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MessaggioInviato: 02/12/2009, 14:23 
Cita:
Sig. Cecco scrive:

Riflessioni; tenendo presente che Gesù e tutto l'apparato che lo circonda è falso, come ripetutamente affermiamo, le sacre penne qualche spunto, (storico)(ANTICHITA') da qualche parte hanno preso.
Domanda, se Gesù neotest non è esistito, per te o per noi, quei tre anni di predicazione che significato ha, o diamo?
I 46 anni che le penne ci dicono, nel pourparlé con gli ebrei, sulla distruzione del tempio che era il suo corpo, Che peso. che volore diamo a questo numero li posto in caratteri cubitali?
Immedesimiamoci nelle penne e scioriniamo questi due significati.



Amico Cecco, amico caro, scusami ma non riesco a comprendere bene la tua domanda.

Ciao a presto.


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MessaggioInviato: 02/12/2009, 15:16 
Carissimo Giovanni,

preso atto che gli ultimi ribelli decisero di trascorrere la Pasqua secondo i precetti della fede giudaica per poi attuare il suicidio collettivo, non vedo altro collegamento con il “Giairo” del Vangelo se non di tipo simbolico: la “resurrezione”.
E’ la storia che ci aiuta a scoprire la parentela con la famiglia di Giuda il Galileo e i suoi figli; al contrario, la dottrina si guarda bene dall’evidenziarne la consanguineità.
Ricordiamoci che gli ultimi redattori dei Vangeli, quelli che leggiamo oggi, non erano ebrei, non si recarono sui luoghi a verificare e non conoscevano a fondo l’aramaico: si limitarono a tradurre ed epurare ideologicamente i Vangeli primitivi degli Esseni dopo aver letto le opere di Giuseppe Flavio censurandole nei punti che identificavano i veri protagonisti evangelici.
Ma, soprattutto, avevano ormai conquistato il potere di fare tutto ciò.
E non solo.
La Nuova Dottrina dell’Impero doveva diventare Storia sin dall’Avvento del Nuovo “Soter” Universale pertanto furono obbligati ad inventarsi una sequela di Vescovi cristiani iniziatasi poco dopo la morte di “Gesù”, il tutto testimoniato da uno “storico” inventato da Eusebio di Cesarea: Egesippo.
Eusebio sapeva che non poteva affermare nulla dal IV secolo circa vicende risalenti il I e II secolo: poteva solo “documentarsi” su uno storico esistente in quel periodo; ed è quello che fece: lo creò.
A differenza degli storici imperiali del I e II secolo, veramente esistiti, con riscontri incrociati fra loro, e con nomi di personaggi e relative vicende comprovate da epigrafi, archeologia e numismatica, Egesippo appare solo nei manoscritti clericali e nessun “Episcopo assiso sul trono” ritroviamo nei reperti archeologici sia in occidente che in oriente dell’Impero Romano.
E’ citato tutt’oggi solo dagli esegeti docenti genuflessi: lo danno per scontato, acquisito come un “dogma”. Lontano da loro l’esigenza di verificare se quanto riferito da Eusebio, a suo nome, sia potuto veramente accadere.
Io, nel mio piccolo (paulus), l’ho fatto.
Ha ragione Cecco: è la “penna” che ha creato “Gesù” e “contorni”. Una “penna”, usata da una mano senza calli, che ha scritto per secoli, e continua a scrivere … illudendo i “beati poveri di spirito” che risorgeranno, dopo morti, e vivranno felicemente per l’eternità.

A presto.


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MessaggioInviato: 03/12/2009, 17:49 
Giuseppe

il più giovane dei fratelli di Giovanni “il Salvatore” (Gesù).

Giuseppe é l’unico dei “fratelli” evangelici che non entra mai in scena.
I Vangeli di Matteo e Marco, come riportato avanti, lo nominano insieme ai suoi fratelli senza aggiungere altro. Nulla risulta dalle opere di Giuseppe Flavio … almeno sembra.
Menahem, la storia ne scrive, per mano dell’ebreo, che lo cita più volte come ultimo dei figli (Gue. II 433,437; Bio. 21) di Giuda il Galileo, lo zelota fariseo che, ricordiamo, rivendicò il diritto al trono dei Giudei e fu promotore della rivolta del censimento il 6 d.C..
“Menahem” era un nome che ritroviamo, sia pur con piccoli “ritocchi”, anche in “Atti degli Apostoli” e in “Antichità Giudaiche”.
“C’erano nella comunità di Antiochia Profeti e Dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca, e Saulo…imposero loro le mani e li accomiatarono” (At. 13,1).
Constatato che questo “viaggio” di san Saulo Paolo ad Antiochia è senza scopo, rileviamo che fra tali nomi solo uno è autore di gesta: “Manaen, compagno d’infanzia di Erode tetrarca”.
Questo “richiamo” obbliga lo storico a ricordarsi di un altro “Manaem”, personaggio, descritto come un Profeta , dallo storico, in “Antichità”, che predisse il Regno ad Erode il Grande quando questi era ancora un ragazzo (Ant. XV 373).
Noi “dobbiamo” notare che Erode padre ed Erode figlio, nella loro giovinezza, ebbero entrambi causa con “Profeti” di nome “Menahem” distanziati fra loro di una generazione; una “sovrapposizione casuale” troppo forzata per non destare sospetti su entrambi i veggenti di “Atti” e “Antichità”… come se dietro a tali nomi ci sia stata una “pia” regia per farli apparire usuali fra i Giudei dell’epoca, fatto che non risulta dalle opere dell’ebreo, ad eccezione di quello appena citato…d’obbligo: come quello degli “Atti”.
Quel che è certo, “Menahem”, ultimo figlio di Giuda, era un nome che, nel I secolo, nessun giudeo, con la cultura del fariseo Giuseppe Flavio e condivisa dall’altro fariseo, Dottore della Legge, Giuda il Galileo, lo avrebbe mai dato al proprio figlio, essendo il nome di uno dei personaggi più odiosi dell’Antico Testamento.

Menahem, dice lo storico, fu un generale ebreo che, auto proclamatosi Re, ma non riconosciuto come tale dal suo popolo, fece un genocidio contro quelli della sua stessa stirpe, non risparmiando neppure i fanciulli e non arrestandosi davanti ad alcun eccesso di crudeltà e di barbarie” (Ant. IX, 229/231).
No! Giuda di Gàmala, era un Dottore della Legge e, se pur rivoluzionario, proveniva dalla stessa scuola dello scrittore ebreo, era istruito e non può aver dato questo nome a suo figlio: lo chiamò così Giuseppe Flavio, che, ravvisando in lui comportamenti analoghi, identificò nel feroce Re biblico l’ultimo dei figli di Giuda, anche lui auto proclamatosi Re nel 66 d.C..
Lo storico non aveva ancora il cognome onorifico “Flavio”, lo adotterà dopo la guerra, concessogli dalla “Gens Flavii” insieme ad altri favori (fra cui la vita) che ricevette dagli Imperatori Vespasiano e suo figlio Tito.
Giuseppe” aveva il nome uguale al suo, quasi certamente parente (l’analisi sopra fatta del “ricordo” comprova la parentela tra la famiglia di Giuda il Galileo e quella di Giuseppe Flavio), ma sicuramente nemico; era uno dei “banditi”, nazional religiosi e palesemente odiati, che aveva descritto, dettagliatamente, prima e durante la guerra giudaica alla quale partecipò.
L’ebreo racconta del conflitto e i suoi interventi parlando di se stesso in terza persona, come osservandosi dal di fuori e, da protagonista, deve citarsi frequentemente, pertanto non può, né vuole, confondersi con l’altro “Giuseppe” detestato.
Come avrebbe potuto scrivere, accusandosi ingiustamente: la morte del Sommo Sacerdote Ananìa (che conosceva bene) aveva esaltato Giuseppe (anziché Menahem) [b]fino alla ferocia[/b]” (Gue. II, 442); come avrebbe potuto auto definirsi “boia” e “vigliacco”, epiteti con cui qualifica “l’altro” responsabile delle gesta criminali descritte (ibid).
Menahem é il nome per quel criminale: un marchio che dovrà rimanere nella storia.
Non solo, se lo avesse chiamato col vero nome “Giuseppe”, avrebbe dovuto scrivere così: “Giuseppe, figlio di Giuda il Galileo”. No! Impossibile!: il proprio nome “diventava” figlio del personaggio più avversato nelle sue opere: neanche parlarne.
Allora, per non confondersi con “l’altro”, ogni volta avrebbe dovuto citare il nome di suo padre: “Giuseppe figlio di Mattia”. Peggio!: suo padre, Mattia, sarebbe stato scambiato per il padre di un famoso assassino “boia e vigliacco” di nome “Giuseppe” (cioè lo scrittore in persona), addirittura, tiranno usurpatore del trono, ingenerando, così, una confusione inestricabile fra nomi identici. No! Meglio ribattezzare, con il nome biblico del generale “Menahem” – che si comportò da boia vigliacco col suo popolo pur di diventare Re - quell’altro Giuseppe “Dottore della Legge potente” che ha conosciuto, personalmente, come Lazzaro figlio di Giairo ... entrambi discendenti del Dottore della Legge, Giuda il Galileo, tutti appartenenti ad una dinastia di “grande potere”: gli Asmonei.

