiamo con Giovanni.

Un saluto a tutti voi.


Ultima modifica di Emilio Salsi il 22/11/2009, 12:08, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 22/11/2009, 23:19 
A proposito di falsita' e stupide invenzioni ,sembra che l'ultima sovrana di nome Candace,fosse in realta' ,la regina Di Meroe,in Nubia. Il suo vero nome fu Amanishakheto e nel 23 a.c. si scontro con i romani.
Pertanto al tempo della redazione degli Atti,Candace era sicuramente deceduta,ma non solo ma non esiste alcuna prova storica che faccia cenno ad una regina etiope filo giudaica,ne altra prova che dimostri la diffusione nei territori della Nubia del cristianesimo.
Un eunuco africano,poi,non puo' che farci solamente ridere!!

Un saluto ,e un grazie al sig Salsi,e a Giovanni d T per i loro meravigliosi post.


Ultima modifica di leviatan il 22/11/2009, 23:20, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 23/11/2009, 20:45 
Santo Stefano e Filippo

Signor Leviatan,

mi complimento per la ricerca sulla regina Candace, il cui vero nome, non “sembra” ma, era Amanishakheto, Regina del regno di Meroe, nell’attuale Sudan. Viceversa “Candace”, nella lingua nubiana dell’epoca, in realtà voleva dire soltanto “Regina”. Tale parlata, in quella regione, si sostituì all’egiziano arcaico nel corso del IV secolo a.C..
Gli storici dell’epoca, sia Strabone che i Romani, non conoscendo la lingua, caddero nell’equivoco scambiando il titolo per il nome. Lo stesso Augusto nelle sue “Res Gestae” descrive la campagna militare da lui ordinata al Prefetto d’Egitto, Gaio Pubblio Petronio, per risottomettere la Nubia al dominio di Roma nel 23 a.C. poiché, l’anno prima (24 a.C.), la regina “Candace” (Amanishakheto) capeggiò la rivolta contro i Romani.
Importanti resti archeologici e gli studi dei paleografi, che hanno decifrato il vero nome, lo dimostrano.

Accertiamo adesso la veridicità di “Atti degli Apostoli” e, in ultima analisi, degli stessi “Apostoli”.
Sapendo che Candace morì il 7 a.C., leggiamo: Filippo incontra un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia, Sovrintendente ai suoi tesori, seduto su un carro… disse allora lo Spirito a Filippo …” (At. 8, 27/29) ne risulta che la narrazione è una fandonia perché l’evento è datato dopo la morte di “Gesù” avvenuto, secondo la Chiesa, dopo il 30 d.C, vale a dire oltre 37 anni dopo la morte di Candàce, il cui vero nome era Amanishakheto e questo un Santo ispirato da Dio avrebbe dovuto saperlo e non inventarsi un “Sovrintendente” di una regina morta.
Da questo sproposito si possono scoprire altre imposture contenute nel “sacro testo”.
Come abbiamo già ampiamente dimostrato, grazie agli studi pubblicati, gli “Atti degli Apostoli” furono creati da scribi cristiani molto tempo dopo la datazione delle vicende in essi narrate.
Gli autori si prefissero di “comprovare”, con l’ausilio mistificato della storia, l’Avvento di Gesù Cristo e degli Apostoli che ne diffusero la dottrina, pertanto, si inventarono tutta una serie di personaggi di “contorno” con il compito di “testimoniarne” le gesta miracolose straordinarie.
Questi personaggi comprimari vennero creati artatamente, proprio come gli “Apostoli”, e fatti interagire con uomini realmente vissuti, famosi, rintracciabili nella storiografia dell’epoca, esattamente come le stesse località in cui furono fatti recitare, anch’esse notorie e descritte nel Vangelo.
In questo caso, l’errore “Candace”, fatto dagli storici imperiali i quali non sapevano che nella lingua meroitica significava “regina”, fu ripreso, inconsapevolmente, dagli scribi falsari; ma oggi, grazie ad archeologia e paleografia, insieme al dato storico della morte della sovrana ribelle, siamo in grado di scoprire la falsificazione e dimostrare l’invenzione di “Filippo”.
Ma non basta.
Leggendo gli “Atti”, questo “Filippo” fu creato assieme ad altri sei personaggi con i quali doveva operare; fra questi il primo martire della cristianità: santo Stefano “uomo pieno di fede e di Spirito Santo che … faceva prodigi e miracoli tra il popolo” (At. 6, 5/8).
Ne consegue che, se santo Stefano era assieme ad un inesistente “Filippo”, è ovvio che anche lui fu inventato.
Ma non basta.
Il martire Stefano venne lapidato all’interno di un Sinedrio, convocato da un Sommo Sacerdote senza la presenza, e tanto meno autorizzazione, del legato imperiale romano, l’unico che avrebbe potuto consentire l’uccisione in quanto detentore del “ius gladii”... pertanto: falsa Candace, falso Filippo, falso Sinedrio, falso Stefano, falso martirio.
E ancora.
In questa finta scena, che vede protagonista un finto martire, si introduce anche un altro personaggio inventato, importantissimo per la Verità della Fede Cristiana: Saulo; ancora giovane, ai piedi del quale si compie il finto martirio di un finto santo Stefano (At. 7, 58).
Oltre agli studi già pubblicati sull’inesistenza di san Paolo, la sequela delle falsità, ora lette, conferma che, sin dall’inizio, anche san Saulo Paolo era una menzogna, non una persona realmente esistita, ma creata per fini ideologici dottrinali.
Proseguiamo.
Lo scenario si allarga alla Samaria e … Le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi emettendo molte grida e molti paralitici e storpi furono risanati” (At. 8 6/7) Sic! Sembra un programma elettorale … dopodiché, si introduce un nuovo personaggio: Simone il Ma[b]go[/b]. Questi:
“fu battezzato e non si staccava più da Filippo (At. 8,13).
Un san Filippo inventato non può rimanere attaccato ad un “mago”: anch’esso fu inventato.

La cantonata presa con san Filippo dagli scribi cristiani falsari, monasti molto furbi ma poco pratici di storia, è paragonabile all’altra cantonata presa nelle “Lettere” di san Saulo Paolo (la II^ ai Corinzi 11, 32) e riferita anche in “Atti” (12, 4/7), quando si fa dichiarare all’Apostolo delle Genti:
“A Damasco il governatore del [b]Re Areta montava la guardia per catturarmi”[/b].
Secondo “Atti” siamo poco prima del 40 d.C., pertanto questo monarca poteva essere solo il Nabateo Re Areta IV di Petra, la cui figlia sposò Erode Antipa il Tetrarca, il quale poi la ripudiò per sposare Erodiade.
Ma il suocero di Erode Antipa non regnò mai su Damasco che apparteneva alla Provincia romana di Siria una delle più importanti di tutto l'Impero e a ridosso del Regno dei Parti: se ciò fosse avvenuto gli storici imperiali lo avrebbero riferito. Fatto che non risulta.

Al contrario, un antenato di questi, Re Areta III, regnò su Damasco oltre un secolo prima che Cristo camminasse sulle acque.
Nell’ 85 a.C., Areta III, Re degli arabi Nabatei, conquistò Damasco e vi regnò sino a che, nell’ 83 a.C., Tigrane II d’Armenia, detto il Grande, conquistò la Siria e Areta III fu costretto ad abbandonare Damasco rifugiandosi a Petra. Dopo di lui regnò sui Nabatei Obodas III, suo figlio, e padre, a sua volta, di Areta IV. Quest’ultimo regnò dal 6 a.C. sino al 40 d.C., ma mai su Damasco.
Gli storici genuflessi, nei loro siti, con una faccia tosta senza pari, pur di salvaguardare le “Verità” evangeliche, dichiarano che, morto Tiberio nel 37, Gaio Caligola nominò Governatore di Damasco Areta IV. Questa gente ci vuol far credere che un Re, insediatosi sul trono, il 6 a.C., senza il preventivo “placet” di Augusto, che nel 36 d.C., osò mpadronirsi di territori di proprietà dell’Impero durante il conflitto tra Roma e i Parti … secondo gli esegeti baciapile … avrebbe ricevuto in premio il trono di Damasco? Nella Siria?
Fra Damasco di Siria e Petra vi era un immenso territorio che comprendeva Batanea, Gaulanitide, Decapoli e Perea oltre, ovviamente, all'Arabia Nabatea … Ma quando ! Che lo dimostrino! Che si faccia avanti un docente di storia e letteratura classica e lo dichiari pubblicamente sottoscrivendo con tanto di nome e cognome.

