Giovanni il Nazireo Re dei Giudei.
Impero Romano, I secolo d.C., sotto il principato di Tiberio.
Nel 34 d.C., Artabano III, Re dei Parti, dopo aver posto sul trono d’Armenia il figlio Arsace …
“rivendicò i vecchi confini dei persiani e dei macedoni, minacciando di invadere le terre già possedute da Ciro e da Alessandro. Riconquistò l’Armenia e richiese il tesoro lasciato da Vonone in Siria”, 17 anni prima. (Ann. VI, 31).
L’ultimatum di Artabano, un parto di sangue reale arsacide, era di fatto una dichiarazione di guerra contro Roma e …
Siria e Palestina rientravano in quelle terre. E’ logico dedurre che Giovanni, figlio primogenito di Giuda il Galileo, avrebbe avuto tutto da guadagnare da uno scontro aperto fra Roma e i Parti come fece prima di lui, nel 40 a.C., Re Antigono, l’ultimo degli Asmonei al potere.
La situazione politica e militare della Palestina nel 35 d.C. era questa: il Regno di Israele non esisteva più; delle sue istituzioni fondamentali, il Sommo Sacerdote era nominato dai Romani, mentre il Potere Régio fu cancellato alla morte di Erode il Grande; Idumea, Samaria e Giudea, e con essa la Città Santa, assoggettate al governo prefettizio di Cesarea Marittima, gravate da pesanti tributi; la ex Tetrarchia di Filippo, fra cui il distretto di Gàmala, era passata sotto la giurisdizione amministrativa e militare di Vitellio; la Galilea e la Perea, governate dal Tetrarca Erode Antipa.
La Palestina, nel suo insieme, poteva avere all’incirca le dimensioni della Sardegna, ma, per Roma, l’importanza strategica era grande: la sua sottomissione all’Impero impediva ai Parti di affacciarsi nel Mediterraneo Orientale, così come l’Armenia ne impediva l’accesso al Ponto sul Mar Nero.
Tutti i commerci, le rotte di navigazione, porti e scali marittimi del Mediterraneo erano controllati dalla Marina Imperiale di Roma.
Giovanni, il Signore di Gàmala, con i suoi fratelli, era a capo dei guerriglieri del Movimento di Liberazione Nazionale, antiromano e antischiavista, della corrente religiosa farisaica ribelle.
Gli Zeloti vedevano in lui, quale discendente degli Asmonei, l’avente diritto a rivestire la carica
unificata di Re dei Giudei e Sommo Sacerdote, come richiesto dallo stesso popolo.
Alla fine del 34, inizi 35 d.C., tutti i Palestinesi erano a conoscenza della conquista dell’Armenia da parte di Artabano e del suo ultimatum a Roma.
Da anni, il governo di Ponzio Pilato, con un numero inadeguato di soldati, era impossibilitato a far fronte alle continue scorribande dei Boanerghes; come riportato da Filone d’Alessandria:
“il paese fu lasciato al saccheggio di bande di ribelli che incendiavano le case dei ricchi (i Boanerghes dei Vangeli) e la gente veniva uccisa senza il rispetto di alcuna regola” (Legatio ad Caium);
e, come denunciato più volte da Giuseppe Flavio:
“Ogni farabutto, circondato da una propria banda, s’innalzava al di sopra dei suoi come un capobanda o un signorotto, e si serviva dei suoi scherani per angariare la gente dabbene” (Gue. II 275); la “gente dabbene” erano i Conservatori privilegiati.
“Ogni giorno si verificavano attacchi di piccoli gruppi che, con tattiche di guerriglia, depredavano ciò che trovavano e appiccavano il fuoco a tutto il resto” (Gue. III 177);
“... altri, che erano Giudei, ai tempi di Gesù si rivoltarono contro lo Stato giudeo (le istituzioni politico religiose)
e si misero al suo seguito (di Gesù)
e una rivolta fu all’origine della Costituzione Politica dei Giudei (un nuovo ordine statale: la monarchia sacerdotale)
e successivamente dei cristiani (messianisti). (Contra Celsum III 7-8).
Lucio C. Firmiano Lattanzio, filosofo e storico convertito al cristianesimo, nel IV secolo, nella sua opera “Divinae Istitutiones” V, 3 ,riferisce che:
“Gesù Cristo fu descritto come capo di una banda di novecento seguaci dediti al brigantaggio”.