Giuseppe “Menahem”, ormai capo del movimento nazional-religioso degli Zeloti, é un Dottore della Legge integralista, carismatico e, tramite madre, appartenente alla dinastia degli “Asmonei” che, da suo nonno “Ezechia, uomo di grande potere” ucciso da Erode il Grande, si era immolata per la liberazione d’Israele dal dominio della Roma pagana e delle caste dominanti corrotte.
Diventato promotore e guida della rivolta, dopo aver attaccato e messo in fuga i Romani, uccide il Sommo Sacerdote Ananìa, a lui contrario, e il nuovo Sinedrio rivoluzionario lo riconoscerà Re dei Giudei.
Della sua investitura Giuseppe Flavio non parla direttamente: non ha avuto il “crisma” della sua Legge … ma il “crisma” della Legge dei Farisei Zeloti, in grado di condizionare con la forza anche i sacerdoti più moderati, lo ebbe certamente, almeno in quel momento.
Prima della sua fine, lo storico racconta, sprezzante, che, nel Settembre del 66, a capo della sua fazione di rivoluzionari, l’eminente zelota riuscirà “ad indossare, ornato in gran pompa, la veste règia” (Gue. II 444).
“I partigiani di Eleazar (il Capitano delle Guardie del Tempio, figlio del Sommo Sacerdote Ananìa ucciso da Menahem) lo assalirono nel Tempio; vi si era infatti recato a pregare in gran pompa, ornato della veste régia e avendo i suoi più fanatici seguaci come guardia del corpo…Menahem, era scappato nel quartiere detto Ofel e vi si era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e così pure i suoi luogotenenti e Absalom, il primo ministro della sua tirannide (Gue. II, 440-446).

Il nostro erudito scrittore, nelle vicende narrate, considerava “Tiranni” i sovrani assoluti che si impadronirono, con la violenza, di ogni potere e in questo caso del potere spirituale (Sommo Sacerdozio) e di quello regale. Potere, come visto, risultato effimero poiché l’aristocrazia sacerdotale riuscì a spodestarlo con un colpo militare.
Nato dopo il censimento del 6 d.C., (Giuda, suo padre, morirà fra il 15 e il 18 d.C.), Giuseppe “Menahem”, negli anni 30 del I secolo, non fu riconosciuto un capo carismatico, capace, con le sue profezie, di trascinare uomini a rischiare la vita per un ideale nazional religioso e non si rese protagonista di gesta tali da essere ricordato dalla storia o dai “testi sacri” come “Profeta”.
E’ questo il motivo per cui il suo nome compare solo nella lista dei “fratelli di Gesù”, ma non fra gli “Apostoli”.
“Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il Galileo, un Dottore (della Legge) assai pericoloso che già ai tempi di Quirino aveva rimproverato ai Giudei di riconoscere la signoria dei Romani quando già avevano Dio come Signore, messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masàda, dove aprì, a forza, l’arsenale del Re Erode e, avendo armato oltre ai paesani (di Gàmala) altri briganti, fece di questi la guardia del corpo; quindi ritornò a Gerusalemme e assunse il comando della ribellione”. (Gue. II, 433-434).
Sapendo che i fratelli: Giovanni (Gesù), Giuda detto Theudas, Simone detto Kefaz e Giacomo, erano figli di Giuda il Galileo, ma già morti … rimaneva solo Giuseppe, ancora in vita, l’ultimo di loro
Essendo “Menahem” l’ultimo dei figli di Giuda il Galileo, ciò significa che “Menahem” e Giuseppe erano la stessa persona … come abbiamo visto.

Giuseppe, da giovane, si formò alla scuola farisaica per diventare, anch’egli, Dottore della Legge mentre i suoi fratelli più anziani, come fece il nonno Ezechia e il padre Giuda, stavano conducendo una lotta mortale. Ad iniziare da Giovanni “Gesù”, li vedrà, dopo di lui, morire, uno dopo l’altro, quando, deceduto Erode Agrippa, nel 44 d.C., Roma ricostituirà la Provincia al posto del grande regno riunificato dal Re.
Successivamente, più maturo, aspetterà, in disparte, il momento favorevole per raggiungere il fine perseguito dalla sua dinastia: divenire Re dei Giudei.
L’uccisione del Sommo Sacerdote Ananìa e la sua presenza all’interno del Tempio a pregare, con indosso una “veste règia”, fanno apparire Menahem, oltre che Re, anche Sommo Sacerdote al posto dell’altro spodestato: una prassi asmonea per tradizione.
Giuseppe Flavio questo non lo dice, ma ne comprendiamo la ragione, poiché, appartenendo ad una casta sacerdotale conservatrice, avversaria degli Zeloti antischiavisti, è ovvio che non riconobbe mai, come legittima, l’investitura a “Messia” di un nemico ideologico, figlio di Giuda il Galileo.
Giuseppe “Menahem” vi riuscirà, ma durerà poco; infatti, come appena letto, l’impresa lo vedrà soccombere per mano di Lazzaro, il sacerdote Comandante delle Guardie del Tempio, figlio del Sommo Sacerdote che lui stesso aveva fatto uccidere.

A presto.

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Ultima modifica di Emilio Salsi il 03/12/2009, 17:53, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 05/12/2009, 20:00 
Carissimo Emilio

oggi ho avuto un po' di tempo in più del solito da dedicare alla rete, ho visitato l'evangelo apocrifo tutto. Sono rimasto meravigliato, perche gli apostoli in quelle scritture sono come fantasmi. Ho trovato Giuda, Giusto, Giacomo, Simeone, due sorelle Assia e Lidia. in altro vangelo Pietro, Andrea e Giacomo. in un'altro, Pietro, Giuda, Iose, Giacomo, Lisia e Assia. Per incontrare Giovanni si deve arrivare al papiro di Bodmer, che è la brutta copia del proto Giacomo. Ma da quale cilindro sono usciti tutti questi apostoli infervorati da tanta fede?

Ciao dal tuo amico Cecco


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MessaggioInviato: 07/12/2009, 19:08 
Salve caro Cecco!

Se non fosse per il grande dispendio di energie necessarie, sarebbe divertente ricavare un maxi tabellone che comprenda ache le testimonianze evangeliche apocrife. In essa verrebbero messi in risalto i molteplici "accoppiamenti parentali" che generarono i sovrumani "Apostoli, fratelli, fratellastri, cugini" con tanto di padri e madri.
Tanti, troppi, tentativi per mascherare i cinque veri capi fratelli profeti zeloti.
Dal tabellone verrebbe fuori una "mistica ammucchiata" fra molti "padri" ed un'unica "Maria", tale, che a farne le spese sarebbe proprio il ... casto san Giuseppe ... l'unico andato in bianco. Alla faccia della "Immacolata Concezione" !
Giusto per farsi un'idea, nonostante la "sfoltita canonica", tutt'oggi, Benedetto XVI è costretto ad arrampicarsi sugli specchi quando, nella "Udienza Generale su Giacomo il Minore" (è in rete), suda quattro "vesti sacre" per tentare, senza riuscirvi, di dare una genealogia al suo "Apostolo".

Ciao.



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MessaggioInviato: 19/12/2009, 19:47 
Il contesto storico del I e II secolo d.C. sotto il profilo della conflittualità fra il giudaismo zelota e l’Impero Romano.

Agli inizi del I secolo della nostra era, gli Ebrei di Palestina erano divisi in quattro sette o correnti religiose: Sadducei, Farisei conservatori, Esseni e Farisei zeloti, cioè rivoluzionari.
Quest’ultima fazione era la più numerosa per il grande seguito popolare, come testimoniato da Giuseppe Flavio che la chiamò “La quarta filosofia, una novità finora sconosciuta …”.
Essa venne fondata il 6 d.C. da Giuda il Galileo, un Dottore della Legge di grande potere, quando la Giudea venne dichiarata Provincia di Roma per decreto di Cesare Augusto e fu sottoposta ad un governo prefettizio romano.
Le quattro sette, a loro volta, erano costituite in due partiti:
uno rivoluzionario, che possiamo definire come “Movimento di Liberazione Nazionale”, cui aderivano i Farisei Zeloti e gli Esseni;
l’altro era il “Partito Conservatore”, composto dalle classi aristocratiche sacerdotali rappresentate dai Sadducei e i Farisei, assieme ai loro aderenti interessati: si trattava di Ebrei privilegiati rispetto alla grande massa della popolazione.

I Conservatori erano contrari a quei rivolgimenti politico sociali postulati dagli Zeloti della “quarta filosofia” e dagli Esseni. Innovazioni, tali, al punto di eliminare la schiavitù e premiare i “liberi” con donativi o assegnazioni di terreni e bestiame confiscati alla nobiltà filo romana.
La politica del Movimento di Liberazione Nazionale, chiamato dallo storico ebreo “fanatico nazionalista”, equivalente al greco “Zelota”, si avvaleva di una propaganda basata sulla interpretazione della Legge ancestrale, richiamata, di volta in volta, attraverso le “Profezie”.
Ebrei autorevoli, sacerdoti stimati dal popolo, con un grande carisma, grazie a “rivelazioni divine” infondevano certezza a masse di uomini trascinandoli in una lotta, a volte aperta, altre sotto forma di guerriglia, spesso mortale, contro la dominazione pagana: erano i “Profeti”.

La più tradizionale e popolare delle “rivelazioni”, profetata grazie alla interpretazione della Legge degli ancestrali Padri, pervenutaci dai Rotoli di Qumran, riguardava l’Avvento di un “Messia” divino, ancora più potente di Davide, che avrebbe annientato i Kittim romani e il loro Impero delle Tenebre: un Dominatore del Mondo.
Lo storico ebreo, un fariseo conservatore, appartenente alla più elevata casta sacerdotale giudaica, così definisce i Profeti zeloti del Movimento di Liberazione Nazionale:

Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso conducendolo nel deserto promettendo che ivi Dio avrebbe rivelato loro segni premonitori della liberazione” (dal giogo di Roma)“ciarlatani (predicatori Profeti) e briganti, istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà, minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei Romani e chi volontariamente si piegava alla schiavitù”…“Zeloti, tale, infatti, era il nome che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone”.