Gli esegeti baciapile escano fuori dall’anonimato coperto da pseudonimi in siti destinati ai “beati poveri di spirito”. Questa gente non arriva o finge, in mala fede, di non capire che “san Luca” ha infilzato sull’amo della storia una serie di “eschette” proprio per farli abboccare: eschette che si inghiottono, una dopo l’altra, come fossero ostie consacrate.
Ma questa colossale menzogna religiosa non può costituire un alibi per arrogarsi il diritto di cambiare il passato: la realtà degli eventi accaduti è un patrimonio che appartiene a tutti.
Il falso Gamalièle in un falso Sinedrio; falsi Apostoli che fanno miracoli sotto un inesistente portico; un falso profeta Agabo che prevede una carestia dieci anni dopo già avvenuta; una falso san Saulo Paolo che offende un Sommo Sacerdote inesistente, che si permette di mentire ad un Tribuno sul suo luogo di nascita, e questi, ciononostante, come un pauroso inetto e ritardato mentale, crede alla sua “cittadinanza romana” senza pretendere di vedere l’attestato a comprova, come previsto dalla legge che lui stesso è tenuto a far valere; una falsa “folgorazione”; Apostoli con lingue di fuoco sulla testa che fanno resuscitare morti e aringhe affumicate, fanno parlare i cani ecc. ecc. ecc.

Ebbene si! questa gente, si vergogna di far conoscere il contenuto di questo “sacro testo” … i preti sanno benissimo che è ridicolo e lo tengono celato.
Sanno che anche i “beati poveri di spirito”, oggi, se fossero messi al corrente delle sciocchezze in esso contenute … scapperebbero.
Docenti di fama discutono in congressi, vengono scritte relazioni, pubblicati libri per “analizzare” gli “Atti degli Apostoli” sotto il profilo storico, letterario, “tradizione giudaica” che incontra la “tradizione ellenizzante”, “genialità della sintesi paolina” ecc. ecc.
A volerli leggere tutti è impossibile … e lo sanno; ma quello che conta è far apparire la “Mole” di studi fatti: una bibliografia pressoché infinita che deve impressionare gli sprovveduti.

Ma nessun Papa che dica mai, nell’Udienza Generale in piazza san Pietro: cari fratelli e sorelle…ora vi leggo gli “Atti degli Apostoli”, iniziando dalla prima pagina, bastano un paio d’orette, e avrete diritto alla vita eterna.
No! Lo sanno!: gli “Atti degli Apostoli” non sono altro che un puerile libello creato per ingannare creduloni dolciotti. Gente che a quei tempi, diversamente da oggi, non aveva la possibilità di documentarsi per verificare se quanto riportato nei Vangeli sarebbe potuto avvenire nella realtà…
ma oggi … san Pietro, si svuoterebbe.


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Ultima modifica di Emilio Salsi il 23/11/2009, 20:53, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 24/11/2009, 17:45 
Non sono esistiti gli Apostoli

VII^ Parte: Giovanni il Nazireo

Dagli studi effettuati sull’esistenza dei fratelli di Gesù, tutti con nomi di rigida tradizione giudaica, abbiamo individuato “Giovanni” che, in ultima analisi, andava a completare la cerchia dei figli di Giuda il Galileo.
Il “Giovanni” che cerchiamo nella storia, fra i comuni mortali, fu un personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor più dei suoi “fratelli”; ma, volutamente, non fu mai nominato contemporaneamente agli altri quattro, nei Vangeli, perché lui era il vero “soggetto”.
Fu promotore di imprese uguali alle loro, imprese di capi guerriglieri integralisti, di “Apostoli Profeti sobillatori”, di “fanatici nazionalisti”, di ... Zeloti


Giovanni il Nazireo, detto “Gesù Cristo”

I cristiani gesuiti lo chiameranno il Nazareno, il Messia, il Salvatore,
Cristo, il Signore, il Redentore, il Figlio del Padre, Figlio di Dio … Dio.


Quando Giuseppe Flavio si apprestò alla stesura del cap. 8°, Libro VII, de “La Guerra Giudaica”, stava ultimando la descrizione dell’olocausto ebraico provocato dall’intervento delle legioni romane le quali, dopo aver distrutto Gerusalemme e il Tempio, avevano sottomesso nuovamente la Giudea.
Siamo nel 73 d.C., quasi tutti i ribelli di Palestina sono stati catturati, uccisi, giustiziati o dispersi.
La guerra santa giudaica sta finendo ma nell’Oriente dell’Impero, dalla Siria all’Egitto, per ordine di Vespasiano, continuano le persecuzioni nei confronti degli Esseno Zeloti e dei simpatizzanti.
Le popolazioni pagane infieriscono contro di loro e, spesso, anche i correligionari della diaspora diventano delatori ... come a voler dimostrare lealtà al nuovo potere repressivo verso gli sconfitti.
L’Imperatore li ha combattuti personalmente e sa come fare a distinguere i fanatici nazionalisti dagli altri: intima ai fermati di riconoscerlo come Cesare Padrone e Signore. Coloro che si rifiutano vengono sottoposti ai peggiori supplizi per finire uccisi atrocemente …

In questo momento del racconto, condotti dal Legato di Siria, i Romani stanno marciando verso Masàda, l’estrema fortezza rimasta da espugnare ove si è arroccato Lazzaro con i suoi Zeloti, ultimo discendente di Giuda di Gàmala, l’odiato nemico tante volte citato nelle sue opere.
Giuseppe l’ha sempre ribadito: tutti i mali che si abbatterono sui Giudei, dall’epoca del censimento in poi (6 d.C.), ebbero inizio da Giuda il Galileo, il fariseo Dottore della Legge di grande potere, ideologo della “quarta filosofia finora sconosciuta” fanatica nazionalista, messianica e antischiavista.
Il Signore di Gàmala. e i suoi discendenti, tutti Zeloti, uno dopo l’altro, furono i principali responsabili della dottrina che ha portato alla catastrofe finale appena descritta.
E se tutto ebbe inizio dal sofista Giuda il Galileo, secondo questa rievocazione, tutto stava per concludersi con l’ultimo suo discendente: Lazzaro …
E così, con un ricordo di gesta lontane nel tempo, principia questo racconto che ci accingiamo a leggere in “La Guerra Giudaica”, Lib. VII cap. 8°:

252. “Al governo della Giudea, morto Basso, era succeduto Flavio Silva. Questi, vedendo che tutto il resto del paese era stato sottomesso con le armi tranne un’unica fortezza ancora in mano ai ribelli, raccolse le forze che stavano nella regione e mosse contro di essa. Masàda è il nome di questa fortezza. 253. A capo dei sicari c’era Eleazar, uomo potente, discendente di quel Giuda che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirino nella Giudea. 254. A quell’epoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai romani e li combatterono in ogni modo come nemici, depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case”…

Abbiamo letto e riletto l'intero capitolo e, nei paragrafi riportati, dal 252 al 275, non abbiamo riscontrato alcuna discontinuità cronologica nella descrizione, drammatica, delle vicende e i protagonisti. Lo storico, una volta citato il “Giuda del censimento”, non riesce a trattenere i ricordi dolorosi che coinvolsero la sua famiglia a partire da quella guerra. Descrive episodi di violenza e crudeltà facendo nomi in sequenza, a risalire nel tempo, sino al par. 274 … in cui Giuseppe dice:

“A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro (degli Zeloti) ferocia non mi sembra questo il momento più adatto e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione ” e, il par. 275, infatti, riprende da quel punto: “Il comandante romano (Flavio Silva) mosse alla testa delle sue truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masàda, e ben presto si assicurò il controllo dell’intera regione stabilendovi dei presidi nei luoghi più opportuni … Predisposto tutto ciò, Silva si dedicò all’assedio…” (di Masàda).