La dinastia sacerdotale asmonea “
di grande potere”, da cui discendeva Giovanni, figlio di Giuda, e i suoi fratelli,
risiedeva a Gàmala (Gue. IV 5-6), nella città palestinese…
“più imprendibile, per le sue difese naturali e grazie alla conformazione dei luoghi. Da un’alta montagna si protende infatti uno sperone dirupato nel mezzo del quale s’innalza una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio, sia davanti che di dietro, tanto da somigliare al profilo di un cammello: da questo trae il nome. Sui fianchi e di fronte termina in burroni impraticabili…”Kefaz Gàmala, nel II secolo a.C., per la sua posizione, era una fortezza militare nel sud del Golan e fu conquistata dal Re dei Giudei (103-76 a.C.), l’
asmoneo Alessandro Janneo; si sviluppò divenendo una
città roccaforte asmonea e, essendo imprendibile, poteva godere di una autonomia che gli permetteva di
non pagare tasse e coniare monete proprie. Giuda il Galileo, la personalità di rango più elevato, ne era stato il
Signore, così come ne fu il
Signore suo padre, Ezechia.
Giovanni di Gàmala, primogenito di Giuda, e i suoi fratelli erano conosciuti e rispettati da tutti in città.
Ligi agli insegnamenti del Padre, che postulava una società più equa, avevano abolito la schiavitù e sulle monete circolanti (ritrovate fra i resti archeologici) avevano fatto imprimere:
“
Per la Salvezza di Gerusalemme la Santa”: Liberare Gerusalemme dal dominio pagano.
Quello che era stato il fine dei loro antenati era diventato il fine di tutti i fratelli.
Intenzionati a ripetere le gesta eroiche dei Padri dell’epopea maccabea, i figli di Giuda il Galileo, decisero di fare il colpo di stato. Politicamente i tempi erano maturi: lo scontento popolare era acuito da una gravissima
penuria di viveri conseguente al cattivo raccolto dell’ultima stagione e dagli esosi tributi dovuti a Roma.
Giudea, Idumea e Samaria erano sotto l’egemonia del Prefetto Ponzio Pilato di stanza a Cesarea Marittima, ma, mentre Idumei, Giudei e Galilei, da sempre, continuavano a ribellarsi, i Samaritani, al contrario, si mantenevano fedeli a Roma.
Nel
35 d.C. era iniziato l’autunno, triste preludio di un inverno che si preannunciava arduo per la scarsità dei raccolti. Mancavano pochi giorni alla celebrazione della Festa delle Capanne ...
“la festa della Scenopeghia considerata dagli Ebrei Santissima e Grandissima” (Ant. VIII 100);
“la festa in cui, secondo il rito patrio, si innalzano Tabernacoli al Dio” (Gue. I 73).
“E’ una legge perenne, di generazione in generazione, il quindici del settimo mese (ebraico), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrate una festa al Signore. Il primo giorno prendete frutti dagli alberi migliori …” (Levitico 23, 33/43).
“Quando la terra aveva dato tutti i suoi frutti per l’anno corrente e quei frutti erano stati raccolti e immagazzinati, il popolo rendeva gioiosamente grazie a Dio” (“Grande Commentario Biblico”, Editrice Queriniana, 1973).
La Festa dei Tabernacoli, o delle Capanne o delle Tende era una vera e propria sagra agreste della durata di sette giorni; veniva celebrata a fine Settembre inizi Ottobre e segnava il punto culminante del raccolto dell’annata agricola ma…nel 35 d.C. i magazzini e i depositi erano quasi vuoti…la terra non aveva prodotto frutti sufficienti; le piante d’olivo scariche, il frumento, essenziale per l’alimentazione umana, adatto ad essere conservato, come i datteri, i fieni e i fichi … indispensabili al nutrimento degli uomini e dei suoi animali … di tutto vi era penuria e la tanto attesa festa, anziché portatrice di giubilo e felicità, poteva divenire l’occasione per far esplodere la rabbia popolare contro le fragili istituzioni che governavano il paese.