Come abbiamo già dimostrato all’inizio di questo studio, pubblicato a pag. 1 nella I^ e II^ parte, uno di quei Profeti fu “Giuda detto Theudas”, uno dei figli di Giuda il Galileo e fratello di Giovanni Jeshùa. Venne attaccato, nel 45 d.C., da uno squadrone di cavalleria romana agli ordini del Procuratore Cuspio Fado, nei pressi del fiume Giordano, ed ucciso assieme a molti suoi seguaci.
Ora viene spontanea una domanda: come faceva il Procuratore, di stanza a Cesarea Marittima nel suo palazzo del Pretorio, a sapere che, a non meno di 90 km da lui (in linea d’aria), in una ben precisata località vicino al Giordano, vi era una banda di fanatici nazionalisti, nemici dei Romani, che andava sterminata?
Vi è solo una risposta, peraltro semplice: la delazione da parte dei membri del Partito Conservatore.
Soltanto l’alta aristocrazia sacerdotale e i suoi accoliti avevano interesse a sabotare il Movimento di Liberazione Nazionale il quale, a sua volta, proponeva l’eliminazione dei sacerdoti partigiani dei Romani, considerati empi e corrotti, in quanto inadempienti verso la stessa Legge ancestrale, fondamento di quella società teocratica.
La denunzia segreta ai funzionari romani fu la risposta “militare”, conservatrice, dei Sommi Sacerdoti nominati dai Governatori di Roma. Senza la presenza delle guarnigioni militari - agli ordini dei Prefetti dal 6 al 40 d.C. e, dal 44 in poi, dei Procuratori - la guerriglia nazionalista avrebbe eliminato i sacerdoti “empi” con i loro adepti ed alleati.
Abbiamo riferito solo un episodio, già studiato, ma la storiografia ne registra molti altri.

Sin dall’inizio del I secolo, a Roma: il Cesare, il Senato e i Consoli, attraverso i rapporti inoltrati dai Governatori in missione in Giudea, erano tutti a conoscenza che in quel territorio militavano i “fanatici nazionalisti”, cioè gli “Zeloti”. Nel giro di neanche due decenni dal censimento di Quirino, in virtù dell’azione di propaganda dei Profeti Esseni e Zeloti, i Romani, grazie ai delatori, sapevano che i ribelli erano “messianisti”; in greco “cristiani”, in attesa, ma convinti, dell’Avvento di un “Messia”, “Cristo”, nuovo Re dei Giudei e “Dominatore del Mondo” il quale avrebbe distrutto i pagani ricreando un “Nuovo Regno di Dio”: il Regno di Yahwè.
I funzionari romani conoscevano la differenza e sapevano distinguere tra “Giudei” e “Cristiani”:
i primi erano Ebrei nel senso lato, generico, del termine; seguaci di una divinità diversa da quelle capitoline, persone moderate e collaboratrici le quali, fino a prova contraria, non esternavano rancori e tanto meno odio verso i pagani;
i secondi, viceversa, erano “cristiani” ovvero “messianisti”, fanatici nazionalisti, fautori di moti e rivoluzioni: gli insediamenti ebraici della diaspora divennero focolai insurrezionali, non più soltanto in Giudea, ma anche in altre città d’Oriente e addirittura nella stessa capitale dell’Impero.

Da Augusto, sino a tutto il II secolo d.C., sotto il profilo insurrezionale, nulla poteva accadere nell’Impero che Roma non sapesse. Le sue guarnigioni militari erano dovunque ed affidate a Tribuni, Governatori, Prefetti, Procuratori, Proconsoli, tutti con il loro seguito di funzionari amministrativi.
Le linee di comunicazione commerciali erano diventate sicure; tutti i porti, gli scali marittimi e le rotte di navigazione erano sotto il controllo della marina imperiale romana sino al IV secolo.
Solo un’etnia, nazionale e soprannazionale, nella grande maggioranza, non riconosceva legittimo il dominio di Roma per motivi religiosi: quella Giudaica dei “messianisti”, detti “cristiani” in greco, la lingua internazionale di allora.

E’ in questo contesto storico che deve essere visto il tentativo di Giovanni il Nazireo di Gàmala mirante a sconfiggere gli invasori pagani ed essere riconosciuto Re dei Giudei, Unto, e, per volontà divina, Jeshùa (Salvatore) della Terra Promessa, fondatore di un Nuovo Regno che prevedeva l’abolizione della schiavitù e l’adorazione di un unico Signore o Padrone: Yahwè, l’Altissimo.
Giovanni venne riconosciuto “Messia Jeshùa” divino, dai Giudei, nel 35 d,C., sino a quando non fu giustiziato da Lucio Vitellio. Per gli Ebrei quel supplizio fu la dimostrazione che non poteva essere il Messia prescelto da Yahwè: un vero “messia salvatore” divino avrebbe sterminato i pagani.
Il Vangelo primitivo parlava di Giovanni (non fatto da “san Giovanni”, l’Apostolo fritto in padella da Domiziano, secondo l’ultima "rivelazione celeste" che ha “folgorato”, sulla via di Damasco-Milano, la docente dell’Università Cattolica del “Sacro Cuore”, Ilaria Ramelli):

“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni …
venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto”

Un secolo dopo, una sorte simile toccò a Simone bar Kosìba, detto Bar Kochba, “Figlio della Stella”. Fu riconosciuto dai Giudei come Messia Salvatore in base alla solita profezia:

“Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele”

ma, una volta sconfitto, fu disconosciuto dagli Ebrei e chiamato “Figlio della Menzogna”.
Una fine simile la fece anche Simone bar Ghiora. Nel 70 d.C., nel corso della guerra contro Roma, fu riconosciuto dal popolo e dal Sinedrio, come “Salvatore” di Gerusalemme … sino a che non venne catturato da Tito e decapitato nel 71, al termine della sfilata trionfale celebrata per la vittoria riportata dal Condottiero romano sui Giudei.

I Romani sapevano come distinguere gli Ebrei moderati dai Cristiani Zeloti, e questo è logico perché dovevano eliminare qualsiasi nemico; ma, grazie agli informatori alleati, conoscevano i Giudei anche in quei particolari, apparentemente solo simbolici religiosi, che avevano forte valenza politica in una società teocratica.
Fra le “concessioni” rilasciate da Vitellio agli ebrei, oltre a quella, eccezionale, del rilascio delle tasse, era altresì compreso “che l’abito del Sommo Pontefice, e con esso i suoi arredi, fossero custoditi dai sacerdoti nel Tempio” (Ant. XVIII 90/95)
Questo evento ha un “prologo”: in “Antichità” lo scrittore spiega che la “Sacra Veste”, appartenuta ai Re e ai Sommi Sacerdoti della famiglia Asmonea, fu tolta ai Giudei alla morte di Re Erode il Grande. Da allora i Romani la custodivano nella fortezza Antonia e la concedevano ai Sommi Sacerdoti solo per le festività ebraiche (Ant. XV 403/409).
Ciò si protrasse fino al 36 d.C., appunto, quando Vitellio, su richiesta dei Giudei, riconsegnò solo la veste alle autorità religiose ebraiche nominando come Sommo Sacerdote un filo romano.
Lo storico conclude il prologo dichiarando:
Questa digressione è stata occasionata dalla triste esperienza che si ebbe dopo” (ibid). Ma…quale “triste esperienza” si ebbe dopo? E perché fu la causa della “digressione”?: in “Antichità” non troviamo la spiegazione perché ... verrà censurata.
Giovanni di Gàmala, per divenire “Re dei Giudei”, a capo degli Zeloti, ha dovuto sopraffare ed eliminare le forze romane accasermate nella Fortezza Antonia, appropriarsi del Sacro Diadema e della Veste Sacra per indossarli e insediarsi come Re e Sommo Sacerdote secondo la tradizione istituita dagli Asmonei.
Ma l’amanuense falsario, che si fece passare per san Paolo, scriverà una “lettera agli Ebrei” somministrandoci il motivo del suo “Gesù Sommo Sacerdote”:
“Gesù…per diventare un Sommo Sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio

Quell’epoca registra una repressione continua da parte di Roma verso chi non si sottometteva al suo imperium. Il sangue scorreva nella Giudea già prima della nascita del “Gesù” evangelico e continuerà a scorrere anche dopo la crocifissione di Giovanni il Nazireo. Ma quel sangue non venne fatto apparire nei Vangeli perché avrebbe testimoniato l’interesse primo dei Giudei: liberare la terra d’Israele dai pagani grazie al “Messia Dominatore del Mondo”.
Una realtà che non doveva essere conosciuta: la storia venne interrotta, negli Annali di Tacito al libro VI, mentre Lucio Vitellio è in azione contro i Parti. Lo storico aveva scritto vicende più dettagliate di Giuseppe Flavio: le legioni di Roma, di cui andava fiero, erano impegnate in Oriente contro Artabano per poi spingersi sino in Giudea. Ma la narrazione si ferma alla fine del 35 d.C., per riprendere nel 36 quando Artabano è alla riscossa dopo che Vitellio si era già recato a Gerusalemme.
Tacito non parla della detassazione ai Giudei mentre riferisce dei tributi imposti dallo stesso Vitellio al popolo dei Cieti sempre nel 36 d.C.: i tagli sono mirati. Si prova la stessa delusione come quando si sta leggendo un libro e sul più bello ci si accorge che mancano molte pagine.
No! Lo storico romano doveva riferire sui due interventi di Vitellio a Gerusalemme; della ribellione giudaica, della carestia, del rilascio dei tributi ai Giudei; della condanna al supplizio del folle Re abusivo, Giovanni di Gàmala, alleato di Artabano; della liberazione dell’Armenia da parte di Roma, del trattato di pace stipulato dal Legato di Tiberio e Artabano, sottoscritto dai due Grandi su di un ponte appositamente gettato sull’Eufrate per rimarcare il limes tra i due Imperi; infine della fuga di Re Areta IV, costretto da Vitellio a lasciare i territori di Roma sottratti ad Erode Antipa che li amministrava per conto di Tiberio.

