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« Nel regno di chi cerca la verità non esiste nessuna autorità umana. Colui che tenta di recitarvi la parte di sovrano avrà a che fare con la risata degli dei » (Albert Einstein)

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vedere anche

Cita:
L’opificio di Pietrarsa ebbe un enorme sviluppo infatti prima dell’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna, dava lavoro a mille persone e con l’indotto di altre fabbriche site a San Giovanni a Teduccio che pure lavoravano materiale per la ferrovia, ne dava ad altre settemila persone.


da http://www.eleaml.org/sud/geo/pietrarsa.html

ciao
mauro



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MessaggioInviato: 03/07/2010, 23:43 
http://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_N ... etrarsa.29
http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_Nazi ... _Pietrarsa



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MessaggioInviato: 03/07/2010, 23:51 
ora che l'italia e' in mano un branco di squinternati, che l'economia e' morta, l'industria e' morta, le banche sono morte, e tutto il resto ha un piede nella fossa e uno nella buccia di banana.....
ritorna fuori la s t r o n z a t a del sud che non ha voglia di lavorare, che sono mafiosi, e sopra e sotto..... e' ciclico, quando c'e' un governo tragico viene fuori sta roba.
ma chi ha deciso che la mafia deve stare in tutti i luoghi di potere? i politici a Roma! da sempre, chi fa scaricare i rifiuti tossici ? le imprese del nord! il sud e' nei fatti cio' che e' stato l'irak e ora l'afghanistan per gli stati uniti, una terra da "usare" senza rispetto, in mano alle mafie gestite in una sorta di associazione temporanea d'impresa con i potenti del nord. 60 anni di sta roba adesso e' una terra in ginocchio, e i suoi abitanti dovrebbero cominciare a far sparire le collusioni annidate ovunque o non avranno speranza, vivranno sempre di piu' di espedienti, sara' una enorme favelas!
allora si che la secessione sara' probabile, e realizzabile da 4 cretini padani in doppio petto , ma ora e' presto, devono finire di sfruttarla le ecomafie , i cummenda del nord e dal suo interno la criminalita' organizzata.
purtroppo questi casini perdurati nel tempo hanno determinato anche arretratezza, ignoranza, poverta' che sono le basi della criminalita', la sanita' e' in una situazione indescrivibile, il lavoro e'...nero, insomma il futuro e' per pochi, e indovinate chi?
a chi vive al sud dico con rispetto e fratellanza, datevi da fare! tirate su la testa perche' il nord vi finira' di stritolare, poi faranno la secessione, troveranno il modo, e comunque faranno leggi regionali che vi lasceranno le chiavi di un forziere ....vuoto, e con quello ci farete di conto.



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Se a ciascun l'interno affanno si vedesse in fronte scritto quanti che invidia fanno ci farebbero pietà
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MessaggioInviato: 04/07/2010, 00:16 
Dark prima dell'unità di Italia in che condizioni pensi che versassero le casse del Piemonte sabaudo?
10 punti a chi lo sa [;)]
Per chi non lo sa, ne parleremo comunque...

Intanto, ecco com'era arretrato il regno delle due sicilie:




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MessaggioInviato: 04/07/2010, 09:08 
(A Nord facevano la ... fame).



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Immagine Operatore Radar Difesa Aerea (1962 - 1996)
U.F.O. "Astronavi da altri Mondi?" - (Opinioni personali e avvenimenti accaduti nel passato): viewtopic.php?p=363955#p363955
Nient'altro che una CONSTATAZIONE di fatti e Cose che sembrano avvenire nei nostri cieli; IRRIPRODUCIBILI, per ora, dalla nostra attuale civiltà.
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MessaggioInviato: 04/07/2010, 12:20 
Il meridione ha avuto pochi "Antonio Genovesi" o "Gaetano Filangieri" per trasformarsi in una società moderna e compiuta.
Filangieri poi voleva 'modernizzare' il sud senza mettere in discussione clero e nobilità. Mi ricorda Gorbaciov che volle trasformare l'unione sovietica senza mettere in discussione l'esistenza stessa del regime comunista

Dopo la carellata di 'giocattolini' x i principi meridionali viziati ...Qualche documento


LA QUESTIONE MERIDIONALE:DAL 1861 DIBATTITI INFINITI

"..L'agricoltura non conosce in queste zone alcuna trasformazione di tipo capitalistico, laddove domina invece un tipo di organizzazione e di
gestione di chiara origine feudale. Alla media e piccola proprietà diffusa nel centro e nel nord Italia si contrappone al sud l'immensa distesa del latifondo, di proprietà di una borghesia assenteista che ha rivelato non solo le proprietà ma anche gli usi e i modi dell'aristocrazia..."

[color=maroon]"...I vastissimi appezzamenti di terreno sono concessi in affitto ai contadini o vengono coltivati facendo ricorso alle masse di braccianti, seguendo tecniche in uso da secoli.
Prevale al sud la coltivazione estensiva di grano destinato al mercato interno e all'auto- sostentamento, non competitivo sul piano internazionale per costi e metodi di produzione.
La borghesia meridionale non era disposta a reinvestire i propri profitti nelle imprese agricole, che pertanto rimanevano in condizioni di arretratezza produttiva rispetto al nord Italia.
L'atteggiamento della borghesia meridionale dell'epoca viene così tratteggiato dallo storico Francesco Barbagallo:
"La classe borghese dei grandi e medi proprietari terrieri nasceva e si rafforzava al di fuori di un reale conflitto con la proprietà nobiliare, anzi aspirava ad imitarne i costumi e le abitudini, e mutava dalla feudalità caratteri e forme del tradizionale sfruttamento della terra e dei contadini. L'appropriazione borghese della terra non comportava il superamento dei rapporti agrari e sociali più arretrati."..