Quando lo scrittore parla di “quell’epoca” si riferisce ad un periodo storico memorabile remoto da cui iniziarono eventi degni di essere ricordati, non ad un passato prossimo, come la guerra giudaica ancora in corso, pur se quasi finita, mancando solo Masàda, l’ultima fortezza, che sta per essere espugnata dai Romani.
Premesso questo dovuto chiarimento, riprendiamo a leggere attentamente, mano a mano, dal

254. A quell’epoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai romani e li combatterono come nemici depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case; 255 sostenevano, infatti, che non c’era nessuna differenza fra
loro e gli stranieri dato che, ignobilmente, buttavano via la libertà per cui i Giudei avevano tanto combattuto, e dichiaravano di preferire la schiavitù sotto i romani. 256. Ma queste parole erano un pretesto per ammantare la loro ferocia e la loro cupidigia. 257. In realtà quelli che si unirono ad essi nella ribellione, e presero parte attiva alla guerra (causata dal censimento) contro i romani, ebbero a subire da loro atrocità più terribili, 258 e quando poi vennero ancora convinti di falsità nella giustificazione che adducevano, ancor più essi perseguitarono chi, per difendersi, denunciava le loro malefatte. 259. Quell’epoca (lo ribadisce ancora) fu in certo modo così prolifica di ogni sorta di ribalderia fra i giudei, che nessun delitto fu lasciato intentato, né chi volesse escogitarne di nuovi riuscirebbe a trovarli: 260 a tal punto erano tutti bacati nella vita privata come in quella pubblica, e facevano a gara tra loro nel commettere empietà contro Dio e soprusi contro i vicini, i signori opprimendo le masse e le masse cercando di eliminare i signori. 261. Infatti gli uni avevano una gran sete di dominio, gli altri di scatenare la violenza e di impossessarsi dei beni dei ricchi. 262. Furono dunque i sicari quelli che per primi calpestarono la Legge e incrudelirono contro i connazionali, senza astenersi da alcun insulto per offendere le loro vittime, o da alcun atto per rovinarle. 263. Eppure Giovanni fece sì che anche costoro sembrassero più moderati di lui; egli infatti non soltanto eliminò chiunque dava giusti e utili consigli, trattando costoro (uccise i Sadducei e i Farisei conservatori che lo blandivano) come i suoi più accaniti nemici fra tutti i cittadini, ma riempì la patria di un’infinità di pubblici mali, quali inevitabilmente doveva infliggere agli uomini chi già aveva osato di commettere empietà verso Dio. 264. La sua mensa era infatti imbandita con cibi proibiti ed aveva abbandonato le tradizionali regole di purità, sì che non poteva più far stupore se uno, che era così follemente empio verso Dio, non osservava
più la bontà e la fratellanza verso gli uomini”.

Alt. A questo punto, gli storici mistici entrano in fibrillazione e i “curatori” delle traduzioni degli scritti di Giuseppe, aggiungono una nota “chiarificatrice” per spiegarci (che bravi!) si tratta di “Giovanni di Giscala” della guerra del 66/70 d.C.; ci vogliono far credere che questa descrizione è una ripetizione di avvenimenti appena successi e dettagliatamente già riferiti; invece no! Sappiamo che stiamo leggendo un ricordo riferito all’epoca di Giuda il Galileo e successiva. Lo storico ha iniziato a parlare di lui e “il capo zelota” che cita subito dopo, evidentemente, fu una persona famosa, per essere ricordato dopo tanto tempo e, come protagonista delle stesse gesta, legato ideologicamente a Giuda il Galileo.
Abbiamo, sin qui, cercato un “Giovanni” nelle opere dello storico e, da come si presenta questo personaggio, pensiamo valga la pena indagare se la sua descrizione è coerente al Signore di Gamala ed agli altri suoi figli. Essendo il primo a succedergli proviamo a considerare l’ipotesi, da verificare, che sia il suo primo figlio, Giovanni, cui è stato tolto il patronimico preceduto da “figlio di” (“bar” in aramaico).
Intanto, facciamo una constatazione: Giovanni di Giscala del 66 d.C. non incendiava i poderi nelle campagne della Palestina; piuttosto, consapevoli che stiamo leggendo vicende risalenti ad un’epoca iniziatasi dal censimento di Quirino in poi, sappiamo che chi incendiava le case erano i fratelli “Apostoli”, fra cui Giovanni, chiamati nei Vangeli “Boanerghes” che vuol dire “Figli del Tuono” e, come tali, preannunciavano il “fulmine” che incendiava, per poi depredarli, i borghi filo romani che non erano dei loro.
Luca, nel suo Vangelo, riferisce cosa dissero gli “Apostoli” contro un villaggio della Samaria:

“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc.9,53);
(l’ipocrisia della traduzione si commenta da sé); o lo stesso “Gesù”:
Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc.12,49).

Da notare che i “sicari” (altro appellativo apostolico), come riferito all’inizio del capitolo (al verso 262), entrarono in azione contro i connazionali a partire dalla rivolta del censimento.
Ma andiamo avanti con la lettura … e con l’ipotesi …

265. D’altra parte, poi, Simone figlio di Ghiora quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo?

Stop. In vicende risalenti a mezzo secolo prima, all’improvviso, guarda caso, appare Simone figlio di “Ghiora”, un personaggio, il più famoso della guerra attuale, già ucciso da Tito, il quale, come stiamo per verificare, non ha avuto nulla a che vedere con questo “Simone” richiamato alla memoria, protagonista di gesta lontane nel tempo e totalmente diverse da quelle del vero figlio di “Ghiora”…

266. “Quale amicizia, quale parentela non rese questi due più audaci nelle loro stragi quotidiane? Essi consideravano un atto di ignobile cattiveria far male agli estranei, mentre ritenevano di fare una bella figura mostrandosi spietati verso i parenti prossimi”.

Dobbiamo evidenziare che Cristo, come questo “Giovanni” (vedi sopra par. 264), fu accusato nei Vangeli di essere un mangione e Simone, fratello di Giovanni, era ricercato dai Governatori della Giudea sin dall’epoca di “Gesù”.
L’accostamento incruento, senza massacri reciproci, rafforza l’ipotesi che, effettivamente, potrebbe trattarsi degli evangelici fratelli, Giovanni boanerghes e Simone bariona; quest’ultimo celato nei i panni di Simone, figlio di Ghiora.
I Giovanni e Simone del 70 d.C. non erano parenti e si trucidarono fra loro, per cui figlio di “Ghiora”, nel ricordo, potrebbe essere una “pia” falsificazione, fatta, per “eccesso di fede” dai copisti amanuensi. I due ex protagonisti del 70, già fuori causa in questo momento del racconto, sono assolutamente diversi; sia per la non avvenuta “spietatezzacontro i parenti, sia nelle azioni, riferite in diretta dallo storico, ascritte ai veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Ghiora, i quali, durante il corso della guerra sino alla distruzione di Gerusalemme, sono stati propugnatori di ideologie nemiche, che descriviamo fra poco, totalmente contrapposte. Viceversa, questi due” del ricordo condivisero la stessa dottrina.
Avanti con l’ipotesi e leggiamo …

267. Eppure, la follia omicida di costoro venne superata dal pazzo furore degli Idumei. Infatti questi empi furfanti, dopo aver ammazzato i Sommi Sacerdoti affinché non si conservasse neppure la più piccola particella della pietà verso Dio, sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. 268. In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un’associazione che confermò con i fatti il suo nome; 269 essi infatti imitarono ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia”…