Potrà sembrare un paradosso, ma sono proprio gli storici baciapile, parlo del calibro di titolari di cattedra di storia dell’Università Cattolica, i quali, per “dimostrare” che i Cristiani del I e II secolo erano i seguaci del Messia Gesù, l’autore di miracoli portentosi, forzano - abusando di condizionali, “se”, “forse”, “secondo l’interpretazione di Pinco”, “riflettendo su quanto afferma Pallino” - la propria “creatività storica” sino a cadere nel ridicolo, comprovando, in contrasto alle loro conclusioni, che i “Cristiani di Roma” erano semplici messianisti giudei in attesa del proprio Messia. “Messianisti” che non conoscevano ancora il nome del loro “Cristo”: Gesù.
E i docenti spiritualisti, tutt'oggi, non si sono accorti che manca il nome a quel “Cristo”, anzi, non ci pensano proprio ... come la Chiesa: per Lei è sempre esistito l’Avvento di un solo “Cristo” … pertanto “Cristiani” voleva dire seguaci di “Gesù …Cristo”.

Però, direte voi: la testimonianza di Cornelio Tacito, nel cap. 44 del XV libro degli Annali, riguardante il martirio di una ingente moltitudine di cristiani, perpetrato da Nerone dopo il famoso incendio di Roma nel luglio del 64 d.C., dimostra, in base agli scritti pervenutici …
“…coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio Pilato, era stato sottoposto a supplizio…”
che, in Roma, i Cristiani erano conosciuti come seguaci di Gesù.
Beh, dico io, non sono certo il primo ad affermare che il cap. 44 del XV libro degli Annali di Tacito, è una interpolazione, molto successiva, degli scribi cristiani … si tratta soltanto di provarlo.
In attesa di “sgranocchiare”, sotto il profilo della autenticità, questo ritaglietto spurio di rotolo papiraceo, vi offro su un piattino, prendetelo come antipasto natalizio del Dies Natalis Solis Invicti, un passo di Tertulliano, il quale si era letto Tacito … eccome se lo aveva letto! …

Apologeticum XVI: “ Stupida e falsa è l’accusa che i Cristiani adorino una testa d’asino. E invero, come ha scritto un tale, avete sognato che una testa d’asino è il nostro Dio. Codesto sospetto lo ha introdotto Cornelio Tacito. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a congetturare quello che ha voluto sul nome e la religione della gente, narra che i Giudei, liberati dall’Egitto o, com’egli credette, banditine, trovandosi nelle vaste località dell’Arabia, quanto mai prive d’acqua, tormentati dalla sete, su l’indizio di onagri che si recavano dopo il pasto a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio la figura di una simile bestia consacrarono. Così si presunse che anche noi Cristiani, come parenti della religione giudaica, alla adorazione della medesima immagine venissimo iniziati. Vero è che Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di menzogne …”

Tertulliano (160 - 220 d.C.), senza rendersene conto, dimostra che i Cristiani, erano equiparati ai Giudei dai Romani, cosa impossibile perhè Tacito, nelle sue Historiae non sa cosa sono i Cristiani, comunque il "Padre apologista" incolpa lo storico Tacito … ma, secondo voi visitatori, nel 200 d.C., Tertulliano (che aveva letto Tacito), se avesse trovato scritto:

“…coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio Pilato, era stato sottoposto a supplizio…”

come avrebbe potuto, a sua volta, scrivere Apologeticum XVI ? Dal momento che lo storico latino, secondo quanto interpolato dagli scribi falsari, sapeva perfettamente chi erano i Cristiani?
E’ evidente che a Tertulliano, quando scrisse l’Apologetico, non risultava l'esistenza del cap. 44 del libro XV degli Annali.
Ciò che resta di vero è che, come riferito dallo stesso Padre apologista, effettivamente, i Romani erano convinti che i Cristiani adorassero una testa d’asino (forse già sapevano dei … “beati, poveri di spirito”).

In attesa di “demolire”, prova dopo prova, il cap. 44, introdotto, da un pio scriba falsario cristiano, nel libro XV degli Annali di Tacito

invio un caloroso saluto a tutti.


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MessaggioInviato: 22/12/2009, 21:17 
Giovanni il Nazireo Re dei Giudei.

Impero Romano, I secolo d.C., sotto il principato di Tiberio.

Nel 34 d.C., Artabano III, Re dei Parti, dopo aver posto sul trono d’Armenia il figlio Arsace …
rivendicò i vecchi confini dei persiani e dei macedoni, minacciando di invadere le terre già possedute da Ciro e da Alessandro. Riconquistò l’Armenia e richiese il tesoro lasciato da Vonone in Siria”, 17 anni prima. (Ann. VI, 31).
L’ultimatum di Artabano, un parto di sangue reale arsacide, era di fatto una dichiarazione di guerra contro Roma e … Siria e Palestina rientravano in quelle terre. E’ logico dedurre che Giovanni, figlio primogenito di Giuda il Galileo, avrebbe avuto tutto da guadagnare da uno scontro aperto fra Roma e i Parti come fece prima di lui, nel 40 a.C., Re Antigono, l’ultimo degli Asmonei al potere.

La situazione politica e militare della Palestina nel 35 d.C. era questa: il Regno di Israele non esisteva più; delle sue istituzioni fondamentali, il Sommo Sacerdote era nominato dai Romani, mentre il Potere Régio fu cancellato alla morte di Erode il Grande; Idumea, Samaria e Giudea, e con essa la Città Santa, assoggettate al governo prefettizio di Cesarea Marittima, gravate da pesanti tributi; la ex Tetrarchia di Filippo, fra cui il distretto di Gàmala, era passata sotto la giurisdizione amministrativa e militare di Vitellio; la Galilea e la Perea, governate dal Tetrarca Erode Antipa.
La Palestina, nel suo insieme, poteva avere all’incirca le dimensioni della Sardegna, ma, per Roma, l’importanza strategica era grande: la sua sottomissione all’Impero impediva ai Parti di affacciarsi nel Mediterraneo Orientale, così come l’Armenia ne impediva l’accesso al Ponto sul Mar Nero.
Tutti i commerci, le rotte di navigazione, porti e scali marittimi del Mediterraneo erano controllati dalla Marina Imperiale di Roma.

Giovanni, il Signore di Gàmala, con i suoi fratelli, era a capo dei guerriglieri del Movimento di Liberazione Nazionale, antiromano e antischiavista, della corrente religiosa farisaica ribelle.
Gli Zeloti vedevano in lui, quale discendente degli Asmonei, l’avente diritto a rivestire la carica
unificata di Re dei Giudei e Sommo Sacerdote, come richiesto dallo stesso popolo.
Alla fine del 34, inizi 35 d.C., tutti i Palestinesi erano a conoscenza della conquista dell’Armenia da parte di Artabano e del suo ultimatum a Roma.
Da anni, il governo di Ponzio Pilato, con un numero inadeguato di soldati, era impossibilitato a far fronte alle continue scorribande dei Boanerghes; come riportato da Filone d’Alessandria:
“il paese fu lasciato al saccheggio di bande di ribelli che incendiavano le case dei ricchi (i Boanerghes dei Vangeli) e la gente veniva uccisa senza il rispetto di alcuna regola” (Legatio ad Caium);
e, come denunciato più volte da Giuseppe Flavio:
“Ogni farabutto, circondato da una propria banda, s’innalzava al di sopra dei suoi come un capobanda o un signorotto, e si serviva dei suoi scherani per angariare la gente dabbene” (Gue. II 275); la “gente dabbene” erano i Conservatori privilegiati.
“Ogni giorno si verificavano attacchi di piccoli gruppi che, con tattiche di guerriglia, depredavano ciò che trovavano e appiccavano il fuoco a tutto il resto” (Gue. III 177);
“... altri, che erano Giudei, ai tempi di Gesù si rivoltarono contro lo Stato giudeo (le istituzioni politico religiose) e si misero al suo seguito (di Gesù) e una rivolta fu all’origine della Costituzione Politica dei Giudei (un nuovo ordine statale: la monarchia sacerdotale) e successivamente dei cristiani (messianisti). (Contra Celsum III 7-8).
Lucio C. Firmiano Lattanzio, filosofo e storico convertito al cristianesimo, nel IV secolo, nella sua opera “Divinae Istitutiones” V, 3 ,riferisce che:
“Gesù Cristo fu descritto come capo di una banda di novecento seguaci dediti al brigantaggio”.

La dinastia sacerdotale asmonea “di grande potere”, da cui discendeva Giovanni, figlio di Giuda, e i suoi fratelli, risiedeva a Gàmala (Gue. IV 5-6), nella città palestinese…
più imprendibile, per le sue difese naturali e grazie alla conformazione dei luoghi. Da un’alta montagna si protende infatti uno sperone dirupato nel mezzo del quale s’innalza una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio, sia davanti che di dietro, tanto da somigliare al profilo di un cammello: da questo trae il nome. Sui fianchi e di fronte termina in burroni impraticabili…”
Kefaz Gàmala, nel II secolo a.C., per la sua posizione, era una fortezza militare nel sud del Golan e fu conquistata dal Re dei Giudei (103-76 a.C.), l’asmoneo Alessandro Janneo; si sviluppò divenendo una città roccaforte asmonea e, essendo imprendibile, poteva godere di una autonomia che gli permetteva di non pagare tasse e coniare monete proprie. Giuda il Galileo, la personalità di rango più elevato, ne era stato il Signore, così come ne fu il Signore suo padre, Ezechia.
Giovanni di Gàmala, primogenito di Giuda, e i suoi fratelli erano conosciuti e rispettati da tutti in città.
Ligi agli insegnamenti del Padre, che postulava una società più equa, avevano abolito la schiavitù e sulle monete circolanti (ritrovate fra i resti archeologici) avevano fatto imprimere:
Per la Salvezza di Gerusalemme la Santa”: Liberare Gerusalemme dal dominio pagano.
Quello che era stato il fine dei loro antenati era diventato il fine di tutti i fratelli.

Intenzionati a ripetere le gesta eroiche dei Padri dell’epopea maccabea, i figli di Giuda il Galileo, decisero di fare il colpo di stato. Politicamente i tempi erano maturi: lo scontento popolare era acuito da una gravissima penuria di viveri conseguente al cattivo raccolto dell’ultima stagione e dagli esosi tributi dovuti a Roma.
Giudea, Idumea e Samaria erano sotto l’egemonia del Prefetto Ponzio Pilato di stanza a Cesarea Marittima, ma, mentre Idumei, Giudei e Galilei, da sempre, continuavano a ribellarsi, i Samaritani, al contrario, si mantenevano fedeli a Roma.

