Il meridione ha avuto pochi "Antonio Genovesi" o "Gaetano Filangieri" per trasformarsi in una società moderna e compiuta.
Filangieri poi voleva 'modernizzare' il sud senza mettere in discussione clero e nobilità. Mi ricorda Gorbaciov che volle trasformare l'unione sovietica senza mettere in discussione l'esistenza stessa del regime comunista
Dopo la carellata di 'giocattolini' x i principi meridionali viziati ...Qualche documento
LA QUESTIONE MERIDIONALE:DAL 1861 DIBATTITI INFINITI
"..L'agricoltura non conosce in queste zone alcuna trasformazione di tipo capitalistico, laddove domina invece un tipo di organizzazione e di
gestione di chiara origine feudale. Alla media e piccola proprietà diffusa nel centro e nel nord Italia si contrappone al sud l'immensa distesa del latifondo, di proprietà di una borghesia assenteista che ha rivelato non solo le proprietà ma anche gli usi e i modi dell'aristocrazia..."
[color=maroon]"...I vastissimi appezzamenti di terreno sono concessi in affitto ai contadini o vengono coltivati facendo ricorso alle masse di braccianti, seguendo tecniche in uso da secoli.
Prevale al sud la coltivazione estensiva di grano destinato al mercato interno e all'auto- sostentamento, non competitivo sul piano internazionale per costi e metodi di produzione.
La borghesia meridionale non era disposta a reinvestire i propri profitti nelle imprese agricole, che pertanto rimanevano in condizioni di arretratezza produttiva rispetto al nord Italia.
L'atteggiamento della borghesia meridionale dell'epoca viene così tratteggiato dallo storico Francesco Barbagallo:
"La classe borghese dei grandi e medi proprietari terrieri nasceva e si rafforzava al di fuori di un reale conflitto con la proprietà nobiliare, anzi aspirava ad imitarne i costumi e le abitudini, e mutava dalla feudalità caratteri e forme del tradizionale sfruttamento della terra e dei contadini. L'appropriazione borghese della terra non comportava il superamento dei rapporti agrari e sociali più arretrati.".."..La crisi agricola e l'assenza pressoché totale di sviluppo industriale resero dunque evidente il deficit economico meridionale e indussero intellettuali e uomini politici ad interrogarsi sui motivi di questa persistente arretratezza che non accennava a diminuire ma anzi sembrava amplificarsi con il trascorrere degli anni.
Il primo ad interrogarsi risolutamente sulla questione meridionale fu Pasquale Villari che nel 1875 pubblicò le "Lettere Meridionali".
Uomo della destra storica, il Villari denunciò lo stato di crisi in cui versava il mezzogiorno, indagando soprattutto sull’inefficienza e la debolezza delle istituzioni politiche, che non erano riuscite a radicarsi nel territorio.
La difficile situazione del meridione poteva essere risolta, a suo parere, solo riavvicinando il governo ai contadini meridionali, operando quindi una netta svolta nella politica della Destra storica, che per raggiungere il pareggio di bilancio non aveva esitato ad imporre tassazioni impopolari al contadiname, cosa che aveva creato forti tensioni con il proletariato agrario e industriale sia del nord che del sud Italia..."
"...Sonnino, aristocratico e colto conservatore, era scandalizzato dalle pratiche sociali ed economiche adottate dalla borghesia terriera meridionale, interessata solo a sfruttare al massimo le proprie risorse e i propri dipendenti.
Il problema del Mezzogiorno, sosteneva giustamente Sonnino, era la permanenza a livello economico ma anche sociale della proprietà latifondista di origine feudale, che impediva lo sviluppo di una moderna economia di mercato...""...Per risolvere la crisi, Sonnino sosteneva la necessità di una moderata riforma dei patti agrari e più in generale intendeva esportare nel sud Italia il modello mezzadrile in vigore in Toscana. Proprio in questa aspirazione a riproporre il modello paternalistico toscano - di cui egli stesso era interprete - stava il grave limite dell’analisi sonniniana, incapace di comprendere l’enorme diversità di ispirazioni e storia tra l’alta borghesia settentrionale e quella meridionale, interessata solo “ alla massima accumulazione di capitale”..."