"..La crisi agricola e l'assenza pressoché totale di sviluppo industriale resero dunque evidente il deficit economico meridionale e indussero intellettuali e uomini politici ad interrogarsi sui motivi di questa persistente arretratezza che non accennava a diminuire ma anzi sembrava amplificarsi con il trascorrere degli anni.
Il primo ad interrogarsi risolutamente sulla questione meridionale fu Pasquale Villari che nel 1875 pubblicò le "Lettere Meridionali".
Uomo della destra storica, il Villari denunciò lo stato di crisi in cui versava il mezzogiorno, indagando soprattutto sull’inefficienza e la debolezza delle istituzioni politiche, che non erano riuscite a radicarsi nel territorio.
La difficile situazione del meridione poteva essere risolta, a suo parere, solo riavvicinando il governo ai contadini meridionali, operando quindi una netta svolta nella politica della Destra storica, che per raggiungere il pareggio di bilancio non aveva esitato ad imporre tassazioni impopolari al contadiname, cosa che aveva creato forti tensioni con il proletariato agrario e industriale sia del nord che del sud Italia..."

"...Sonnino, aristocratico e colto conservatore, era scandalizzato dalle pratiche sociali ed economiche adottate dalla borghesia terriera meridionale, interessata solo a sfruttare al massimo le proprie risorse e i propri dipendenti.
Il problema del Mezzogiorno, sosteneva giustamente Sonnino, era la permanenza a livello economico ma anche sociale della proprietà latifondista di origine feudale, che impediva lo sviluppo di una moderna economia di mercato..."


"...Per risolvere la crisi, Sonnino sosteneva la necessità di una moderata riforma dei patti agrari e più in generale intendeva esportare nel sud Italia il modello mezzadrile in vigore in Toscana. Proprio in questa aspirazione a riproporre il modello paternalistico toscano - di cui egli stesso era interprete - stava il grave limite dell’analisi sonniniana, incapace di comprendere l’enorme diversità di ispirazioni e storia tra l’alta borghesia settentrionale e quella meridionale, interessata solo “ alla massima accumulazione di capitale”..."

"...Al nord infatti esiste, almeno in nuce, una struttura industriale pronta a cogliere i benefici derivanti dalle tariffe protezionistiche e anzi è proprio la classe imprenditrice del nord a domandare l’applicazione di queste leggi.
Al sud, al contrario, non esistono poli industriali di rilievo, perché i pochi presenti sono stati spazzati via dalla concorrenza sorta durante i primi anni di libero mercato. La tariffa protezionistica avvantaggia in questo senso indubbiamente il nord Italia, amplificando le distanze con il mezzogiorno.
Eppure, a varare queste tariffe, è il primo governo della Sinistra Storica, guidato da De Pretis, politico di origine meridionale, ed espressione del crescente peso politico delle regioni del sud d’Italia. Perché dunque i politici meridionali accettano passivamente questo blocco protezionista che affossa l’economia meridionale?...
La borghesia latifondista del sud viene avvantaggiata da dazi doganali che mantengono forzatamente competitiva la produzione agricola sul mercato interno, anche se questa si basa su processi di produzioni arcaici e arretrati..."

"...La produzione di cereali, che ad esempio sarebbe stata spazzata via dalla concorrenza dei prodotti americani, si mantiene viva proprio grazie alla protezione doganale.
L’accordo tra produttori del nord e latifondisti del sud ha però conseguenze estremamente negative per il meridione.
Il vecchio sistema di sfruttamento economico in vigore al sud viene artificialmente mantenuto in vita e con esso si cristallizza anche l’arcaico sistema sociale già descritto e criticato da Sonnino.
La proprietà agraria meridionale continua nel suo sfruttamento della classe contadina e nei suoi atteggiamenti feudali, conservando e anzi rafforzando il proprio potere politico attraverso l’alleanza con gli industriali del nord.
Ma questi ultimi hanno in realtà la guida del paese e costituisco il settore più moderno e avanzato dell’economia italiana e lentamente al nord l’incremento della produzione industriale dà benefici anche al proletariato industriale, seppure attraverso numerosi momenti di crisi, come quello attraversato a fine secolo.
Il consolidarsi del blocco di potere dominante non impediva tuttavia l’emergere di voci di dissenso, che riproponevano il problema dell’arretratezza del mezzogiorno...."

"...L’esigenza di combattere il diffuso razzismo verso i meridionali - accusati di pigrizia e indolenza - e di sfatare il mito del sud come terra opulenta, lo indusse ad una descrizione minuziosa della realtà fisica del meridione.
L’arretratezza del meridione era dunque almeno in parte dovuta alle difficoltà ambientali che dovevano affrontare i suoi abitanti, come i terreni argillosi e cretosi, le lunghe siccità, la malaria e l’isolamento geografico.
Ovviamente lo stesso Fortunato era consapevole che da solo quest’argomento era insufficiente per rendere conto delle difficoltà in cui versava il meridione, ma lo utilizzava per spazzare il campo da facili pregiudizi che si andavano diffondendo anche per la crescente popolarità delle tesi di Lombroso.
Fatte queste premesse Fortunato procedeva ad una analisi critica della situazione, accusando anch’egli la borghesia meridionale per la totale mancanza d’intraprendenza economica..."


"...Dapprima Fortunato ritenne di poter individuare nello Stato unitario il motore della trasformazione meridionale, attraverso un nuovo orientamento della politica fiscale e doganale e tramite l’onesta amministrazione della cosa pubblica.
Ma presto questa speranza in uno Stato “ così forte di autorità e di mezzi da condurre tutto il popolo italiano sulle vie della coltura della morale della pubblica ricchezza” venne meno e Fortunato ricerco altrove i possibili correttivi della situazione. Ripose quindi le sue speranze nello sviluppo di una economia pienamente liberista ma dovette ammettere che vane erano le speranze nelle “libere energie vitali” della borghesia meridionale.
Fu così che egli si orientò su posizioni decisamente pessimistiche, nel quale come ha scritto Franco Gaeta “ a lui non sarebbe stato possibile che abbracciare un pessimismo radicale e virile nel quale la condanna della borghesia meridionale avrebbe fatto tutt’uno con la censura apposta a tutto il processo risorgimentale...."