Nel 35 d.C. era iniziato l’autunno, triste preludio di un inverno che si preannunciava arduo per la scarsità dei raccolti. Mancavano pochi giorni alla celebrazione della Festa delle Capanne ...
“la festa della Scenopeghia considerata dagli Ebrei Santissima e Grandissima” (Ant. VIII 100); “la festa in cui, secondo il rito patrio, si innalzano Tabernacoli al Dio” (Gue. I 73).
“E’ una legge perenne, di generazione in generazione, il quindici del settimo mese (ebraico), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrate una festa al Signore. Il primo giorno prendete frutti dagli alberi migliori …” (Levitico 23, 33/43).
“Quando la terra aveva dato tutti i suoi frutti per l’anno corrente e quei frutti erano stati raccolti e immagazzinati, il popolo rendeva gioiosamente grazie a Dio”
(“Grande Commentario Biblico”, Editrice Queriniana, 1973).

La Festa dei Tabernacoli, o delle Capanne o delle Tende era una vera e propria sagra agreste della durata di sette giorni; veniva celebrata a fine Settembre inizi Ottobre e segnava il punto culminante del raccolto dell’annata agricola ma…nel 35 d.C. i magazzini e i depositi erano quasi vuoti…la terra non aveva prodotto frutti sufficienti; le piante d’olivo scariche, il frumento, essenziale per l’alimentazione umana, adatto ad essere conservato, come i datteri, i fieni e i fichi … indispensabili al nutrimento degli uomini e dei suoi animali … di tutto vi era penuria e la tanto attesa festa, anziché portatrice di giubilo e felicità, poteva divenire l’occasione per far esplodere la rabbia popolare contro le fragili istituzioni che governavano il paese.
Da quando avevano saputo che Artabano si era impadronito dell’Armenia e lanciato il suo “ultimatum” a Roma, Giovanni il Nazireo e i suoi fratelli, a capo degli Zeloti, iniziarono a contattare i loro seguaci e, partendo da Gàmala, attraverso la Galilea, la Samaria, la Giudea e l'Idumea, fecero, nelle Sinagoghe e fra il popolo ebraico, nuovi proseliti alla santa causa per ricostituire il Regno d’Israele e li convinsero a coordinare un’azione insurrezionale.
La situazione politica interna e quella internazionale imponeva agli Zeloti di approfittare del momento favorevole per innescare la ribellione.
Mentre Roma era alle prese con Artabano, a Gerusalemme rimanevano la guarnigione romana agli ordini del Tribuno, una coorte con un massimo di 600 uomini e un’ala di cavalleria, più le guardie del Tempio agli ordini del Sommo Sacerdote Giuseppe detto Caifa … si poteva … anzi:

si doveva tentare

…la Sacra Legge degli antichi Padri imponeva la ricostituzione del “Regno d’Israele”.
Erano tre le feste che, per tradizione, richiedevano il pellegrinaggio degli Ebrei a Gerusalemme e la “Scenopeghia” era tra queste … la “festa delle Capanne” del 35 d.C.; mancava qualche giorno all’inizio della importante ricorrenza popolare.
Il raduno degli Zeloti, già programmato da Giovanni con un piano sottoposto ai capi Farisei rivoluzionari, sarebbe avvenuto nel giorno stabilito sul Monte degli Ulivi; da lì sarebbero discesi verso la città, nell’arco della mattinata, in ordine sparso per non dare nell’occhio.
Con un colpo di mano improvviso, gli Zeloti, in massa, mescolati ai pellegrini che incominciavano ad affluire, una volta penetrati in Gerusalemme sarebbero riusciti a sopraffare i miliziani romani e i Sinedristi.
Il presidio di Roma consisteva in poche centinaia di uomini, per lo più impegnati nei picchetti alle porte d’accesso della città e in ronde nelle aree del Tempio e dei mercati…
Folle di fedeli, trafficanti e curiosi, stavano giungendo nella Città Santa per le festività. Migliaia e migliaia di pellegrini che, sommati ai residenti, raggiungevano “molte decine di migliaia di persone” (Ant. XVII 254).
Solo una minoranza di miliziani era di servizio al corpo di guardia della fortezza Antonia, entro cui erano custodite la Corona Règia e la Veste Sacra; quest’ultima in attesa di essere prelevata dal tesoriere del Tempio con la sua scorta. A tale modesta forza andava aggiunto il poco motivato corpo dei militi sinedristi, agli ordini del Capitano delle guardie del Tempio, istituzionalmente sottoposto al Sommo Sacerdote con il compito principale di proteggere il tesoro costituito dalle offerte dei fedeli, conservato nell’edificio sacro.
Gli Zeloti, molto più forti numericamente, avvicinandosi in ordine sparso e attuando la tattica dei sicari (tenevano celati i gladi e i pugnali fra le vesti), con un’azione coordinata e improvvisa, sincronizzata con uno dei richiami di tromba che scandivano i rituali sacrifici quotidiani, una parte di loro avrebbe attaccato, sorprendendoli, gli ausiliari romani sopraffacendoli, mentre gli altri avrebbero aggredito tutti i militari in servizio nella città.
Non sarebbe stata una battaglia tattica campale, ma una guerriglia urbana basata sul corpo a corpo.
Sapevano di poter contare sulla solidarietà di buona parte della popolazione, in particolare dei giovani e dei pellegrini.
“Molte migliaia di persone stavano confluendo in Gerusalemme, non solo per le osservanze religiose, ma ancorché irritati per le vessazioni tributarie e dalle insolenze temerarie perpetrate da Pilato”.
Queste furono le ultime valutazioni fatte sul Monte degli Ulivi, da Giovanni e dai capi Zeloti, la sera prima di scatenare la rivolta: la sommossa poteva riuscire … e la fecero.

“Vi erano Galilei e Idumei, una moltitudine proveniente da Gerico e quanti vivevano in Transgiordania, e vi era una moltitudine della stessa Giudea, che si unì a tutte queste ed erano più focosi degli altri”.
Quando l’azione scattò, i primi ad essere attaccati, colti di sorpresa dai sicari, furono i Romani del corpo di guardia della Fortezza Antonia, per penetrare poi al suo interno, e una loro compagnia dislocata in prossimità del Tempio; ci fu un fuggi fuggi generale e l’area circostante, adibita a mercato con trafficanti d’ogni risma, fu sgomberata con violenza.
Materialisti opportunisti e ipocriti, poco inclini ai precetti dettati dalla Sacra Legge, mossi soltanto da personale interesse; pubblicani e gabellieri, allevatori e bestiame, tutti, calpestandosi gli uni con gli altri, si dettero precipitosamente alla fuga se volevano salvare la pelle, dileguandosi nel dedalo di viuzze dalle quali i negozianti di lana, i mercanti delle vesti, i fabbri, falegnami, gli artigiani vasai e quelli del rame, si affrettarono a sgomberare i loro manufatti esposti.
Gli Zeloti si erano già impadroniti della Fortezza Antonia, facendo a pezzi i Romani e il Tribuno a capo della guarnigione, mentre gruppi di ribelli attaccavano il quartiere settentrionale del Tempio; intanto, numerosi Idumei, dall’altro lato, dopo aver sopraffatto le guardie, penetrarono nel Sinedrio e massacrarono i Sacerdoti di turno al Sacro edificio ove si erano rifugiati, terrorizzati, nella vana speranza che il Supremo Organo Giudiziario giudaico venisse risparmiato per il rispetto della tradizione, sempre viva nella memoria dei Giudei … ma, molto meno in quella degli Idumei.
Altri Zeloti sopraffecero le sentinelle del Palazzo degli Asmonei, occupandolo.
Attaccarono e presero la fortezza di Fasael con le torri più alte, l’Ippodromo, la città alta e la città bassa. Solo i Romani, esponendosi alla morte, cercarono di resistere coraggiosamente ma inutilmente;
contro di loro insorse in massa la folla e a colpi di pietra uccisero la maggior parte dei soldati mentre, morto il Capitano e i suoi fedelissimi …
“la maggioranza delle Guardie del Tempio disertò schierandosi assieme ai rivoltosi”.

In città tutti compresero che quanto stava avvenendo era estremamente grave e pericoloso: il sangue scorreva sul lastricato e i più si rintanarono nelle case, ma i giovani soprattutto, e fra questi anche tanti pellegrini motivati dalla stessa fede nazional religiosa, avevano solidarizzato con gli insorti.
Erano soprattutto Giudei, Idumei e Galilei; gli stessi che, una generazione prima, si ribellarono contro Roma e contro due figli eredi di Erode il Grande: Erode Archelao ed Erode Antipa.
I miliziani romani capirono che la sommossa armata stava dilagando ... le ronde e i picchetti isolati, dislocati in servizio nei molti punti nevralgici dei mercati e rioni della città alta e di quella bassa, non erano certamente in grado, divisi com’erano, di opporsi ad una folla ormai decisa a ribellarsi ad ogni costo;
“Alcuni di loro abbandonarono il campo che non era più difendibile e tentarono di rifugiarsi nelle torri règie, Ippico, Fasael e Mariamme, ma furono prevenuti, intercettati e messi fuori combattimento”.
Gli altri soldati della guarnigione, rimasti al di fuori ancora vivi, non poterono rientrare nella fortezza, ormai persa, ove erano custoditi sia la Veste Sacra che il Diadema, e cercarono una via di scampo dandosi alla fuga per tentare di rifugiarsi nei meandri e nei condotti della città, ma invano.
Dopo una prima valorosa resistenza, alcuni cavalieri in servizio di ronda, resisi conto che i ribelli stavano per avere la meglio, travolgendo con impeto la folla che li accerchiava, si lanciarono al galoppo uscendo dalla città in direzione di Cesarea Marittima dove stanziava il Quartiere Generale con il contingente militare agli ordini del Prefetto Ponzio Pilato, cui fare rapporto e rimettere le decisioni da prendere.