"...Al nord infatti esiste, almeno in nuce, una struttura industriale pronta a cogliere i benefici derivanti dalle tariffe protezionistiche e anzi è proprio la classe imprenditrice del nord a domandare l’applicazione di queste leggi.
Al sud, al contrario, non esistono poli industriali di rilievo, perché i pochi presenti sono stati spazzati via dalla concorrenza sorta durante i primi anni di libero mercato. La tariffa protezionistica avvantaggia in questo senso indubbiamente il nord Italia, amplificando le distanze con il mezzogiorno.
Eppure, a varare queste tariffe, è il primo governo della Sinistra Storica, guidato da De Pretis, politico di origine meridionale, ed espressione del crescente peso politico delle regioni del sud d’Italia. Perché dunque i politici meridionali accettano passivamente questo blocco protezionista che affossa l’economia meridionale?...
La borghesia latifondista del sud viene avvantaggiata da dazi doganali che mantengono forzatamente competitiva la produzione agricola sul mercato interno, anche se questa si basa su processi di produzioni arcaici e arretrati..."
"...La produzione di cereali, che ad esempio sarebbe stata spazzata via dalla concorrenza dei prodotti americani, si mantiene viva proprio grazie alla protezione doganale.
L’accordo tra produttori del nord e latifondisti del sud ha però conseguenze estremamente negative per il meridione.
Il vecchio sistema di sfruttamento economico in vigore al sud viene artificialmente mantenuto in vita e con esso si cristallizza anche l’arcaico sistema sociale già descritto e criticato da Sonnino.
La proprietà agraria meridionale continua nel suo sfruttamento della classe contadina e nei suoi atteggiamenti feudali, conservando e anzi rafforzando il proprio potere politico attraverso l’alleanza con gli industriali del nord.
Ma questi ultimi hanno in realtà la guida del paese e costituisco il settore più moderno e avanzato dell’economia italiana e lentamente al nord l’incremento della produzione industriale dà benefici anche al proletariato industriale, seppure attraverso numerosi momenti di crisi, come quello attraversato a fine secolo.
Il consolidarsi del blocco di potere dominante non impediva tuttavia l’emergere di voci di dissenso, che riproponevano il problema dell’arretratezza del mezzogiorno...."
"...L’esigenza di combattere il diffuso razzismo verso i meridionali - accusati di pigrizia e indolenza - e di sfatare il mito del sud come terra opulenta, lo indusse ad una descrizione minuziosa della realtà fisica del meridione.
L’arretratezza del meridione era dunque almeno in parte dovuta alle difficoltà ambientali che dovevano affrontare i suoi abitanti, come i terreni argillosi e cretosi, le lunghe siccità, la malaria e l’isolamento geografico.
Ovviamente lo stesso Fortunato era consapevole che da solo quest’argomento era insufficiente per rendere conto delle difficoltà in cui versava il meridione, ma lo utilizzava per spazzare il campo da facili pregiudizi che si andavano diffondendo anche per la crescente popolarità delle tesi di Lombroso.
Fatte queste premesse Fortunato procedeva ad una analisi critica della situazione, accusando anch’egli la borghesia meridionale per la totale mancanza d’intraprendenza economica...""...Dapprima Fortunato ritenne di poter individuare nello Stato unitario il motore della trasformazione meridionale, attraverso un nuovo orientamento della politica fiscale e doganale e tramite l’onesta amministrazione della cosa pubblica.
Ma presto questa speranza in uno Stato “ così forte di autorità e di mezzi da condurre tutto il popolo italiano sulle vie della coltura della morale della pubblica ricchezza” venne meno e Fortunato ricerco altrove i possibili correttivi della situazione. Ripose quindi le sue speranze nello sviluppo di una economia pienamente liberista ma dovette ammettere che vane erano le speranze nelle “libere energie vitali” della borghesia meridionale.
Fu così che egli si orientò su posizioni decisamente pessimistiche, nel quale come ha scritto Franco Gaeta “ a lui non sarebbe stato possibile che abbracciare un pessimismo radicale e virile nel quale la condanna della borghesia meridionale avrebbe fatto tutt’uno con la censura apposta a tutto il processo risorgimentale...."