Da quando avevano saputo che Artabano si era impadronito dell’Armenia e lanciato il suo “ultimatum” a Roma, Giovanni il Nazireo e i suoi fratelli, a capo degli Zeloti, iniziarono a contattare i loro seguaci e, partendo da Gàmala, attraverso la Galilea, la Samaria, la Giudea e l'Idumea, fecero, nelle Sinagoghe e fra il popolo ebraico, nuovi proseliti alla santa causa per ricostituire il Regno d’Israele e li convinsero a coordinare un’azione insurrezionale.
La situazione politica interna e quella internazionale imponeva agli Zeloti di approfittare del momento favorevole per innescare la ribellione.
Mentre Roma era alle prese con Artabano, a Gerusalemme rimanevano la guarnigione romana agli ordini del Tribuno, una coorte con un massimo di 600 uomini e un’ala di cavalleria, più le guardie del Tempio agli ordini del Sommo Sacerdote Giuseppe detto Caifa … si poteva … anzi:
si doveva tentare…la Sacra Legge degli antichi Padri imponeva la ricostituzione del “Regno d’Israele”.
Erano tre le feste che, per tradizione, richiedevano il pellegrinaggio degli Ebrei a Gerusalemme e la “Scenopeghia” era tra queste … la
“festa delle Capanne” del 35 d.C.; mancava qualche giorno all’inizio della importante ricorrenza popolare.
Il raduno degli Zeloti, già programmato da Giovanni con un piano sottoposto ai capi Farisei rivoluzionari, sarebbe avvenuto nel giorno stabilito sul Monte degli Ulivi; da lì sarebbero discesi verso la città, nell’arco della mattinata, in ordine sparso per non dare nell’occhio.
Con un colpo di mano improvviso, gli Zeloti, in massa, mescolati ai pellegrini che incominciavano ad affluire, una volta penetrati in Gerusalemme sarebbero riusciti a sopraffare i miliziani romani e i Sinedristi.
Il presidio di Roma consisteva in poche centinaia di uomini, per lo più impegnati nei picchetti alle porte d’accesso della città e in ronde nelle aree del Tempio e dei mercati…
Folle di fedeli, trafficanti e curiosi, stavano giungendo nella Città Santa per le festività. Migliaia e migliaia di pellegrini che, sommati ai residenti, raggiungevano
“molte decine di migliaia di persone” (Ant. XVII 254).
Solo una minoranza di miliziani era di servizio al corpo di guardia della fortezza Antonia, entro cui erano custodite la Corona Règia e la Veste Sacra; quest’ultima in attesa di essere prelevata dal tesoriere del Tempio con la sua scorta. A tale modesta forza andava aggiunto il poco motivato corpo dei militi sinedristi, agli ordini del Capitano delle guardie del Tempio, istituzionalmente sottoposto al Sommo Sacerdote con il compito principale di proteggere il tesoro costituito dalle offerte dei fedeli, conservato nell’edificio sacro.
Gli Zeloti, molto più forti numericamente, avvicinandosi in ordine sparso e attuando la tattica dei sicari (tenevano celati i gladi e i pugnali fra le vesti), con un’azione coordinata e improvvisa, sincronizzata con uno dei richiami di tromba che scandivano i rituali sacrifici quotidiani, una parte di loro avrebbe attaccato, sorprendendoli, gli ausiliari romani sopraffacendoli, mentre gli altri avrebbero aggredito tutti i militari in servizio nella città.
Non sarebbe stata una battaglia tattica campale, ma una guerriglia urbana basata sul corpo a corpo.
Sapevano di poter contare sulla solidarietà di buona parte della popolazione, in particolare dei giovani e dei pellegrini.
“Molte migliaia di persone stavano confluendo in Gerusalemme, non solo per le osservanze religiose, ma ancorché irritati per le vessazioni tributarie e dalle insolenze temerarie perpetrate da Pilato”.
Queste furono le ultime valutazioni fatte sul Monte degli Ulivi, da Giovanni e dai capi Zeloti, la sera prima di scatenare la rivolta: la sommossa poteva riuscire … e la fecero.
“Vi erano Galilei e Idumei, una moltitudine proveniente da Gerico e quanti vivevano in Transgiordania, e vi era una moltitudine della stessa Giudea, che si unì a tutte queste ed erano più focosi degli altri”.
Quando l’azione scattò, i primi ad essere attaccati, colti di sorpresa dai sicari, furono i Romani del corpo di guardia della Fortezza Antonia, per penetrare poi al suo interno, e una loro compagnia dislocata in prossimità del Tempio; ci fu un fuggi fuggi generale e l’area circostante, adibita a mercato con trafficanti d’ogni risma, fu sgomberata con violenza.