In poco tempo Gerusalemme cadde nelle mani dei rivoluzionari e i loro capi si insediarono nel palazzo degli Asmonei; il Comandante delle Guardie del Tempio, ucciso, e il Sommo Sacerdote, Giuseppe detto “Caifa”, rinchiuso nella sua dimora, piantonato e impossibilitato a muoversi. I corpi senza vita dei militi romani, dei sinedristi e dei rivoltosi vennero sgomberati.
Ormai riappropriati della Veste Sacra e della Corona, gli Zeloti le consegnarono al loro capo, Giovanni, figlio di Giuda, che le depositò nel Tempio.
Il giorno successivo, Giovanni detto il “Nazireo”, zelante interprete della Legge, ricostituì un nuovo Sinedrio che, una volta deposto Giuseppe detto Caifa dal sommo sacerdozio, lo riconobbe come “Salvatore” della Città Santa.
Adempiuto al sacramento della purificazione del Tempio, della Veste Sacra e del Diadema, Giovanni si sottopose prima al Sacro rituale dell’Unzione, come previsto dalla Legge ancestrale, dopodiché gli altri sacerdoti lo aiutarono a compiere la vestizione dei paramenti divini incoronandolo come Re e Sommo Sacerdote.
Era un discendente degli Asmonei, la stirpe che unificò i due uffici sacri: il potere spirituale ed il potere règio … come voleva il popolo giudaico.
Al termine del cerimoniale sfilò per le strade di Gerusalemme su un cavallo (non su un asino, ridicolo simbolo per falsare la storia) fra gli “osanna” della folla inneggiante al nuovo Re dei Giudei, nuovo “Messia” (Unto), “Salvatore” della Città Santa e del popolo d’Israele dalla dominazione pagana.
Come primo atto del “Nuovo Regno” proclamò l’abolizione della schiavitù dichiarando che i Giudei potevano avere solo Dio come padrone …

Quando Pilato, a Cesarea, venne relazionato dalle staffette a cavallo della rivolta di Gerusalemme e del massacro della guarnigione romana, si sentì mancare il terreno sotto i piedi.
La prima preoccupazione fu per la carriera: l’avrebbero accusato di non aver saputo mantenere l’ordine pubblico, torto gravissimo per un Prefetto dell’Imperatore.
Si sentì in colpa per non aver provveduto a rinforzare per tempo il presidio della città, sottovalutando il malessere della gente provocato dalla cattiva annata agricola, dai gravi disagi economici e dalle tasse, fattori che si sommavano a quelli religiosi.
Sapeva che tali frustrazioni costituivano la base ideologica e politica del Movimento di Liberazione Nazionale, manovrato da “Profeti sobillatori”, cui aderivano i guerriglieri rivoluzionari.
Provava una rabbia sorda contro di loro perché si sentiva “giocato”; i ribelli avevano agito di anticipo, mentre aveva la guardia abbassata.
Vittima di informatori incapaci, che avrebbero dovuto tenerlo al corrente della gravità della situazione generale, sapeva che il colpo era stato pianificato senza che lui potesse prevederlo, ma sapeva anche che, per la responsabilità della carica rivestita, sarebbe diventato il capro espiatorio e ne avrebbe dovuto rispondere, direttamente, sia al Legato di Siria che all’Imperatore.
Ma l’aspetto più grave - nonostante in Cesarea metà della popolazione era di origine greca e siriana, tradizionali nemici degli Ebrei - consisteva nella possibilità che la rivolta si estendesse sino alla capitale marittima romana, mettendo a rischio il suo stesso presidio militare, mentre era in corso il conflitto fra l’Impero romano e il Regno dei Parti.

Doveva relazionare subito il nuovo Legato di Siria. Scrisse i messaggi per Lucio Vitellio e li inviò, tramite corrieri a cavallo, ad Antiochia, 500 km. più a nord di Cesarea … ma, il Luogotenente dell’Imperatore, impegnato nel conflitto con i Parti, saprà dell’accaduto al suo rientro in Siria, da oltre Eufrate, alla fine del 35 inizi 36 d.C..

Dopo aver posto sul trono d’Armenia l’Ibero Mitridate, sottomesso a Roma, e, dopo la sconfitta di Artabano e la sua fuga, Vitellio aveva lasciato a Tiridate, di sangue arsacide filo romano, il compito di insediarsi sul trono dei Parti, aiutato dai Grandi Satrapi ai quali aveva ricordato
“…l’obbedienza verso il Re (Tiridate), il rispetto verso i Romani, perché conservino, ciascuno, onore e lealtà. Poi rientra con le sue legioni in Siria. Alla fine del 35 d.C. (Ann.VI 37).

Guinto ad Antiochia per fare riposare i legionari nei quartieri invernali verrà relazionato dell'insurrezione giudaica ...

Presto conosceremo come si evolsero e conclusero quelle vicende.


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MessaggioInviato: 23/12/2009, 08:28 
Carissimo Emilio
Il tuo report è perfetto, però consentimi di fare questa mia osservazione-riflessine, è il mio pallino, LE DATE.
Se Giovanni il nazireo ha preso Gerusalemme nella festa delle capanne del 35 perche Vitellio era impegnato coi Parti.
Già l’esercito Romano è sceso in campo con lui.
Io non sono uno stratega, però ne avrei approfittato o nella festa delle capanne del 34 o del 33, per di più stessa situazione, ma era più propizia mancante Vitellio.
A questo punto, formulo la domanda; perche hai la così netta convinzione che l’evento si è avverato alla festa delle capanne del 35, con pericolo effettivo, e non nel 33 o 34, date più favorevoli?

Tenendo presente che furono i seguaci integralisti di Giovanni(B.)il Nazireo ad accompagnare Dasha da suo padre Areta.

Giovanni e i suoi seguaci, avevano GIÀ molta libertà di movimento in quei luoghi prima che Areta le suonasse di brutto a suo genero Antipa.
Con questo voglio dire che per prendere Gerusalemme, io non avrei certo aspettato Vitellio solo per farmi Crocifiggere.
L’esercito Romano, in quei tempi, quanto si muoveva erano dolori per tutti, e tutti lo sapevano, meno che il “crocifisso”.

Un caro saluto Cecco


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MessaggioInviato: 23/12/2009, 13:50 
Carissimo Cecco,

il tuo “pallino” non sono le date, ma è la convinzione, già esternata, che “Giovanni” era il Battista.
Anche tu incappi nello stesso errore già riscontrato in altri ricercatori: partire da una convinzione, non una ipotesi comprovata.
La storia non la “capisci” perché non l’accetti: è contro la tua convinzione.
In caso di calamità naturali - come terremoti, eruzioni vulcaniche, carestie, anche incendi devastanti di città o quant’altro - Roma, era una prassi, rilasciava i tributi alle popolazioni colpite per aiutarle a riprendersi. L’Impero Romano non si proponeva di distruggere le civiltà e le rispettive economie, al contrario, si adoperava perché tutti i popoli sottomessi progredissero economicamente … così pagavano più tasse incrementando l’erario.
Se la carestia, gravissima come quella in Giudea, fosse avvenuta nel 34 o 33 d.C., o ancora prima, Tiberio avrebbe rilasciato i tributi al momento opportuno, peraltro, la carestia di per sé, dal punto di vista militare non avrebbe avuto alcun significato, se non esacerbare la popolazione portandola ad una ribellione senza vie d’uscita, diversamente da una guerra dei Parti concomitante.
Al contrario, è importantissima per noi, oggi, perché, una volta scoperto la sua falsificazione in Atti, in Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea e in Antichità Guidaiche da lui manomesse, ci permette di datare con precisione gli avvenimenti chiamando un causa Vitellio.
L’esercito del Legato di Siria si mosse da Antiochia alla fine della primavera del 35: prima non avrebbe avuto il tempo di organizzarsi. Questa data nessuno la può cambiare, chi ci provasse lo bacchetterei, anche se fosse un titolare di cattedra universitaria di storia. Viceversa, Artabano si impadronì della Armenia nel 34 ma non sappiamo in quale periodo dell’anno.
Ne consegue che soltanto dopo l’iniziativa di Artabano avverrà la risposta di Roma.
Le forze militari romane, lasciate a presidio della Palestina, erano limitate sin dal tempo di Pompeo Magno.
Il motivo è semplice: Roma manteneva il grosso delle legioni di stanza ad Antiochia come scelta strategica. Erano forze pronte ad intervenire allorquando si verificava una rivoluzione nei territori sottomessi o un attacco dei Parti. Questa strategia era in atto in tutte le Province imperiali che si trovavano in quelle condizioni: il limes del dominio di Roma doveva essere garantito dalle sue legioni.
Quando in Giudea scoppiò una rivoluzione, trasformatasi in guerra, che riuscì a sconfiggere le forze degli erodiani, discendenti del grande Re, congiuntamente a quelle del Procuratore Sabino, Augusto ordinò a Quintilio Varo, Governatore di Siria, di intervenire: questi lo fece massacrando Giudei, Galilei e Idumei.
All’epoca del censimento, su ordine di Augusto, Quirino scese con le sue legioni perché sapeva di dover affrontare una guerra, che si dimostrò sanguinosa.
Non esisteva un solo ebreo, in Giudea o nella diaspora, che non sapesse di questa realtà: Roma interveniva con le legioni di Antiochia … e Roma sapeva che i Giudei ne erano consapevoli … a furia di crocifissioni.
Personalmente, diversamente da te, non ho alcuna convinzione. Quando leggo la storia ne accetto le notizie e basta: per me è un fatto istintivo, oltre che logico.
In quel periodo, l’unico momento favorevole che si presentò ai Giudei fu la guerra di Artabano contro Roma. Se tiri fuori date antecedenti al 35 d.C. … tu sogni semplicemente.
Non ti rendi conto che stai dicendo fesserie, pertanto, poiché hai il diritto di pensarla come ti pare, almeno abbi la compiacenza di sottoporci il tuo studio, dopo di che mi riserbo il “diritto” di analizzarlo.
Giovanni e la banda dei suoi seguaci, l’unica libertà di movimento che avevano era la “guerriglia”: mai si sarebbero potuti permettere uno scontro frontale aperto con le forze romane, comprese quelle di un “semplice” Prefetto.
Prendere Gerusalemme significava “Guerra”, e guerra comportava l’intervento delle legioni di Antiochia. L’unico momento favorevole per scongiurare questo rischio era un conflitto con i Parti, come già avvenuto più volte in precedenza.
Quando si è ripresentata l’occasione, Giovanni ha colto il momento opportuno e, a capo di un “Movimento”, non più soltanto di una “banda”, ne approfittò, pur essendo consapevole che, se l’alleato Artabano veniva sconfitto, avrebbe perso anche lui.
Detto questo, poiché ormai sono certo che non accetterai mai queste risultanze, non mie, bensì provenienti da una storia che non ho scritto io, rinnovo l’invito di pubblicare un tuo studio … che mi sentirò in dovere di verificarlo e, se si dimostrerà giusto, ti ringrazierò.
Sia ben chiara una cosa: se dalle risultanze delle mie analisi si fosse evidenziato che “Giovanni” era il Battista, non me ne sarebbe interessato più di tanto. Quale motivo avrei avuto per negarlo?
Sono un ateo e, per quello che poteva interessarmi, se fosse venuto fuori “Melchiorre” … ebbene, avrei scritto “Melchiorre”
Un’altra cosa sia ben chiara: Giovanni il Battista è il primo candidato, essendo sotto il “naso” di tutti coloro che fanno ricerca “escatologica”, come alternativa a “Gesù”.
Poiché le “alternative” non mi interessano … io seguo la storia.
Inoltre, per tua informazione, tre anni fa andai a trovare Cascioli e confrontammo analisi per sei ore.
Parlammo del Battista ed anche lui lo escludeva. Tanto più che il principale motivo per cui mi recai da lui fu proprio il Battista. Poiché il suo lavoro non era suffragato da prove io misi in conto che Luigi potesse riferirsi a Giovanni, figlio di Giuda il Galileo, il quale “battezzava” i suoi adepti.
Cosa che Luigi scartò categoricamente.
Un’ultima richiesta: quando produci il tuo studio, ti chiedo, cortesemente, di esporlo in modo chiaro, che si possa almeno capire: fatico ad afferrare il senso di quello che intendi dire.