Stop. Gli esegeti genuflessi sono in agitazione: Giuseppe Flavio ha osato scrivere “Zeloti”, pertanto infilano note e richiami nei testi per “spiegarci” la “malevola interpretazione” di questa parola: sanno che questo riferimento è la prova che gli “Zeloti” si definirono con tale nome ed iniziarono ad operare dal 6 d.C. e sanno anche che sui Vangeli c’è ancora scritto “Simone lo Zelota”… Vanno capiti, bisogna aver pazienza: essendo scritto anche Simone “bar Giona”, sanno che diventa troppo logico accordarlo con Simone bar Ghiora per le sue gesta estremiste, come dimostreremo più avanti con la traduzione diretta dal greco; ma se i mistici curatori sono turbati, beh, allora, vuol dire che l’ipotesi, mano a mano procediamo, diventa sempre più concreta.
Infatti, i veri Giovanni di Giscala, figlio di Levi, e Simone figlio di Ghiora, possiamo assicurare i lettori, non facevano “stragi quotidiane di parenti prossimi (vedi par. 266), al contrario di Giovanni e Simone di “quell’epoca”, citati dallo storico subito dopo loro padre, Giuda il Galileo. Intanto Lazzaro, suo nipote, in questo momento del racconto è ancora vivo a Masàda.
Sono tutti ricordati e collegati, ideologicamente (zeloti e sicari, come nei Vangeli), per le imprese descritte e per la parentela che li univa, in un sunto rievocativo che li comprende fra il primo e l’ultimo: Giuda e Lazzaro.
Per quanto concerne l’odio esternato da Giuseppe contro “ il pazzo furore degli Idumei”, va annotato che gli abitanti dell’Idumea, regione confinante a sud con la Giudea, furono sottomessi da Giuda il Maccabeo nel II sec. a.C. e convertiti all’ebraismo da Giovanni Ircano I (134-104 a.C.):
“si sottomisero alla circoncisione e la loro maniera di vivere la fecero, sotto ogni aspetto, conforme a quella dei Giudei. Da allora in poi continuarono ad essere Giudei. (Ant. XIIII, 258) .
Gli Idumei si allearono, contro il dominio di Roma e delle caste sacerdotali corrotte, a Giudei e Galilei già dalla morte di Erode il Grande e, dopo l’annessione dell’Idumea con Giudea e Samaria alla Provincia di Siria (6 d.C.), continuarono a ribellarsi sino a tutta la guerra del 66-70 d.C..
Ma riprendiamo:

270. “Eppure il loro nome (Zeloti) l’avevano derivato dal loro preteso zelo nell’aspirare alla virtù, sia che volessero prendersi gioco, con la loro bestiale natura, delle vittime dei loro soprusi, sia perché stimavano beni i peggiori dei mali. 271. Comunque, fecero (passato remoto) tutti la fine che meritavano, perché Dio diede a ciascuno la giusta punizione; 272 infatti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche fino all’ultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta.”

Stop! Visto che i dotti curatori, pervasi da profonda fede, si sono azzittiti con le note “chiarificatrici”, allora dobbiamo “chiarire” noi: il falso Simone figlio di “Ghiora”, che i copisti hanno preso a pretesto per depistarci da Simone bar Giona”, è un alibi fasullo, perché quello vero è stato decapitato a Roma, nel 71 d.C., senza supplizio, al termine della sfilata trionfale in onore di Tito. “Zac!”… Questa non è la morte che intendeva Giuseppe Flavio:
fra i più atroci tormenti di ogni sorta fino all’ultimo istante di vita”, e nemmeno la morte che poteva far paura agli Zeloti votati al martirio.
E soprattutto, il vero Giovanni di Giscala non venne ucciso ma “fu imprigionato a vita” (Gue. VI, 434): altro alibi fasullo. Questa è la prova, inconfutabile, che Giovanni e Simone del ricordo non possono essere Giovanni di Giscala, figlio di Levi e Simone figlio di Ghiora

“Di Giscala” non risulta nel testo ma è introdotto nelle note “chiarificatrici”: è servito a creare una controfigura per depistarci da Giovanni figlio di Giuda il Galileo.
Scoperti ed eliminati i pretesti, falsamente addotti per fuorviarci, risulta che lo storico sta rievocando la storia di una famiglia parente-nemica della sua per più di mezzo secolo e i protagonisti del ricordo sono: Giuda il Galileo; suo figlio Giovanni, crocefisso, come proveremo più avanti, il 36 d.C., al quale i futuri cristiani gesuiti dettero nome “Gesù”; Simone detto Kefaz, fratello di Giovanni, crocefisso da Tiberio Alessandro, fra il 46 e il 48 d.C., cui, gli stessi cristiani, dettero nome “San Pietro”; infine Lazzaro, nipote di Giuda, ancora vivo, per il momento, arroccato a Masàda. Ora riprendiamo la lettura dal …

273.“Eppure potremmo dire che le loro sofferenze furono inferiori a quelle che essi avevano inflitte a chi era caduto nelle loro mani, perché non esistevano pene adeguate (è come un odio di faida). 274. A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro ferocia non mi sembra questo il momento più adatto, e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione. 275. Il comandante romano Flavio Silva mosse alla testa delle truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masàda …”

I frequentatori del forum che seguono l’argomento, avendone già parlato, sanno già che questo “Giovanni” dovrà corrispondere all’ebreo che gli Esseni, dopo la catastrofe subita dai Giudei, individuarono come il Messia da essi profetato in precedenza.
Terminata questa prima lettura seguirà una scansione analitica, sia testuale che del contesto storico dell’epoca … confrontando lo studio con i Vangeli canonici al fine di comprendere meglio le relazioni fra il “Giovanni” zelota del “ricordo” di Giuseppe Flavio, carico di pathos ed odio per “il dovuto compianto per le vittime della sua ferocia” in quanto “mostrandosi spietato con i parenti prossimi” pertanto “…subì la giusta punizione, e tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di lui fino all’ultimo istante di vita, facendolo morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta”.

A presto


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Giovanni il Nazireo

VII^ Parte:continua

Iniziamo ora una scansione analitica, sia testuale che del contesto storico dell’epoca, confrontando lo studio con i Vangeli canonici al fine di comprendere meglio le relazioni fra il “Giovanni” zelota del “ricordo” di Giuseppe e “Gesù”.
Abbiamo evidenziato sia la continuità narrativa del ricordo, sia la sequenza degli eventi, a partire dal 6 d.C. con i relativi protagonisti, sia il falso patronimico (figlio di Ghiora) introdotto per depistare la ricerca storica.
I mistici amanuensi ebbero la presunzione di datare un intero capitolo di 22 paragrafi semplicemente introducendo un falso patronimico (Ghiora), ma sottovalutando, ingenuamente, le diversità, evidenziate nel racconto, che distinguevano le gesta delle due coppie di attori, Giovanni e Simone, separate fra loro di una generazione.
Da rilevare che, in ipotesi, quanto appena letto si voglia interpretare come un sunto della guerra ormai al termine, mancherebbe il finale più significativo, già avvenuto … quello più catastrofico, che lo storico ebreo addebita agli stessi Zeloti: la distruzione del Tempio.
Giuseppe Flavio non aveva alcuno scopo, né avrebbe avuto senso, rifare il sunto di una tragedia che aveva appena finito di descrivere dettagliatamente, piuttosto, aveva senso rievocare chi generò l’ideologia e le gesta dei primi protagonisti, se pur lontani nel tempo, responsabili dell’olocausto finale: lo zelotismo della “quarta filosofia ebraica” ideata da Giuda il Galileo nel 6 d.C.
Nel capitolo sopra letto lo storico riferisce (par. 267) dell “uccisione di Sommi Sacerdoti e della distruzione degli ordinamenti civili ”: un cambio di potere nel Sinedrio e nel Governo politico militare della Giudea, ma … perché non conclude rammentando la avvenuta, straziante, devastazione di Gerusalemme e del Tempio, facendone ricadere la colpa sugli stessi Zeloti, come ha già dichiarato più avanti?… No! Non lo può fare perché sta raccontando vicende di un’altra epoca!: “quell’epoca”in cui Gerusalemme e il Tempio rimasero intatti.
Un’epoca in cui, tramite l’uccisione di Sommi Sacerdoti (potere spirituale religioso) e la distruzione degli ordinamenti civili (potere politico militare), avvenne un vero e proprio rivolgimento al vertice delle istituzioni preposte alla guida della “patria”, Giudea, Galilea e Idumea.
Giovanni e Simone del ricordo vengono visti come parenti (par. 266) fra loro e fautori-promotori di gesta rivoluzionarie contro le istituzioni; mentre Giovanni di Giscala e Simone bar Ghiora non furono né parenti, né i promotori della guerra del 66/70, ma subentrarono dopo che altri condottieri sacerdoti si posero a capo della ribellione e del governo rivoluzionario, eliminandosi reciprocamente: Eleazar, Ananìa, Giuseppe Menahem, Anano, ecc.
Il Giovanni del 66/70 d.C. è un personaggio descritto in maniera completamente diversa:

Un intrigante di Giscala, di nome Giovanni, figlio di Levi, il più farabutto e il più astuto fra tutti quelli famosi per tali pessime qualità…mentre fingeva mitezza era pronto ad uccidere anche solo per speranza di guadagno…” (Gue. II, 585/587); “Ormai aspirava a far da comandante e mirava a cose più grandi. Vedendo Giuseppe (lo storico parla di se stesso in terza persona , come se fosse un osservatore) che lo apprezzava per la sua energia lo persuase a fargli costruire il muro di difesa intorno alla sua città (Giscala) e in quest’occasione fece grossi profitti a spese dei ricchi; più tardi ideò un piano truffaldino: con una moneta di Tiro egli comprava quattro anfore d’olio e ne rivendeva allo stesso prezzo mezza anfora (800%) e poiché la Galilea è grande produttrice d’olio ed egli era il solo a vendere, raccolse un’immensa somma di denaro”. (Gue. II 590 e segg.).
Per questo e per aver tentato, con una grave macchinazione politica, di eliminare Giuseppe come Comandante della Galilea, senza riuscirvi, questi gli dette una severa lezione e …
Da allora in poi Giovanni se ne stette rinchiuso fra le mura di Giscala per paura di Giuseppe” (sempre Flavio).

Giovanni di Giscala era un trafficante speculatore, un impostore senza particolare carisma o ideologia integralista, un semplice opportunista faccendiere.
“A Giscala le cose stavano così: Giovanni figlio di Levi, vedendo che alcuni cittadini erano esaltati alla idea della ribellione ai Romani, si adoperava per calmarli e pretendeva rimanessero fedeli (a Roma). Tuttavia, nonostante il suo impegno appassionato, non vi riuscì” (Bio. 43-44).

Diversamente dal “Giovanni” rievocato nel ricordo, Giovanni di Giscala era un capobanda ambizioso ma non antiromano e soprattutto non condivideva gli ideali di quella corrente politica religiosa che invocava un rivolgimento della società giudaica, basato sull’eliminazione della schiavitù, al fine di rendere gli uomini liberi e senza padroni che, dall’epoca del censimento in poi, innescò una guerra civile per eliminare chiunque si fosse opposto o tirato indietro nella lotta contro gli invasori pagani.
Mentre i due lontani protagonisti del “ricordo”, Giovanni e Simone, condividevano lo stesso ideale, al contrario, i due successivi, del 66-70 d.C., vengono illustrati dallo storico ebreo con due personalità e due ideologie, totalmente diverse fra loro: Giovanni, figlio di Levi, era un opportunista; mentre, il vero Simone figlio di Ghiora, un’idealista che postulava la rivoluzione sociale ed economica finalizzata all’abolizione della schiavitù, “promettendo libertà agli schiavi e premi ai liberi”. (Gue. IV, 508), uguale a quella di Giuda il Galileo e dei suoi figli.
In un paese, la cui economia era fondata sull’agricoltura e la pastorizia, quale “premio” poteva essere dato ad uno schiavo liberato se non terra e bestiame confiscati ai ricchi proprietari di poderi, filo romani? Gli Zeloti sicari, con la guerriglia innescata dall’epoca del censimento, ne sabotavano le rendite dando fuoco alle loro ville e depredandone i prodotti.
Una guerra civile, iniziatasi a “quell’epoca”, il 6 d.C..
Giovanni figlio di Levi, inizialmente filo romano, dopo la sconfitta dei legionari del Legato di Siria, Cestio Gallo, si posizionò in una delle fazioni ribelli… rimanendo, poi, intrappolato dalle legioni romane a Giscala, da dove riuscì a fuggire alla volta di Gerusalemme.
A Roma, nel 68 d.C., dopo la morte di Nerone, a causa della lotta per il potere e la conseguente guerra civile, le operazioni militari dei Romani in Palestina furono sospese e Giovanni di Giscala, illudendosi, come tutti i Giudei, che la guerra tra le fazioni politiche dell’Impero portasse alla sua distruzione, puntò, senza riuscirci, alla conquista del potere a Gerusalemme contro Simone figlio di Ghiora e contro gli Zeloti.
“Durante la festa degli Azzimi (Pasqua), il 14 del mese di Xantico (fine Marzo 70 d.C.), Giovanni di Giscala attaccò gli Zeloti nel Tempio e li sconfisse” (Gue. V, 98/105) obbligando una parte di loro a sottomettersi e passare nella sua fazione.
Vespasiano si è limitato ad imprigionarlo a vita, senza sottoporlo alla pena capitale, perché si batté contro Simone figlio di Ghiora. Questi era il vero, pericoloso, capo: un nazionalista religioso proclamato “Salvatore” dal Sinedrio e dal popolo (Gue. IV, 508/575).
Fu considerato tale sino alla fine, quando, come un “Messia” sconfitto, venne trovato dai Romani, nascosto nei cunicoli della città, con ancora indosso la “Veste Sacra”. Verrà poi decapitato a Roma, nel 71 d.C.; invece … Giovanni di Giscala: no!: fu solo imprigionato a vita.
Diversamente, il Giovanni del ricordo:
“subì la giusta punizione, e tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di lui fino all’ultimo istante di vita, facendolo morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta”.
Nel capitolo sopra letto i falsari religiosi non compresero o sottovalutarono la cronologia degli avvenimenti descritti che iniziavano dal 6 d.C. e continuavano, in successione, da “quell’epoca” in poi. Invitiamo i lettori a rileggere, dall’inizio, il racconto, un paragrafo dopo l’altro, saltando i commenti e le note, per verificare se si incontra una sola discontinuità cronologica.
L’ennesimo richiamo al censimento di Quirino, ribadendo “quell’epoca”, si riferisce ad un lasso di tempo collocato fra il 6 e il 36 d.C.: quella fu “l’epoca” in cui i Giudei, per 30 anni, dovettero sottostare all’odioso tributo dovuto direttamente a Roma.
“Un Galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un Dottore (della Legge) che fondò una sua setta particolare …” (Gue. II, 118).

Come abbiamo visto all’inizio dello studio nei passi letti in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”, l’esazione avvenne fra i continui moti degli Zeloti che osarono opporsi al pagamento del “tributo a Cesare”, e si protrasse fino al 36 d.C. quando, un altro Legato di Siria, Lucio Vitellio

“ accolto con sommi onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti di Gerusalemme tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli (Ant. XVIII, 90).