"...Nitti, che nel primo dopoguerra diventerà presidente del consiglio. Pur senza concessioni all’autocommiserazione vittimistica, Nitti sottolineava come la povertà del meridione fosse in parte determinata da un processo di unificazione che aveva sottratto ricchezze al sud attraverso la tassazione per riversarle sotto forma di spese pubbliche al nord Italia.
L’analisi di Nitti, parzialmente veritiera, non conduceva però ad una assoluzione della borghesia meridionale, i cui modi venivano anzi duramente criticati: ”E’ innegabile che politicamente i meridionali abbiano rappresentato un elemento di disordine.
Le loro amministrazioni locali vanno, d’ordinario, male; i loro uomini politici non si occupano, nel maggior numero, che di partiti locali”. Come modificare la situazione che vedeva il sud-Italia arretrato economicamente ma anche politicamente e socialmente?.."


"...La risposta di Nitti era nello sviluppo dell’industria anche nel meridione.
La trasformazione industriale avrebbe modificato anche la società, stimolando la nascita di una borghesia produttiva.
E per sviluppare l’industria, occorreva una decisa azione del governo, che doveva sopperire alla mancanza di capitali disponibili per gli investimenti. Come fare?
Lo Stato avrebbe dovuto anzitutto varare una riforma tributaria che favorisse gli investimenti produttivi nel sud soprattutto da parte dell’industria settentrionale che era in fase espansiva e aveva capitali da investire, oltre che tecnici e imprenditori capaci di avviare il progetto.
Aspetto principale della riforma proposta da Nitti era l’avviamento di un processo di industrializzazione di Napoli, città che stava attraversando un crescente degrado:
“ Il disordine della vita pubblica quale esso sia, è poca cosa di fronte al disordine profondo, alla depressione crescente della vita economica[...] Molte sono le forze ritardatrici: poche e scarse quelle che operano in senso utile. La borghesia è composta in gran parte da avvocati e medici: di classi che vivono dunque di due calamità sociali: la lite e la malattia; mancano, fatte pochissime eccezioni, elementi industriali operosi.
”Napoli doveva dunque trasformarsi in un polo industriale capace di dare nuovo respiro all’economia meridionale e per farlo era necessario un deciso intervento dello Stato, che in deroga ai principi liberali avrebbe potuto ad esempio municipalizzare la produzione energetica per favorire lo sviluppo di nuovi stabilimenti...."

"...La borghesia intellettuale meridionale – notai, medici, avvocati, insegnanti - era infatti secondo Gramsci la custode e la garante del potere dei capitalisti del nord, a cui assicurava la pace sociale nel meridione ottenendone in cambio incarichi all’interno delle amministrazioni locali e favori clientelari.
Per Gramsci, anche grandi intellettuali come Croce con il sostegno dato al mito del buon governo costituivano un sostegno irrinunciabile per il mantenimento della status quo meridionale, narcotizzando quelle istanze rivoluzionarie delle masse contadine che sole avrebbero potuto risolvere il problema del mezzogiorno. .."

[/color]




http://www.storiain.net/arret/num101/artic3.asp



Stralci di un meridionalista convinto, Antonio Grasso.


".. Mancava la cosa più importante: la ricca borghesia imprenditrice [4] e la classe operaia. Mancava un forte substrato sociale e consapevole su cui costruire una società solidale [5].

[color=maroon]La mancanza di una classe borghese e operaia diffusa nel regno faceva si che nei bassi della capitale o delle città più importanti e a pochi chilometri da esse, nelle campagne, cominciasse la miseria ed il degrado sia fisico che civile. I “lazzari” saranno stati una “simpatica” curiosità per i viaggiatori ma non erano certamente un segno di benessere!..
...Purtroppo quella rivoluzione ormai fuori tempo, la repressione violenta operata dalle truppe del cardinale Ruffo, il taglio netto con gli intellettuali, impedirono lo sviluppo dell’imprenditorialità che aveva visto il sorgere di promettenti industrie che riguardavano la lavorazione del lino e della canapa, le fonderie, gli stabilimenti meccanici, i cantieri navali, il legno, la trasformazione dei prodotti della terra. .."


"...Duecento anni fa il regno meridionale non aveva niente da invidiare a nessuno e, in Italia , per popolazione, forma urbana, arte, rapporti con l'estero, era tra i primi. Poi accadde qualcosa, una rivoluzione fuori tempo e soprattutto senza “corpo”. Il centro della vita rimase quello di sempre: di qua la plebe, di là gli aristocratici, il piano nobile e il “vascio”. Non si può istaurare una democrazia se non c’è un popolo che la esercita. Non bastano “repubbliche” né “costituzioni” se la società è costituita soltanto da due fasce estreme, i servi e i padroni. Londra e Parigi, che avevano gli stessi problemi, andarono avanti: ebbero la rivoluzione borghese e industriale e man mano instaurarono la democrazia. Realizzarono ciò che G.B. Vico aveva teorizzato da tanto tempo: posero davanti a tutto il diritto delle genti. ..."

"...Non dissimile da allora è oggi la situazione in buona parte dei territori meridionali: la mancanza di una classe sociale intermedia matura, capace di muoversi in maniera indipendente e socialmente. Ci troviamo di fronte ad una massa amorfa, ignorante, a-sociale, disposta solo a farsi sfruttare nel miraggio di un facile guadagno quotidiano. Niente di nuovo rispetto al popolo dei “lazzari” con la differenza che oggi lo sfruttatore non è l’aristocrazia “illuminata” ma la criminalità..."

"...Colpisce ancor più l'ignoranza della storia. Napoli non è una città qualunque, ma una delle due (ex) capitali italiane (l'altra è Milano) che non hanno assimilato l'illuminismo dall'esterno, ma l'hanno prodotto in loco. Nel Settecento la patria di Giambattista Vico è stata una delle più importanti metropoli europee, assieme a Parigi, Londra, Vienna, Pietroburgo e Madrid, e ha sviluppata una sottile vocazione razionalista, ben rappresentata da Filangieri, Cuoco, Giannone e tanti altri. Ma nell'Ottocento l'eredità illuminista era stata persa di vista. E così il velo di civiltà che copriva una plebe immensa e via via sempre più povera, deportata dalle campagne e stipata nei bassi, si era rotto e la città era rimasta senza educatori..."