Sempre con stima ed amicizia un caro saluto da Emilio


Ultima modifica di Emilio Salsi il 23/12/2009, 14:15, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 24/12/2009, 08:54 
Carissimo Emilio

L'ho postato cento e cento volte, che era Giovanni il Nazireo, e che è stato camuffato nel "BATTISTA". Come ho detto anche, che tutto quello che in Flavio parla di fatti correlati alla favola di Cristo sono dei falsi. Come sempre sostenuto da Voltaire.
La carestia non si ha solo per un anno di mancato raccolto, ma da diversi anni di mancato raccolto. Pensa all'olio di quest'anno, poco raccolto o nullo, siamo andati al silos, e si tira un'altranno, forse ci sarà ancora per un'altro anno, ma quando i silos saranno vuoti, arriva la carestia e la fame. Coloro che prima ti avevano osannato loro RE, sperando di migliorare la loro esistenza di vita, poi con la fame e Vitellio alle porte hanno gridato crucifige. Questa Emilio non è storia, ma è un'analisi storica. Ora riformulo di nuovo la domanda, forse l'ho posta in malo modo.
CHI IMPEDIVA A GIOVANNI IL NAZIREO DI PRENDERE GERUSALEMME NEL 33 o 34, (periodo più favorevole) se è riuscito a prenderla nel 35 (con pericolo maggiore causa Vitellio in campo)?

Un caro e sincero saluto Cecco


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Carissimo Cecco,

1 – se Roma rilasciò i tributi ai Giudei nel 36 d.C. è perché la gente moriva di fame prima, come riferito da Giuseppe Flavio;
2 – se la gente moriva di fame nel 33, Tiberio avrebbe rilasciato i tributi nello stesso anno o al massimo nel 34;
3 – ancora non hai capito che l’unico momento favorevole ai Giudei di scrollarsi di dosso il dominio di Roma fu la concomitanza della guerra fra Roma e la Parthia.
Solo quella circostanza, apertasi entro il 34, poteva far sperare che le legioni romane di stanza ad Antiochia venissero affrontate e poi sconfitte da un altro Impero: quello di Artabano;
4 – se i Giudei si fossero ribellati prima, ammettiamo, come dici tu, nel 32 … anziché Vitellio, che ancora non era stato eletto Console, avrebbero trovato Pomponio Flacco; mentre, se si fossero ribellati nel 33, anno in cui morì Pomponio Flacco, Tiberio avrebbe inviato un altro Console.

Il problema per i Giudei no era “il comandante” delle legioni, ma le legioni di Antiochia. Quelle erano lì, fisse, come forza di pronto intervento, valutata, non solo da me, anche da altri storici, in base ai dati riferiti da Tacito, a un minimo di 30.000 uomini, come stima molto al ribasso.
Questa forza - che, in caso di crisi, Roma, come da prassi consolidata, la incrementava arruolando un elevato numero di ausiliari scelti - poteva essere affrontata solo da Artabano, capo di un Impero con Re Satrapi obbligati a mettere i loro eserciti a sua disposizione. Altrettanto avveniva in tutto l’Oriente per i Re clienti di Roma, i Luogotenenti imperiali, i Procuratori, i Prefetti e i Tribuni.

Non riesco a capacitarmi come fai a non capire che l’unico momento favorevole di cui l’asmoneo Giovanni poteva profittare, fu la guerra intrapresa da Artabano. Prima di quell’evento il capo degli Zeloti poteva permettersi solo una “guerriglia” contro i ricchi connazionali filo romani poiché non sarebbe stato in grado di affrontare, in campo aperto, neanche le forze di un Tribuno, tanto meno quelle di un Prefetto. Azione peraltro superflua perché, qualora fosse successo (essendo gli Zeloti votati al martirio), e, sempre ammesso che risultasse vittoriosa, da Antiochia, come sempre, era scontato, sarebbero scese le Armate a ripristinare l’ordine romano, ben felici di “martirizzare” i suicidi volontari, e, perché no, approfittare dell’occasione per farsi qualche stupratina sveltina.
Fatto certo di cui erano consapevoli tutti i Giudei, e che non avrebbero gradito, accusando gli Zeloti di averlo provocato.

Ora, per cortesia, da amico, poiché da troppo tempo stai ragionando sul valore della lana caprina, tieniti pure il “momento favorevole” che preferisci perché io mi sono stancato di ripetere le stesse cose.

Sempre con amicizia Emilio


Ultima modifica di Emilio Salsi il 24/12/2009, 12:10, modificato 1 volta in totale.


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Carissimo Emilio

Pomponio Flacco è morto nel 33, poi non c'era piu nessuno, e neanche Vitellio.
Io cerco la conquista quando il nemico è sguarnito-debole non in forze. Cioè quando è più facile la vittoria.
Io non andrei mai alla conquista di un regno al comando di 4 morti di fame, causa la carestia. Contro un esercito che faceva tremare i popoli che lo contrastavano, e che già aveva sistemato Artabano.

Tiberio, Vitellio, Artabano re dei Parti

Libro XVIII:96 - 4. Ora Tiberio inviò una lettera a Vitellio invitandolo a stringere amicizia con Artabano re dei Parti; perché Artabano che gli era ostile e aveva distaccato l'Armenia, gli infondeva la paura che sarebbe stato causa di altre sommosse. Ma istruì Vitellio di porre fede in un trattato d'amicizia soltanto a condizione che gli consegnasse gli ostaggi, in particolare il figlio di Artabano.

Libro XVIII:97 Scrivendo questa lettera a Vitellio, Tiberio offriva grandi somme di denaro ai re degli Iberi e degli Albani per indurli a muovere guerra senza difficoltà contro Artabano. Da parte loro, tuttavia, questi re si mantennero contrari a lui, ma diedero agli Alani il libero transito per le loro terre aprendo loro le porte del Caspio per muovere contro Artabano.

Libro XVIII:98 Così l'Armenia fu nuovamente tolta ai Parti e nel loro paese si estese la guerra, morì il fiore della nobiltà, e tutte le loro cose si rovesciarono; il figlio del re cadde ucciso con molte migliaia della sua gente.

Libro XVIII:99 Vitellio mandò del denaro ai parenti e amici del vecchio Artabano, e gli avrebbe pressoché tolta la vita con i regali, se Artabano non avesse capito che la trama sarebbe inevitabilmente riuscita, ordita com'era da molti grandi personaggi dell'alta società.

Libro XVIII:100 Egli avvertì anche che quanti sinceramente l'avevano sostenuto, già corrotti nell'animo, gli fingevano ingannevole benevolenza, e alla prima prova alla quale li avesse messi, si sarebbero aggiunti al numero dei ribelli. Egli dunque per salvarsi la vita fuggì in una delle satrapie superiori. In seguito radunò un esercito numeroso di Dai e Saci e con una azione militare contro i suoi avversari, assicurò il suo trono.

Libro XVIII:101 - 5. A queste notizie, Tiberio iniziò i passi per stringere amicizia con Artabano. Quando fu presentata l'offerta, i Parti furono lieti di discutere l'argomento; egli e Vitellio si incontrarono sull'Eu¬frate. Si gettò un ponte sul fiume e Artabano e Vitellio si incontrarono in mezzo al ponte, ognuno con la sua guardia del corpo.

Libro XVIII:102 Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode diede una festa sotto una tenda da lui innalzata in mezzo al ponte con grande spesa.

Libro XVIII:103 E Artabano inviò suo figlio Dario a Tiberio come ostaggio, e con lui molti doni; tra questi un uomo alto sette cubiti, giudeo di stirpe, di nome Eleazaro, il quale per l'enorme sua statura era detto il Gigante. Sistemati questi affari Vitellio partì per Antiochia, e Artabano per Babilonia.