Materialisti opportunisti e ipocriti, poco inclini ai precetti dettati dalla Sacra Legge, mossi soltanto da personale interesse; pubblicani e gabellieri, allevatori e bestiame, tutti, calpestandosi gli uni con gli altri, si dettero precipitosamente alla fuga se volevano salvare la pelle, dileguandosi nel dedalo di viuzze dalle quali i negozianti di lana, i mercanti delle vesti, i fabbri, falegnami, gli artigiani vasai e quelli del rame, si affrettarono a sgomberare i loro manufatti esposti.
Gli Zeloti si erano già impadroniti della Fortezza Antonia, facendo a pezzi i Romani e il Tribuno a capo della guarnigione, mentre gruppi di ribelli attaccavano il quartiere settentrionale del Tempio; intanto, numerosi Idumei, dall’altro lato, dopo aver sopraffatto le guardie, penetrarono nel Sinedrio e massacrarono i Sacerdoti di turno al Sacro edificio ove si erano rifugiati, terrorizzati, nella vana speranza che il Supremo Organo Giudiziario giudaico venisse risparmiato per il rispetto della tradizione, sempre viva nella memoria dei Giudei … ma, molto meno in quella degli Idumei.
Altri Zeloti sopraffecero le sentinelle del Palazzo degli Asmonei, occupandolo.
Attaccarono e presero la fortezza di Fasael con le torri più alte, l’Ippodromo, la città alta e la città bassa. Solo i Romani, esponendosi alla morte, cercarono di resistere coraggiosamente ma inutilmente;
“contro di loro insorse in massa la folla e a colpi di pietra uccisero la maggior parte dei soldati” mentre, morto il Capitano e i suoi fedelissimi …
“la maggioranza delle Guardie del Tempio disertò schierandosi assieme ai rivoltosi”.
In città tutti compresero che quanto stava avvenendo era estremamente grave e pericoloso: il sangue scorreva sul lastricato e i più si rintanarono nelle case, ma i giovani soprattutto, e fra questi anche tanti pellegrini motivati dalla stessa fede nazional religiosa, avevano solidarizzato con gli insorti.
Erano soprattutto
Giudei, Idumei e Galilei; gli stessi che, una generazione prima, si ribellarono contro Roma e contro due figli eredi di Erode il Grande: Erode Archelao ed Erode Antipa.
I miliziani romani capirono che la sommossa armata stava dilagando ... le ronde e i picchetti isolati, dislocati in servizio nei molti punti nevralgici dei mercati e rioni della città alta e di quella bassa, non erano certamente in grado, divisi com’erano, di opporsi ad una folla ormai decisa a ribellarsi ad ogni costo;
“Alcuni di loro abbandonarono il campo che non era più difendibile e tentarono di rifugiarsi nelle torri règie, Ippico, Fasael e Mariamme, ma furono prevenuti, intercettati e messi fuori combattimento”.
Gli altri soldati della guarnigione, rimasti al di fuori ancora vivi, non poterono rientrare nella fortezza, ormai persa, ove erano custoditi sia la Veste Sacra che il Diadema, e cercarono una via di scampo dandosi alla fuga per tentare di rifugiarsi nei meandri e nei condotti della città, ma invano.
Dopo una prima valorosa resistenza, alcuni cavalieri in servizio di ronda, resisi conto che i ribelli stavano per avere la meglio, travolgendo con impeto la folla che li accerchiava, si lanciarono al galoppo uscendo dalla città in direzione di Cesarea Marittima dove stanziava il Quartiere Generale con il contingente militare agli ordini del Prefetto Ponzio Pilato, cui fare rapporto e rimettere le decisioni da prendere.
In poco tempo Gerusalemme cadde nelle mani dei rivoluzionari e i loro capi si insediarono nel palazzo degli Asmonei; il Comandante delle Guardie del Tempio, ucciso, e il Sommo Sacerdote, Giuseppe detto “Caifa”, rinchiuso nella sua dimora, piantonato e impossibilitato a muoversi. I corpi senza vita dei militi romani, dei sinedristi e dei rivoltosi vennero sgomberati.
Ormai riappropriati della Veste Sacra e della Corona, gli Zeloti le consegnarono al loro capo, Giovanni, figlio di Giuda, che le depositò nel Tempio.