"..il problema odierno dei “fetenti”, cioè di quella enorme massa di napoletani che vivono nella violenza, malvivenza ed ignoranza, è tuttora insoluto proprio per l'incapacità di formare una classe media, istruita quanto basta per farle riconoscere ed amare la legalità. Napoli si delinea così come un “luogo”, dove vivono comunità diverse che si disprezzano tra di loro, in un'incomunicabilità sociale che salva solo le apparenze..."

"... Indicativa della perdita dei valori dell’illuminismo fu la maniera di diffusione della costituzione siciliana del 1812: non ci fu una versione “in siciliano”, ma la divulgazione e l’interpretazione per il popolo fu affidata ai “preti”, unico "mezzo di comunicazione/ persuasione/ superstizione/ coercizione" tra classi che, pur vivendo fisicamente nello stesso “topos”, erano tra di loro distanti anni luce: i padroni, grandi o piccoli, ma pur sempre padroni, l’aristocratico ed i suoi “campieri” e i servi da sfruttare e manipolare.

Tutti attaccatissimi alla terra, alla città, alla civiltà, ai prodotti, alla cultura … nessuno però che si curi di "uomini": l'umanità si ferma alla famiglia e agli antenati, i simili non esistono, o tutt'al più sono un fastidio.

È questo eccesso di individualismo che sta alla base dell'asocialità meridionale, sfruttata e alimentata ad arte da approfittatori-politici-malviventi di varie latitudini. L'eccesso di individualismo genera anche la perversa questione sociale, cioè la comunità (sic!) suddivisa economicamente in caste, e razzialmente in "signori" e "popolo".

Tra la fine del 700 ed oggi non c'è molta differenza, in fondo!.."[/color]

http://www.ilportaledelsud.org/questione_sociale.htm



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[^]The best quote ever (2013 Nonsense Award Winner):
«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
© Anonymous/The Irish Rovers
http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/
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caro rmnd,
premetto che io sono "piemontese" [;)]

Situazione prima dell'Unità [modifica]
Mappa del XIX secolo del Regno delle Due SicilieL'economia dell'Italia preunitaria era, in genere,svantaggiata rispetto quella degli altri Stati dell'Europa occidentale. A metà Ottocento, tuttavia, in alcune regioni del Paese si stava avviando un certo sviluppo industriale, sebbene con modalità alquanto disomogenee. In Lombardia, la produzione della seta innescò una crescita del settore legato alla meccanizzazione dei processi produttivi. In Piemonte lo sviluppo industriale fu favorito dall'apertura dei mercati e dall'investimento pubblico sotto forma soprattutto di infrastrutture (ferrovie, porti, canali e strade), grazie alla lungimiranza del governo Cavour. Il Sud si avviava pure all'industrializzazione, che divenne presto notevole in diverse aree del casertano e della provincia di Napoli, mentre sorgevano alcuni impianti siderurgici in Calabria, a Mongiana e Ferdinandea. Lo Stato dei Borbone costruì lo stabilimento metallurgico di Pietrarsa, nel napoletano, enorme insediamento industriale polifunzionale. Per proteggere queste industrie, soprattutto quelle del settore tessile, il governo borbonico adottò una politica protezionistica, alzando una barriera daziaria contro le importazioni di merci estere. Queste aziende però erano spesso frutto di investimenti pubblici. Quando crollo quindi questo sistema protezionistico le industrie del sud vennero travolte per la loro bassa competitività. Anche per ciò che riguarda il sistema infrastrutturale i due tronconi d'Italia imboccarono strade diverse. Se il Regno di Sardegna fece notevoli investimenti nel settore ferroviario, dotandosi di un sistema di comunicazione interno e con i paesi confinanti, il Regno delle Due Sicilie, dove pure fu realizzata la prima ferrovia d'Europa, preferì favorire il trasporto via mare. In campo marittimo, infatti, le regioni meridionali disponevano già di uno sviluppo costiero notevole e sicuramente superiore a quello degli altri Stati pre-unitari e di una favorevole posizione al centro del Mediterraneo. La flotta mercantile borbonica era la terza in Europa per numero di navi e per tonnellaggio complessivo [1] Peraltro, fu a Napoli che venne costruita la prima nave a vapore nel Mediterraneo (1818)[2] nonché la prima nave italiana con propulsione ad elica, il Giglio delle Onde.

Dal punto di vista delle finanze pubbliche, il bilancio del Regno delle Due Sicilie non si indebitò mai al livello in cui si trovava il Regno di Sardegna. La pressione fiscale era la più bassa d'Europa, a causa della polarizzazione fortissima delle ricchezze. I conti pubblici piemontesi invece erano stati gravemente inficiati dalla politica espansionistica adottata da Cavour e dagli investimenti nello sviluppo di infrastrutture primarie (ferrovie, strade, canali d'irrigazione), resi necessari dalla volontà del Regno di Sardegna di modernizzare la propria economia per inserirla nei circuiti commerciali continentali. Con la nascita dell'Italia unita l'attivo di bilancio del Regno delle Due Sicilie fu incamerato nelle casse del neonato Stato italiano. Finiscono così al Nord 443 milioni di lire d'oro, quando tutte le banche degli altri Stati preunitari detenevano un patrimonio totale di 148 milioni[3].L'Italia unita ebbe poi un primo vero impulso verso la seconda industrializzazione nell'ultimo scorcio del secolo, con il governo Giolitti, quando furono privilegiate le aree del Nord del Paese.
da
http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale

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mauro ha scritto:

caro rmnd,
premetto che io sono "piemontese" [;)]