Libro XVIII:104 Ma Erode, deside¬rando essere il primo a comunicare all'imperatore la notizia che gli ostaggi erano stati ricevuti, scrisse una relazione precisa e completa e spedì corrieri con lettere che lo informassero esatta¬mente e al governatore non lasciò più nulla di nuovo da comunicare all'imperatore.

Libro XVIII:105 Sicché, quando poi gli giunse il dispaccio di Vitellio, l'imperatore l'informò che conosceva già i fatti avendone avuto notizia da Erode; Vitellio ne restò furioso e accolse l'offesa come più grande di quanto fosse in realtà; ma trattenne il suo sdegno fin a tanto che non se ne fosse vendicato. E ciò avvenne allorché Gaio fu imperatore dei Romani.

Morte di Filippo; guerra tra Areta ed Erode;
Giovanni Battista


Libro XVIII:106 - 6. Ora fu in questo tempo che morì Filippo, fratello di Erode, nel ventesimo anno di Tiberio, dopo avere governato per trentasette anni la Traconitide, la Gaulanitide e la tribù detta dei Batanei. Nel governo si dimostrò moderato, amante della mode¬stia e della pace.

E' tutta falsificata Antichità? Perche io leggo che la situazione Artabano fu sistemata da Vitellio,[size=150] PRIMA
della morte di Filippo cioè il 34. Come Pilato fu destituito da Marcello prima della suddetta data. Spero di aver letto bene, se ho sbagliato, accetto volentieri le correzioni, con rispettoso tuo giudizio. Siamo tutti qui per farci domande e scambiarci le nostre idee.

Saluti e buone feste dal tuo amico Cecco

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MessaggioInviato: 25/12/2009, 10:04 
Carissimo Emilio

Pomponio Flacco è morto nel 33, poi non c'era piu nessuno, e neanche Vitellio.
Io cerco la conquista quando il nemico è sguarnito-debole non in forze. Cioè quando è più facile la vittoria.
Io non andrei mai alla conquista di un regno al comando di 4 morti di fame, causa la carestia. Contro un esercito che faceva tremare i popoli che lo contrastavano, e che già aveva sistemato Artabano.

Tiberio, Vitellio, Artabano re dei Parti

Libro XVIII:96 - 4. Ora Tiberio inviò una lettera a Vitellio invitandolo a stringere amicizia con Artabano re dei Parti; perché Artabano che gli era ostile e aveva distaccato l'Armenia, gli infondeva la paura che sarebbe stato causa di altre sommosse. Ma istruì Vitellio di porre fede in un trattato d'amicizia soltanto a condizione che gli consegnasse gli ostaggi, in particolare il figlio di Artabano.

Libro XVIII:97 Scrivendo questa lettera a Vitellio, Tiberio offriva grandi somme di denaro ai re degli Iberi e degli Albani per indurli a muovere guerra senza difficoltà contro Artabano. Da parte loro, tuttavia, questi re si mantennero contrari a lui, ma diedero agli Alani il libero transito per le loro terre aprendo loro le porte del Caspio per muovere contro Artabano.

Libro XVIII:98 Così l'Armenia fu nuovamente tolta ai Parti e nel loro paese si estese la guerra, morì il fiore della nobiltà, e tutte le loro cose si rovesciarono; il figlio del re cadde ucciso con molte migliaia della sua gente.

Libro XVIII:99 Vitellio mandò del denaro ai parenti e amici del vecchio Artabano, e gli avrebbe pressoché tolta la vita con i regali, se Artabano non avesse capito che la trama sarebbe inevitabilmente riuscita, ordita com'era da molti grandi personaggi dell'alta società.

Libro XVIII:100 Egli avvertì anche che quanti sinceramente l'avevano sostenuto, già corrotti nell'animo, gli fingevano ingannevole benevolenza, e alla prima prova alla quale li avesse messi, si sarebbero aggiunti al numero dei ribelli. Egli dunque per salvarsi la vita fuggì in una delle satrapie superiori. In seguito radunò un esercito numeroso di Dai e Saci e con una azione militare contro i suoi avversari, assicurò il suo trono.

Libro XVIII:101 - 5. A queste notizie, Tiberio iniziò i passi per stringere amicizia con Artabano. Quando fu presentata l'offerta, i Parti furono lieti di discutere l'argomento; egli e Vitellio si incontrarono sull'Eu¬frate. Si gettò un ponte sul fiume e Artabano e Vitellio si incontrarono in mezzo al ponte, ognuno con la sua guardia del corpo.

Libro XVIII:102 Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode diede una festa sotto una tenda da lui innalzata in mezzo al ponte con grande spesa.

Libro XVIII:103 E Artabano inviò suo figlio Dario a Tiberio come ostaggio, e con lui molti doni; tra questi un uomo alto sette cubiti, giudeo di stirpe, di nome Eleazaro, il quale per l'enorme sua statura era detto il Gigante. Sistemati questi affari Vitellio partì per Antiochia, e Artabano per Babilonia.

Libro XVIII:104 Ma Erode, deside¬rando essere il primo a comunicare all'imperatore la notizia che gli ostaggi erano stati ricevuti, scrisse una relazione precisa e completa e spedì corrieri con lettere che lo informassero esatta¬mente e al governatore non lasciò più nulla di nuovo da comunicare all'imperatore.

Libro XVIII:105 Sicché, quando poi gli giunse il dispaccio di Vitellio, l'imperatore l'informò che conosceva già i fatti avendone avuto notizia da Erode; Vitellio ne restò furioso e accolse l'offesa come più grande di quanto fosse in realtà; ma trattenne il suo sdegno fin a tanto che non se ne fosse vendicato. E ciò avvenne allorché Gaio fu imperatore dei Romani.

Morte di Filippo; guerra tra Areta ed Erode;
Giovanni Battista

Libro XVIII:106 - 6. Ora fu in questo tempo che morì Filippo, fratello di Erode, nel ventesimo anno di Tiberio, dopo avere governato per trentasette anni la Traconitide, la Gaulanitide e la tribù detta dei Batanei. Nel governo si dimostrò moderato, amante della mode¬stia e della pace.

E' tutta falsificata Antichità? Perche io leggo che la situazione Artabano fu sistemata da Vitellio, PRIMA della morte di Filippo cioè il 34. Come Pilato fu destituito da Marcello prima della suddetta data. Spero di aver letto bene, se ho sbagliato, accetto volentieri le correzioni, con rispettoso tuo giudizio. Siamo tutti qui per farci domande e scambiarci le nostre idee.

Saluti e buone feste dal tuo amico Cecco

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MessaggioInviato: 25/12/2009, 11:40 
Caro Emilio

In quale anno tu poni l'inizio del conflitto tra Erode Antipa ed Areta?



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MessaggioInviato: 26/12/2009, 10:10 
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Scusa, carissimo amico Cecco se mi permetto di inviarti le mie opinioni riguardo al tuo intervento precedente.
Poiché ieri era la ricorrenza della nascita del Dio Mitra, successivamente trasformata in Santo Natale, quindi giorno di festa, ho potuto ripassare e ricontrollare una grande quantità di materiale.
Con tutto ciò, ho potuto trarre delle nuove conclusioni, per me molto interessanti.

Allora, incomincio ad affermare che l'analisi del grande storico Emilio Salsi, secondo la mia modesta opinione è del tutto esatta e giustificata da validi riscontri storici, anche derivanti da fonti diverse.
Per prima cosa ho intrecciato gli scritti in questione di Antichità Giudaiche libro XVIII, con gli Annali di Tacito libro VI dal capiolo 31 fino alla fine di tale libro.
Conclusioni:

1) Gli scritti rimasti di Tacito, dopo la censura, intesa come forbice totale sono più esplicativi di quelli riportati da Giuseppe Flavio.
Cioè dal capitolo 31 del libro VI fino al capitolo 37 compreso (la storia dei Parti fino all'inverno del 35 d.c.); Tacito appare nella sua storia, molto chiaro e lineare con informazioni più approfondite di Giuseppe Flavio. Addirittura, leggendo in contemporanea Cassio Dione, libro LVIII,26; nella nota a fondo pagina, ho notato che il Sig. Alessandro Galimberti avanza l'ipotesi che la fonte di Tacito siano stati i Commentari di Lucio Vitellio (aggiungo io: "andati persi o bruciati per costruire il buco storico del 35 e del 36 d.c.").
Infatti, sia i commentari di Lucio Vitellio, sia il loro riporto di Tacito sono stati fatti sparire perchè riportavano le due discese a Gerusalemme di Lucio Vitellio, molto scomode per i cristiani.

2) I costruttori del cristianesimo, non hanno tagliato le due discese riportate da Giuseppe Flavio in Antichità Giudaica nel libro XVIII, di Lucio Vitellio a Gerusalemme, perchè altrimenti avrebbero perso l'unica testimonianza laica su Giovanni Battista. Si sono limitati, a mio avviso, a modicare alcuni punti e il contenuto del 117.
"Erode infatti aveva ucciso quest’uomo buono che esortava i Giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo; a suo modo di vedere questo rappresentava un preliminare necessario se il battesimo doveva rendere gradito a Dio. Essi non dovevano servirsene per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato commesso, ma come di una consacrazione del corpo insinuando che l’anima fosse già purificata da una condotta corretta."

Sempre i costruttori del cristianesimo se avessero eliminato la prima discesa di Vitellio nel 36 d.c., si sarebbero trovati senza giustificazioni per spiegare, la fine dell'obbligo di pagare il tributo, la sostituzione di Caifa, e soprattutto la richiesta riportata nel libro XX, 6 di Antichità, da parte del procuratore romano Fado di restituire la veste talare e l'abito sacro.

In seguito ti scriverò altre cosette, oggi invece, con grande dispiacere, devo scappare via. Un caro saluto.


Ultima modifica di Giovanni dalla Teva il 26/12/2009, 10:16, modificato 1 volta in totale.

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