Il giorno successivo, Giovanni detto il “Nazireo”, zelante interprete della Legge, ricostituì un nuovo Sinedrio che, una volta deposto Giuseppe detto Caifa dal sommo sacerdozio, lo riconobbe come “Salvatore” della Città Santa.
Adempiuto al sacramento della purificazione del Tempio, della Veste Sacra e del Diadema, Giovanni si sottopose prima al Sacro rituale dell’Unzione, come previsto dalla Legge ancestrale, dopodiché gli altri sacerdoti lo aiutarono a compiere la vestizione dei paramenti divini incoronandolo come
Re e Sommo Sacerdote.
Era un discendente degli Asmonei, la stirpe che unificò i due uffici sacri: il potere spirituale ed il potere règio … come voleva il popolo giudaico.
Al termine del cerimoniale sfilò per le strade di Gerusalemme su un cavallo (non su un asino, ridicolo simbolo per falsare la storia) fra gli “osanna” della folla inneggiante al nuovo
Re dei Giudei, nuovo “
Messia” (Unto), “
Salvatore” della Città Santa e del popolo d’Israele dalla dominazione pagana.
Come primo atto del “Nuovo Regno” proclamò l’abolizione della schiavitù dichiarando che i Giudei potevano avere solo Dio come padrone …
Quando Pilato, a Cesarea, venne relazionato dalle staffette a cavallo della rivolta di Gerusalemme e del massacro della guarnigione romana, si sentì mancare il terreno sotto i piedi.
La prima preoccupazione fu per la carriera: l’avrebbero accusato di non aver saputo mantenere l’ordine pubblico, torto gravissimo per un Prefetto dell’Imperatore.
Si sentì in colpa per non aver provveduto a rinforzare per tempo il presidio della città, sottovalutando il malessere della gente provocato dalla cattiva annata agricola, dai gravi disagi economici e dalle tasse, fattori che si sommavano a quelli religiosi.
Sapeva che tali frustrazioni costituivano la base ideologica e politica del Movimento di Liberazione Nazionale, manovrato da “Profeti sobillatori”, cui aderivano i guerriglieri rivoluzionari.
Provava una rabbia sorda contro di loro perché si sentiva “giocato”; i ribelli avevano agito di anticipo, mentre aveva la guardia abbassata.
Vittima di informatori incapaci, che avrebbero dovuto tenerlo al corrente della gravità della situazione generale, sapeva che il colpo era stato pianificato senza che lui potesse prevederlo, ma sapeva anche che, per la responsabilità della carica rivestita, sarebbe diventato il capro espiatorio e ne avrebbe dovuto rispondere, direttamente, sia al Legato di Siria che all’Imperatore.
Ma l’aspetto più grave - nonostante in Cesarea metà della popolazione era di origine greca e siriana, tradizionali nemici degli Ebrei - consisteva nella possibilità che la rivolta si estendesse sino alla capitale marittima romana, mettendo a rischio il suo stesso presidio militare, mentre era in corso il conflitto fra l’Impero romano e il Regno dei Parti.
Doveva relazionare subito il nuovo Legato di Siria. Scrisse i messaggi per Lucio Vitellio e li inviò, tramite corrieri a cavallo, ad Antiochia, 500 km. più a nord di Cesarea … ma, il Luogotenente dell’Imperatore, impegnato nel conflitto con i Parti, saprà dell’accaduto al suo rientro in Siria, da oltre Eufrate, alla fine del 35 inizi 36 d.C..
Dopo aver posto sul trono d’Armenia l’Ibero Mitridate, sottomesso a Roma, e, dopo la sconfitta di Artabano e la sua fuga, Vitellio aveva lasciato a Tiridate, di sangue arsacide filo romano, il compito di insediarsi sul trono dei Parti, aiutato dai Grandi Satrapi ai quali aveva ricordato
“…l’obbedienza verso il Re (Tiridate), il rispetto verso i Romani, perché conservino, ciascuno, onore e lealtà. Poi rientra con le sue legioni in Siria”. Alla fine del 35 d.C. (Ann.VI 37).
Guinto ad Antiochia per fare riposare i legionari nei quartieri invernali verrà relazionato dell'insurrezione giudaica ...
Presto conosceremo come si evolsero e conclusero quelle vicende.
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