Situazione prima dell'Unità [modifica]
Mappa del XIX secolo del Regno delle Due SicilieL'economia dell'Italia preunitaria era, in genere,svantaggiata rispetto quella degli altri Stati dell'Europa occidentale. A metà Ottocento, tuttavia, in alcune regioni del Paese si stava avviando un certo sviluppo industriale, sebbene con modalità alquanto disomogenee. In Lombardia, la produzione della seta innescò una crescita del settore legato alla meccanizzazione dei processi produttivi. In Piemonte lo sviluppo industriale fu favorito dall'apertura dei mercati e dall'investimento pubblico sotto forma soprattutto di infrastrutture (ferrovie, porti, canali e strade), grazie alla lungimiranza del governo Cavour. Il Sud si avviava pure all'industrializzazione, che divenne presto notevole in diverse aree del casertano e della provincia di Napoli, mentre sorgevano alcuni impianti siderurgici in Calabria, a Mongiana e Ferdinandea. Lo Stato dei Borbone costruì lo stabilimento metallurgico di Pietrarsa, nel napoletano, enorme insediamento industriale polifunzionale. Per proteggere queste industrie, soprattutto quelle del settore tessile, il governo borbonico adottò una politica protezionistica, alzando una barriera daziaria contro le importazioni di merci estere. Queste aziende però erano spesso frutto di investimenti pubblici. Quando crollo quindi questo sistema protezionistico le industrie del sud vennero travolte per la loro bassa competitività. Anche per ciò che riguarda il sistema infrastrutturale i due tronconi d'Italia imboccarono strade diverse. Se il Regno di Sardegna fece notevoli investimenti nel settore ferroviario, dotandosi di un sistema di comunicazione interno e con i paesi confinanti, il Regno delle Due Sicilie, dove pure fu realizzata la prima ferrovia d'Europa, preferì favorire il trasporto via mare. In campo marittimo, infatti, le regioni meridionali disponevano già di uno sviluppo costiero notevole e sicuramente superiore a quello degli altri Stati pre-unitari e di una favorevole posizione al centro del Mediterraneo. La flotta mercantile borbonica era la terza in Europa per numero di navi e per tonnellaggio complessivo [1] Peraltro, fu a Napoli che venne costruita la prima nave a vapore nel Mediterraneo (1818)[2] nonché la prima nave italiana con propulsione ad elica, il Giglio delle Onde.

Dal punto di vista delle finanze pubbliche, il bilancio del Regno delle Due Sicilie non si indebitò mai al livello in cui si trovava il Regno di Sardegna. La pressione fiscale era la più bassa d'Europa, a causa della polarizzazione fortissima delle ricchezze. I conti pubblici piemontesi invece erano stati gravemente inficiati dalla politica espansionistica adottata da Cavour e dagli investimenti nello sviluppo di infrastrutture primarie (ferrovie, strade, canali d'irrigazione), resi necessari dalla volontà del Regno di Sardegna di modernizzare la propria economia per inserirla nei circuiti commerciali continentali. Con la nascita dell'Italia unita l'attivo di bilancio del Regno delle Due Sicilie fu incamerato nelle casse del neonato Stato italiano. Finiscono così al Nord 443 milioni di lire d'oro, quando tutte le banche degli altri Stati preunitari detenevano un patrimonio totale di 148 milioni[3].L'Italia unita ebbe poi un primo vero impulso verso la seconda industrializzazione nell'ultimo scorcio del secolo, con il governo Giolitti, quando furono privilegiate le aree del Nord del Paese.
da
http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale

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Si ma l'assetto complessivo della società che rende arretrato o meno un paese rispetto ad un altro.

Piccoli esempi sparsi di discutibili quanto effimeri primati non fanno il meridione pre unitario quella terra di latte e miele che un certo revisionismo meridionalista intende propinarci.

"..La pressione fiscale era la più bassa d'Europa, a causa della polarizzazione fortissima delle ricchezze..."

già questo trafiletto il cui significato dev'essere sfuggito al wikipedista pro-regnodelle2sicilie fa capire che la ricchezza di un paese non è sinonimo di progresso.

Io la vedo così:
Oggi con un certo spirito masochista misto a sindrome di Stoccolma si tenta di riabilitare il regno delle 2 Sicilie.
Chi sposa in pieno la causa del meridionalismo tende in un certo qual modo a riabilitare i suoi vessatori , aguzzini, signorotti viziati. Riabilitando coloro che hanno schiacciato il meridione fino all'Unità d'Italia.
Mentre si sputa su un personaggio come Garibaldi che rischiò la propria pelle per liberare i meridionali dai loro auguzzini.

Il meridionalista convinto preferiva forse un meridione succube dei capricci dell'aristocrazia locale invece della grande opportunità poi disattesa che l'Unità d'Italia prometteva di offrire?

Che le cose poi non sono andate nel verso giusto penso che lo stesso Garibaldi sia rimasto profondamente deluso leggendo le sue lettere post-unificazione.



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MessaggioInviato: 04/07/2010, 14:27 
Rmnd, il Regno delle due Sicilie, non era una terra di latte e miele, come non lo erano le terre del nord. Sicuramente esistevano situazioni disomogenee dovuto tanto all'alternarsi continuo delle dominazioni che al protezionismo estero, situazioni peraltro comuni anche alle grandi capitali europee... Non dimentichiamoci che "i miserabili" era ambientato a Parigi; Scrive lo storico inglese Trevelyan, nella Storia dell’Inghilterra nel secolo XIX: “Ancora nel 1842 la Commissione reale delle miniere, che per prima gettò luce sulle condizioni di lavoro nell’Inghilterra sotterranea ebbe questi dati [dai minatori]: … “porto una cintura e una catena che mi passa tra le gambe e devo camminare a quattro zampe. L’acqua mi arriva in cima gli stivaloni; me la sono vista anche sino alle cosce. Dalla fatica del tirare sono tutta scorticata. La cintura e la catena ci fanno soffrire di più di quando siamo incinte”. Venne scoperto anche che bambini sotto i cinque anni lavorano al buio” (Cesare Bertoletti, Il Risorgimento visto dall’altra sponda, Berisio,)
Inoltre sicuramente come ogni città in cui veniva avviato il processo di industrializzazione esisteva un divario fra città e campagna.
Ma non era sicuramente nè una terra di barbari, nè arretrata dal punto di vista culturale e ideologico, tanto più che fu proprio la critica liberista degli economisti meridionali esiliati per ragioni politiche a decretare che le industrie delle due sicilie fossero "baracconi da regime". Ma è chiaro che non si trattava di una critica basata sul fatto, ma su un ideologia e che venne strumentalizzata dalla monarchia sabauda. Anche allora come ora infatti si usavano questi trucchetti per screditare l'avversario politico [;)].
E il fatto di porre l'accento su quelli che furono i primati e l'eccellenza di quella che fu la vera storia del sud, non significa voler riabilitare i vecchi dominatori, per quanto questi non furono i tiranni avidi e predoni di stampo feudale per i quali si volle farli passare, ma piuttosto è un metter mano ai FATTI storici per smentire proprio l'accusa che l'attuale lassismo meridionale sia la connotazione storica di un popolo.