"...Nitti, che nel primo dopoguerra diventerà presidente del consiglio. Pur senza concessioni all’autocommiserazione vittimistica, Nitti sottolineava come la povertà del meridione fosse in parte determinata da un processo di unificazione che aveva sottratto ricchezze al sud attraverso la tassazione per riversarle sotto forma di spese pubbliche al nord Italia.
L’analisi di Nitti, parzialmente veritiera, non conduceva però ad una assoluzione della borghesia meridionale, i cui modi venivano anzi duramente criticati: ”E’ innegabile che politicamente i meridionali abbiano rappresentato un elemento di disordine.
Le loro amministrazioni locali vanno, d’ordinario, male; i loro uomini politici non si occupano, nel maggior numero, che di partiti locali”. Come modificare la situazione che vedeva il sud-Italia arretrato economicamente ma anche politicamente e socialmente?..""...La risposta di Nitti era nello sviluppo dell’industria anche nel meridione.
La trasformazione industriale avrebbe modificato anche la società, stimolando la nascita di una borghesia produttiva.
E per sviluppare l’industria, occorreva una decisa azione del governo, che doveva sopperire alla mancanza di capitali disponibili per gli investimenti. Come fare?
Lo Stato avrebbe dovuto anzitutto varare una riforma tributaria che favorisse gli investimenti produttivi nel sud soprattutto da parte dell’industria settentrionale che era in fase espansiva e aveva capitali da investire, oltre che tecnici e imprenditori capaci di avviare il progetto.
Aspetto principale della riforma proposta da Nitti era l’avviamento di un processo di industrializzazione di Napoli, città che stava attraversando un crescente degrado:
“ Il disordine della vita pubblica quale esso sia, è poca cosa di fronte al disordine profondo, alla depressione crescente della vita economica[...] Molte sono le forze ritardatrici: poche e scarse quelle che operano in senso utile. La borghesia è composta in gran parte da avvocati e medici: di classi che vivono dunque di due calamità sociali: la lite e la malattia; mancano, fatte pochissime eccezioni, elementi industriali operosi.
”Napoli doveva dunque trasformarsi in un polo industriale capace di dare nuovo respiro all’economia meridionale e per farlo era necessario un deciso intervento dello Stato, che in deroga ai principi liberali avrebbe potuto ad esempio municipalizzare la produzione energetica per favorire lo sviluppo di nuovi stabilimenti...."
"...La borghesia intellettuale meridionale – notai, medici, avvocati, insegnanti - era infatti secondo Gramsci la custode e la garante del potere dei capitalisti del nord, a cui assicurava la pace sociale nel meridione ottenendone in cambio incarichi all’interno delle amministrazioni locali e favori clientelari.
Per Gramsci, anche grandi intellettuali come Croce con il sostegno dato al mito del buon governo costituivano un sostegno irrinunciabile per il mantenimento della status quo meridionale, narcotizzando quelle istanze rivoluzionarie delle masse contadine che sole avrebbero potuto risolvere il problema del mezzogiorno. .."[/color]
http://www.storiain.net/arret/num101/artic3.aspStralci di un meridionalista convinto, Antonio Grasso.
".. Mancava la cosa più importante: la ricca borghesia imprenditrice [4] e la classe operaia. Mancava un forte substrato sociale e consapevole su cui costruire una società solidale [5].
[color=maroon]La mancanza di una classe borghese e operaia diffusa nel regno faceva si che nei bassi della capitale o delle città più importanti e a pochi chilometri da esse, nelle campagne, cominciasse la miseria ed il degrado sia fisico che civile. I “lazzari” saranno stati una “simpatica” curiosità per i viaggiatori ma non erano certamente un segno di benessere!..
...Purtroppo quella rivoluzione ormai fuori tempo, la repressione violenta operata dalle truppe del cardinale Ruffo, il taglio netto con gli intellettuali, impedirono lo sviluppo dell’imprenditorialità che aveva visto il sorgere di promettenti industrie che riguardavano la lavorazione del lino e della canapa, le fonderie, gli stabilimenti meccanici, i cantieri navali, il legno, la trasformazione dei prodotti della terra. .."