La Giudea era un paese quasi totalmente ad economia rurale e le tasse sui prodotti agricoli costituivano, di gran lunga, la maggiore entrata per l’erario imperiale pertanto, se Roma vi rinunciò, significa che avvenne qualcosa di veramente grave, allora, come vedremo più avanti.
Il “tributo dovuto a Cesare” è ripreso nei Vangeli in modo superficiale e ridicolo.
Chi riportò questo particolare - esistenziale per la popolazione nella realtà giudaica di “quell’epoca” - non voleva fare apparire “Gesù” contro la tassazione di Roma, per non identificarlo con gli Zeloti … fino al punto di fargli pronunciare la famosa frase “date a Cesare quel che è di Cesare”.
Se questo fosse accaduto, nella realtà di allora, qualche “sicario” lo avrebbe eliminato, assieme al Pubblicano Apostolo Matteo, senza dargli il tempo di… “risorgere” …
I Giudei odiavano quel tributo, come tutti i popoli sottomessi, ma con un motivo in più e non secondario: quello religioso. Una tassazione che rappresentava la sottomissione della loro divinità a quella pagana: la terra, promessa da Dio al popolo eletto e conquistata col sangue degli antichi padri era, di fatto, una terra occupata, come perduta, da riconquistare; ecco perché lo storico ricorda molte volte il “censimento” e lo fa sempre collegandolo a Giuda il Galileo ed ai suoi figli …sino all’ultimo suo discendente: Lazzaro.
Nell’epoca successiva al censimento, durante i 30 anni di tassazione, le gesta dei fratelli Giovanni e Simone, per le modalità drammatiche narrate, erano ascrivibili solo a loro in quanto derivate da un’ideologia estremista religiosa che considerava nemici anche i parenti che non condividevano quel tipo di lotta.
Essi, come risulta dal “ricordo”, non furono mai in guerra fra loro e soltanto loro potevano essere i veri autori degli avvenimenti narrati. Al contrario, le fazioni di cui erano capi i successivi Giovanni di Giscala e Simone bar Ghiora, durante la guerra giudaica del 66 d.C., si massacrarono fra loro ma ... non “si mostrarono spietati verso i parenti prossimi .
Episodi criminosi di questa gravità, contro i propri parenti, a carico dei veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Ghiora, lo storico li avrebbe certamente raccontati nella cronaca particolareggiata della guerra “in diretta”; né ci ha descritto, scandalizzato (per lui, ebreo, era una idea fissa), che la mensa di Giovanni di Giscala, al contrario del Giovanni del ricordo, non (par. 264) “era imbandita con cibi proibiti ed egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità” (lavarsi le mani prima di toccare cibo) accusa di empietà fatta al “Giovanni” richiamato alla memoria.
Nei Vangeli è scritto:

“Egli (Gesù) rispose:[b]mangiare senza lavarsi le mani non rende un uomo immondo” [/b] (Mt 16, 20);
“Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli (Gesù) entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo (Lc 11, 37/38);
“Gli scribi della setta dei Farisei (lo storico Giuseppe era un fariseo) vedendolo mangiare con i peccatori, dicevano: come mai Egli (Gesù) mangia e beve in compagnia dei peccatori?" (Mc 2, 15/16).

Per gli Ebrei, chi mangiava cibi proibiti, era considerato peccatore: la descrizione del “Giovanni” rievocata dallo storico corrisponde a quella di “Gesù” anche nelle impronte digitali.
Dalla lettura del testo si riscontra un evidente rapporto di parentela tra la famiglia sacerdotale, di massimo rango, da cui discendeva Giuseppe Flavio, e quella di Giuda il Galileo, entrambe di “grande potere”, infatti, solo conoscendo a fondo i Giovanni e Simone, del ricordo, e “le vittime cui va il dovuto compianto”, lo storico poteva affermare che erano parenti fra loro.
Lo stesso dicasi per gli altri fratelli, discendenti di Giuda, dei quali, come riportato negli altri passi delle sue opere, conosceva oltre ai vincoli, anche i gradi di parentela.
La conoscenza “intima”, accompagnata ad un odio tipo “faida” che obbliga l’ebreo al “dovuto compianto per le vittime” degli Zeloti di Gàmala, non è informazione legata a nomi individuabili, ma personale; un semplice sfogo emotivo letterario, tale, da non risultare in nessun documento ufficiale.
Questa consapevolezza poteva provenire solo dai suoi familiari, nemici e parenti prossimi” della dinastia potente, di discendenza asmonea come la sua, non rassegnata a sottomettersi ai Romani, bensì a rivendicare, come diritto, “il trono che fu di Davide”.
Il giudizio reiterato “di grande potere” su Giuda e sui discendenti di questa stirpe di ribelli patrioti che si immolò per rivendicare il diritto al trono d’Israele, fu espresso da Giuseppe, anch’egli, appartenente ad una dinastia di discendenza asmonea, tramite madre; ma si ha la netta impressione che gli altri siano stati molto “più potenti”.
Ancora: riportare, dopo tanto tempo, una notizia su una tavola imbandita, dimostra, innanzitutto, una conoscenza personale di “Giovanni” da parte dei parenti più anziani dello storico (appena prima che lui nascesse) e l’odio, trasmessogli dai suoi familiari, lo spinse a tramandare ai posteri un particolare sui “cibi proibiti” che avrebbe avuto valore solo se riferito ad una persona molto importante e conosciuta nell’ambiente giudaico; altrimenti, a chi avrebbe potuto interessare, fra i posteri, se un ebreo qualsiasi di nome “Giovanni”, una generazione prima della guerra giudaica (30-35 anni), mangiò cibi proibiti dalla loro religione?.
Questo passaggio sui “cibi proibiti”, a prima vista insignificante, in realtà, diventa un’ulteriore prova che “Giovanni”, per essere stato un ebreo molto importante e conosciuto, le cui gesta “criminali”, da Zelota, meritarono di essere tramandate, a maggior ragione, avrebbe dovuto avere un patronimico che lo identificasse, ma, come abbiamo visto…manca.
Fra i molti nomi di padri, che avremmo potuto leggere, solo uno aveva una valenza dottrinale, tale, per il Cristianesimo gesuita, che non poteva essere citato: Giuda il Galileo, il padre di Giacomo, Giuda, Giuseppe, Simone e…Giovanni.

I copisti sapevano che i suoi figli avevano i nomi dei fratelli del “Gesù” dei Vangeli, più “Giovanni”, ma…con un “Gesù” di troppo, nell’insieme dei cinque fratelli.
Con l’evolversi degli eventi, nel tempo, gli scribi falsari dovettero depistare o eliminare, sia nella storia che nei Vangeli, le informazioni sui fratelli, figli di Giuda di Gamala, ma rimasero con…un uomo inesistente: “Gesù”… senza identificazione anagrafica, né sul padre, né sulla data di nascita e di morte, né sulle sue gesta che furono e restano sconosciute a qualsiasi storico di quel periodo.
“Gesù” fu, è, e rimarrà…un nome: il nome più famoso della storia
…grazie ai pulpiti, concessi tutt’oggi da TV di Stato e private.

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Ultima modifica di Emilio Salsi il 25/11/2009, 22:35, modificato 1 volta in totale.


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La “resurrezione” di Lazzaro