"È vero che il principio su cui era basata l’economia borbonica era quello di uno sviluppo guidato
e sostenuto dallo Stato che salvaguardasse gli interessi dei ceti popolari e l’autosufficienza del
Mezzogiorno in tutti i settori, ma è altrettanto vero che ci si deve pur chiedere dove finissero i
prodotti delle fabbriche meridionali che erano ai vertici delle industrie italiane (come vedremo in
seguito) e che avevano una produzione di manufatti chiaramente superiore alla capacità di
assorbimento del mercato interno meridionale, come pure a cosa servisse la poderosa flotta
mercantile del Sud, che era la quarta del mondo come tonnellaggio, la cui bandiera garriva in
tutti i porti (per esempio, in Francia, era seconda, come presenza, solo a quella inglese).
È vero che i dazi sull’esportazione dei prodotti alimentari non erano certo di impostazione
liberista, ma essi facevano parte di una politica economica statale che permetteva di vendere i
generi di prima necessità ad un prezzo bassissimo, oggi si direbbe “politico”, soddisfacendo in
questo modo le esigenze alimentari della popolazione; tutte le fonti, anche le più accese
antiborboniche, concordano unanimemente nel confermare che nel meridione d’Italia si viveva
con pochissimo; questo, però, non soddisfaceva gli interessi dei proprietari terrieri che
divennero, anche per questi motivi, i più acerrimi nemici della Monarchia meridionale e
interessati fautori dell’unità d’Italia."

"Aggiungiamo, infine, che a uno stato come il Piemonte, che era sull’orlo del collasso economico,
sarebbe stato fatale appropriarsi di una nazione che la critica antimeridionale vuole per forza
dipingere come economicamente a terra e sarebbe stato stupido, e stupido certo non lo era, il
banchiere Rothschild, che teneva in pugno lo stato sabaudo grazie ai suoi prestiti e che aveva
quindi tutto l’interesse che fosse solvibile, non “avvertire” Cavour della non convenienza
dell’operazione; in realtà, per i motivi suddetti, il Sud era un frutto golosissimo che avrebbe
risolto tutti i problemi finanziari della nazione subalpina."

da : IL SUD E L’UNITÀ D’ITALIA - GIUSEPPE RESSA



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MessaggioInviato: 04/07/2010, 17:58 
Istat: un giovane su 3 disoccupato, record a 29,2%
Inps, a giugno richieste cig -11,4%; in 6 mesi +71,2%

ROMA - Quasi un giovane su tre in Italia e' senza lavoro ma nel mese di giugno sono calate le richieste di cassa integrazione. Il tasso di disoccupazione nella fascia di eta' 15-24 anni continua a salire e ad inanellare nuovi record: a maggio - fa sapere l'Istat - e' arrivato a toccare il 29,2%. Il livello piu' alto da quando esistono le relative serie storiche dell'Istituto di statistica, ovvero dal 2004.

Un tasso che risulta oltre tre volte maggiore della media generale, la quale si attesta all'8,7%, confermandosi stabile per il terzo mese consecutivo.

A giugno le ore di cig, rende noto l'Inps, sono calate a 103,5 milioni da 116,8 milioni del mese precedente, segnando una flessione dell'11,4%. Nel complesso del primo semestre dell'anno, le ore autorizzate di cig sono state 636,1 milioni contro 371,5 milioni del corrispondente periodo 2009, con un incremento complessivo del 71,2%.

Secondo i tecnici dell'Istat si puo' parlare di ''un minor deterioramento'' del mercato del lavoro. Che pero' non basta ai sindacati, con Cisl e Uil che parlano di dati ''non piu' sostenibili'' e ''preoccupanti'', ''gravissimi'' secondo la Cgil, e chiedono con urgenza misure per ridare fiato all'occupazione, partendo da un impulso concreto per i giovani. Dall'altro, il Governo con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sottolinea, invece che sono ''dati molto incoraggianti'', considerando che in Italia il tasso di disoccupazione si e' ''bloccato'' all'8,7%, ''rispetto ad una media Ue del 10%''.

Quanto ai giovani ''non e' una novita''', dice, ''sappiamo che il tasso e' alto''. La ''risposta'' e' quella di ''investire'' su formazione e apprendistato. Proprio i giovani, infatti, ormai da mesi soffrono delle difficolta' di inserimento occupazionale e il tasso dei senza lavoro tra i 15 e i 24 anni continua a salire costantemente. Insieme ai giovani, le donne: il tasso di disoccupazione femminile e' anch'esso salito, arrivando al 10,1%, in aumento rispetto ad aprile di 0,1 punti percentuali. Al contrario quello maschile si attesta al 7,7%, stabile sul mese precedente.

E, mentre il numero dei disoccupati uomini segna una diminuzione dello 0,6% rispetto al mese precedente; le donne senza un lavoro aumentano, invece, sempre nel confronto su mese, dello 0,3%. Sale anche il tasso di inattivita', al 37,7%. Guardando agli occupati, a maggio, sempre secondo le stime provvisorie dell'Istat (su dati destagionalizzati), il mercato italiano ha perso 262 mila posti di lavoro, nel confronto annuo (-1,1%) e 38 mila su aprile (-0,2%). Il calo congiunturale e' da ascrivere esclusivamente alla componente femminile. Di qui la richiesta delle organizzazioni sindacali di intervenire.