"...Duecento anni fa il regno meridionale non aveva niente da invidiare a nessuno e, in Italia , per popolazione, forma urbana, arte, rapporti con l'estero, era tra i primi. Poi accadde qualcosa, una rivoluzione fuori tempo e soprattutto senza “corpo”. Il centro della vita rimase quello di sempre: di qua la plebe, di là gli aristocratici, il piano nobile e il “vascio”. Non si può istaurare una democrazia se non c’è un popolo che la esercita. Non bastano “repubbliche” né “costituzioni” se la società è costituita soltanto da due fasce estreme, i servi e i padroni. Londra e Parigi, che avevano gli stessi problemi, andarono avanti: ebbero la rivoluzione borghese e industriale e man mano instaurarono la democrazia. Realizzarono ciò che G.B. Vico aveva teorizzato da tanto tempo: posero davanti a tutto il diritto delle genti. ..."
"...Non dissimile da allora è oggi la situazione in buona parte dei territori meridionali: la mancanza di una classe sociale intermedia matura, capace di muoversi in maniera indipendente e socialmente. Ci troviamo di fronte ad una massa amorfa, ignorante, a-sociale, disposta solo a farsi sfruttare nel miraggio di un facile guadagno quotidiano. Niente di nuovo rispetto al popolo dei “lazzari” con la differenza che oggi lo sfruttatore non è l’aristocrazia “illuminata” ma la criminalità..."
"...Colpisce ancor più l'ignoranza della storia. Napoli non è una città qualunque, ma una delle due (ex) capitali italiane (l'altra è Milano) che non hanno assimilato l'illuminismo dall'esterno, ma l'hanno prodotto in loco. Nel Settecento la patria di Giambattista Vico è stata una delle più importanti metropoli europee, assieme a Parigi, Londra, Vienna, Pietroburgo e Madrid, e ha sviluppata una sottile vocazione razionalista, ben rappresentata da Filangieri, Cuoco, Giannone e tanti altri. Ma nell'Ottocento l'eredità illuminista era stata persa di vista. E così il velo di civiltà che copriva una plebe immensa e via via sempre più povera, deportata dalle campagne e stipata nei bassi, si era rotto e la città era rimasta senza educatori..."
"..il problema odierno dei “fetenti”, cioè di quella enorme massa di napoletani che vivono nella violenza, malvivenza ed ignoranza, è tuttora insoluto proprio per l'incapacità di formare una classe media, istruita quanto basta per farle riconoscere ed amare la legalità. Napoli si delinea così come un “luogo”, dove vivono comunità diverse che si disprezzano tra di loro, in un'incomunicabilità sociale che salva solo le apparenze..."
"... Indicativa della perdita dei valori dell’illuminismo fu la maniera di diffusione della costituzione siciliana del 1812: non ci fu una versione “in siciliano”, ma la divulgazione e l’interpretazione per il popolo fu affidata ai “preti”, unico "mezzo di comunicazione/ persuasione/ superstizione/ coercizione" tra classi che, pur vivendo fisicamente nello stesso “topos”, erano tra di loro distanti anni luce: i padroni, grandi o piccoli, ma pur sempre padroni, l’aristocratico ed i suoi “campieri” e i servi da sfruttare e manipolare.
Tutti attaccatissimi alla terra, alla città, alla civiltà, ai prodotti, alla cultura … nessuno però che si curi di "uomini": l'umanità si ferma alla famiglia e agli antenati, i simili non esistono, o tutt'al più sono un fastidio.
È questo eccesso di individualismo che sta alla base dell'asocialità meridionale, sfruttata e alimentata ad arte da approfittatori-politici-malviventi di varie latitudini. L'eccesso di individualismo genera anche la perversa questione sociale, cioè la comunità (sic!) suddivisa economicamente in caste, e razzialmente in "signori" e "popolo".
Tra la fine del 700 ed oggi non c'è molta differenza, in fondo!.."[/color]
http://www.ilportaledelsud.org/questione_sociale.htm