Nel corso della ricerca, tesa a identificare i figli di Giuda il Galileo, è apparso spontaneamente, a dimostrazione che il percorso storico seguito è quello giusto, un altro importante personaggio evangelico: Lazzaro. Lo storico (Gue. II 447) dice che era figlio di Giairo, parente di Menahem (il vero nome, come vedremo, era Giuseppe), e discendente di Giuda di Gamala (Gue. VII 253).
Controlliamo se abbiamo inteso bene: discendente di Giuda il Galileo, figlio di Giairo e parente di Menahem (Giuseppe) … Come possono “vincolarsi direttamente” questi consanguinei?
Le abbiamo provate tutte ma ci è rimasta una sola risposta: una delle figlie di Giuda di Gàmala, e sorella di suo figlio Giovanni Gesù, si sposò con Giairo e dette alla luce “Lazzaro”…
Adesso, però, viene spontanea un’altra domanda di fondamentale importanza: come faceva Giuseppe Flavio a sapere che Lazzaro era figlio di Giairo, discendeva da Giuda il Galileo ed era parente di Menahem, a sua volta figlio dello stesso Giuda?.
Perché evoca continui ricordi carichi di odio contro Giuda il “Galileo” e i suoi discendenti, nelle sue opere?: l’accusa è troppo ricorrente … anche contro i suoi figli, che conosce tutti, rimarcandone la discendenza.
Le risposte potrebbero essere molte, ipotetiche, ma una è la più probabile di tutte: Giuseppe Flavio, appartenente alla più elevata famiglia sacerdotale di Gerusalemme, era parente di quella dinastia di Farisei zeloti, Dottori di “grande potere”, tramite la madre discendente dagli Asmonei.
I Sacerdoti ribelli, spacciandosi per Profeti, istigavano il popolo a combattere contro i romani e le caste dominanti corrotte; ne fu precursore il padre di Giuda, Ezechia, la cui morte fece insorgere il Sinedrio contro Erode, suo esecutore filo romano. Evento talmente grave che questi - una volta scampato il pericolo grazie all’intervento di Sesto Cesare, Governatore di Siria e parente di Giulio Cesare - quando sarà nominato Re dai Romani, ucciderà tutti i membri del Sinedrio.
Sacerdoti farisei zeloti, ma anche “Rabbini”, “Dottori della legge di grande potere”: “ritenevano di fare una bella figura mostrandosi spietati verso i parenti prossimi” (Gue. VII, 266-267).
Dice lo storico:
“Ogni popolo ha il proprio modo per fondare la nobiltà; da noi l’eccellenza della stirpe di una famiglia è attestata dall’appartenenza all’ordine sacerdotale. La mia famiglia non solo discende da sacerdoti, ma addirittura dalla prima delle ventiquattro classi che già di per sé è un segno di distinzione, e, all’interno di questa, dalla più illustre delle tribù. Inoltre, da parte di mia madre, sono imparentato con la famiglia reale, giacché i discendenti di Asmoneo, dei quali lei è nipote, detennero per lungo tempo il Sommo Sacerdozio e il regno del nostro popolo”… e, di un antenato in linea paterna “Mattia, detto figlio di Efeo, prese in moglie una figlia del Sommo Sacerdote Gionata, il primo tra gli Asmonei a rivestire il sommo sacerdozio, e fratello del Sommo Sacerdote Simone”
(Bio. I, 1-4)
Prima il nonno “Giuseppe”, poi suo padre Mattia e infine lui, Giuseppe.
Il nonno, Giuseppe…non sarà stato per caso il Giuseppe detto “Caifa” che, come Sommo Sacerdote del Sinedrio, si dette tanto da fare per accusare “Gesù” ? … esattamente come il suo storico nipote, ha reiterato le accuse contro i suoi fratelli ed il loro padre: Giuda il Galileo.
Lo scrittore la definisce una stirpe sacerdotale di eccellenza…la prima delle ventiquattro classi sacerdotali… si, “Giuseppe detto Caifa” sembra proprio il nonno di Giuseppe Flavio e quindi genero di Anano, i cui figli diverranno tutti Sommi Sacerdoti e, quando l’ultimo di essi, anch’egli di nome Anano, verrà ucciso dai rivoluzionari, egli se ne dispererà come per la perdita di un caro amico o parente.
Anano è l’Anna dei Vangeli; lui e Caifa, secondo la Bibbia, i grandi accusatori del "Salvatore" che ormai sappiamo essere Giovanni, primogenito di Giuda il Galileo.
Dall’inizio del I secolo in poi, hanno tutti presenziato nel Tempio, hanno conosciuto e frequentato Sommi Sacerdoti, Scribi, Dottori e Rabbì.

Era consuetudine da parte dei sacerdoti del Tempio sposare le figlie di altri sacerdoti della stessa casta per rafforzare il potere dinastico e politico. Hanno conosciuto e frequentato Giuda di Gàmala, prima, e i suoi figli, dopo; “Dottori potenti”, discendenti dagli Asmonei, pretendenti al “trono di Davide”, ma di una corrente politico religiosa estremista e indipendentista cui aderirono altri Farisei Zeloti, ovviamente dissidenti, e anticonservatori. Già dalla morte di Erode il Grande, ma soprattutto dal tempo del censimento in poi, si sono ritrovati su posizioni politico-religiose contrapposte, veri e propri nemici, e certamente vittime gli uni degli altri.
Il nonno e il padre di Giuseppe Flavio erano sicuramente presenti nel Sinedrio quando fu crocefisso “Gesù” ... ma qualcun altro, prima di noi, deve essere giunto alla stessa conclusione e vi pose rimedio, nel modo come vedremo più avanti…

Dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C., circa un migliaio di Esseni e Zeloti, asserragliati nella fortezza di Masàda, nel 73 d.C, resistettero all’assedio dei romani per sei mesi sotto la guida di Lazzaro figlio di Giairo, discendente di Giuda di Gàmala, parente di Giuseppe (Menahem).
Ultimi ribelli patrioti rimasti (lo storico li chiama “sicari”) dopo il grande sterminio di Giudei, giudicato inutile ogni tentativo di resistere alle legioni romane, non volendo subire l’umiliazione degli stupri e della schiavitù cui erano destinate le loro famiglie, allo stremo delle forze, Lazzaro tentò di persuadere tutti i suoi seguaci a suicidarsi.
La ideologia di entrambe le sette esaltava il martirio come atto supremo di fede a Dio e nel suo ultimo, lungo, discorso ricorda ai suoi uomini:
“... la superiorità dell’anima su un corpo mortale che la tiene prigioniera e che la morte libererà dal suo peso corruttibile facendola vivere in eterno ... La morte infatti, donando la libertà alle anime, fa si che possano raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede, dove andranno esenti da ogni calamità, mentre, finché sono prigioniere in un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi malanni, allora sì che esse sono morte…” (Gue. VII, 344).
Così Giuseppe Flavio descrive gli Esseni:
“Quando giunge con gloria, considerano la morte migliore della vita. I loro spiriti furono sottoposti ad ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, durante la quale furono contorti, bruciati e fratturati, sotto ogni genere di tortura…esalavano serenamente l’anima, certi di tornare a riceverla…E’ ben salda in loro l’opinione che i corpi sono corruttibili e instabili mentre le anime vivono in eterno…” (Gue. II 152-4).

Poco dopo arrivarono i legionari romani e, allibiti, trovarono quasi mille corpi senza vita di guerriglieri sicari Zeloti ed Esseni, fra cui donne e bambini.
“Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono (i romani) non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto”. (Gue. VII ,406).
Circa mille persone che, prima di rinunciare ad un’esistenza come loro avevano sognato e lottato per realizzarla, preferirono la morte del corpo corruttibile nella convinzione di liberare e far risorgere le loro anime.
Questa! ... fu la vera resurrezione di Lazzaro, figlio di Giairo!
Pensiamo sia superfluo spiegare perché i cristiani gesuiti (gli ex Esseni), dopo aver tratto spunto, anzi “ispirazione” dall’eclatante vicenda, furono, in futuro, “costretti” a fargli “qualche ritocco dottrinale” inventando nei Vangeli due resurrezioni: una di “Lazzaro” e l’altra della figlia di “Giairo”.

Come riferito dallo storico, Gli Esseni, prima di riformare la dottrina, credevano solo nella immortalità dell’anima, mentre la nuova dottrina, con l’innesto del rituale teofagico eucaristico dei “Salvatori” pagani, prevedeva la risurrezione anche della carne e questo doveva essere “dimostrato” con gli episodi di “risurrezione dei corpi” che ritroviamo nei Vangeli e negli “Atti degli Apostoli”, il più famoso dei quali, come tutti sanno, è “la resurrezione di Lazzaro”…
Rimasero vive solo due donne, nascoste con cinque bambini (Gue. VII 399), di cui “la più giovane, era parente di Lazzaro”, ovviamente parente anche di Giairo e, con tutte le “cantonate” prese dagli “evangelisti”, non ci meraviglieremmo se, avendola equivocata come “figlia di Giairo”… abbiano fatto risorgere anche lei.
Chi altri fu, se non questa donna, a raccontare a Giuseppe Flavio (tale conoscenza ne confermerebbe la parentela), tutti i particolari del lunghissimo, esaltante, discorso di Lazzaro per indurre i suoi ad un vero e proprio martirio volontario di massa?…“a freddo”, prima del contatto col nemico, unico nella storia per il numero coinvolto, glorioso ma agghiacciante anche per lo scrittore, oltre che per i soldati entrati nella fortezza.