''Il prezzo che stanno pagando i giovani, in particolare, e le donne, non e' piu' sostenibile'', dice il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini. Parla di una situazione ''preoccupante, quanto perdurante, di malessere del mercato del lavoro italiano'', il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy, che chiede di mettere in campo, oltre alla proroga della cassa in deroga, gli strumenti per ''far ripartire l'occupazione e aiutare i giovani''. Ossia incentivi alle imprese e rilancio dell'apprendistato. Su questo, accompagnato dalla formazione, insiste anche la Cisl che sollecita misure ''urgenti''.

''Stiamo lavorando - sottolinea Sacconi - con Regioni e parti sociali per realizzare un'intesa quadro per il rilancio dell'apprendistato''. Ma per la Cgil ''i dati Istat confermano i gravissimi problemi dell'occupazione in Italia'', dice il segretario confederale Fulvio Fammoni, secondo cui ''tutto questo si registra mentre ancora centinaia di migliaia di persone sono tutelate dalla cassa integrazione. Ma cosa accadra' nei prossimi mesi?'', chiede. Non ci sta neppure il Pd. Dati incoraggianti? ''E' qualcosa che, se non parlassimo di un dramma, potremmo definire grottesco'', replica il segretario dei Giovani Democratici, Fausto Raciti.

Fonte
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 78916.html


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MessaggioInviato: 04/07/2010, 18:03 
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rmnd ha scritto:


Si un colpo di stato...ma tanto finirebbe tutto a tarallucci e vino...

Cota...non è con le fiaccolate che ci si difende da un tentativo di colpo di stato...e neanche con certi cartelli "oggi le fiaccolate , domani i fucili".
Ma domani cosa? semmai oggi le fiaccolate e domani tutti a casa con la coda tra le gambe.

Cambiate invece queste leggi che consentono a un tribunale qualunque di vanificare un risultato elettorale.

Cota sale al Colle: Rischi dall' annullamento del voto

Il caso Piemonte arriva al Quirinale. Ieri mattina, il presidente Roberto Cota è stato ricevuto da Giorgio Napolitano.

... il governatore ha voluto sottoporre all' attenzione del presidente della Repubblica la situazione del Piemonte, sul quale pende la spada di Damocle di un eventuale ritorno alle urne nel caso in cui il Tar dovesse accogliere i ricorsi presentanti dal centrosinistra.

La sentenza è attesa per giovedì prossimo, ma potrebbe slittare al 15 luglio per consentire ai legali del Carroccio di esaminare gli atti dell' inchiesta penale sulle firme della lista "Pensionati per Cota" e che saranno depositati al Tar martedì.

Le conseguenze, ha detto Cota a Napolitano, potrebbero comportare anche un rischio per l' ordine pubblico.

La visita al Quirinale conferma la grande preoccupazione della Lega e di tutto il centrodestra piemontese e l' intervista rilasciata ieri alla Padania riaccende i toni del dibattito politico con l' opposizione.

«Se venissi spodestato dalla sentenza del Tar - sono le parole del presidente attuale - sarebbe un colpo di Stato».

A Cota che ipotizza «manovre del centrosinistra per rifare le elezioni», replica con durezza il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando:
«Mi pare che le dichiarazioni del presidente facciano pensare che lui sia per il governo degli uomini e non per quello delle leggi».

E la fiaccolata organizzata dal centrodestra per lunedì sera «appare sempre più un' iniziativa volta ad intimidire la magistratura».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/06/26/cota-sale-al-colle-rischi-dall-annullamento.html



Vediamo se riescono a fare il bis-golpista

Formigoni go home - 8 luglio la sentenza

http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/lombardia/2010/06/formigoni-go-home---8-luglio-la-sentenza-1.html



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MessaggioInviato: 04/07/2010, 18:09 
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rmnd ha scritto:

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rmnd ha scritto:


Si un colpo di stato...ma tanto finirebbe tutto a tarallucci e vino...

Cota...non è con le fiaccolate che ci si difende da un tentativo di colpo di stato...e neanche con certi cartelli "oggi le fiaccolate , domani i fucili".
Ma domani cosa? semmai oggi le fiaccolate e domani tutti a casa con la coda tra le gambe.

Cambiate invece queste leggi che consentono a un tribunale qualunque di vanificare un risultato elettorale.

Cota sale al Colle: Rischi dall' annullamento del voto

Il caso Piemonte arriva al Quirinale. Ieri mattina, il presidente Roberto Cota è stato ricevuto da Giorgio Napolitano.

... il governatore ha voluto sottoporre all' attenzione del presidente della Repubblica la situazione del Piemonte, sul quale pende la spada di Damocle di un eventuale ritorno alle urne nel caso in cui il Tar dovesse accogliere i ricorsi presentanti dal centrosinistra.

La sentenza è attesa per giovedì prossimo, ma potrebbe slittare al 15 luglio per consentire ai legali del Carroccio di esaminare gli atti dell' inchiesta penale sulle firme della lista "Pensionati per Cota" e che saranno depositati al Tar martedì.

Le conseguenze, ha detto Cota a Napolitano, potrebbero comportare anche un rischio per l' ordine pubblico.

La visita al Quirinale conferma la grande preoccupazione della Lega e di tutto il centrodestra piemontese e l' intervista rilasciata ieri alla Padania riaccende i toni del dibattito politico con l' opposizione.

«Se venissi spodestato dalla sentenza del Tar - sono le parole del presidente attuale - sarebbe un colpo di Stato».

A Cota che ipotizza «manovre del centrosinistra per rifare le elezioni», replica con durezza il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando:
«Mi pare che le dichiarazioni del presidente facciano pensare che lui sia per il governo degli uomini e non per quello delle leggi».

E la fiaccolata organizzata dal centrodestra per lunedì sera «appare sempre più un' iniziativa volta ad intimidire la magistratura».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/06/26/cota-sale-al-colle-rischi-dall-annullamento.html



Vediamo se riescono a fare il bis-golpista

Formigoni go home - 8 luglio la sentenza

http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/lombardia/2010/06/formigoni-go-home---8-luglio-la-sentenza-1.html




Beh, almeno sarebbe divertente [8D]



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MessaggioInviato: 05/07/2010, 00:43 
OT, l'aereo di mister B: l' Air F U C K one ! [:D] fine OT

un po' di beppe grillo blog.

