Appello al Popolo
di Stefano D'Andrea
Gli squilibri generati dall’euro condurranno, in tempi stretti, all’uscita della Grecia dall’Unione europea. Dico dall’Unione europea; non semplicemente dall’euro, come si suol ripetere. Ormai sono tutti quasi certi che la Grecia sia destinata ad uscire ben presto dall’euro. Io invece dico che la Grecia è destinata ad uscire tra breve dall’Unione europea. E non perché sia certo che il potere sarà conquistato dal KKE, che si propone deliberatamente di uscire dall’Unione europea. Bensì perché, qualunque forza politica si troverà a governare il paese, l’uscita dall’Unione europea sarà nell’ordine logico delle cose.
Intanto, non c’è modo di uscire legittimamente soltanto dall’euro. Sotto il profilo legale, l’uscita dall’euro di uno stato che abbia adottato la moneta unica implica la modifica dei trattati europei e richiede il consenso di tutti i membri. Insomma, la Grecia non può decidere unilateralmente di abbandonare l’euro e di restare nell’Unione europea.
In secondo luogo, un’uscita consensuale (con l’accordo di tutti gli Stati) non dovrebbe essere possibile o comunque dovrebbe essere accompagnata anche da provvedimenti della Grecia presi in aperto contrasto con l’ordine giuridico dell’Unione europea. L’uscita consensuale, infatti, richiederebbe una trattativa che durerebbe un tempo che la Grecia non potrà permettersi. A tacer d’altro, tutti i correntisti greci ordinerebbero alle banche di accreditare gli euro dei quali dispongono in un conto corrente aperto presso una banca di un diverso paese europeo, al fine di evitare che la svalutazione della nuova moneta, svalutazione che ovviamente seguirà l’abbandono dell’euro, colpisca il loro risparmio. In realtà, non tutta la svalutazione si tradurrebbe in inflazione. Pertanto la fuoriuscita dei capitali serverebbe ad avvantaggiare i detentori di risparmio, più che a salvaguardare quest’ultimo.
Si imporrà, dunque, un vincolo alla fuoriuscita dei capitali e, forse, finanche all’esecuzione dei pagamenti, per evitare facili frodi. Il vincolo sarà posto dal governo o dal parlamento greco in violazione dell’ordine giuridico dell’unione europea. Pertanto, una rottura dell’ordine giuridico dell’unione europea, almeno minima, si renderà comunque necessaria.
Ma vi è di più. I Trattai europei prevedono l’esistenza di “Stati membri con deroga”, i quali, ai sensi dell’art. 139, 1° co., del Trattato sul funzionamento sull’Unione europea sono “Gli Stati membri riguardo ai quali il Consiglio non ha deciso che soddisfano alle condizioni necessarie per l’adozione dell’euro”. L’art. 139, 2° co., indica le disposizioni dei trattati che non si applicano agli Stati membri in deroga. Tuttavia gli Stati in deroga sono destinati ad entrare nell’euro; o comunque sono Stati che tendono a convergere, anche se talvolta, bontà loro, soltanto in modo parziale, “verso l’euro”. Molte norme dei trattati promuovono e controllano tale convergenza.
In particolare, ogni due anni, e ogni volta che ne faccia richiesta uno Stato membro con deroga, Commissione e Banca centrale europea riferiscono al Consiglio sui progressi della convergenza, osservando in particolare alcuni parametri, indicati nell’art. 140 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. In particolare: a) stabilità dei prezzi (e il parametro sono i tre stati membri che hanno “conseguito” i migliori risultati sotto il profilo del tasso d’inflazione); b) assenza di un disavanzo eccessivo; c) margini normali di fluttuazione in due anni, senza svalutazione nei confronti dell’euro; d) “la compatibilità della legislazione degli stati membri, incluso lo statuto della banca centrale” con gli artt. 130 e 131 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (l’art. 130 impone l’autonomia della Banca centrale dello Stato, la quale non può “sollecitare o accettare istruzioni …dai governi degli Stati membri…”; e) “tassi di interesse a lungo termine che riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro con deroga”.
Inoltre, “In caso di difficoltà o di grave minaccia di difficoltà nella bilancia dei pagamenti di uno Stato membro con deroga, provocate sia da uno squilibrio globale della sua bilancia dei pagamenti, sia dal tipo di valuta di cui esso dispone, e capaci in particolare di compromettere il mercato interno o l’attuazione della politica commerciale comune”, la Commissione procede ad un esame e “indica le misure di cui raccomanda l’adozione da parte dello Stato interessato”. La Commissione tiene regolarmente informato il Consiglio, il quale accorda il “concorso reciproco” – non mi dilungo su cosa indichi questa formula ma l’art. 143 chiarisce che si tratta di “un’azione concordata” – e “stabilisce le direttive o decisioni”.
Infine, perfino in caso di “improvvisa crisi della bilancia dei pagamenti”, se non si sia intervenuti ai sensi dell’art. 143 (articolo che ha per presupposti di applicazione la “difficoltà” o la “grave minaccia di difficoltà” nella bilancia dei pagamenti di uno Stato membro con deroga), l’art. 144 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, prevede che lo “Stato membro con deroga può adottare, a titolo conservativo, le misure di salvaguardia necessarie”. Ma “Tali misure devono provocare il minor turbamento possibile nel funzionamento del mercato interno e non andare oltre la portata strettamente indispensabile a ovviare alle difficoltà improvvise manifestatesi”. E addirittura il 3° comma dell’art. 144 prevede che “…il Consiglio può decidere che lo Stato membro interessato debba modificare, sospendere o abolire le suddette misure di salvaguardia”.
Insomma, gli “Stati membri con deroga” tendono normalmente ad allinearsi alla politica economica e monetaria suggerita dall’Unione europea e sono sottoposti a notevoli controlli e ad atti di indirizzo. Attuano politiche economiche tendenzialmente convergenti con quelle dei paesi che hanno adottato l’euro e finanche in caso di grave crisi della bilancia dei pagamenti sono sottoposti a penetranti poteri di controllo e decisione degli organi dell’Unione europea. Al contrario, la Grecia, una volta “uscita dal solo euro” – ma ripeto: non è chiaro come ciò possa avvenire – da un lato, sarà in una condizione molto diversa dagli “Stati con deroga” attualmente esistenti (inflazione molto più alta; necessità di limitare la circolazione dei capitali; enorme svalutazione rispetto all’euro; tassi di interesse a lungo termine divergenti; necessità di una Banca centrale non autonoma, ecc. ecc.); dall'altro, se vorrà riprendersi non potrà certo porsi l’obiettivo immediato di “convergere” verso gli altri paesi. Avrà invece necessità di attuare una politica economica e monetaria completamente differente – direi divergente – e di rendere non autonoma la propria banca centrale.
Anzi, la Grecia avrà necessità di liberarsi da altri vincoli derivanti dall’unione europea, applicando una politica economica di tipo argentino
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