Lo storico dice che a Gàmala, dopo un assedio di oltre un anno che per poco non costò la vita a Vespasiano, le legioni romane riuscirono a superare le difese giudaiche provocando “a caldo” un suicidio collettivo. In preda al panico ed alla disperazione, di fronte al dilagare delle milizie romane che stavano massacrando, spietatamente, vecchi e bambini mentre i giovani li attendeva supplizi, stupri e schiavitù, migliaia di ebrei, con le loro famiglie, scelsero di lanciarsi nel precipizio … quello, riferito dagli “ispirati” evangelisti, ove i “paesani” volevano gettare “Gesù”.
Entrambi gli episodi sono ripresi nei Vangeli e tramandati sotto forma simbolica:
quello di Gàmala, quando i “Nazaretani” vollero gettare “Gesù” nel precipizio dopo che Lui aveva espresso dei concetti religiosi che, ovviamente, non furono condivisi dagli Ebrei ma … Lui non precipitò, al contrario di loro; e quello di Masàda, come abbiamo visto, per “dimostrare”, con la resurrezione di Lazzaro, che anche il corpo, non solo l’anima, poteva risorgere con la nuova dottrina … cristiano gesuita.

A presto.

http://www.vangeliestoria.eu/index.php


Ultima modifica di Emilio Salsi il 30/11/2009, 22:37, modificato 1 volta in totale.


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Condivido pienamente l'analisi sopra riportata dal grande storico Emilio Salsi, e a solo scopo di diletto personale mi permetto di inserire alcune mie osservazioni senza alcuna pretesa di storicità ma solo di semplici mie considerazioni.

Cita:
Il Sig. Emilio Salsi scrive:

Controlliamo se abbiamo inteso bene: discendente di Giuda il Galileo, figlio di Giairo e parente di Menahem (Giuseppe) … Come possono “vincolarsi direttamente” questi consanguinei?
Le abbiamo provate tutte ma ci è rimasta una sola risposta: una delle figlie di Giuda di Gàmala, e sorella di suo figlio Giovanni Gesù, si sposò con Giairo e dette alla luce “Lazzaro”…




Da tempo pensavo di avallare tale ipotesi di studio con il seguente scritto, sempre di Giuseppe Flavio libro VII, 332 e seguenti:

" Le fiamme che si protendevano contro i nemici non si sono rivoltate da sole contro il muro costruito da noi, ma ciò è avvenuto a causa dello sdegno divino per le molte scelleratezze che nel nostro cieco furore abbiamo osato commettere a danno dei nostri connazionali. Di tali colpe conviene che paghiamo il fio non ai nostri nemici più accaniti, i romani, ma per nostra stessa mano al dio, e cosi il nostro castigo sarà anche più lieve di quello che c’infliggerebbero i vincitori. Muoiano le nostre mogli senza conoscere il disonore e i nostri figli senza provare la schiavitù, e dopo la loro fine scambiamoci un generoso servigio preservando la libertà per farne la nostra veste sepolcrale. Ma prima distruggiamo col fuoco e i nostri averi e la fortezza; resteranno male i romani, lo so bene, quando non potranno impadronirsi delle nostre persone e vedranno sfumare il bottino. Risparmiamo soltanto i viveri, che dopo la nostra morte resteranno a testimoniare che non per fame siamo caduti, ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatta fin dal principio ».

Ora "per le molte scelleratezze che nel nostro cieco furore abbiamo osato commettere a danno dei nostri connazionali"

sono collegate all'operare dei componenti della propria famiglia e clan (che non era niente affatto ristretto, se solo a Masada erano quasi mille) che era quella di Giuda il Galileo e dei suoi figli.

Tra queste scelleratezze rientrano a pieno titolo anche quelle elencate da 263 in poi dello stesso libro:

"263 Eppure [size=175]Giovanni fece sì che anche costoro sembrassero più moderati di lui; egli infatti non soltanto eliminò chiunque dava giusti e utili consigli, trattando costoro come i suoi più accaniti nemici fra tutti i cittadini, ma riempì la patria di un'infinità di pubblici mali, quali inevitabilmente doveva infliggere agli uomini chi già aveva osato dì commettere empietà verso il dio.
265 D'altra parte, poi, Simone (figlio di Ghiora)? quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo?
266 Quale amicizia, quale parentela non rese questi due più audaci nelle loro stragi quotidiane? Essi infatti consideravano un atto d'ignobile cattiveria far male a degli estranei, mentre ritenevano di fare una bella figura mostrandosi spietati verso i parenti prossimi.[/size]


Quindi Giovanni e Simone sono proprio alcuni dei figli di Giuda il Galileo.

"ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatta fin dal principio ".

Questa frase conferma il legame precedente con Giuda il Galileo e la sua IV filosofia descritta in Antichità Giudaiche sempre da Giuseppe Flavio libro XVIII, 23 "Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purchè possano evitare di chiamare un uomo padrone".




Cita:
Il Sig. Emilio Salsi scrive:

Circa mille persone che, prima di rinunciare ad un’esistenza come loro avevano sognato e lottato per realizzarla, preferirono la morte del corpo corruttibile nella convinzione di liberare e far risorgere le loro anime.



Giuseppe Flavio - La Guerra giudaica- libro VII, 401 "data dell'eccidio fu il quindici del mese di Xanthico" che corrisponde cioè al giorno dopo il <Pesach- Pasqua ebraica 14 Nisan = Xanthico) del 73 cioè in base al vangelo di Giovanni che usa il calendario esseno o solare il teorico giorno della resurrezione di Gesù Cristo riferito alla ricorrenza in quell'anno. (accetto volentieri osservazioni sul calcolo della data, ma comunque sempre in quelle ore).
Tutto questo è collegato pure a "Questa! ... fu la vera resurrezione di Lazzaro, figlio di Giairo! in una visione circolare.


Cita:
Sig. Salsi Emilio scrive:

Rimasero vive solo due donne, nascoste con cinque bambini (Gue. VII 399), di cui “la più giovane, era parente di Lazzaro”,


"e specialmente una riferì con precisione tutti i particolari sia del discorso sia dell'azione" la stessa scena e copione che l'evangelista Giovanni 20,1, affida a Maria di Magdala o Maria Maddalena:

" Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro . 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro
:"

Cita:
Sig. Emilio Salsi scrive:
Ultimi ribelli patrioti rimasti (lo storico li chiama “sicari”) dopo il grande sterminio di Giudei, giudicato inutile ogni tentativo di resistere alle legioni romane, non volendo subire l’umiliazione degli stupri e della schiavitù cui erano destinate le loro famiglie, allo stremo delle forze, Lazzaro tentò di persuadere tutti i suoi seguaci a suicidarsi.



Erano sicari e sicuramente esseni se non tutti in buona parte.
Infatti a Masada furono ritrovati dei rotoli della Scrittura simili o provenienti da Qumran: La liturgia del sacrificio del Sabato, frammenti del Siracide e i resti dei Giubilei. Evidenti sono ancora i resti della piscina per il bagno rituale.


Un caro saluto.


Ultima modifica di Giovanni dalla Teva il 01/12/2009, 22:00, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 02/12/2009, 09:08 
Carissimo Giovanni

Riflessioni; tenendo presente che Gesù e tutto l'apparato che lo circonda è falso, come ripetutamente affermiamo, le sacre penne qualche spunto, (storico)(ANTICHITA') da qualche parte hanno preso.
Domanda, se Gesù neotest non è esistito, per te o per noi, quei tre anni di predicazione che significato ha, o diamo?
I 46 anni che le penne ci dicono, nel pourparlé con gli ebrei, sulla distruzione del tempio che era il suo corpo, Che peso. che volore diamo a questo numero li posto in caratteri cubitali?
Immedesimiamoci nelle penne e scioriniamo questi due significati.

Ciao Cecco


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