A piazza Navona c'era la D'Addario e c'erano i puttani del giornalismo e della politica italiana. La prima ha praticato la professione più antica del mondo, ma non la peggiore. I secondi si sono prostituiti per decenni e hanno trasformato l'informazione e la politica in un bordello. Il bavaglio è per loro una seconda natura e, se lo contestano, è perché sanno che sono arrivati al capolinea. Gli artefici dell'ascesa di Berlusconi, i suoi veri protettori, e qualche volta anche magnaccia, erano in piazza a pontificare. L'arrivo della D'Addario ha provocato un corto circuito.
La prima pietra l'ha lanciata Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale Stampa (FNSI): "Non è gradita". Parte del popolo dei "No alla legge bavaglio" l'ha fischiata e accolta al grido di: "Escort di **********". Una lapidazione pubblica della meretrice. La sua presenza era, per i padri nobili della sinistra e per i giornalisti a novanta gradi, (la loro posizione professionale preferita) un'offesa alla dignità. Il segretario della FNSI Franco Siddi ha declamato dal palco: "La libertà è soprattutto conoscenza. La Fnsi si opporrà con tutte le sue forze, oggi con la piazza e domani ricordando sui giornali, con articoli e servizi, i pericoli che stiamo correndo. Da parte nostra non ci fermeremo e siamo pronti, se il provvedimento fosse varato, a rivolgerci alla Corte Ue per i diritti dell'Uomo che certamente ci darebbe ragione". Alla D'Addario, sulle cui intercettazioni i giornali ci hanno campato un'intera estate, questa libertà è stata negata. Anche il pregiudicato pidmeoellino Enzo Carra si è alterato: "Sono qui per la libertà di informazione e trovo davvero squalificante che un evento così importante e imponente venisse monopolizzato dal protagonismo della signorina D’Addario". Lui può dirlo. A differenza della "signorina" ha frequentato le patrie galere che per questi politici sono come una medaglia al valore. Benedetta Buccellato dell'Associazione per il teatro italiano ha aggiunto: "Mi sembra eccessivo che una escort sia venuta qui nel retropalco a fare la sua conferenza stampa, è la vergogna della nazione". La vergogna della nazione, da non confondersi con la D'Addario, erano i giornalisti presenti imbavagliati dalla nascita e i politici che hanno permesso ogni legge ad personam, ogni conflitto di interessi e consegnato l'informazione nelle mani di Berlusconi.
In piazza c'erano Enrico Letta (il nipote di suo zio), Walter Veltroni, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Paolo Cento e persino il desaparecidos Bertinotti. Veltroni e Bertinotti, va ricordato, sono i due signori che hanno fatto cadere il primo e il secondo governo Prodi riconsegnando l'Italia a Berlusconi. Bersani ha rammentato la sofferenza di Morfeo Napolitano: "Il presidente della Repubblica ha ricordato con qualche amarezza che i suoi consigli non sono stati seguiti. Loro hanno voluto forzare calendarizzando il ddl sulle intercettazioni. A questo punto io sono perché il ddl venga ritirato. Lui si aspettava delle modifiche che a dire il vero ci aspettavamo tutti".
Due anni fa ci fu il secondo Vday. Libera informazione in libero Stato. Un milione e mezzo di firme per l'abolizione della legge Gasparri, dell'ordine dei giornalisti di mussoliniana memoria e del finanziamento pubblico ai giornali. Il giorno successivo la Repubblica attaccò la manifestazione con un editoriale in prima pagina, il Corriere della Sera lo citò appena, preferendo un'ampia intervista al politologo Dell'Utri e le televisioni lo ignorarono.
A piazza Navona erano presenti i puttani della Seconda Repubblica. Tutti nostri dipendenti, giornalisti e i parlamentari finanziati dalle nostre tasse. La D'Addario avrà i suoi difetti, ma almeno non è mantenuta da noi.
RAI:
La RAI è unica. Non moltiplica solo le balle, ma anche il pagamento del canone.
"La mia signora è purtroppo vedova con una figlia, io sono separato ed ho due figli; sei anni fa siamo andati a vivere insieme e prontamente, puntuale come la morte, la RAI ci ha raggiunto al nuovo indirizzo che avevamo ancora gli scatoloni in casa per chiedere AD ENTRAMBI il pagamento del pizzo (canone). Abbiamo allora prodotto documentazione attestante il fatto che eravamo conviventi allo stesso indirizzo e che il pizzo lo stavo pagando a mio nome. Sospese le richieste. Oggi si ripresentano chiedendo che anche la mia signora paghi un abbonamento, in quanto abitiamo sì insieme, ma abbiamo Stati di Famiglia separati (per nostra scelta). Siamo nel ridicolo: abbiamo una sola porta di casa, un letto unico, una bolletta del gas unica, i pannelli fotovoltaici condivisi, un televisore condiviso, ma dobbiamo pagare due volte il canone. Mi chiedo: ma degli studenti che dividono in sei in un appartamento, pagano sei volte il canone?Paese di **********!" Capo Eldero
Ps: Partecipa all'iniziativa: "Cancelliamo il canone RAI.
CRISI:
In Grecia hanno prima dichiarato lo stato di crisi e poi hanno fatto i tagli. In Italia si nega lo stato di crisi e si taglia comunque. L'italiano è come un carciofo, se gli togli una foglia alla volta è quasi contento. Si sente persino più leggero. Il taglio delle pensioni di invalidità, il congelamento degli stipendi statali, i pedaggi ai raccordi autostradali, l'aumento dell'età pensionabile sono l'ultima spiaggia. La Grecia si vende le isole? Noi la superiamo, mettiamo all'asta 11.009 beni con il federalismo demaniale, dal teatro Sacher al monte Cristallo. Se la crisi non viene annunciata non c'è. Quando si congeleranno i titoli di Stato diranno che è una misura temporanea. Se faranno un prelievo dai conti correnti ci spiegheranno che è per il rilancio del Paese. La parola crisi è tabù. Moriremo forse di fame, ma in buona salute. Tremorti ci spezza, ma non si piega.


Ultima modifica di dark side il 05/07/2010, 00:43, modificato 1 volta in totale.


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